giovedì 28 settembre 2017


Sono comunque 68 i firmatari dell’eversivo proclama di Biagio Messana:





29
1848
Giuseppe mastro
Agulino
mastro
48
1848
Giuseppe fra
Alfano
frate
43
1848
Salvatore
Argento

17
1848
Luigi
Bartolotta
sacerdote
52
1848
Vincenzo sac.
Biondi
sacerdote
26
1848
Alfonso fu Giovanni di Giubertino Priore
Botera

5
1848
Giuseppe
Busuito

63
1848
Nicolò sac.
Cacciatore
sacerdote
61
1848
Bernardo sac.
Cavallaro
sacerdote
3
1848
Felice
Cavallaro

35
1848
Giuseppe
Cavallaro
Parroco di Bompensiere
60
1848
Ignazio sac.
Cavallaro
sacerdote
6
1848
Luigi
Cavallaro

64
1848
Calogero sac.
Curto
sacerdote
9
1848
Luigi D.
De Caro

37
1848
Calogero
Di Giglia

23
1848
Salvatore
Di Naro

18
1848
Alfonso
Farrauto

58
1848
Gaspare
Farrauto

57
1848
Giuseppe D.
Farrauto

7
1848
Santo
Florio

15
1848
Giuseppe
Franco
sacerdote
16
1848
Carmine
Giancani
sacerdote
1
1848
Antonio
Grillo

51
1848
Gaetano
Grillo

67
1848
Raffaele
Grillo

49
1848
Antonio
Grillo Cavallaro

34
1848
Calogero
Gueli

25
1848
Calogero
La Mantia

39
1848
Nicolò
La Tona

30
1848
Calogero
Lazzano

28
1848
Gioacchino
Lo Brutto

10
1848
Pietro
Lo Giudice

38
1848
Calogero
Lombardo

46
1848
Ferdinando
Martino

65
1848
Gaetano sac.
Mattina
sacerdote
41
1848
Giuseppe
Mattina

4
1848
Biagio
Messana

12
1848
Luigi
Messana

33
1848
Serafino
Messana

8
1848
Ludovico
Morreale

44
1848
Luigi
Mulé

40
1848
Melchiorre
Nicolini

32
1848
Antonino sac.
Picataggi
sacerdote
56
1848
Francesco
Picataggi

2
1848
Giuseppe
Picataggi

13
1848
Nicolò
Picataggi

36
1848
Alessandro
Picone

31
1848
Alfonso
Picone

55
1848
Carmelo
Pomo

27
1848
Angelo
Presti

59
1848
Salvatore
Puma
Arciprete
11
1848
Gaspare
Ristivo
"con tutto il cuore"
19
1848
Giovanni
Ristivo

45
1848
Carmelo
Romano

42
1848
Vincenzo
Saldì

54
1848
Vincenzo
Salvo

24
1848
Gaetano
Savatteri

68
1848
Giuseppe d.
Savatteri

14
1848
Diego D.
Sciascia
sacerdote
62
1848
Luigi sac.
Scibetta
sacerdote
53
1848
Giovanni
Scibetta Giudice

21
1848
Michelangelo
Scimé

20
1848
Salvatore
Sferrazza

66
1848
Pietro
Taibi

22
1848
Vincenzo
Tinebra

47
1848
Carmelo sac.
Troisi
Vicario Foraneo
50
1848
Francesco
Vinci




Non aderiscono - o ne sono atterriti - i religiosi:





19
1847
SALVATORE
ACQUISTA
A.49



37
1847
PIETRO
ALFANO
A.67    CARMELITANO PRIORE

45
1847
LUIGI
ARNONE
A.39 CONVENTUALE MINORE S.FRANC.
16
1847
CALOGERO
BARTOLOTTA
A.50



33
1847
ANTONINO
BURRUANO
A.31



18
1847
FILIPPO
BUSCARINO
A.49 CONFESSORE MONASTERO
39
1847
ANTONINO
BUSUITO
A.49 CARMELITANO BACCELLIERE
15
1847
CAMILLO
CAMPANELLA
A.52 CONFESSORE PRO UTROQUE
8
1847
CALOGERO
CAVALLARO
A.60 CONFESSORE PRO UTROQUE
42
1847
BONAVENTURA
CHIODO
A.46.CONVENTUALE MINORE S.FRANCES
25
1847
IGNAZIO
CHIODO
A.28 CONF.UOMIN. E DONNE AMMALATE
22
1847
VINCENZO
CHIODO
A.   CONFES.UOMINI E DONNE AMMALATE
40
1847
SERAFINO
DA CANICATTI'
A.   MINORE OSSERVANTE

41
1847
GIUSEPPE
DA GROTTE
A.   MINORE OSSERVANTE

36
1847
SALVATORE
FALLETTA
A   DEL NADORE


11
1847
ALBERTO
FIGLIOLA
A 52 CONFESSORE PRO UTROQUE
35
1847
CALOGERO
GIUDICE
A  CONF.UOMINI MUNITI  SACRAMENTI
27
1847
FRANCESCO
GRILLO
A.28 CONF.UOMIN.E DONNE AMMALATE
43
1847
ANTONINO
LAURICELLA (CANICATTI')
A.42 CONV.MIN.S FR. PR.GUARDIANO
31
1847
GIOVANNI
MANTIA
A.27



23
1847
SALVATORE
MANTIA
A.33



13
1847
GAETANO
MANTIONE
A 52



24
1847
FRANCESCO
MATTINA
A.28 CONF.UOMIN.E DONNE AMMALATE
3
1847
PIETRO
MATTINA
A.58 BENEF.CONFES.PRO UTROQUE
44
1847
FRANCESCO
MULE'
A.42 CONVENTUALE MINORE S.FRANC.
2
1847
FRANCESCO
RIZZO
A.87 CONFESSORE PRO UTROQUE
38
1847
ELISEO
SAVATTERI
A.70 CARMELITANO CONF.UTROQUE
6
1847
STEFANO
SCIBETTA
A.62 CONFESSORE PRO UTROQUE
26
1847
GIUSEPPE
SCIME'
A.31



34
1847
GIROLAMO
TIRONE
A.27 CONF.UOM.E DONNE MORIBONDE
4
1847
GIUSEPPE
TIRONE
A.66 CONFESSORE PRO UTROQUE
14
1847
SALVATORE
TIRONE
A.5O CONFESSORE DEL COLLEGIO





Il clero a quel tempo era, come si vede, davvero folto: ben 45 elementi, dato in ogni caso di molto inferiore alla spoporzionata quota ottanta che Sciascia avrebbe voglia di accreditare. Ma anche ridotta a 45 la ‘quota’ significa un religioso ogni 200 abitanti (calcolabili per quell’anno attorno alle 9.000 unità): cifra ragguardevolissima se si considera che nel 1988 il rapporto era a Racalmuto di un sacerdote ogni  2.584 abitanti: un decremento, dunque, di 1.292%.

L’orgia dura solo un anno: il 15 marzo del 1849 ritornano i Borboni. Gli Alfano rientrano dall’esilio, più potenti che mai. Giovanni Scibetta Giudice torna a fare il sindaco. Biagio Messana crede di potere continuare a fare il giudice: la solita lettera anonima costringe le Autorità a dimissionarlo.

Ma fu un fatto di sangue ad rendere incandescente il clima politico: si consuma uno dei tanti omicidi; stavolta a rimetterci la pelle è tale Calogero Rizzo Inzalaca. Il giudice-presidente Messana vuol però fare sul serio; ha seri indizi sulla colpevolezza di tale Rosario Agrò: lo “cedola” - cioè lo convoca nella sua casa per affari di giustizia. Lo intrattiene per 24 ore fino a notte fonda. All’uscita dell’Agrò, esplode una salva di schioppettate. Per caso - o così si disse - ebbe a passare tal Damiano Tulumello, e questi ci rimane secco. Si precipita in strada il Messana, accompagnato dal sacerdote Don Giovanni Bartolotta. Il Messana - appena trentaseenne - visto il Tulumello esclama: “Figlio innocente”. Era un suo amico. Si accende d’ira e va alla ricerca dell’Agrò. Alle due di notte, l’Agrò viene trovato, ricondotto innanzi al giudice, reinterrogato, consegnato alla forza pubblica. E qui in fatto oscuro: si afferma che avesse fatto resistenza alle forze dell’ordine e viene colpito a morte. Il giudice Messana fa il sopralluogo e appuratane la morte - a dire di suoi detrattori - “gli vibra per astio diversi colpi di stile”. Si fa l’autopsia ed alla bisogna viene chiamato il dott. Don Giuseppe Scibetta. Il medico vuol scrivere nella sua perizia di avere riscontrato ferite da arma da taglio. Gli si impedisce. Al suo posto un altro medico più compiacente chiude il caso secondo la versione gradita al giudice. Questa è almeno la ricostruzione dei fatti secondi i denunzianti del Messana, l’anno successivo in data 26 settembre 1849. E N. Messana - che pure è discendente di quel giudice - sembra credere a quei delatori e (cfr. pag. 215) informa e deforma «Il Messana nel vedere cadere il Tulumello accorse piangendo a raccogliere l’ultimo respiro, ma quando si trovò fra i piedi il cadavere di Rosario Agrò lo trafisse con uno stilo, pieno di odio perché aveva provocato la morte di un innocente. Il medico Giuseppe Scibetta periziò per arma da fuoco la morte dell’aAgrò e segnalò più trafitture sul cadavere.» Noi siamo molto scettici che un intellettuale quale Biagio Messana si sia indotto ad un atto di gratuita efferatezza come l’infierire su un cadavere e vilipenderlo. Non vogliamo cadere nella trappola tesagli dai suoi velenosi nemici politici (il barone Tulumello e la congrega degli Alfano). Ma è certo che vi fu al ‘casino della conversazione’ materia di che discutere. Con prudenza, però: gli spioni dell’una e l’altra consorteria si annidavano tra i più insospettabili soci. Come al circolo della concordia di Leonardo Sciascia.

La vita sociale scivola piuttosto piatta sino allo sconvolgimento politico della venuta di Garibaldi del 1860.

Il vecchio Gaetano Savatteri, che pure si era intruppato tra i fiancheggiatori di Biagio Messana, riesce ora, uomo di tutte le stagioni a farsi nominare sindaco al posto di don Giovanni Scibetta Giudice.

La terna municipale risultò essere composta dallo stesso Gaetano Savatteri e da suo cognato Leopoldo Muratori come primo eletto, nonché da Luigi Tulumello. Il Muratori non gradì la supremazia del suo affine e aspirando a subentrargli lo denunzia come vecchio cospiratore per la nota firma apposta al proclama di Biagio Messana. Ma l’intervenuto perdono regale non consente di riaprire quelle vecchie ferite: resta sindaco Gaetano Savatteri. Ci si dà allora da fare per conciliare i rissosi cognati. Tutto è vano: insolentemente il Savatteri risponde al giudice di Grotte che lo aveva convocato per la riappacificazione col Muratori in questi termini, rilevatori peraltro del ruolo che aveva ormai assunto il nostro circolo: «Se il Giudice mi deve dire qualcosa come Sindaco, che mi faccia un ufficio, se mi vuole come privato, che venga allora a trovarmi al casino di Compagnia.» [1]

Dal 1851 al 1853 risulta sindaco il dottore in legge Giuseppe Tulumello fu Vincenzo: la potente famiglia si riappropria finalmente del comune: si torna ai tempi feudali del Settecento. Il sindaco viene affiancato da don Giuseppe Farrauto, don Giuseppe Tulumello e don Francesco Borsellini. [Seguiamo il Messana, sulla cui precisione abbiamo seri dubbi.]

Al Tulumello subentrò nella sindacatura don Vincenzo Grillo, poltrona mantenuta per il triennio 1853-1856. Ma nel triennio successivo il comune ritorna in mano alla famiglia Tulumello: è nominato sindaco infatti Giuseppe Tulumello Grillo.



La grande svolta del 1860



Eugenio Napoleone Messana svolge in pagine e pagine il passaggio epocale di Racalmuto dai Borboni ai Savoia (da pag. 235 a pag. 256). Non resiste - come al solito - alla tentazione della glorificazione della sua famiglia ed inventa una presenza a Racalmuto di Garibaldi, sol perché un senescente suo antenato così ricordava. Secernere il buono dall’immaginario non è dunque impresa facile. Ma data la saliente imprortanza di quegli eventi, noi ci limitiamo a chiosare alcuni dati della stampa dell’epoca.

Nel Giugno del 1859 in contrada La Pietra, tra Grotte e Comitini, fu innalzato il tricolore italiano: tra gli animosi che compirono quel gesto audace c’era anche il sacerdote Gerlando Sciarratta da Grotte. [2] Ma quanto a clero risorgimentale Racalmuto non era da meno. “Benché svolgesse la sua attività in Palermo, il sacerdote Calogero Chiarenza da Racalmuto, dove era nato nel 1823, fu «in relazione con tutti i liberali specialmente dell’aristocrazia ed era un intermediario preziosissimo tra la capitale della Sicilia e i cospiratori agrigentini Domenico Bartoli, Pietro Grillo, Vincenzo e Rocco Ricci Gramitto ... Il Chiarenza, cappellano dell’ospedale civico, grazie alla sua veste poteva molti segreti conoscere, cospirare, scrivere, senza attirarsi i sospetti del governo» ... ”. [3]

E’ da escludere che nel casino di compagnia vi fosse partigianeria per simili fatti, considerati bravate di teste calde. V’erano gli interessi, specie solfiferi, da tutelare e ele avventure politiche non potevano non venire considerate dai galantuomini racalmutesi che attentati alla loro sudata ricchezza. Il Chiarenza, poi, figlio di mastri, era escluso dalla “conversazione” del casino. Al Casino, invece, primeggiava Calogero Lo Giudice di Giacomo, nato a Racalmuto nel 1833 e considerato, poi, irriducibile clericale e borbonico.

Ma passiamo alla cronaca veridica del Giornale Officiale di Sicilia (I Sem. 1860). Quando al casino giunge il foglio del 10 marzo 1860, i galantuomini riescono a mala pena l’intima soddisfazione di vedere che a Licata il prezzo dello zolfo di prima qualità si era attestato a ducati 3,5 a quintali. Si pensi che a settembre, invece, a rivoluzione conclusa, il prezioso minerale scendere a quota 3,05 a quintale: un vero disastro, maledetto Garibaldi!

E’ noto come nella notte tra il 3 e il 4 aprile 1860 a Palermo Francesco Riso, un amestro fontaniere, abbia deciso autonomamente da Crispi, La Farina, Rosolino Pilo, Rattazi e Garibaldi di prendere le armi contro i Borboni. Il tentativo del Riso sembrò fallimentare essendo stato subito sopraffatto e rimettendoci la vita tutti gli insorti. Ma la rivolta, fallita nella capitale, si diffuse subito in gran parte della Sicilia: entrarono in azione squadre armate che subito presero il controllo delle campagne, soprattutto nella parte occidentale. E’ una guerriglia che si propaga dal 4 aprile all’11 maggio. L’11 maggio, Garibaldi - è ultranoto - conquista Marsala; 15 maggio, vittoria di Calatafimi; 6 giugno, presa di Palermo; 27 luglio, vittoria di Milazzo; 27 luglio 1860, presa di Messina. Il 21 ottobre si celebra il plebiscito per l’annessione della Sicilia al Regno Sardo ed il 17 dicembre 1860, data del decreto di annessione, si recide ogni legame con il passato storico della Sicilia come nazione autonoma, per l’amaro viaggio senza ritorno nella vassalla subordinazione ad un’Italia non sempre riconoscente. «E sia detto fra noi - interloquirà il Gattopardo - ho i miei forti dubbi che il nuovo regno abbia molti regali per noi nel bagaglio», per poi magari aggiungere con orgogliosa iattanza: «noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore, continueremo a crederci il sale della terra.»

A Racalmuto non vi fu passaggio tra Gattopardi e sciacalletti o iene: a dominare il laticlavio comunale furono sempre le solite famiglie, divise in astiose fazioni,  magari in alternanza fra combriccole, ma sempre fra di loro. E di tutte quelle famiglie l’eco ed il punto d’incontro era nella “conversazione” del casino.

Come vissero quei mesi tra la primavera e l’autunno del ’60, i nostri ‘civili’: noi pensiamo con apprensione; era un gioco che sfuggiva loro; un caos che danneggiava i loro affari; un maneggio da cui erano esclusi. Soltanto alcuni scapestrati universitari di Palermo vi avevano avuto una qualche parte ed avevano - impudentemente, prima; proficuamente, dopo - allacciato intese niente meno che con Crispi.



Al Casino la lettura del Giornale Officiale di Sicilia sconcerta: ecco una nota del 12 aprile 1860: «alle 6 pomeridiane del giorno di jeri una colonna di reali Milizie partita da Palermo procedeva oltre senza ostacoli fin sopra all’alture di Gibilrossi, da dove sorprendeva il comune di Misilmeri. Gli insorti che vi stavano riuniti, davansi alla fuga, mentre che la popolazione si faceva incontro alle milizie, salutandole col grido di Viva il Re!

«Stamane la guarnigione di Monreale respingeva vigorasamente una banda in armi.»

Due giorni dopo, i galantuomini racalmutesi avranno fatto un sospiro di sollievo sfogliando il solito giornale: «Palermo, 14 aprile: - Le bande armate, che in diversi drappelliscorrevano per le campagne, pressoché tutte sonosi disciolte, e la più gran parte degl’individui, che le componevano, rientravano in seno alle loro famiglie con quell’intera fiducia, la quale scaturisce dalla certezza, che la clemenza di S.M. il Re S.N. vuole coperti dall’obblio [sic] i momentanei erramenti di coloro, che con atto spontaneo depongono le armi.»

Altro che “momentaneo erramento”! avrà esclamato il più borbonico dei civili del casino; la fucilazione ci vuole. E la notizia di questa giunse puntuale un paio di giorni dopo quando il Giornale rendeva conto della fucilazione di 13 individui in Palermo: dal ventiduenne Michele Fanara al sessantenne Andrea Cuffaro.

Vi sono oriundi racalmutesi?  avrà chiesto il solito don in vena di campanilismo. Non sembra! Avrà risposto il saccente del casino, monopolizzatore come al solito del foglio palermitano. In ogni caso, per l’agrigentino non c’era da temere: «L’Intendente di Girgenti a S.E. il Luogotenente Generale» - il giornale riportava una nota da Girgenti del 18 aprile 1860, ore 4 p.m. - “La tranquillità continua come sempre inalterata”, il succo estremamente rassicurante.

Martedì 24 aprile 1860. L’uuficiale interprete Tommaso di Palma rende noto: «Due colonne mobili, l’una comandata dal generale Marchese Letizia e l’altra dal generale Primerano muovono per le provincie di Palermo, Trapani e Girgenti affin di assicurare vieppiù colla loro presenza le pacifiche popolazioni, rimaste estranee ai sommovimenti dei trascorsi giorni.»

I Borbonici più incalliti avranno tediato don Gaetano Savatteri, nelle diatribe serotine del casino, sapendolo in ambasce per le peripezie dei suoi figli, specie Gaetano e Calogero, che con quei sommovimenti un qualche legame lo mantenevano.

Ancora, il 25 aprile 1860, si telegrafa da Girgenti che alle ore 10 a.m. “la provincia è tranquilla”, è notizia riportata dal Giornale del giorno dopo. Il lunedì, 30 aprile il Giornale ha spazio per un necrologio di Monsignor Lo Jacono: a stenderlo è il figlio di un oriundo racalmutese della cospicua famiglia dei Picone. L’avv. Giovanni Battista Picone traccia i tratti salienti della vita di quel vescovo, che - si saprà dopo - aveva razziato beni del nostro paese per le sue megalomane opere nel suo paese Siculiana. Scrive il Picone: «Mons. Domenico Lo Jacono addì 14 marzo del 1786, nasceva in Siculiana, provincia di Girgenti da parenti onesti e poveri.» Moriva «la notte del 23 marzo corrente assalito d’apoplessia polmonare.» Al Casino i motivi delle diatribe poterono per un momento venire convogliati sulla figura di quel vescovo, borbonico sino al midollo, non certo tenero con Racalmuto. L’aveva assoggettato a fiscale visita pastorale il 3 febbraio 1847. Era allora arciprete l’ottantasettenne  don Francesco Rizzo. Vi trovò 34 sacerdoti, 3 carmelitani e 4 conventuali. Queste le chiese: Matrice, Monastero, Collegio, Monte, S. Anna, S. Giovanni di Dio, S. Giuliano, Itria, S. Nicolò di Bari, Crocifisso dei Poveri, Maria SS. Della Rocca, S. Giuseppe, S. Pasquale, Convento S. Maria, Oratorio Sacramento, oltre a quelle rurali. Ecco altri dati: monastero: Abbadessa Maria Rosa Picone, suore 8, educande 1, converse 4; Collegio di Maria: suore 9, educande 5, converse 3.

La pignoleria episcopale ci fornisce un dato aliunde impreciso: gli abitanti erano nel 847 10.623. Il Lo Jacono reiterava la visita l’11 settembre 1851. L’arciprete era ora Salvatore Puma, che abbiamo incontrato sopra; i sacerdoti erano saliti a 35 unità, oltre 14 che vivevano fuori; i religiosi carmelitani 3, i Conventuali 4, i Minori 3. [4]

Il testardo arciprete Tirone citerà poi per danni gli eredi dello Jacono, considerandone illegettimo il prestito forzoso imposto alla Comunia di Racalmuto per la costruzione della chiesa madre di Siculiana. Fornirà gli appigli giuridici il ‘massone’ don Calogero Savatteri.

Ai primi di maggio al casino possono ancora leggersi trafiletti rassicuranti sulla situazione politica siciliana. Il Giornale di giovedì 3 Maggio riporta il trionfale messaggio ai “Siciliani - La sedizione del mattino del 4 aprile, con l’aiuto di Dio, mancò di asseguire l’impobo intendimento di travolgere nell’anarchia questa bella parte dei Reali dominii”. Dovette piacere molto ai civili racalmutesi quel chiamare le cose come “improbo intendimento”  che avrebbe portato all’aborrita anarchia.  La quasi totalità dei soci del casino era - e poteva essere diversamente? - per l’ordine costituito. Lo speziale Calogero Messana e don Gaetano Savatteri lo erano altrettanto: ma i loro figli no. Biagio Messana, massone ed ora sfaccendato autore di versi in vernacolo, Serafino Messana, chimico per diventare farmacista al posto del padre, Luigi Messana, Giacchino Savatteri, il futuro sindaco, Calogero Savatteri, il notaio massone, erano giovani che tutti sapevano in combuta con i rivoltosi. La conversazione al circolo doveva tenere conto di tutti quegli intrighi; non perdere il gusto del dileggio e del sarcasmo; ma stare attenti a fare passi falsi, compromettenti. Un domani, chissà? E un domani infatti vi fu, tutto contrario al placido pensare dei galantuomini nostrani.

La cronaca di quel maggio diventa all’improvviso tumultuosa. Vero è che il 3 maggio il Maresciallo comandante le armi può sciogliere lo stato d’assedio in Palermo (art. 1), ed il 4 di quel mese - come tutto fosse tranquillo - ci si può soffermare sul fatto che «saranno egualmente costruite per ora tre grandi linee di ferrovie ... la terza per Girgenti e Terranova», ma occorre stare in campana. Don Paolo Ruffo, Principe di Castelcicala, Luogotenente  di S.M. il Re S.N. e comandante generale delle Armi in questi domini fa pubblicare sul Giornale la notizia: «gravi fatti di sangue e di rapina in Ciminna, Petralia Sottana, Caccamo, Piana di Vicari, Porticello. I contravventori (detenzione di armi) saranno giudicati da’ Consigli di guerra subitanei e puniti di morte».

Il Giornale Officiale di Sicilia ci dà allora la statistica dei morti in Palermo nell’aprile del 1860:

“dalla nascita a 7 anni ..................................................................................... n.° 108

“da 8 a 20 anni ................................................................................................ “     10

“ “ 21 a 40 anni ................................................................................................ “     41

“ “ 41 a 60 anni ................................................................................................      41

“da 61 in sopra ................................................................................................       52

                                                                        in totale ...................................n.°  252

                                                                                                                       =======

Dalla tabella è desumibile una vita media non superiore a 28 anni e mezzo. Il grafico che sgue ne esplicita meglio la composizione statistica:




L’11 maggio il grande evento: Garibaldi a Marsala. Il Giornale Officiale di Sicilia tace. I nostri consoci saranno stati informati da qualcuno. Forse dai Messana, forse dai Savatteri. V’è sgomento. Ognuno scende a casino per trovare modo di fare una qualche eclatante dichiarazione che lui i Borboni non li ha proprio mai digerito. Il vecchio Gaetano Savatteri - ancora non del tutto svanito - annota e sorride. Il successivo venerdì 18 maggio il Giornale è però ancora sotto il controllo borbonico. Pubblica un provvedimento di Francesco il Re: “ Nominiamo il Tenente Generale Don Ferdinando Lanza Nostro Commissario Straordinario in Sicilia - Francesco. Napoli 15 maggio 1860”. E dopo una settimana, il 25 maggio 1860, si ha voglia di pubblicare questo trafiletto: «La banda dei filibustieri del Mediterraneo guidata da Garibaldi pigliava posizione il giorno 23 andante nel Parco, e vi si fortificava con quattro cannoni.» Passano pochi giorni ed il Giornale cambia finalmente voce: «Palermo 1860 - Giovedì 1° giugno n. 1. «Italia e Vittorio Emanuele - Giuseppe Garibaldi Comandante in Capo le forze Nazionali in Sicilia - Il Segretario di Stato Francesco Crispi.» Flash, fulmini che schiantano e atterriscono  ... i più ‘riproti’ borbonici del Casino di Conversazione o di Compagnia di Racalmuto. I savatteri ora non hanno più ritegno: conclamano la loro antica consorteria con quel fuggiasco di Francesco Crispi che all’improvviso ora appare a Palermo quale “Segretario di Stato”. Cicciu Crispi, sì, quello a cui i facoltosi Savatteri hanno fornito mezzi e viveri di straforo, ora è nientemeno che Segretario di Stato di Sicilia. Tremino i nemici; rimembrino i sarcastici. Vendetta? No per carità di Dio, solo qualche umiliazione, solo qualche punta intimidatrice.

Il 29 maggio 1860 il Dittatore Giuseppe Garibaldi aveva nominato il signor Domenoco Bartoli Governatore del distretto di Girgenti . Il provvedimento risulta controfirmato dal segretario di Stato Crispi.  Placido Montalbano diventava giudice di Grotte con decreto a firma Garibaldi del 7 luglio. Garibaldi diventa a un eroe agli occhi degli americani. Lo scrive il Giornale dell’11 luglio. Lo zolfo di prima qualità ha un balzo a Licata nelle quotazioni del 19 luglio 1860 salendo a ducati 3,70 a quintale. Il nobilato racalmutese è ora fanaticamente garibaldino. Gli affari vanno dunque bene; alla fin fine non è successo nulla Già, gattopardescamente, “bisogna che tutto cambi perché tutto resti com’è”. Ed allora che aspettare? Si legge con soddisfazione la corrispondenza da Racalmuto del Giornale Officiale di Sicilia del 25 luglio 1860. La notizia di una raccolta di firma pro Garibaldi del 24 giugno era rimasta a lungo negletta e ciò metteva in ambasce i nostri bravi compaesani. Ma ora eccola - sia pure con varie sbavature nella trascrizione dei cognomi - nelle untuose colonne del quotidiano palermitano. Si aera costituita una commissione con Luigi Messana, presidente. Seguivano le firme di Gioacchino Paratteri (ahimè, al posto di Savatteri), Gaspare Matrona, Giuseppe Grillo Matrona, Camillo Pirataggio (al posto di Picataggi), Calogero Sferlazzo, Salvatore Borsellini, Gaspare Restivo, Giuseppe Grillo Cavallaro, sac. Matina Mendola, Giuseppe Vincenzo Salvo, Francesco Borsellini, Illuminato Grillo, sac. Giancani, Antonio Grillo Borghese, Carmelo Rosina, Girolamo Grillo Poma, sac. Nicola de Caro, Diego Scibetto Proisi (invece di Troisi), sac. Beneficiale Antonio Picataggi, Napoleone Matrona, Salvatore Salvo, Paolino Matrona, Nicolò Mantia, Michele Alaimo, segretario.

V’è quasi tutto il Gotha degli ottimati racalmutesi; ma vi sono assenze rilevanti.  Nessun Tulumello, nessun Cavallaro, nessun Farrauto. Discriminati all’ultimo momento? Ancora titubanti il 24 giugno? Rampogne, subdole accuse, insinuazioni, cattiverie, ire, sedie e porte sbattute, di sicuro nel casino quando si potè provare l’infame canagliata dei Messana e del Savatteri. Inopinatamente i Matrona (i giovani fratelli Gaspare e Napoleone - ma non il borbonico fratello prete, don Calogero -) vi si erano intrufolati. I sacerdoti che in massa avevano aderito ai moti (cartacei) di Biagio Messana del 1848 ora sono ridotti ai soli Giancani, de Caro e Piacataggi - solo tre rispetto ai 16 di allora. C’era da temere di più per il noto anticlericalismo di Garibaldi che per il pacioso riformismo dei re Borboni.

Sorprende come anche i pavidi Grillo Borghese, l’umbratile Illuminato Grillo e l’emergente Michele Alaimo sono ora tutti della partita. Quanto a Nicolò Mantia - una prefigurazione in dodicesimo del celebre don Calogero Sedara - nessuna meraviglia: il fiuto del borghese è infallibile. Carmelo Rosina si associa. Salvatore Borsellini pure, pure i Salvo e così Sferrazza, Gaspare Restivo - quello di “con tutto il cuore del 1848” - e con lui Girolamo Grillo Puma. Gli assenti: Nicolò Alfano, Michelangelo Argento, Angelo Baeri, Carmelo Buscarino, Giovanni Chiarelli, Luigi Cavallaro, Felice Caratozzolo, Nicolò Di Vita, Luigi Falletta, il farmacista Lorenzo Farrauto, Alfonso Farrauto, Gaspare Franco, Calogero Fucà, Aurelio Giudice, Luigi Grisafi, La Tona Nicolò, Salvatore Macaluso, il farmacista Raffaele Mattina, il sac. Angelo Morreale, Carmelo Morreale, Nicolò Mumisteri  Pinò, Leopoldo Muratori - l’odiato cognato di don Gaetano Savatteri -, Luigi Nalbone, G. Battista Picone, Ignazio Picone, Michelangelo Pomo, Calogero Presti, Orazio Restivo Pantalone, Giosafatto Restivo Pantalone, Paolo Rizzo, Calogero Romano, Carmelo Schillaci Ventura, Giuseppe Sciascia, Pasquale Sciascia - l’antenato di Leonardo -, il farmacista Luigi Scibetta (ma è firmatario il fratello Diego), Serafino e Vincenzo Tinebra, Giuseppe Tulumello, Luigi Tulumello, Vincenzo Tulumello, Giuseppe Tulumello, Saverio Vinci, Mario Vinci, Calogero Vinci e Mario Vinci.

Sono 45 notabili - la vera creme dell’imprenditoria locale - che viene esclusa o che improvvidamente ritenne di non aderire. Ma forse una costante anti- Messana  non fu assente. Biagio Messana - auoproclamatosi presidente della sedicente Giunta comunale - non ebbe fortuna a Racalmuto. “Dopo l’unità - scrive il suo omonimo biografo [5] - segnalato da Michele Amari, ebbe l’incarico di costituire il corpo di polizia in Emilia. ... Nel 1863 venne nominato ispettore di pubblica sicurezza”. Quella della polizia, sarà una costante, poi, dei Messana. “Buontempone, irascibile e spregiudicato - lo reputa Eugenio - spirito bizzarro”, insomma. Approda verso lidi tranquilli, però, quelli liberali lasciando da parte Mazzini e i giovanili vezzi socialisti. “Materialista convinto accettava il dio dei massoni, architetto dell’universo, ponendolo immanente e non trascendente” se crediamo al suo disecendente E.N. Messana. Si credeva tetragono “nei principi inalterabili, avversi alla Tirannia ed allo Stato Politico della Corte di Roma”. Fu anche propenso a scrivere poesiole  in dialetto decisamente pornografiche: una s’intitolava, lasciando intravedere subito il lascivo contenuto: «Padre Filippo e Soru Catarina»; miscela di anticlericalismo becero e di stucchevole trivialità. Ritorno a Racalmuto per morirmi il 13 gennaio 1882, in tempo per dilapidare i beni di famiglia e lasciare in miseria i molti figli, costretti a realizzare il poco rimasto per disperdersi in varie parti del mondo.

Frattanto, le sorti del mercato solfifero cominciarono a declinare, lasciando tra i don del circolo motivi di apprensione. Ecco la curva dei prezzi all’ingrosso:

Curva dei prezzi all'ingrosso dello Zolfo nel 1860
Luglio, 31
6,60
  al quintale
Agosto, 13
3,25
  al quintale
Agosto, 31
3,05
  al quintale



In un mese vi era stata dunque una diminuzione del 15,3%: oscillazione da mandare in frantumi tutti i calcoli di convenienza. Certo, si stava in villeggiature; a fare la “campagnata”. Le sale del casino erano vuote per commenti salaci o per recriminazioni. Ed il 13 settembre scenderà ancora: ducati 3 al quintale. Una ripresa a fine anno: ducati 3,20 ed un’impennata il 15 gennaio 1861: 3,50 ducati al quintale. Poi una discesa catastrofica: 2,60 l’8 marzo 1861; 2,55 il 5 aprile 1861. Una falcidia del 29,17% in meno di un anno.

Eccone la terribile curva:


C’era di che maledire Garibaldi, Crispi, Vittorio Emanuele II, i Savoia ed in loco i Messana ed i Savatteri: bel regalo aveno confezionati per i ‘poveri’ galantuomini racalmutesi. Chissà le ire al casino; intuibili le diatribe delle serali ‘conversazioni’. Ci hanno rovinato! Io l’avevo detto! Come poi nel 1948 o 1949 il Ferdinando Trupia dell’epoca avrà incendiata la sala di conversazione; solo che al posto dei contributi unificati cera il crollo del prezzo dello zolfo o le tante tasse che il nuovo regime spandeva a piene mani. «Verso le diciannove - parafrasiamo Sciascia [6] - c’è sempre qualcuno che dà fuoco alla miccia dei contributi unificati, don Ferdinando si accende come  una di quelle macchine che in bellezza concludono i fuochi d’artificio, tutto razzi, girandole cascatelle e spaccate di bestemmie imprecazioni e apprezzamenti di natura sessuale ai funzionari e ai governanti diretti; tiene però a dichiarare, tra tanta furia, che lui paga quanto deve pagare, personalmente non ha subìto soperchierie, con lui tutti camminano su una lama.»

Già le tasse! Il nuovo governo ora era inflessibile e ficcante nell’esigere l’imposta fondiaria: Cresceva anche il dazio sui consumi: ma quello i civili lo consideravano un male altrui, incombente sulla ‘plebaglia’. La sola sovrimposta sui terreni passò nell’agrigentino da 0,79 lire per ettaro cui era arrivata nel 1866 a ben L. 1,87 nel 1879, un aumento di ben 136,70%. Davvero la pressione fiscale diventava soffocante. Ci penso poi il comune a fare spese pazze (i Matrona avevano una maniacale voglia di sperperare in faraoniche opere pubbliche)  e queste ripiobavano sotto forma di imposte comunali dominicali sui nostri galantuomini. Erano letteralmente diventanti furibondi. Serafino Messana - fratello  dell’irrequieto Biagio - è incontenibile! Diventato farmacista, resta solo formalmente il rivoluzionario (cartaceo) del ’48. Si diletta di lettere: scrive inventando neologismi improbabili, vocabolario greco alla mano. La povera storia si lega alla natura nientemeno che in “apocastasi”; [7]  “emanatismo” e “mistogogi” , sono termini per Messana di comune accezione; e “gli antichi credenti usavano la Xerofagia a nona”;  e “metaformasondone il il pensiero dal vero all’immaginario, dall’idea all’ideale, andonne in sivibilio la severa logica per la confusion dei sistemi, degenerando in goffa stravaganza che ne diè pure la spinta la caduta dell’Impero d’Occidente” [8]: accipicchia! Peccato che Rascel non era ancora nato. E così via con lemmi quali: Camauro; imberciare [pag. 9];  antinomia di cinici tartuffi [pag. 10]; essere da sezzo; sanguinaria apoftegma [pag. 11]; Diffalte [pag. 20]; taglia mummica ad ogni menoma lor pia azione [pag. 22]. Le 24 paginette dello sproloquio di Serafino Messana un raccontino tutto paesano ce l’hanno e noi lo riportiamo, pari pari:

«Il signor M..... ascrittosi all’Opera Pia del Suffragio previo lo sborso di ducati sei (scotto stabilito per cadauno; mentre adesso è aumentata la cifra come pure quella delle messe a norma del caro delle derrate) ne volea in Racalmuto la celebrazione, che gli si negò pria con ambagi, poscia con dirgli che per godere di tanto profitto in vita bisognasse erogar di nuovo altrettanta somma. Virtù evangelica!!!; e per l’ipocrisia involava un guardiano i votivi ciondoli della signora M... dal simulacro di S. Maria di Gesù col pretesto di farne tersa pulitura; gli eredi di G....C... ebber sottratta la roba valutata tremila ducati, ed incamerata dal Convento del Carmine; mentre rimasero tapini gli eredi nel più orrido trivio per le mene del prete N....»

Quante volte l’avrà sciorinata questa querelle al casino di conversazione? Se con quella leziosità linguistica, tra lo sberleffo degli annoiati consoci.

Nel 1873 il solito Serafino si fa pubblicare un libello su «il brigantaggio in Sicilia, ossia i delitti impuniti.» Ora la rabbia contro il fiscalismo di stato non ha più remore: Le nostre aspirazioni sono dirette - esplode a pag. 57 - ad alleggerire le riscosse dei tributi, e tòrre quelli che più scottano per essere inventati da mera baratteria, acciocchè i contribuenti non siano straziati e costretti per scadenza di pagamento.» Ed nella chiusa finale, in termini meno lambiccati, lo sfogo intimo e più vero: «Impertanto siimi indulgente nel compatire la lealtà delle mie idee significate in questa lettera abbandonata e ripresa più volte in questo mese e per le odierne occupazioni della famiglia e del Fisco...» Fisco, terrore di don Serafino Messana  e di don Ferdinando Trupia che i locali sanno chi essere stato veramente: un diretto discendente del grafomane Serafino ottocentesco.

Nel 1874 Serafino Messana non aveva remore religiose - miscredente com’era - e si accaparrò un ettaro di terra in contrada Troiana requisito al disciolto convento di santa Chiara, offrendo 1.400 lire al posto del prezzo base di L. 941. Subì ipso facto la scomunica: lui non se ne dolse. Del resto era in compagnia dell’arciprete Tirone che si servi di una prestanome, la sorella Teresa, per annettersi con poche lire tutti questi beni:

1.             anno 1868 - provenienza: Conv. S. Francesco d’Assisi; terre, alberi frutteto; contr. Motati (? forse Malati); Ha. 1 - prezzo base L. 812; prezzo aggiudicazione L. 832.

2.             anno 1868 - provenienza: Convento Carmine; pagliera; via Carmine; prezzo base L. 453; prezzo aggiudicazione L. 655.

3.             anno 1868 - provenienza: Convento Carmine; terraneo; via Carmine; prezzo base L. 508; prezzo aggiudicazione L. 280.

4.             anno 1868 - provenienza: Convento S. M. di Gesù; 1 stanza; via Matrice; prezzo base L. 571; prezzo aggiudicazione L. 686.

5.             anno 1868 - provenienza: Convento S. M. di Gesù; 1 stanza; via Matrice; prezzo base L. 560; prezzo aggiudicazione L. 555.»

Serafino Messana potè pure sogghignare sull’interdetto, ma un suo discendente ebbe isterie mistiche: «O pio, figlio di padre Pio, che ogni giorno ti prendi la lavatura della comunione», lo insolentiva pubblicamente l’avv. Carmelo Burruano, al tempo del Cavallo Alato, tra lo sghignazzo del popolino plaudente.

Salaci mormorazioni al casino di compagnia nell’Ottocento; salaci mormorazioni al circolo Unione in quell’infocato maggio del 1950.

*    *     *

Nel Giornale Officiale del 6 settembre 1860 i radi soci, che continuavano a frequentare il circolo nel mese più adatto alla villeggiatura nelle campagne circostanti, potevano leggere «Data in Palermo il 26 agosto 1860. - In nome di S.M. Vittorio Emanuele Re d’Italia, il Prodittarore decreta: Art. 1: sono destituiti i giudici circondariali. A Racalmuto: [destituito] Giacomo Sanfilippo » Il  provvedimento reca la firma di De Pretis. Il 13 settembre viene promulgata la legge provinciale e comunale: Racalmuto è il XIV comune del circondario di Girgenti e vanta una popolazione di 9.426 abitanti. E’ chiamato ad eleggere un consigliere provinciale.

Il successivo martedì 19 settembre viene pubblicato “l’indirizzo del consiglio civico e del municipio al Generale Dittatore”: Racalmuto figura in mano di Gaetano Savatteri, presidente; Felice Cavallaro e Giuseppe Savatteri. L’indirizzo è datato 18 agosto 1860. E.N. Messana fa ampie digressioni sulla sindacatura del Savatteri a cavallo del 1860. Non abbiamo elementi per contraddirlo (ma neppure per essere concordi). Forse Gaetano Savatteri non si dimise mai dal settembre 1859, quando ebbe a succedere a Giuseppe Tulumello Grillo.

Il 25 ottobre si celebra il plebiscito: Racalmuto risulta naturalmente sabaudo all’unanimità: 1931 elettori iscritti; 1924  votanti; 1924 sì; nessun no; nessuna scheda nulla. Vi sarà stato al circolo qualcuno che come Ciccio Tumeo si lamentava di avere votato no e di vedere poi la sua scheda “cacata” con un sì?

28 ottobre 1860 - Art. 1: Sono nominati i giudici di Mandamento - In Racalmuto: il signor Benedetto Diliberti. - Palermo 26 ottobre 1860. Il prodittatore: Mordini.

6 novembre - Racalmuto, il signor Salvatore Bellomo, cancelliere di Mandamento.

Statistica

Racalmuto

                                         Maggio 1860              Giugno 1860

· compagni d’arme                    n.° 48                        40 militi a cavallo

· guardie di polizia                        22                          5 guardie di sicurezza

· Rondieri                                       4

· sopranumeri                                38

A Racalmuto ufficialmente non v’è dunque opposizione ai Savoia, come se li avessero voluti sin da quando se ne erano andati senza rimpianti nel lontano 2 agosto 1718. Il Consiglio civico si spreme le meningi per formulare un solenne indirizzo al nuovo re sabaudo. Crediamo che si siano avvalsi della penna del mazziniano Calogero Savatteri, figlio del presidente Gaetano. Lo stile è quello, del tutto analogo alle lacrimevoli accenti delle lapidi funeree della madre «Donna Maria Grillo in Savatteri fù Francesco Paolo nata a Racalmuto e quivi [morta] di anni 52 l’alba del 20 Marzo 1862, col maledetto aneurisma», nonché del notar Pietro Cavallaro, morto il 20 giugno 1860, lapide che ancor oggi si legge nella cappella della navata sinistra della Matrice.

Il reboante messaggio recitava:

«Consiglio Civico di Racalmuto.

Sire,

La libertà da tanti suoli bandita dall’invidiato suol d’Italia, è nostra finalmente, e nell’unità Italiana, e sotto l’egida del Vostro glorioso scettro, consolida il suo più splendido trionfo, e segna il rovescio del nemico austriaco.

I gemiti degli oppressi Italiani Voi li sentiste, un’eco dolorosa trovarono nel Vostro cuore, vi commoveste, e gettando il Vostro scettro nella bilancia della politica, e quasi immolandolo sull’altare della Patria sposando la giusta causa del popolo, foste celere a redimerlo, ed a porlo nell’esercizio dei suoi più sacri diritti.

Il molto sangue di cui fu prodiga la nostra Sicilia, ed i suoi ultimi, ed infiniti patimenti, valsero molto per essa quando avventurosamente faceva acquisto del Vostro amorevole paterno regime.

Undici anni di efferata tirannide, e di crudele reazione non valsero ad intiepidirla di affetto per la gloriosa dinastia di Carlo Alberto. Scosso nel 1848 il giogo borbonico, chiamava alla reggenza dei suoi destini il Vostro rimpianto fratello, liberatasi un’altra volta Vi proclama Suo Re, ed avventurosa per aver tanto compiuto; oggi festeggia il Vostro arrivo, e corre esultante a presentarVi le più calde ovazioni, e i più veraci sensi di obbedienza, e di amore.

Sire, fra gli omaggi che Vi giungono da ogni angolo della sicula terra, accogliete pure benignamente gli affettuosi voti di sudditanza dei sottoscritti consulenti civici di Racalmuto.»

Indirizzi rassegnati a S.M. Vittorio Emanuele - Municipio di Racalmuto.

«Sire,

Il voto della nazionalità italiana, questo fervido desiderio nutrito da ogni italico cuore, cresciuto tra i patiboli e le carcerazioni, tra l’ostracismo e i martirî, si è compiuto.- L’Italia è una: e nella storia di sì lieti e grandi avvenimenti son Vostri gli allori, com’è Vostro il compimento.- L’Italia è una; e sotto l’egida del vostro scettro che si fregia di ogni civile e religiosa virtù, che si sorregge dall’amore dei popoli sarà felice; e sotto la nobile insegna della Sabauda Croce acquisterà gloria e fortezza.

DescriverVi lo eccesso del contento, i sensi di suttitanza e riconoscenza è superfluo. Sicilia tutta, avventurosa pel vostro arrivo esulta e festeggia e da ogni parte si vola per offrire al rigenitore della Patria comune, all’apostolo dell’indipendenza italiana, le più calde manifestazioni di sincero ossequio e di verace amore.

Racalmuto che non fu l’ultimo alla riscossa, che fu solerte a secondare, non è l’ultimo a presentare, per organo del Magistrato Municipale, gli omaggi di sua obbedienza ed amore alla Maestà Vostra e a manifestarVi ad un tempo, che se tutti i popoli dell’Isola idolatrano il Re Galantuomo, l’entusiasmo di alcuno non sorpasserà mai quello del Popolo Racalmutese.

Gaetano Savatteri, Presidente.»



Il Re Galantuomo: ai civili, ai galantuomini di Racalmuto quell’attributo doveva tornare gradito, familiare. Complimenti! Bravo davvero! E forse stavolta al circolo i complimenti erano sinceri.

Il 20 gennaio 1861 si ebbero le elezioni: Emerico Amari entra “in ballottazione”. A Girgenti: esito di ballottaggio. Eletto Specchi.

Il 12 febbraio 1861 a Canicattì viene eletto il barone D. Salvatore D’Ondes Reggio. Il 5 aprile 1861 a Girgenti il ballottaggio ha il seguente esito: Dottor G.B. Picone (di origini racalmutesi) n.° 372 voti; Marchese D. Ignazio Specchi n.° 367 voti: per 5 voti la vittoria va al Picone. Ma questi rinunzia. Si riaprono i ludi elettorali. Garibaldi vuole Luigi La Porta da Sambuca. “Nel corso del mese - scrive il Picone nelle sue Memorie, pag. 656 - si anima intemperante lotta elettorale. I candidati sono Laporta e il sindaco dottor Drago. Tutti i garibaldini o veri o finti propendono pel primo, e vogliono imporsi agli altri cogli insulti, colle minacce. La società operaia pubblica un proclama incendiario. Si viene quasi alle mani nel Casino Empedocleo. Si procede alla votazione, e Drago riporta tre voti meno di Laporta.»

Gli echi al casino di conversazione racalmutese inevitabili, altrettanto irascibili, infiammati. Le mandorle toccano quota ducati 22,20 per quintale. Finalmente una buona notizia. Il 2 maggio sono da eleggere i consiglieri provinciali di Girgenti. Racalmuto riesce a piazzare il barone d. Giuseppe Tulumello Grillo.

Rientra così in scena l’antica famiglia nobiliare. Sciascia è insolente contro di essa. Fuori tempo massimo, ancora fanatico della famiglia Matrona, antagonista, ha parole di elogio per quest’ultima nella introduzione (mirabile) al testo del Tinebra sulla storia di Racalmuto ed a pag. 11 chiosa: «Non nobile [la famiglia Matrona] - e del resto nel pasese una sola famiglia aveva titolo nobiliare, quella dei baroni Tulumello che fu rivale ai Matrona: incerta però resta la legittimità del titolo - ma di grande e vera nobiltà nel comportamento, negli intendimenti, nelle opere.» Ci consta invece che i Matrona erano per parte di madre dei Moncada . Più nobili di così! I Tulumello - discutiamoli quanto vogliamo - ma nobili lo furono sul serio (per quello che significa nobili. Abbiamo poi visto don Illuminato Grillo fregiarsi del titolo di barone. Pensiamo a ragione.

Un precesso d’investitura è lì in Palermo a testimoniare sulla indubitabilità del loro blasone baronale su Gibillini (alias il Castelluccio).  Quanto alla nobiltà del comportamento e degli intendimenti dei Matrona, absit iniuria verbis. Una pur vaga sbirciata ai vari incartamenti degli archivi agrigentini (ed ora anche racalmutesi), svela ben altro.

Il giorno 7 giugno 1809 si ebbe l’investitura unciarum 157.14.2.3 census super feudo gibillinorum, in personam D: Joseph Tulumello. Fu l’eccellentissimo dominus marchio D: Franciscus Migliorni Regius Consiliarius, et Secretarius Status Suae Regiae Majestatis, ad accordare l’invetitura a  D: Franciscus Gaipa Procurator vigore procurationis in actis notarij D: Gabrielis Cavallaro Terrae Recalmuti, in nome e per conto di Dn Aloysius Tulumello veluti tutoris, et pro tempore curatoris D: Joseph Xaverij Tulumello minoris, del feudo di Gibillini nella rendita prima segnata. E viene narrata la provenienza del titolo: l’aveva ottenuto dal saserdote D. Nicolò Tulumello che gliene aveva fatto dono. Quel prete Tulumello, operante a fine Settecento ed osannato per la pretesa fondazione del Collegio di Maria, aveva acquistato il feudo dall’ Ill.re D: Julio Antonio Giardina et Grimaldi Principe Firacaridiorum con atto del notaio Salvatore Scibona di Palermo in data 22 luglio 1796. Aveva preteso che il suo nome non apparisse e che l’atto si stipulasse a pro di persona da nominare. Trattandosi di feudo vi fu controversia anche giudiziaria ma alla fine l’alienazione fu approvata dal re (“venditio et dismembratio fuit a Sua Regia Maestate approbata, et confirmata vigore realis diplomatis de die vigesima nona aprilis anni currentis - 1809 - executoriati sub die quinta proximi preteriti mensis maij”). L’investitura fu formalmente ineccepibile:  il mandatario  fecit, flexis genibus juramentum, et homagium debitae fidelitatis, et vassallagij manibus, et ore commendatam in forma debita, et consueta juxta , sacrarum huius Regni constitutionum imperialium, continentiam, et tenorem in manibus, et posse eiusdem Excellentissimi domini de Migliorini illud recipientis nomine et pro parte Suae Regiae maestatis Ferdinandi (D.G.) regis utriusque Siciliae, Hierusalem, Hispaniarum, Hinfantis Ducis Parmae, Placentiae, Castri mani haereditarii Etruriae Principis, eiusque heredum et successorum in perpetuum ...” Il titolo baronale era dunque inattaccabilmente legittimo, la vetustà, magari .. Ma Sciascia non sottilizza, stronca e passa oltre. Del resto come storico locale, poco gli importa dell’esatteza di ciò che afferma se ciò gli offre il destro di un aforisma, di un’acidula insinuazione, di un’atavica vendetta, di una fantasmagoria, di un apologo. Sono pronto a sostenere il linciaggio, anche nel nostro circolo Unione, se queste mie note verranno mai alla luce.





Il neo eletto consigliere provinciale non era come compravano questi dati anagrafici del matrimonio del Tulumello con donna Maria Angelica Messana:



1842
23/11/1842
TULUMELLO Dr. D. GIUSEPPE DELLI FURONO BARONE D. LUIGI
GRILLO D. MARIA
MESSANA D. MARIA ANGELA DEL FU CALOGERO E
NALBONE D. LUCIA
 Atto Matrice N.° 86



Ecco cosa scrive E.N. Messana sulla nobile consorte: «Luigi [Messana era un] borghese arricchito dell’ultimo ‘700 attraverso il commercio degli zolfi, la somministrazione del conte, che tenne per molti anni, e l’esazione, più tardi della tassa del macino. Don Calogero Messana era stato fatto speziale dal padre Luigi. La ricchezza ereditata dal padre gli consentì di sposare, con lauta dote, l’unica figlia Maria Angela al barone Giuseppe Tulumello, divenuta poi madre di Luigi ed Arcangelo che incontreremo nel corso di questo scritto.» [9]

Giuseppe Tulumello non era dunque figlio di Giuseppe Saverio Tulumello, [10] l’unico ad avere davvero diritto al titolo di barone. Ma pare che questi morì (l’11/1/1858) senza eredi ed il titolo passò a Luigi Tulumello, il nipote del fratello Luigi. 

Alla fine del secolo XIX, proprio sul punto del declino definitivo della potente famiglia, i tanti Tulumello ancora sulla breccia erano i seguenti:

n. ° lista commerciale
n.° lista politica

Cognome

Nome

paternità

data di nascita

Attività comm.
285
493
TULUMELLO
LUIGI
fu Giuseppe
 25 luglio 1850
Negoziante di zolfi
286
494
TULUMELLO
NICOLO'
fu Giuseppe
10 febbr. 1853
Idem
287
495
TULUMELLO
SALVATORE
fu Giuseppe
31 dic. 1860
Idem
288
496
TULUMELLO
ARCANGELO
fu Giuseppe
13 sett. 1865
Idem
289
497
TULUMELLO
NICOLO'
fu Luigi
14 ott. 1844
Idem
290
498
TULUMELLO
SALVATORE
fu Luigi
18 aprile 1847
Farmacista
291
499
TULUMELLO
VINCENZO
fu Luigi
16 giugno 1839
Neoziante di Cereali.
292
500
TULUMELLO
GIUSEPPE
fu Vincenzo
4 ott. 1851
Negoziante di zolfi.
293
501
TULUMELLO
GIOVANNI
fu Vincenzo
18 dic. 1853
Idem.
294
502
TULUMELLO
BIAGIO
di Giuseppe
27 aprile 1865
Idem.

 

Si può star certi che tutti i dieci magnifici Tulumello fossero soci del Circolo Unione; ne dominassero le assemblee, impallinassero gli sgraditi, ricoprissero le cariche di prestigio. Ancora negli anni ’50, in piena decadenza nobiliare, erano il sale del circolo. S’ispira a qualche membro della famiglia Sciascia quando tratteggia nelle Parrocchie di Regalpetra la satiriasi senile del barone Lascuda. I più anziani del sodalizio sono ancor oggi in grado di farvi nome e cognome - quelli veri - di ognuno dei coloriti personaggi sciasciani del Circolo della Concordia. A Sciascia è stato perdonato il dileggio del circolo: una simile infamia a nessuno mai è stata consentita; a nessuno  si consentirà mai.

*    *    *

Racalmuto vive, tra il 1859 e la fine del 1861, un periodo di profonda trasformazione. Vecchie famiglie crollano, nuove s’impongono, altre sopravvivono. Un trambusto sociale il cui acme esploderà però nel 1862 con le note rivolte e le vicende che più o meno mistificate vengono tuttora rievocate, reintinterpretate, spesso rivisitate. A dire il vero, è stato Eugenio Napoleone Messana a tentarne per ora una lettura alquanto documentata e con una qualche sensibilità sociale. Con risultati comunque del tutto insoddisfacenti. C’erano di mezzo i suoi antenati - sia di parte paterna, sia materna con i Savatteri - e ciò impediva al nostro ricercatore di affrontare quella suggestiva tematica storica con la dovuta oggettività e con il debito distacco.

Le nostre ricerche approdano, così, a lidi ben diversi da quelli cari e consueti al nostro E.N. Messana. Già in un punto nodale discordiamo: Gioacchino Savatteri condusse imperterrito la barca comunale dai borboni del 1859 ai novelli padroni savoiardi come il cambiare di bandiera fosse nient’altro che un insignificante incidente storico. Padroni lontani i primi, padroni lontanissimi i secondi. Servire, si doveva sempre e gli uni valevano gli altri. Gioacchino Savatteri, che non sembra eccellere per intelligenza, era un conservatore bigotto, fideista, ossequioso. Aveva diversi figli: due per constrasto giocavano a fare i massoni ed i mazziniani, ma era un gioco giovanile. Teatrale e teatrante. Nella loro settecentesca dimora del Purgatorio, disponevano di un teatro e là, anche per sedurre le goffe signorine del loro ambiente, recitavano. Misero in scena un lavoro  di Agesilao Milano e credettero di fare una rischiosissima provocazione politica, una ribellione storica, una rivoluzione. Quando Calogero Savatteri - morto piuttosto giovane - non si seppe trovare di meglio per il suo necrologio che questa risibile rievocazione: «per conseguire lo scopo nel 1864 si affiliò alla Loggia Massonica col titolo di Roma e Venezia. I Massoni facevano progressi giganteschi giorno per giorno. Essi prevennero la popolazione con ispettacoli pubblici, tra i quali rappresentarono il dramma stupendo di Agesilao Milano con tale naturalezza e forze, che si attirarono la simpatia del popolo.»

Gaetano Savatteri lo troviamo appena decenne in casa della zia quando viene redatto nel 1822 il censimento. Sappiamo che è nipote di  Serafina Tirone: da quella famiglia verrà poi fuori il noto e controverso arciprete Tirone.

TIRONE
SERAFINA
LIBERA

DONNA
SAVATTERI
GAETANO
NIPOTE
10




Il sindaco della venuta di Garibaldi è dunque del 1812. Contrae matrimonio con una Grillo nel 1830 come dal seguente atto:

1830
10/1/1830
SAVATTERI D. GAETANO DE FURONO D. LEONARDO E
TIRONE D. VINCENZA
GRILLO D. MARIA DI D. FRANCESCO PAOLO
CAVALLARO D. MARIANNA
ottobre 1829 -  3° grado consanguineitatis sub 10/1/1830 -



Don Gaetano Savatteri è un diretto discendente del cinquecentesco Scipione Savatteri che Eugenio Napoleone Messana - del tutto cervelloticamente - vuole “milite” ed imparentato con i Del Carretto.  A noi, più semplicemente, consta che il 12 ottobre 1586, Scipioni Savatteri (inequivocabilmente oriundo da Mussomeli) si sposa con Petrina Saguna, figlia di Antonino e di Marchisa. Marchisa è nome comune di donna in quel tempo: forse si deve anche a questo equivoco se Eugenio Napoleone Messana, riesumando un’epopea di famiglia, fa del modesto ma dignitoso Scipione Savatteri un “milite” che convola a nozze un po’ forzate con una figlia dei del Carretto (eventualità impossibile, per questioni di divario nobiliare). E’ certo invece che Scipione Savatteri è il capostipite racalmutese di una famiglia che ha cifrato la storia locale nel Seicento, nel Settecento e marcatamente nell’Ottocento. Il circolo Unione nasce sotto l’egida dei Savatteri.

Al matrimonio di Scipione Savatteri fanno da teste i due fratelli notai Monteleone (Gasparo e Cola), appartenenti, per parte di madre, al ramo cadetto dei del Carretto. Paolino Savatteri resta vedova e sposa nel  1594 (vedi sopra) una di Mussomeli,  Lauria Cuscacino  di Matteo: benedice le nozze l’arciprete di Racalmuto in persona, don Michele Romano. Sono indizi della rilevanza sociale dei Savatteri, che pur tuttavia non assurgono a livelli di nobiltà feudale.

Nel primo decennio del Seicento un’importante tappa di ascesa sociale. Scipione Savatteri raggiunge un’invidiabile posizione sociale. Ha un ingente patrimonio: tutto il versante che dall’attuale casello ferroviario delle Anime Sante porta sino alla cima del Serrone, da dove discende la trazzera del Rovetto, gli appartiene, naturalmente sotto il vincolo del jus proprietatis del conte del Carretto. Come sia potuto arrivare ad una siffatta immensa possidenza immobiliare, resta oggi un mistero. Qualche malaccorto passo dei rogiti notarili può destare maligni sospetti, ma di certo non vi è nulla.

Ci imbattiamo nel dominio di Scipione Savatteri in un preziosissimo Rollo custodito in Matrice relativo alla tenuta della contabilità della confraternita di Santa Maria di Gesù. La confraternita, attorno al 1634, s’insinua in una serie di atti giudiziari contro i tre eredi di Scipione Savatteri. Ritornerà alla carica nel 1651. Scandiamo le fasi ed i tempi che c’illuminano sull’ascesa, sull’apice e sul declino del paradigmatico affermarsi economico di un burgisi nella società contadina della Racalmuto della prima metà del Seicento.

Già nel 1613, Scipione Savatteri è in grando di approntare della liquidità ai coniugi Francesco La Lumia e Margarita. Di conseguenza costoro, il 1° agosto del 1613, si accollano di corrispondere perpetuamente al Savatteri, un’oncia di reddito annuale, censuale e rendale. A garanzia offrono quattro case terranee con un cortile nel quartiere di S. Margherita vicino le case del sacerdote don Angelo Dardo, nonché una vigna di duemila e settecento viti, con sua chiusa, alberi, grotte, confini e mannare a Culmitella, nei pressi della vigna di Matteo d’Alfano e della vigna degli eredi di Vito Gulpi. L’atto - a rogito del notaio Simone de Arnone, e poi trascritto dal notaio Angelo Morreale - ha per testi Girolamo Martorana e Simone Bocculeri.

Il 18 agosto del 1618, Pietro La Licata di Leonardo vende, a rogito del notaio Simone Arnone, - sempre al Savatteri - una vigna de aratro con sua chiusa, alberi e confini, sita in contrada Casa Murata, vicino alla vigna di Gerlando di Gueli e ad un’altra vigna dello stesso Scipione Savatteri. Purtroppo quella proprietà è gravata di un censo di once tre annuali nei confronti della venerabile confraternita di Santa Maria di Gesù. L’atto del Rollo fa la cronistoria della provenienza di quel reddito della confraternita. Il Savatteri è piuttosto malaccorto e si accolla quel greve censo: sarà la cagione degli affanni finanziari dei suoi eredi.

E’ così che il 22 gennaio 1634 i tre fratelli Savatteri, Francesco, Giacomo e Sebastiano, vengono chiamati a rispondere alla venerabile confraternita di S. Maria di Gesù per l’ingente cifra di 43 once e 15 tarì a titolo di coobbligati dei censi morosi dovuti per 15 anni e mesi sei dagli inadempienti debitori principali.

Nel 1624, peraltro, era  scoppiata la famigerata peste ed in quel tempo era deceduto il nostro Scipione Savatteri. Lasciava, appunto,  come eredi i tre figli Francesco, Giacomo e Sebastiano. Ma seguiamo lo svolgimento del citato atto notarile. Tali eredi vengono chiamati dunque ad onorare i debiti per i quali risultano coobbligati. Il 22 gennaio 1634 non hanno modo né proventi per assolvere il debito che con l’annata in corso si porta a 45 onze. Pregano - per usare l’eufemismo del rogito - Francesco La Mendola, Antonino Pitroccella, Giacomo Borzellino e Francesco d’Acquista, rettori pro tempore della venerabile confraternita, affiché acconsentano ad una rateazione del dovuto.



I pii rettori erano già comparsi dinanzi al rev.mo don Filippo de Marino, visitatore generale dell’ill.mo rev.mo vescovo di Agrigento e l’avevano “supplicato” affinché volesse loro concedere la licenza di potere accedere a siffatta transazione, licenza invero prontamente ottenuta. Pertanto erano in grado di potere stilare il  contratto.



Ma le controversie non finiscono qui: il 6 marzo del 1651, la questione si riapre. Nel frattempo è morto Sebastiano Savatteri ed al suo posto subentrano gli eredi - minori d’età - sotto tutela di Francesco Curto Cirami e Francesco Salvaggio. L’altro figlio di Scipione, Giuseppe, è sacerdote: morirà da lì a poco, il 23 novembre del 1654 a 35 anni.



Da quello che emerge da quanto sopra riportato e da quanto appare in altri Rolli della Matrice, Scipione Savatteri era divenuto, in breve tempo, un latifondista, disponeva di case date in affitto in varie parti del paese, mostrava uno spirito d’intrapresa come un moderno capitalista. Non fu però provvido nella scelta degli affari e mostra una qualche insipienza nell’accollarsi coobbligazioni di terzi nei riguardi del famelico convento di S. Francesco. I figli - lasciati in tenera età alla sua morte precoce nel terrificante sterminio della peste del 1624 - non ebbero certamente l’acume del padre e finirono con il dilapidare quell’immenso patrimonio. Giuseppe Savatteri si fa prete ed a 35 anni cessa di vivere. Sebastiano[11] muore anch’egli giovane lasciando dei figlioletti in mano a due tutori - Francesco Curto Cirami e Francesco Salvaggio - pessimi amministratori. Si salva appena Giacomo Savatteri che perpetuerà la stirpe con figli migliori di lui e che riusciranno ad imporsi nella difficile società feudale racalmutese della fine del Seicento.

Quello che ancor oggi desta sorpresa è comunque il fatto che un modesto immigrato da Mussomeli sia riuscito ad accaparrarsi l’intera fiancata nord-est del Serrone e cioè la fertilissima landa che dalle Anime Sante sale lungo le Grotticelle, lo Judio,  sino a portarsi al passo tra il Serrone e la discendente trazzera del Rovetto. Ai primi del Seicento, la proprietà di Scipione Savatteri confina con la chiesetta rustica di Santa Maria, a quel tempo chiamata di Monserrato e poi divenuta la chiesa del Serrone, una chiesetta che alcuni ora fanno coincidere con quella esistente nel versante opposto degli Sferrazza. Noi, in base ai dati dei documenti dei Rolli, stentiamo ad avvalorare una simile congettura.

Ritorniamo alla già citata pagina del Messana su Scipione Savatteri. Il Messana trasse lo spunto da un episodio del 1625 per la sua epopea familiare. L’episodio è narrato dal Cascini, un padre gesuita del ‘600 incaricato dal cardinale Giannettino Doria per un’inchiesta sulla santa, incarico che si risolse in un libro non spregevole ai fini delle ricostruzioni storiche dell’epoca. Il gesuita [12]  narra che: "Ne si mostrò poco divota verso S. Rosalia la terra di Rahalmuto, la quale come si è detto nel primo libro, fin dal suo principio, nacque sotto la protettione di questa Santa e vi dedicò  la sua prima chiesa, havendola hora rifatta di nuovo; è incredibile la divotione, con che viene visitata a piè scalzo ogni sera non da pochi, ma d'una moltitudine grande. Però con molto maggior mostra di pietà, e humiltà ciò fecero il  giorno quando accompagnarono la sua Santa reliquia, che fù l'ultimo di Agosto 1625, erano andati a portarla da Palermo, ben 80. a cavallo, e quella mattina, che fù Domenica, si cantò prima [pag. 375] la Messa nella Chiesa dei Padri Minori Osservanti colla solennità solita; e si liberò una spiritata; dopo il  Vespro pur solenne si fece la processione, nella quale, benché vi fosse molta pompa d'apparato con tre archi trionfali,  di luminarie per tre giorni, di concerto di Musiche, e salve di schioppi, nondimeno superava ogni cosa la devotione, che s'udia delle voci, e sospiri, e pianti, e si vedea della moltitudine tutta a piè scalzo.

Accettò la Santa la pietà loro, e gli mostrò a chiari segni, che la sua protettione l'havea liberati dalla pestilenza; imperoché havendo la terra delle Grotte presso à due miglia molto mal menata da quel morbo, colla quale così infetta per un buon pezzo, prima che fosse dichiarata, vi fù pratica stretta, per essere in buona parte parenti fra loro e haver molta communicatione, non si attaccò però male veruno; anzi entrandoci dentro appestati diversi, si di questa terra, come d'altre, i medesimi che la portavano poi in altri luoghi, quivi non vi lasciarono vestigio alcuno.»

Ed ecco, di rincalzo il nostro Eugenio Napoleone Messana, rifare quella storia, ampliarla, manipolarla, modificarla ed elevare il peana ai suoi parenti Savatteri:



«Giovanni IV del Carretto, marito di donna Beatrice Ventimiglia, figlia unica del principe di Castelbuono, quando ascese alla contea [di Racalmuto] aveva tre figli, Girolamo Aldonza e Porzia. Girolamo per la legge del maggiorasco vigente era destinato alla successione della contea.



«Le figlie erano entrambi ospiti della zia Marzia del Carretto, figlia di Giovanni III, abbatessa di Santa Caterina in Palermo fino al  1598, data della sua morte e vi sarebbero forse rimaste se non fossero state riportate in paese nel 1600, per volontà del padre, allarmato dell'insurrezione contro il nuovo pretore. In quell'occasione Giovanni IV promise le figlie in moglie a quei cavalieri che gliele avessero ricondotte al castello sane e salve.



«La sorte arrise al milite Scipione Savatteri che sposò Maria ed ebbe in dote il feudo di Gibillini. Questo matrimonio diede inizio alla famiglia dei Savatteri di Racalmuto, che risulta essere la più nobile di tutte le altre.



«I Savatteri infatti discendono da Pable Zavatier, nobile francese al seguito del conte Ruggero [...]



«Non si hanno notizie dei motivi per cui Aldonza non contrasse mai nozze, si sa soltanto che lei nel 1605 a proprie spese fece costruire l'Abbazia di Santa Chiara  ...».  



Stando al Villabianca (Sicilia Nobile),  l’abbadessa si chiamava Maria e non Marzia.







I Savatteri a metà del secolo XVII.




Il ricco archivio della Matrice di Racalmuto ci ha conservato due “numerazioni delle anime” - cioè a dire due censimenti religiosi - che sono databili, rispettivamente, intorno al 1660 ed al 1666. La compagine racalmutese risulta a quell’epoca arricchita di vari nuclei familiari dei Savatteri. Ci risultano sei nuclei per il 1660 e sette per il 1666. Nuovi nati e nuovi matrimoni spiegano le variazioni dei nuclei familiari. Presso Filippo Savatteri, alloggiava nel 1660 Maria la Bosca. Un personaggio - Isabella la Bosca - che è venuto alla ribalta di recente in studi sulle “magare” inquisite dal Sant’Ufficio. Parente o mera omonimia?

Il padre Girolamo M. Morreale vorrebbe un Gaetano Savatteri donante nel 1627 per devozione verso Maria SS. Del Monte; [13] pensiamo che il dotto gesuita sia incorso in un duplice errore: quello di considerare donazione un mero obbligo di soggiogazione e quello di leggere in Gaetano un nome diverso, forse Giacomo. A quell’epoca non risultano Savatteri con il nome di Gaetano (ben diversamente da ciò che avverrà nel XIX e XX secolo).



Sac. Giuseppe Savatteri e Brutto (1755-1802)




Bello, elegante, colto, raffinato, ricco, sprezzante - quanto casto non è dato sapere - questo prete svetta sia nelle vicende della famiglia sia in quelle della locale storia. Leonardo Sciascia, avvalendosi di dati di seconda mano, tenta di infilzarlo, ma commette una delle sue solite manipolazioni storiche per prevenzioni ideologiche. Il sac. Giuseppe Savatteri ha coraggio, cultura e intraprendenza tali da osare un’impari contrapposizione con il suo potente (e dispotico) vescovo agrigentino. Entra nell’intricata storia del beneficio del Crocifisso.

Quando, il Tinebra Martorana - un famiglio della discutibile consorteria dei Tulumello - si accinge, nel 1897, a scrivere la storia del paese, non gli sembra vero di dilatare il senso di un documento giudiziario - che invece di venire custodito negli archivi del Comune, sta fra le carte private del barone Tulumello - per dileggiare un Savatteri, la famiglia ostile ai suoi protettori, che fra l’altro lo facevano studiare da medico a spese dell’Amministrazione comunale.

Quello su cu il Tinebra trama è un carteggio del Caracciolo su cui abbiamo avuto modo di effettuare nostre personali ricerche. Iniziano dal 16/2/1785 gli appunti del Caracciolo sulla questione[14]:

«17. La Gran Corte dia le pronte provvidenze di giustizia, onde li cittadini non soffrano aggravij - A febbraio p.p. in die 16 - Li naturali della terra di Racalmuto, sentendosi molto gravati di questo esattore ed amministratore Prete d. Giuseppe Savatteri nell’esigenza del terragiolo dentro e fuori di questo stato, quanto nell’avere agumentato la Baglìa a tutti li poveri giornalieri, formando una Cascia o Statica come anche esatte a forza di prepotenze pignorando sin anco gli utensili delle loro moglie e pratticando molte estorsioni.

«Pregano l’E.V. di ordinare il conveniente per non vedersi pur troppo soverchiati



E, quindi, in data 12.3.1785:



«32. [15]L’avvocato fiscale Vagginelli proceda quel che convenga ed avendo di riferirlo, dica- A 12 Marzo detto - Li singoli di Racalmuto: V. E. rimise le pendenze loro col barone all’avv.to sig.re Vagginelli. Innanti a costui facendosi dui contraddittorij vi interviene il Cav.e fratello del principe di Pantelleria, che ha procura. E poiché per rispetto che vuole esigere molte cose  bisognano trovarsi e li professori  concepiscono qualche timore, prega V.E. di ordinare che tal Cav.e non  intervenga più nei contraddittori ma con i singoli e il Barone 

 Ed in data 22.3.1785:[16]

«12 - L’avv.to fiscale barone Vagginelli informi col parere - 22 marzo - Li singoli di Racalmuto. Il suggello della verità lo tiene in potere il governatore baronale, ed occorrendo di suggellarsi l’investitura questa si deve suggellare dal Barone e si suggella quando a costui piaccia. Ciò essendo un inconveniente molto più quando occorre a singoli di suggellare scritture contrarie al ripetuto Barone.

«Pregano l’E.V. di ordinare che il suggello si riformi con il ricorso al Re, e che debba riservarsi al mastro notaro della Corte Giuratoria.»

E’ del successivo 28 marzo[17] il seguente appunto:

«4. L’avvocato fiscale Barone Vaggianelli disponga perché urgendo le provvidenze che siano convenienti per la superiore, che riferisca col parere - 29 marzo 1785 -  Don Stefano Campanella arciprete di Racalmuto - Dietro un raccolto sterilissimo ed una tirannica esazione fatta dall’arrendatario di questa terra don Giuseppe Savatteri ... trovasi in oggi questa Popolazione in somma necessità a segno che non si può riparare, e si teme di qualche tumultuazione per la fame, e dal ricorrente e da altri preti si à soccorso per quanto debolmente si è potuto, ma si prevede maggior necessità in questi mesi che sono li più poveri.

«E’ perciò da credere opportuno che dovendo dal amministrare pagare per maggio onze 1000 al Principe della Pantelleria gliene paghi medietà, e l’altra medietà distribuirsi per aiuto a poveri, che si obbligano in agosto pagare; prega V.E. di ordinare l’esecuzione di tale distribuzione a quattro persone elette da chi invochi, dapoiché quei Giurati son poveri e senza veruna abilità

Il dato di maggior risalto è quello contenuto nel biglietto datato 11 aprile 1785:[18] abbiamo questo richiamo storico:

«13 - L’avvocato faccia quel che convenga per l’accertamento della giustizia e della legalità.  - 11 aprile 1785 -  Li singoli di Racalmuto. - Nel 1559 don Giovanni del Carretto ebbe venduto il mero, e misto impero dal viceré don Giovanni della Cerda sopra la Baronia di Regalmuto per il prezzo di onze seicento, cioè cinquecento l’ebbe allora il Governante, e le onze 100 le dovea dare qualora veniva continuata la vendizione da S. M. fra il termine di un anno.

«Sino al presente giorno non è stato possibile dimostrarsi detta rattifica, o confirma; ed è segno evidente che la M.S. non l’abbia concessa. Che perciò li ricorrenti .. pregano l’E.V. di ordinare che il Barone di Ragalmuto che è oggi il Principe di Pantellaria, che per esercitare il mero, e misto dimostri all’E.V. il titolo.»

Al Tinebra Martorana mancano competenza e penna per fronteggiare la complessa vicenda della lotta al baronaggio siciliano da parte del discutibile Caracciolo (l’agiografica visione dei laici del Settecento e del postumo Sciascia lascia oggi il tempo che trova). Il Tinebra, dunque, compatta scarne e disparate “notizie storiche” in un capitoletto sul Settecento e velenosamente rubrica (pag. 184): «1785 - Soprusi praticati dal sac. Giuseppe Savatteri, arrendatore di Racalmuto, verso i poverelli.» Non parve vero a Leonardo Sciascia di rigonfiare quell’appunto per una delle sue solite tiritere anticlericali.  Nessuna ricerca storica, da parte sua; nessun approfondimento; nessuno spunto critico. Scrive dunque lo Sciascia[19]:

«Ecco il rapporto di un altro funzionario al Tribunale della Real Corte sui “soprusi praticati dal sacerdote Giuseppe Savatteri, verso i poverelli”» e giù, senza analisi critica, il testo di un’evidente lettera anonima, che crediamo essere dovuta alla penna del malevolo arciprete Campanella, o peggio del sac. Busuito, contro cui il Savatteri aveva affilato le armi per l’usurpazione del beneficio del Crocifisso. Per una di quelle strane coincidenze storiche, il Busuito era parente stretto della moglie del notaio Nalbone.

Prosegue Sciascia: «Il bello è che dopo questo rapporto il Tribunale della Real Corte ordinava al giudice criminale di Regalpetra [alias Racalmuto] “di far restituire ai borgesi tutti gli oggettiche il sacerdote Savatteri aveva ad essi pignorati”, forse i lettori non lo crederanno ma la cosa è andata davvero così”.» Con buona pace di Sciascia, a noi pare che le cose erano molto più complesse e coinvolgono la poltica dei re Borboni di Napoli, che è quanto dire.



D. Giuseppe Savatteri e Brutto morì nella peste del 1802; il Liber annota: n.° 312, c. 19, D. Giusppe Savatteri e Brutto, 27 februarii 1802 d’anni 47. Il vescovo non lo aveva voluto come beneficiale della Communia. Il Savatteri faceva però parte della neo-confraternita della Mastranza. Non pare molto diligente nell’annotare le messe che era tenuto a celebrare per i confrati defunti: subisce delle sanzioni. Vediamole:



GIUSEPPE SAC. D.
SAVATTERI
n. undeci messe cioè n. 9 per l' ... e n. 2 per pena d'essere stato negligente in scrivere le d. messe.

 


La controversa questione del beneficio del Crocifisso.




Nell’intricata controversia giudiziaria del beneficio del Crocifisso di Racalmuto, i Savatteri vi entrano prepotentemente per due volte: nella prima, è attore il sac. Giuseppe Savatteri e Brutto, a ridosso dell’Ottocento; nella seconda un patetico personaggio: Giuseppe Savatteri, sposato con una Matrona. Siamo nell’ultimo quarto del secolo scorso. In entrabi i casi i Savatteri finirono soccombenti e gabbati. Ma procediamo con ordine.



[1] ) Eugenio Napoleone Messana, Racalmuto nella storia della Sicilia, Canicattì 1969, pag. 221. Citata anche la fonte: Archivio di Stato di Agrigento: 4-95.
[2] ) V. Macaluso: Rivelazioni politiche sulla Sicilia. Torino 1863.
[3]) Domenico De Gregorio - Ottocento Ecclesiastico Agrigentino - Agrigento 1966, vol. II pag. 32, che avvale delle testimonianze di Pipitone Federico: Francesco Crispi - Palermo Boccone del Povero 1910, p. 67.
[4] ) Mons. Domenico de Gregorio - Mons. Lo Jacono, Agrigento 1966, pag. 20.
[5] ) E.N. Messana, Racalmuto op. cit. pag. 204.
[6] ) Leonardo Sciascia, Parrocchie, ... op. cit. pag. 60. Anche se il libro fu pubblicato nel 1956, è ben noto come l’abbozzo del Circolo della Concordia, si ha nel 1949 quando Sciascia pubblica nel primo numero di Galleria Paese con figure. (Cfr. Galleria 1949, I pag. 21-24. 
[7] ) Dottore S. Messana - Origine e decadenza della sovranità della società temporale del Papa - Bologna 1863 - pag. 6.
[8] ) ibidem, pag. 7
[9] ) E. N. Messana,  Racalmuto ... op. cit. pagg. 202-203.
[10] ) Il barone vero don Francesco Saverio Tulumello era nato il 23 maggio 1797 e si era sposato con Maria Grazia Licata Era figlio di Vincenzo Tulumello e Rosa Alfano, nipote di Giuseppe e Paola Cuva e pronipote di Ignazio e Anna (1720 circa). Giuseppe Tulumello, padre di Luigi il futuro barone, era figlio di Luigi e nipote di Vincenzo Tulumello e Rosa Alfano. Vi era poi un terzo ramo: Vincenzo Tulumello. 
[11] ) Riscontriamo negli atti di morte della matrice questa registrazione che ci illumina sulla figura di Sebastiano - sposato con una certa Bartola - cui tocca la sciagura di vedere morire un suo figliolo appena diciottenne: i funerali sono di riguardo: tariffa piena (tt. 5.10); è presente l'intero clero:

27
11
1653
Savatteri
Santo
18
Sebastiano e Bartola
S. Maria del Carmelo
5.10
Morreale Antonino presente clero

[12] ) P. Giordano Cascini : S. Rosalia, Vergine Romita palermitana  - Palermo  1651 - pag. 373.
[13] ) Girolamo M. Morreale, S.J. - Maria SS. Del Monte di Racalmuto - Racalmuto 1986, pag. 41.
[14]) ibidem - Real segreteria - Incartamenti - B. 3604.
[15]) ibidem - Real Segreteria - Incartamenti - B. 3605.
[16]) ibidem - Real Segreteria - Incartamenti - B. 3605.
[17]) ibidem - Real Segreteria - Incartamenti - B. 3605.
[18]) ibidem - Real Segreteria - Incartamenti - B. 3606
[19] ) Leonardo SCIASCIA Le parrocchie di Regalpetra - ed. Laterza 1982 Bari U.L., pag. 21.

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