domenica 24 settembre 2017

Cap. XLIX
sindaco il com. G. c. golisano – il ritiro – giuseppe martorana – la luce elettrica – vittoria del fascismo – il com. d’antona sindaco
Era Sindaco dell’epoca il comm. Giuseppe Carlo Molisano. Cincinnato di Riesi, l’Avv. Golisano fu chiamato a quel posto di nuovo, per salvare la posizione d Consiglio Comunale in sfacelo nel 1920 e per far argine al bolscevismo. Poiché anche nel detto Consiglio era penetrato il disordine e si era in piena anarchia fra gli operai, ci voleva un uomo ben visto alla Prefettura e al paese, i reggere la barca fessa del Municipio. E difatti il Pasqualino si era dimesso lasciando il campo libero all’ ing. Accardi col quale non andava d’accordo. Questi, non potendo essere d’accordo con gli operai, sì dimise pure ed afferrò brevemente la Sindacatura, l’avvocato Don Gaetano Debilio, un pasqualiniano. Il Consiglio in balia di se stesso, per forza doveva essere sciolto, ma ad evitare maggiori spese, si lasciò stare così com’era.
La nomina a Sindaco del comm. Golisano fu accolta una unanime benevolmente, con simpatia. L’egregio uomo accettò la carica volentieri, sperando di fare del bene al paese. Egli si mise all’opera, con la Giunta degli operai, scegliendosi a vice Sindaco l’operaio Giuseppe Martorana e con lui il Segretario del Comune, Francesco Mule Vella, che da maestro della musica, maestro elementare, in resosi pratico dell’Ufficio, sbrigava le pratiche passabilmente.
Il Sindaco si pose innanzi i gravi problemi del paese. Cominciò egli a lavorare alacremente prima di tutto per la luce elettrica, onde levare io scuro, mettendo Riesi alla pari degli altri paesi vicini; in secondo luogo si diede attorno all’impellente problema dell’acqua potabile e le fognature per dissetare gli abitanti, levando le porcherie, le immondizie delle vie ed avere un paese pulito.
Tali problemi affrontò il comm. Golisano; per quanto difficili a risolversi, pure il Sindaco vi lavorò assieme al suo Segretario, pensandovi seriamente giorno e notte. Il nostro concittadino, che conoscemmo, di già voleva rendersi benemerito alla cittadinanza riesina: egli trascurava gli affari suoi, dandosi anima e corpo al Municipio.
Ma dopo il 1922, con l’avvento al potere del Fascismo, ne insidiarono il Consiglio. Sebbene egli comprese i tempi nuovi fin da principio, tanto vero che pubblicò una scritta a favore del Duce, chiamandolo un grande uomo di stato “simile a Cromwell” ed altri pure i fascisti, con a capo il Dott. Lamonica, gridavano: “Abbasso il Consiglio”. E il Sindaco Golisano, non potendo sopportare i tumulti e le grida, si dimise, ritornando ai suoi campi, agli affari suoi, ai suoi studi, lasciandoci come ricordo, oltre il bastione e la piazza Garibaldi ammattonata, la luce elettrica che illumina sfarzosamente il paese. Col censimento, sotto di lui, il paese contava 17.248 abitanti.
Lasciato in carica l’operaio Martorana, questi da Sindaco titolare fece di meglio per non cadere.
Fu Sotto di lui che si portò a compimento la luce elettrica. Il paese cominciò a respirare, a gioire; appoggiato questo Sindaco dall’ex partito democratico, si credeva forte, ma il Consiglio di Riesi doveva essere sciolto. Il Segretario politico col Fascio, secondo l’idea dei Duce, erano sicuri del fatto loro.
E difatti il Consiglio venne sciolto nel 1925. Un R. Commissario ne venne a reggere le sorti protempore.
Essendo un fascista, era ben naturale che doveva mettersi in relazione col Segretario del Fascio, dott. Lamonica e la P. S. Giusto vi erano qui due bravi funzionari, il Maresciallo Giuseppe Scurria e il Commissario di P. S. Belofiori, i quali erano lo spauracchio degli uomini di malavita e dovevano fare il loro dovere a favore del Governo,
Fattesi le elezioni a tamburo battente, dopo i tre mesi, fascisticamente, la maggioranza fu del Fascio capitanato dal dott. Lamonica e i civili di Riesi. Snidata la vecchia democrazia, salirono al potere i fascisti. A Sindaco fu eletto il comm. Don Luigi D’Antona. Lo stimato banchiere, vestendo la camicia nera, si trovò di fronte alle nuove esigenze del Fascismo e del paese.
Egli però non ebbe il tempo di potere esplicare nemmeno una parte del programma fascista, perché vi fu un’altra, riforma mussoliniana.
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Cap. XLIXbis
dai sindaci al podesta’
La riforma fatta dall’On. Mussolini fu di togliere dai Municipi i Sindaci e mettervi dei Podestà nominati dal Governo del Re. E questa riforma la fece attuar prima nelle città e poscia nei paesi. L’anno dopo la rese comune a tutti i paesi.
Scopo delle legge è di concentrare tutta l’Amministrazione Comunale nelle mani di un uomo, levando le camarille locali.
Il Podestà deve durare in carica cinque anni e può essere riconfermato.
Secondo questa legge il comm. D’Antona decadde da Sindaco. Bisognava fare il primo Podestà di Riesi. Chi più indicato del cav. dott. Lamonica? Chi più fascista di lui? Chi meglio di lui poteva assumere tale carica? L’uomo indicato, designato, fu appunto il cav. dott. Gabriele Lamonica. Egli si dimise quindi da Segretario politico del Fascio di Riesi, accettando la carica di Podestà del nostro Comune.
Ito a prestare giuramento nelle mani del Prefetto a Caltanissetta, venuto il decreto reale, al ritorno gli sì fece una calda ovazione, una calorosa dimostrazione di simpatia e di affetto. Al posto di Segretario politico, i gerarca di Caltanissetta nominarono il cav. Notar Giuseppe Sanfilippo, già vice Pretore negli anni 1915-1926, il di cui figlio Avv. Matteo, reduce della guerra, in città era un pezzo grosso.
Le gerarchie fasciste sono formate dalle Federazioni provinciali e dai Sindacati a cui fanno capo il Prefetto; nei paesi il Segretario politico è il capo del Fascismo e di tutte le organizzazioni che sono: Associazione dei Combattenti; Federazione dei Commercianti; Società delle madri dei caduti in guerra; del Dopolavoro; dell’O. N. B., della Milizia fascista e della Federazione degli Agricoltori.
Tra Podestà e Segretario politico, deve esservi un reciproco accordo.
Il dott. Lamonica Podestà e il Segretario Notar Sanfilippo per un pò di tempo si diedero la mano, ma poi non si sa perché, non furono più d’accordo. Il Podestà i credeva insormontabile dietro quello che aveva fatto e detto, ma egli aveva dei nemici sott’acqua. Sotto di lui si acconciarono le vie del Canale è quella che va al Calvario col nome di Marconi; la prima impraticabile, fu fatta a ciottoloni e prese la via de Littorio; la seconda fu fatta sbassare nella parte rocciosa rendendola più. praticabile. Per le dette vie spese una bella sommetta.
Di più, il nostro Podestà si occupava dell’acqua potabile, conoscendo i bisogni del paese in quegli anni di. siccità..
Se dobbiamo essere spassionati il dott. Lamonica, se aveva degli ammiratori, aveva anche dei satelliti, e lo rendevano inviso ai suoi nemici, come anco a certi suoi amici. Fra gli impiegati municipali vi erano quelli che lo subivano.
Per una cosa da. nulla, per aver detto che un tale era analfabeta, per potere ottenere il permesso d’armi, mentre quello non sapeva firmare, il primo Podestà cadde nella trappola. Il fatto sta che in Questura gli si fece un processo; processo che dinanzi il Tribunale sfumò.
Ed è perciò. che il dott. Lamonica non fu più Podestà. Bravo, intelligente professionista, ricco di casa sua, si occupa degli ammalati, passando la sua vita anche in campagna con la sua famiglia, nella bella casina del Crocifisso.
Ebbe la jattura di perdere un figlio promettente in una disgrazia, i cui funerali riuscirono solenni.
Se sono cose queste che abbiamo visto e ai nostri giorni, crediamo che nessuno potrà accusarci di partigianeria;. la nostra storia contemporanea l’abbiamo fatta e la facciamo imparzialmente, narrando ciò che abbiamo visto e veduto coi nostri occhi.
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Cap. L
un commissario prefettizio modello
Il Governo Centrale dell’On. Benito Mussolini, allargando i poteri discrezionali dei Prefetti, dando loro il titolo di Eccellenza, diede la facoltà di nominare i Commissari nei Comuni, ed è perciò che si chiamano Commissari Prefettizi; come pure furono abolite le Sottoprefetture, avendo i Comuni relazione diretta con le Prefetture nel Capoluogo della Provincia.
S. E. il Prefetto di Caltanissetta, tolto il Podestà processato, vi mandò a sostituirlo, nel 1928, nella qualità di Commissario Prefettizio, il cav. Ugo Rossi consigliere presso la stessa Prefettura.
Il cav. Ugo. Rossi, calabrese, era stato 13 anni Sottoprefetto a Noto ed era molto esperto e pratico di amministrazioni comunali. Buono, intelligente e giusto, appena giunto fra noi disse: “Questo paese non ha avuto buoni amministratori”; e indi rivoltosi agli astanti: “Se voi mi aiuterete; vi lascerò Riesi una cittadina”.
Immedesimandosi della nostra sorte, girando di qua e di la, vide che la via del Parroco, ove comincia la via Marconi; era orribile; con poca spesa la fece bene accomodare.
Trasformò la Casa Municipale internamente ed esternamente, rendendola un vero Palazzo di Città; la sua bella prospettiva, rivestita a nuovo, ne fa un magnifico aspetto. Nell’interno trasformò la sala del consiglio in un salone di ricevimento stile Luigi XIV; sistemò gli uffici municipali razionalmente. Tutto faceva eseguire sotto la di lui direzione. Gli impiegati, ben trattati, gli volevano un gran bene; il popolo, specialmente i poveri, trattati come si deve, lo amavano.
Ma queste, non sono le sole opere ed azioni che parlano del cav. Ugo Rossi: egli fece ancora di più.
Con un manifesto al pubblico annunziò che aumentava di cent. 10 al Kg. la carne e cent. 10 a litro il vino, per abbellire il Parco della Rimembranza, perché “non faceva onore nè ai morti nè ai vivi”, e ciò per non aggravare il Bilancio.
Difatti, raccolta la prima somma, la impiegò subito a fare acconciare i due tratti delle vie Cavour e Mazzini che portano a Parco. Con ammirevole cura fece recintare la Rimembranza di mura, con un’entrata a grata di ferro, vi collocò vasi e vasetti attorno agli alberi, un monumento ai caduti al centro, una colonna d granito con una piccola aquila in cima, una croce fuori il Parco danno un aspetto bellissimo al sacro recinto. Così ne rese una bella, attraente passeggiata.
Il cav. Rossi, visto che a Riesi mancava una pescheria e che il pesce si vendeva all’aperto nella piazza del Crocifisso fra le mosche e il fango, volle levare quella sconcezza facendo sorgere la pescheria nel cortile Riccobene, più in là della piazza. E’ poca cosa, ma è meglio di niente.
Dando un’occhiata al cimitero, vi fece fabbricare una piccola cappella di cui era sfornito, fece sistemare i viali e mettere la breccia alla stradetta.
Attorno alla piazza Garibaldi, fece piantare degli alberi come all’altra piazza del Crocifisso e allo stradale della Rimembranza.
Mise un’ordinanza, con la quale imponeva i proprietari nei Corsi principali a fare il prospetto delle loro case. Alcuni furono solleciti a farle, altri, a causa della Assicurazione agli operai, furono riottosi.
Tutto l’egregio Commissario aveva in animo di fare e rifare.
Ma dove maggiormente il cav. Rossi lavorò fu per la soluzione del grave problema dell’acqua potabile e le fognature. Questo era il suo sogno e ci era quasi riuscito. Aveva contratto con una Società romana, ma sul più bello, venne trasferito a Catania e ci lasciò.
il popolo commosso all’atto della partenza, nel salutarlo, gli fece una dimostrazione di affetto. Anche lui, il cav. Ugo Rossi, fu commosso, spiacente di averci lasciato senza aver terminato ciò che aveva nell’animo di fare. Fra tutti i Commissari forestieri che sono passati nel Comune di Riesi, nessuno ha lasciato un ricordo conte lui.
Dacché esiste questa legge, in quest’epoca di Fascismo, vi sono stati finora tre Podestà e quattro Segretari politici.
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Cap. LI
la ferrovia - mentre scriviamo, terminando
Mentre scriviamo terminando la nostra storia, frutto della nostra immane fatica, lavoro della nostra povera intelligenza, noi che, oltrepassato mezzo secolo di esistenza, abbiamo visto passare uomini e cose, ci fermiamo qui.
Mentre scriviamo i lavori della ferrovia sono a buon punto; già la bella Stazione è terminata e la linea è quasi ultimata.
Questa sospirata linea ferroviaria interna della Sicilia, partendo dalla Stazione Centrale di Canicattì, dovrà passare per le stazioni e paesi di Delia, Sommatino, Trabia-miniere, Riesi, Mazzarino, San Michele di Ganzeria, San Cono e Caltagirone, proseguendo poi per Catania,
Il tronco che dalla Stazione Trabia-miniere viene a Riesi è meraviglioso. Scendendo il treno dalla montagna della miniera Grande di Sommatino, che costeggia fra le gallerie, arriva al vallone detto della Cottonara; passato il ponte fa una curva e dopo 550 metri giunge all’altro colossale ponte Imera sul Salso , accanto a quello interprovinciale. E’ un’opera d’arte moderna. Esso ponte ha 10 luci di 15 metri ciascuna, è lungo m. 190,80, largo m. 5,10, alto m. 25, tutto in pietra da taglio. Passato il quale la macchina si ferma alla stazione delle due importanti miniere che sembrano, con le magnifiche casine che vi sono, un ameno villaggio.
La locomotiva, messasi in moto nella valle del “Salso” va verso due viadotti: il primo, lungo m. 184,50, è ha 10 luci di cui 8 centrali di m.15 e le due estreme di m. 10; il secondo lungo m. 86,50, è ha 4 luci di m. 15 ciascuna. Ed eccoci ora. alla grande, maestosa galleria o traforo della Cammarera lunga m. 1091, con l’altezza di m. 29,50 dal fondo del vallone. Uscendo la macchina col suo fischio, nel guardare il monte Stornello, il treno traversa la contrada detta Ficuzza finche, tra ponti e ponticelli, arriva all’ultimo viadotto del Bannuto, lungo m. 87, ha 5 luci di m. 10 ognuna. Con una breve discesa nella contrada Giarratana, la strada ferrata ci porta al simpatico ponte del cavalcavia di San Giuseppuzzo e, passato, il bel Casello, entra nella stazione del Lago, vedendo il grazioso villino Antonietta del comm. Golisano e la casina del signor R. Jannì. Riesi!!... Finalmente!
Sono lavori esatti, opere d’arte, che hanno onore alla Ditta dei signori Ing. e Colonnello De Vecchi di Favara, alla squisita cortesia dei quali dobbiamo le informazioni di cui sopra, assunte nei loro uffici. In atto, il Colonnello cav. Giuseppe, è Commissario Prefettizio.
La Stazione di Riesi, che sarà di grande utilità per il commercio delle merci, è al centro della costruente linea ferroviaria.
Quando si sentirà il fischio della locomotiva, annunziando “Riesi!!...” il paese godrà dei benefici della civiltà.
Colui che per la prima volta verrà in treno a Riesi, se di primavera, affacciandosi allo sportello tra l’olezzo dei fiori e le bellezze naturali, resterà meravigliato, incantato a tanto sorriso di Dio e della natura. Il viaggiatore, dopo avere ammirato la lavorazione della zolfo nelle miniere presso il fiume Imera, ne sentirà il puzzo, e spingendo lo sguardo fino al ponte interprovinciale ne riporterà una bella impressione e siamo certi che racconterà di’ avere visto cose meravigliose.
Chi l’avrebbe detto che un giorno queste terre sarebbero state allietate dalla ferrovia? Ah se i governi passati fossero stati più benefici verso di noi, quanti guai ci avrebbero risparmiato! Ma, grazie a Dio, le future generazioni saranno fortunate, sentendo il fischio e vedendo arrivare la locomotiva.
Il traffico della ferrovia farà allargare di molto il paese verso quella parte, facendo sperare che sorgeranno bei palazzi, belle case, botteghe e alberghi. La. via, che del resto e larga e lunga, si presta ad un nuovo quartiere di stile moderno.
Riesi, messo alla pari degli altri paesi civili del mondo, sarà una cittadina. Manca, ancor oggi, l’acqua potabile abbondante e le fognature. Chi saprà risolvere questo importante, vitale problema, avrà legato il suo nome alla storia e sarà immortalato. I popoli, oltre il pane, le vesti e la casa, hanno bisogno d’igiene per vivere bene: la pulizia dei paesi è indice di vera civiltà.
Non è per dare. una lezione a chi ne sa più di noi, ma è per spronare gli altri a far meglio. Lo abbiamo detto sin dal principio e lo ripetiamo ora terminando: il nostro paese ha sempre progredito. Se venissero i nostri primi padri - non diciamo quelli dell’epoca primitiva, nè quelli del secolo XVII, nemmeno i vissuti fino al 1850, ma quei dal Risorgimento in poi - crederebbero di sognare vedendo il piano della Madrice, la Piazza Garibaldi mattonata, il palazzo della baronia comprato dall’ing. F. Turco, ricostruito di nuovo, con la bella, imponente e maestosa prospettiva; la sagrestia e la casa d’abitazione del sagrestano Mulè, trasformata in casa canonica; l’asciugatoio eretto nel palazzo del duca; più in là, la casa della Principessa, e sul carcere vecchio sorta la bella casa dell’ing. F. Drogo.
E i bei prospetti attorno la Piazza Garibaldi circondata di alberi? I corsi e le vie principali lastricati?
Che direbbero al sentire che in due ore si giunge a Caltanissetta, e che in una giornata si può andare e.tornare? Che non ci sono più quelle carrozze, ma bensì automobili? E che il fiume non è più di spavento?
La vita quindi, da un secolo a questa parte, ha di molto migliorato.
Lo zolfataio, gli operai, non frequentano tanto le bettole, ma i tre caffè-bars, fra i quali primeggia il gran caffè Giannone, e tutti vanno vestiti bene.
Anche le donne vestono all’ultima moda di Parigi, e vanno in giro, per le vie, sole.
Le scuole, sia comunali che evangeliche, sono frequentati da scolari d’ambo i sessi, vispi, intelligenti, studiosi, buoni.
L’istruzione e il lavoro, hanno fatto crescere la gioventù della nostra generazione di un’altro tipo.
Col fascismo poi, in quest’ultima epoca, i delitti sono ,diminuiti: i furti del 41 per cento e i delitti di sangue del 67 per cento.
L’Opera Nazionale Balilla, istituzione scolastica del piccoli educa questi agli esercizi ginnici, al canto e al lavoro.
L’Associazione delle madri e vedove di guerra; l’Opera Nazionale Maternità ed Infanzia per i bimbi poveri; l’Istituto Nazionale di Previdenza per la pensione in vecchiaia; la Milizia Volontaria fascista, ed infine il campo sportivo per il giuoco del calcio che attira i tifosi a veder giocare; tutte queste belle istituzioni sono sorte ai nostri giorni.
Per i nostri avi tutto ciò sarebbe come un sogno, ma per noi è una realtà vissuta e provata.
Concludendo ci auguriamo che in avvenire sarà ancora meglio. Coloro che verranno appresso di noi, godranno maggiori benefici di questi, perché si dice: “L’uno semina e l’altro raccoglie”.
Riesi, risorta a vita novella, come la favola della Fenice la quale, bruciandosi dalle sue ceneri, ottiene vita più rigogliosa, piena di vitalità, è un paese di 22 mila abitanti che accenna a diventare città.
Come per il passato. in tre secoli di vita attiva, il lavoro e l’ingegno ci hanno portato a questo punto, così nell’avvenire il lavoro, sorgente di pace, di prosperità e di felicità, farà il resto. Il progresso in tutte le cose non si arresta mai; ma bisogna ammettere che si deve progredire anche nella morale, base della vita.
In questi ultimi anni di nostra esistenza, abbiamo avuto due fattacci specifici che ci hanno degradato molto di fronte agli altri paesi della Sicilia; ma essi fatti singolari, che sano passati alla storia, speriamo che non si ripeteranno mai più, per la giusta Nemesi, cioè il castigo che hanno avuto, per servire di lezione agli altri. Del resto ogni regola ha la suaa eccezione: non si può condannare un popolo per pochi degenerati.
Il fatto del brigante Francesco Carlino che da giovane, gettatosi alla macchia, dal 1920 al 1922 diede filo da torcere alla Pubblica Sicurezza dell’Isola, da additarsi come autore di tanti delitti; egli perseguitato ricercato dalla giustizia umana, venne arrestato in una casa sul poggio della Croce.
Inserragliatosi dietro una bestia, fece fronti ad una compagnia di soldati e carabinieri, guidati dal Questore Mori da Trapani, il quale, prima di ordinare il fuoco contro la casa mandò a chiamare la madre dinanzi la quale il brigante generosamente si arrese. Fu condannato ad anni 30 di prigione, ma evadendo, si recò in Francia, per potere salpare per l’America. In Francia commise un’altro delitto Per il quale fu condannato a 15 anni. Mentre scriviamo, lui sconta la pena alla Gajenna. “Godo buona salute, apprendendo il mestiere di calzolaio” scrive in francese alla madre.
L’altro fattaccio orribile, che fa orrore al solo pensando, è il delitto avvenuto nella miniera Tallarita il 21 Giugno 1931. E’questo delitto passibile della pena di morte, di cui Riesi ebbe il primato con la nuova legge, fa spavento.
Ricostruendo l’orrendo delitto dei nostri giorni ci trema i penna a narrarlo succintamente: il ragazzo tredicenne Zuffanti Salvatore, lavorava da manovale col muratore Gaspare Calafato, giovane promesso sposo 24 anni da qui. Fatta la mezza giornata antipomeridiana nell’andare a prendere un boccone con un certo Giuseppe Mignemi da Canicatti, vecchio arnese da galera, si trascinarono l’innocente fanciullo in fondo ad un corridoio esterno della miniera. Dopo aver mangiato lo legarono con una corda e lo violentarono; non contenti di ciò, temendo che il ragazzo parlasse, gli stroncarono la nuca e lo lasciarono cadavere.
Terminato il lavoro nel pomeriggio, il Calafato ritornò in paese, facendosi vedere. La famiglia del ragazzo si mise a cercare il figlio senza poterlo ritrovare. La notte i due delinquenti, al lume di una candela, andarono a gettare il cadavere nel fiume, credendo che la corrente se lo dovesse trascinare. Ma l’indomani mattina si vide il morto galleggiare nel gorgo. Denunziato il caso alla giudiziaria, vi accorse la P. S. e il dott. Giuseppe Celestri. Tolto il cadavere, dall’autopsia risultò tutto lo sfregio fatto al povero corpo. Subito furono arrestate le due belve umane, che sulle prime negarono, ma poi il Mignemi confessò, mentre il Calafato si mantenne sulle negative.
La popolazione messa in movimento, imprecava contro i malfattori; la stampa italiana giustamente ne fece chiasso portando ai quattro venti il delitto di Riesi.
La famiglia, i parenti erano inconsolabili. Chi non ha cuore non si commuove a tanto sfregio; ma il cuore la abbiamo tutti; crediamo che anche gli animali e le pietre si commuovono.
Alle Assisi di Caltanisetta, i giudici furono inesorabili, condannandoli alla pena di morte. Però nel l’eseguirla solo il Mignemi all’alba del Gennaio 1932 fu giustiziato; mediante fucilazione alla schiena, da un plotone di Metropolitani romani appositamente inviato, mentre il Calafato, all’ultimo momento la pena di morte gli fu commutata in ergastolo, essendosi egli mantenuto sempre sulla negativa, e perché era il primo caso.
Al Cimitero del nostro paese l’effigie del giovanotto Zuffanti Salvatore mostSezione:STORIA/ARTE/CULTURA/TRADIZIONI


SALVATORE FERRO
LA STORIA DI RIESI
DALLE ORIGINI AI NOSTRI GIORNI
CALTANISSETTA
PREM. TIP. SALVATORE DI MARCO
1934 - XII
Stampa intera opera


Cap. XXXVI
l’avv. G. carlo golisano sindaco – il primo centenario di garibaldi solennemente festeggiato
A succedere al posto di Sindaco, in sostituzione del Cav. Di Benedetto, fu designato l’Avv. Giuseppe Carlo Golisano. Tale nomina fu accolta con soddisfazione dal paese.
L’Avv. G. C. Golisano, figlio di Don Rosario e di Donna Teresa Pasqualino, si laureò in giurisprudenza, assieme al cugino R. Pasqualino Vassallo. Fu per breve tempo Vice Pretore. Apparentato con l’ex Sotto Prefetto Debilio, ebbe due doti, poiché gli morì la prima moglie. Datosi alla frutticoltura, migliorò il suo fondo di Birrigiuolo dove vi fece nascere una graziosa villa, dedicata alla figlia Rosina. La preziosa acqua, una vasca ed una grotta artificiale, nonchè una bella casina, ne fecero un eccellente ritrovo.
Fu per queste migliorie che meritò la Croce di Cavaliere. Appassionato del suo fondo, amante della famiglia, di rado si vedeva in paese. Amava la musica, le arti belle, la poesia e la letteratura.
Nominato ed accettata la Sindacatura, si propose di voler fare grandi cose per il suo paese; ma il tempo gli mancò.
Però fece costruire dei bastioni lungo la Via Vittorio Veneto, già Timoleonte; badò alla pulizia, alla illuminazione, all’Annona.
Nello stesso anno (1907) il 7 Luglio ricorreva il primo centenario della nascita del leggendario Eroe dei due Monti, del fatidico Condottiero delle camicie rosse.
Questa data si doveva festeggiare dal partito liberale di Roma, ma si ostacolava seriamente da parte del Governo, di modo che nei paesi si era costretti a tacere.
Ma qui però, un gruppo di giovani operai liberali, arditi, lanciarono l’idea di far qualche cosa a qualunque costo.
Essi furono presi per pazzi, ostacolati, minacciati; ma non si scoraggiarono. Formatosi un comitato, andavano raccogliendo fondi per le spese. Presentatisi al Sindaco, questi diede il suo obolo personale, dicendo: “Fate, fate…! Io sarò con voi nello” spirito ». Scesi nelle due miniere, ingegneri e impiegati contribuirono largamente, entusiasticamente. Eppure occorreva ancora della moneta per potere arrivare a far suonare la musica, almeno in quel giorno. Ci si rideva in faccia, ci si minacciava, ma pure si lavorava ogni giorno senza tema.
Avvicinandosi la data, dopo tanto chiasso dei Deputati estremisti alla Camera, finalmente il Governo italiano decise di festeggiarsi il primo centenario di Garibaldi.
Una lettera del Prefetto invitava il Sindaco a festeggiare il centenario, largheggiando nelle spèse. E allora il caro funzionario fece chiamare quel comitato, al quale partecipando la notizia, mise a disposizione le somme necessarie e la sala del Consiglio per riunirsi e deliberare sul da farsi.
Vi erano ancora otto giorni per la ricorrenza e in questo tempo si concertò tutto. Qui sorse una questione, se il Presidente della festa doveva essere il Sindaco, che rimase estraneo al movimento, o il Pasqualino che si prestava in tutto.
Chi partecipava, per l’uno o chi per l’altro,ma infine si tagliò la testa al toro, eleggendo il presidente della festa il preposto più vecchio garibaldino Sig. Giuseppe Ferro negoziante, Consigliere Comunale, dandosi incarico all’Avv. Gaetano Pasqualino di fare il discorso d’occasione. Tanto l’uno che l’altro accettarono commossi. il Sindaco fu ossequiente alla decisione, accogliendola entusiasticamente purché si riesca alla solennità disse, inneggiando all’Eroe, lodando il Comitato.
Il giovane pittore pieno d’ingegno, Luigino Patrì di Francesco, di sua iniziativa, aveva modellato in gesso un mezzo busto naturale di Garibaldi, da erigersi nella piazza omonima scoprendolo il giorno della festa. Si pensò adornare la piazza di festini e fiori, ed illuminarla. Per tutto il giorno e la sera si incaparrò la musica cittadina. Di più, si allestirono una dozzina di camicie russe per i garibaldini superstiti e si decise di offrire un pranzo ai più poveri.
Il 7 Luglio cadde di Domenica: tutti erano a casa. La mattina all’alba furono sparati 21 colpi di bombe a mano, svegliando gli abitanti dei diversi quartieri; alle ore 8 la musica incominciò a suonare; le bandiere sventolando annunziarono la festa; il movimento era insolito.
Un lungo corteo si formò al Municipio, con a capo il Sindaco e la Giunta, seguiti da cittadini e popolo; davanti sfilarono i garibaldini in camicia.
Alle ore io, sotto la sferza del sole, si percorsero le Vie
Principe Carignano, Umberto I° e il Corso V. E. per trovarsi in piazza ove si svolse la cerimonia. Nel pomeriggio vi fu il pellegrinaggio delle scolaresche comunali ed evangeliche, recandosi davanti la statua, cantando il fatidico inno:
Si scopron le tombe, si levano i morti.
Una lapide di marmo fu posta al cantone della piazza, accanto al casino dei civili. L’epigrafe, dettata dal Sindaco
G. C. Golisano, dice:
PERCHÈ SIA AFFERMATO A PERENNE RICORDO
IL PRIMO CENTENARIO DELLA NASCITA DI
GIUSEPPE GARIBALDI
CUI LA PATRIA NOSTRA DEVE LA SUA PRECIPUA REDENZIONE
OGGI 7 LUGLIO 1907 CITTADINANZA E MUNICIPIO
IN SOLENNE ENTUSIASTICO ACCORDO
QUESTO MARMO
POSERO
La sera si chiuse la bella festa civile, riuscitissima, con concerti musicali, fantastica illuminazione e le passeggiate sotto gli archi trionfali.
Possiamo dire con orgoglio che in quella occasione Riesi dimostrò di essere un paese liberale e patriottico, superando se stessa.
Il più soddisfatto di tutti fu il Sindaco, il quale: mostrò il suo liberalismo in fatto di idee politiche; ma egli di poi non fu assecondato dal Consiglio; la compagine Di Benedetto-Pasqualino non poteva andare d’accordo: laonde fu sciolto il Consiglio e un R. Commissario venne a reggere, per .un pò di tempo, le sorti del paese.
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Cap. XXXVII
dal Cav. Inglesi, di nuovo sindaco a don luigi d’antona
Ed ecco un’altra volta coalizzarsi i signori Cappeddaper dure addosso al partito Pasqualiniano. In questo caso scese in lizza il nobile Don Luigino D’Antona, tiglio del fu Pietro e Francesca D’Antona, la imponente e rispettabile famiglia che noi conosciamo di già.
Don Luigino D’Autona da giovane, venuto dagli studi da Napoli, dove c’era lo zio, sposata una Di Lorenzo, cugina, ereditò la casa del nonno, al piano, dove fondò la Banca Agraria. Ben quotato quindi e, per la sua tradizione, era un nome a Riesi.
Le Elezioni Amministrative del 1910 si presentavano triste assai laonde il Pasqualino credette opportuno di non lottare. Egli consigliando i suoi elettori ad essere prudenti, se ne stette a casa.
La vittoria perciò fu tutta del partito avverso.
L’Amministrazione Comunale potò di nuovo a Sindaco il Cav. Don Carmelo Inglesi; ma la morte del Trapani avvenuta nel 1904, che era il perno di tutte le Amministrazioni, scombussolò i Capi, Sindaco fu nominato il D’Antona; affiancato col Pasqualino Vassallo, Consigliere principale, visto che gli affari della banca gli andavano bene e che per il paese era un sollievo, specialmente agli agricoltori, fu nominato Commendatore.
Da Sindaco il Comm. D‘Antona era imponente: bene accettò al partito; il rispetto che aveva per lo zio Senatore, le Autorità lo avevano in grande stima. Con la Banca Agraria, la casa del Comm.. Don Luigino D’Antona era ben frequentata di persone amiche personali e clienti.
L’Amministrazione Comunale del Sindaco D’Antona era tenuta in buon conto, Il suo partito era compatto; i Consiglieri Comunali gli erano tutti favorevoli. La casa e il Comune per Don Luigino erano la sua vita; agli affari di campagna, ci badava pure, ma per lo più c’erano i Campieri; censito com’era con le terre di Brigadieci, Schette, Figotto e Calamuscini aveva molta servitù. Buon padre di famiglia, con le sue aderenze, col suo prestigio, il Sindaco di Riesi, aveva fama di saper stare a quel posto; i suoi amici personali gli erano ammiratori: i suoi parenti ne erano lieti. Dotato di intelligenza, con la sua cultura, era anche un consigliere in materia di diritto penale ed Amministrativo. Non era avaro di consigli; generoso con gli operai che lavoravano sotto di lui, ne parlavano di bene. Di carattere serio, piuttosto chiuso, chi lo avvicinava, riportava l’impressione che un favore, se lo poteva fare lo faceva, ma se non lo poteva fare era irremovibile.
Nell’Amministrazione Comunale era anche così. Se aveva degli amici, si era creato anche nemici. Succede sempre così nella vita pubblica di un uomo: c’è chi lo porta ai cieli e c’è chi lo sotterra.
Noi che vediamo il lato buono delle cose, non sappiamo spiegarci il fatto che col poeta:
Ciascun non piace saper da chi sia amato.
Quando felice in su la ruota siede.
Credeva il Comm. D’Antona di restare al suo posto di Sindaco come suo padre, ma... non fu così! Un caso speciale diede la scalata al suo partito, e fu proprio il partito liberale.
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Cap. XXXVIII
il suffraggio universale – caduta del potere d’antona – vittoria strepitosa degli operai con a capo pasqualino
Si discuteva alla Camera italiana la legge sul suffraggio universale; i Deputati di Estrema sinistra facevano il diavolo a quattro per ottenerla; ma il Governo dell’On Calandra concesse, o meglio fece approvare il voto allargato a tutti i cittadini italiani che ne avevano il diritto.
Secondo ed in virtù di questa legge erano ammessi a votare anche gli analfabeti che compiuti 21 anni non erano macchiati dalla Giustizia. Così per dirla con una frase tipica dell’Ing. G. Accardi anche li carduraraerano elettori.
Il Pasqualino Gaetano allora riapparve sulla scena politica dicendo: “Ci rivedremo alle urne sul suffraggio universale!” E in questa maniera incitava tutti a farsi iscrivere. Un movimento insolito si notava a misura che si avvicinavano le Elezioni Amministrative del 1914. Le Liste ammontavano a circa 4.000 elettori. I signori cercavano di far argine a questa marea popolare, ma non poterono. Gli elettori imbevuti di sufiraggio universale fanatici del loro, voto, aspettavano il momento per andare alle Urne e votare; stavolta non si poteva parlare di corruzione ,elettorale, perché il numero era stragrande e poi le follie rosse avevano invaso le menti di tutti gli operai.
Dato il momento, il Sig. Pasqualino formò una Lista di Consiglieri popolari tra cittadini, zulfatai ed operai; i soli che vi entrarono a far parte furono l’Ing. Giuseppe Accardi e l’Avv. Gaetano Debilio, liberali: il Pasqualino Vassallo da On. Deputato al Parlamento Nazionale se ne stava a Roma disinteressandosi dei fatti nostri o meglio da lontano faceva l’occhio di triglia.
Concorse a dare maggior furia al Pasqualino il nuovo partito popolare, bolscevico del propagandista Giuseppe Butera, il quale predicando contro tutto e tutti voleva la divisione delle terre.
Costui era un giovane contadino che essendo stato a Roma come bidello d’una Sezione Socialista, intelligente com’era, apprese le solite frasi del Repertorio del tempo che fu. Venuto a Riesi formò il suo partito, conquistando la massa dei contadini, nonché una buona fazione del popolo. Dapprima era molto spinto, intransigente anche contro il Pasqualino chiamandolo “falso, traditore del popolo ecc…”; nelle vie, sotto la case, fra le famiglie, ovunque la sua parola era bene accetta; ma poi finì con l’unirsi con lui, sicché il partito popolare era forte ed esasperato.
C’era al potere centrale l’On. Giolitti, il quale non potendo frenare i partiti estremi, lasciava correre tutto alla deriva. La P. S. era impotente in questo caso a reagire: nessun appoggio poteva dare quindi ai signori Cappeddaper misura di prudenza.
Il Butera continuava ad inveire maledettamente contro la proprietà ed i proprietari: la ciurma del popolo lo seguiva schiamazzando per le vie: egli era diventato un idolo, la sua parola tagliente incuteva spavento.
Gli animi erano preparati alla rivolta. Nelle Elezioni del 4 Agosto i signori si videro perduti. Non solo ebbero il Voto contrario, ma fischi, insulti, e tirandogli delle pietre li accompagnarono a casa, specialmente il Sindaco che dovette ripararsi in una casa onde schermirsi le pietrate. Quelle Elezioni, se da una parte diedero la strepitosa vittoria agli operai, d’altra parte fu una vergogna che la cronaca del nostro paese registra.
Insediatisi al potere i popolari, si formò una baraonda. Non usi alla vita pubblica, amministrativa, dei Consiglieri comunali, non andavano più a lavorare. Se bisogna essere giusti, niente per il paese facevano; essi si cullavano nella politica ed alcuni vi trovarono al Municipio la greppia. Il Pasqualino che aveva conquistato il popolo, alla sua volta fu conquistato da esso, cioè dai Consiglieri e non sapeva cosa fare.
La Barca Municipale del popolari navigava senza remi. Visto ciò, il Butera si distaccò dal Pasqualino e seguitò la sua via, trascinandosi di nuovo il popolo.
In questo caso i signori ritirandosi a vita privata, lasciarono lottare il popolo diviso in due. Le cose andavano così di male in peggio.

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