sabato 25 aprile 2015

I mercanti del Carretti, dipo tanto penare, ora da Racalmuto ottengono di essere considerati CONTI


GIOVANNI II  DEL CARRETTO

 

 

 

La rivolta a Racalmuto del 1454 di cui parla il Genuardi dovette essere cosa seria se da quel momento sino al 1519 i processi d’investitura tacciono.

Dalla ficcante indagine del Barberi sappiamo - e non c’è motivo di dubitarne - che a Federico successe Giovanni II del Carretto. Non sappiamo quando e come. Il Baronio, lo storico di famiglia del Carretto del 1630, ne sa ben poco: «Ioannes natus maior, cum familiam rebus praeclare gestis aeternitati commendasset. Herculem, ac Paulum habuit sibi, nec maioribus dissimilem suis. In unoquoque semper avitae nobilitatis fulgor eluxit.» Parole di circostanza per colmare evidenti carenze di notizie. Quali fossero quelle gesta che affidarono la famiglia alla memoria dei tempi futuri, non ci dice e noi non ne abbiamo nessuna ... memoria.

Accontentiamoci del fatto che fosse il figlio maggiore  [natus maior] e che avesse partorito il successore Ercole, il celebre falso conte della venuta della Madonna del Monte, e Paolo di cui gli archivi vescovili di Agrigento ci hanno tramandato qualche dato sulla sua litigiosità con i sindaci di Racalmuto ().

Apprendiamo dalla valida ricerca del Sorge su Mussomeli () che «lu fegu di Rabiuni lu teni lo Mag.co Baruni di Regalmuto per anni ... vinduto per lo Mag.co Signuri Pietro lo Campo unzi trentacincho, uno vitellazzo, una quartara di burru, uno cantaro di formaggio

Quando sia avvenuta quella vendita non ci è noto; il rendiconto è del 1486 e come si è visto, non è neppure detto a quali precedenti anni si riferisse la vicenda di cui alla posta contabile. Da quel che si legge nel Sorge (op. cit. pag. 209 e segg.) potrebbe trattarsi degli anni attorno all’11 ottobre 1467 (data in cui “venne stipulato il contratto col quale il procuratore di Ventimiglia rivendette a Pietro del Campo la baronia di Mussomeli, col suo castello ...”). Le nostre successive indagini presso gli Archivi di Palermo (in particolare “Archivio Campofranco, Fatto delle cose notabili etc.” e “Conservatoria, Privilegia, confiscationes bonorum et investiturae, 1459 e 1489, foglio 536”, di cui in Sorge) non ci hanno sinora consentito di chiarire alcunché quanto ai del Carretto e specificatamente a chi si riferisse l’atto di vendita del feudo Rabiuni di Mussomeli. Azzardiamo il nome di Federico del Carretto. Sembra dunque appurato che dal 1459 al 1489 la famiglia del Carretto si sia bene ripresa dalla crisi del 1454 ed abbia avuto fondi sufficienti per acquistare il costoso feudo Rabiuni di Mussomeli e mantenerlo anche se notevolmente oneroso. Del resto, in quel tempo, Racalmuto dovette divenire un centro di abbienti: nello stesso “conto del segreto Bonfante del 1486” (di cui in Sorge pag. 386) si accenna al possesso feudale di un altro racalmutese. «Lu fegu di Santu Blasi - vi si annota - lu teni Mazzullo di Alongi di la terra di Regalmuto per anni 3 videlicet quinte Ind. 6 Ind. E 7 Ind. Et pri unzi quattordichi quolibet anno uno crastatu, uno cantaro di formaggio, et una quartara di burru quolibet anno da pagarsi la mitati a menzu Septembru et la mitati a la fera di Santu Juliano intentendosi quindici anni primi poi di Pasqua.» ()

Il Barberi, che l’inchiesta - piuttosto acidula contro i del Carretto  - la fa a ridosso degli anni della baronia di Giovanni II, ha questi appunti critici:

«E morto il cennato Federico, gli successe Giovanni del Carretto, suo figlio, il quale, come appare dall’ufficio della regia cancelleria, non prese giammai l’investitura della detta terra.»

ERCOLE  DEL CARRETTO

 

 

 

E subito dopo abbiamo Ercole del Carretto, quello che le saghe sulla venuta della Madonna del Monte chiamano “conte”. Il Barberi annota su di lui:

«Morto il detto Giovanni, gli successe Ercole del Carretto figlio legittimo e naturale e maggiore del detto Giovanni, del quale del pari non risulta investitura alcuna ed al presente si possiede quella terra per lo stesso Ercole del Carretto, con un reddito annuo superiore ad once 700

Il Baronio, come si è visto, quasi non lo cita: un accenno trasversale, come si fosse trattato di un riflesso sbiadito del gran fulgore che era stato il padre.

Il Barberi ebbe a conoscerlo giacché è proprio sotto Ercole del Carretto che visita Racalmuto come lascia intravedere il passaggio : al presente si possiede quella terra per lo stesso Ercole del Carretto, con un reddito annuo superiore ad once 700.

 Settecento once di reddito - a meno che non trattisi di esagerazioni fiscali alla stregua delle mirabolanti cifre dei moderni accertamenti degli agenti tributari - sono un’enormità. Sia quel che sia, Racalmuto dunque in esordio del ‘500 - e proprio sotto Ercole del Carretto - ha un salto quantitativo, un sussulto verso il grande centro. Nostri precedenti studi () hanno messo in evidenza questo significativo passaggio demografico e sociale. Dal rivelo del 1505 (un paio d’anni dopo la venuta della Madonna) emerge una popolazione aggirabile sui 1600 abitanti: un secolo prima (nel 1404) erano poco più di 750. Certo, la baronia dei del Carretto non era stata molto felice e varie strozzature demografiche e sociali si erano verificate. Le abbiamo notate in quello studio, ma tutto sommato si poteva essere abbastanza soddisfatti.

La venuta della Madonna del Monte

 

 

Era persino sorto un clima messianico per cui era potuta allignare la saga della Madonna del Monte. Sciascia è caustico:  «correva l’anno 1503, ed era signore di Regalpetra Ercole del Carretto ... C’è poi da dire che la statua è della scuola dei Gagini, e appare molto improbabile sia finita in Africa; ma di più di ogni altra è inquietante la considerazione sulla scelta della Madonna tra il Gioeni e il del Carretto, tra i castronovesi e i regalpetresi; inquietante come l’apparizione dell’immagine di Cristo su una parete al professor Pende, perché proprio al professore, perché al del Carretto,  perché tra i regalpetresi la Madonna ha voluto fermarsi, la popolazione di Castronovo essendo in egual misura fatta di uomini onesti e di delinquenti, di intelligenti e di imbecilli.» () Ma è proprio lui che poi negli Amici della Noce se la prende con l’incolpevole padre Morreale, reo a suoi occhi di avere cercato un po’ di luce (storica) su questa saga cui tutti i racalmutesi siamo legati.

Ma neppure, a ben vedere, riusciamo a concordare del tutto con il valente padre gesuita sui motivi che avrebbero spinto gli odiati Requisenz ad inventarsi la leggenda della Madonna del Monte «per fare apparire i Conti del passato, ma intenzionalmente quelli del presente, quali grandi benefattori del paese: così il barone Ercole del Carretto, e con lui tutta la sua famiglia, cominciò ad essere presentato nella leggenda come insigne benefattore del culto della Vergine del Monte, costruttore della sua prima chiesa nel 1503.» () Osta se non altro il fatto che i Requisenz si appropriano di Racalmuto il 28 gennaio 1771  ed a quella data la saga era ben salda nei cuori e nella fede dei racalmutesi, come dimostra l’ex voto che si ammira al Monte. Precedente era anche lo scritto di Francesco Vinci (pubblicato secondo lo stesso padre Morreale, pag. 35) nel 1760 e forse anche quello di Nicolò Salvo. Ma soprattutto appare dirimente il fatto che già nel 1686 la curia vescovile di Agrigento considerava “miracolosissima imago” (immagine molto miracolosa) quella che si venerava nella chiesa di S. Maria del Monte di Racalmuto. ()  Il nostro spirito laico ci è d’intralcio nel chiarire questioni come questa, che coinvolgono aspetti di sì rilevante delicatezza religiosa. Ci limitiamo a pensare che Ercole del Carretto ebbe davvero a costruire la prima chiesa del Monte (di una precedente chiesetta intestata a S. Lucia, non abbiamo alcun documento probante) ed ebbe a corredarla facendo venire da Palermo una statua di marmo. Fu evento memorabile: quella Vergine marmorea, così somigliante alle giovani madri di Racalmuto, brevilinee e rotondette, dovette impressionare e sbalordire gli ingenui occhi dei contadini locali. Legarvi il senso del portento, del miracolo, fu semplice e coinvolgente. Già nel 1608, in una visita pastorale, quel simulacro era maestosamente eretto sull’altare maggiore della Chiesa del Monte: il vescovo - recita il testo episcopale - “Visitavit altare maius super quo est imago marmorea S.mi Virginis, ornata et admodum deaurata”.

 

Tratti anagrafici di Ercole del Carretto

 

Scarne sono le notizie che abbiamo su Ercole del Carretto. Non sappiamo quando nasce: la morte cade invece nel gennaio del 1517. Sposò tal Marchisa di cui ignoriamo il casato.

Dal processo d’investitura del figlio Giovanni III possiamo abbozzare questi altri dati: fu “signore e barone della terra di Racalmuto e tenne e possedette quella terra di Racalmuto con il suo castello e fortilizio, nonché con tutti i suoi diritti e pertinenze”. “Vi cambiò tutti gli ufficiali tutte le volte che gli piacque”. “Ebbe a percepire o far percepire frutti, redditi e proventi della baronia di Racalmuto quale vero signore e padrone”. “Tenne il figlio Giovanni come figlio primogenito, legittimo e naturale e per tale lo trattava e come tale lo reputava così come veniva ritenuto, trattato e reputato dagli altri.”. “In qualità di signore e padrone della predetta terra e padre del signor Giovanni, piacendo a Dio morì e fu seppellito nel castello della terra di Racalmuto nel mese di Gennaio VI indizione del 1517, dopo avere redatto solenne testamento per mano del notaio Giovanni Antonio Quaglia della città di Agrigento il 16 del predetto mese di gennaio, ove ebbe ad istituire suo erede universale il detto magnifico signore Giovanni”.

 

Nel suo processo d’investitura si legge che:  a «Johanni de Carrectis» successe «quondam magnificus Hercules, unicus filius legitimus et naturalis.» ()

Crediamo che il noto giurista operante a Racalmuto, Artale de Tudisco, fosse già al servizio di Ercole del Carretto. Altro notabile del suo  entourage fu il nobile Alonso de Calderone che così testimonia: «stando ipsu testimonio como uno degli domestichi di lo quondam magnifico Herculi lu Garretto baruni di Rayalmuto, vidia dicto magnifico regiri et governari la dicta terra et in quella permutari li officiali et rescotirisi et fachendosi rescotirj li renditi et proventi di dicta terra comu veru signuri et patruni et canuxi lo dicto don Joanni de Carrectis esseri figlo primogenito et unico di dicto quondam signuri Erculi lu Garrecto a lu quali lo dicto quondam magnifico Herculi tenia et reputava per figlio unico et primo genito et da tucti accussi era tenuto, trattato et reputato; lu quali dicto quondam magnifico Herculi baruni fu mortu in lo castello di dicta terra et lo presenti lo vitti sepelliri et secondo intisi dicto magnifico Herculi innanti sua morti fichi testamento.»

Testimoniò anche certo Francesco Maganero come intimo del defunto barone, così come il “nobile” Andrea de Milazzo. Personaggi egualmente di risalto furono i “nobili” Antonino Palumbo, Alfonso de Silvestro e Gaspare Sabia.

Il cennato processo include anche uno stralcio del testamento di Ercole del Carretto che qui riportiamo in una nostra traduzione dal latino:

«E’ da sapere come fra gli altri capitoli del testamento del quondam spettabile Ercole del Carretto, barone della terra di Racalmuto, vi è l’infrascritto capitolo.

 

«Nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, amen. Nell’anno dall’incarnazione 1517, nel mese di gennaio, il giorno 27, VII^ indizione, in Racalmuto e nel castello del magnifico e spettabile signor Ercole del Carretto [si raccolgono le ultime volontà testamentarie], accese tre candele verso la quinta ora della notte.

 

«E poiché capo e principio di ogni testamento fu ed è l’istituzione dell’erede universale, così il detto magnifico e spettabile signor Ercole, testatore, istituì, fece ed ordinò suo erede universale il magnifico e spettabile signor D. Giovanni del Carretto, suo figlio legittimo e naturale, nato e procreato da lui e dalla quondam magnifica e spettabile donna Marchisa del Carretto, un tempo prima moglie dell’illustre e spettabile testatore sopraddetto.

«E tale eredità si estende sopra tutti i beni suoi, mobili e stabili, presenti e futuri, amovibili ed inamovibili, nonché in ordine a tutti i debitori ovunque esistenti e meglio individuabili e designati, e principalmente nella baronia, nei feudi e nei territori di Racalmuto, con tutti i suoi diritti, redditi, emolumenti, proventi, onori ed oneri della detta baronia a giusto titolo spettanti e pertinenti,  secondo la serie ed il tenore dei suoi privilegi e dei suoi indulti e concessioni, in una con l’amministrazione della giustizia giusta la forma dei suoi privilegi.

«Dagli atti miei, notaio Antonino Quaglia agrigentino.

«26 marzo - VI^ Ind. - 1518.»

 

Il testamento ci svela come Ercole del Carretto abbia sposato in prime nozze la citata Marchisa madre del primogenito Giovanni III. Ercole poté avere contratto altre nozze ma non ne sappiamo nulla. 

Paolo del Carretto

 

Di quale madre fosse, ad esempio il terribile Paolo del Carretto, non è dato sapere. Abbiamo un inghippo che non è facile districare. Alcuni testi dichiarano Giovanni III del Carretto figlio unico di Ercole (vedi testimonianza del Tudisco così come del Calderone), ma nel testamento del Quaglia questo aspetto viene glissato. Supposizioni se ne possono fare tante, ma il dubbio resta. Ed allora va creduta la rutilante storia che il Di Giovanni ci fornisce, oltre un secolo dopo, nella rinomata Palermo restaurata? Siamo propensi ad avvalorare l’ipotesi affermativa. Va qui allora ricordato che nel 1630 circa quello strano personaggio che fu il cavaliere Di Giovanni  scrisse per sé secentesche memorie che oggi sono una miniera di notizie. Discendente per via laterale dai del Carretto e addirittura dal padre di Ercole del Carretto - almeno a suo dire - confezionò un racconto truculento in cui non è facile distinguere il loglio dal grano. Investe la Racalmuto dei primi del ‘Cinquecento e noi non possiamo esimerci dal reiterare quel racconto, quanto bizzarro ed inventato Dio solo sa.

«Nel tempo che fu Lotrecco [Lautrec] a Napoli successe in Sicilia lo caso di Barresi, il qual si nota dopo quel di Sciacca. E fu il predetto caso, che essendo nella città di Castronovo D. Paolo Carretto, mio avo paterno, uomo di gran valore, e avendo differenza con uno di casa Barresi, gli diede il Carretto uno schiaffo; onde ne successe fra loro gravissima inimicizia, in modo che la città si ridusse a parte.

 

Un giorno volle il Carretto andar a visitare suo fratello D. Ercole, signor di Racalmuto, e vi andò con 25 cavalli. Ma saputo ciò per le spie da’ nemici, lo assaltâro alla piana di santo Pietro. Vide egli da lungi venire i nemici; e potendosi salvare nella chiesa di santo Pietro, gli parve viltà, e si risolse piuttosto morire, che far gesto di sé indegno. Si venne tra loro alle mani; ché animosamente il Carretto investì, e ne morsero dall’una e dall’altra parte.

 

Ma il Carretto, investendo il suo nemico, era con un pugnale a levargli la vita, avendolo preso per il petto, quando uno de’ compagni con una saetta lo percosse in fronte e lo mandò morto a terra.

Satisfatti perciò i nemici, attesero a salvarsi, e se ne andâro alle guerre del Trecco [Lautrec] a servire Sua Maestà, perché erano due fratelli; e gli successe in una giornata di adoperarsi valorosamente sotto la condotta del conte Borrello, figlio del viceré, perché mantennero un ponte tutti e due, tanto quanto gli arrivasse il soccorso; dal che si evitò gran danno, che poteva succedere agl’Imperiali.

Del che fattosene relazione a Sua Maestà, spedita la guerra, fûro i predetti due fratelli indultati in vita, e fûro fatti capitani d’armi per il regno.

 

Sentì gravemente il successo D. Giovanni Carretto, nepote del predetto D. Paolo; e più per vedersi i nemici, in quel momento favoriti, stargli innante gli occhi, e perché era di gran valore e chimera, procurò quello, che non avea procurato il padre D. Ercole.

 

In quel tempo era nella città di Naro Enrico Giacchetto, uomo valorosissimo e potente, consobrino di mia ava paterna, il quale, per avere inimicizia con il barone di Camastra, anco della città di Naro, manteneva a sue spese cento cavalli, ordinariamente di gente scelta e valorosa, con li quali faceva allo  spesso gesti eroici e singolari. Di costui ne temeva tutto il regno.

D. Giovanni del Carretto, figlio del predetto D. Ercole, si fé chiamare il predetto Enrico, che gli era amicissimo, a cui conferì il suo pensiero, e lo richiese che si volesse adoperare per lui in satisfarlo di quell’oltraggio.

Gli promise buona opera Enrico; e perché si sentiva che i Barresi si volevano levar le mogli e le case da Castronovo, e portarsele alla città di Termine, li appostò Enrico con quaranta cavalli, e, venendo quelli a passare per il fundaco delle Fiaccate, per quel cammino assaltò i predetti fratelli con molta compagnia. I quali non prima si videro Enrico addosso, che sbigottiti si posero a fuggire, e furono finalmente giunti, presi ed uccisi.

E se ne presero le teste, che furono portate al predetto D. Giovanni, il quale, benché prevedesse gran travagli di giustizia, ne fu pure assai satisfatto e contento; tanto si estimava l’onore in quei tempi.

 

N’ebbe al fine gran travagli: ma col tempo ne riuscì con vittoria, grandissimo onore e reputazione.»

“Più solidità e più stabilità” Eugenio Napoleone Messana (op. cit. pag. 95) pensa che possa avere il suo congetturare sulla genesi della saga della Madonna del Monte, quale trasfigurazione dei fatti sopra narrati. Francamente non ce la sentiamo di seguirlo. Non siamo neppure certi, come si è visto, che Paolo del Carretto fosse racalmutese e fosse davvero fratello del barone Ercole.

 Probabile invece che una volta conosciuta la tresca di Paolo, Ercole e Giovanni del Carretto, nelle prime decadi del Seicento, abbia preso corpo a Racalmuto la sublimazione della vetusta e pia memoria  della “venuta” di quella adoratissima immagine marmorea della Madonna del Monte.

Il canto popolare che la prof.ssa Isabella Martorana ha saputo recuperare dalla viva voce delle locali vecchiette non è coevo certo alla venuta della Madonna del Monte, ma ha insiti spunti storici che sia pure postumi meglio rispecchiano la genesi della saga. Venuta da Trapani - più verosimile che si fosse parlato di Punta Piccola - , “intranno a Racarmuto pi la via/ vonzi ristari cca la gran Signura”, sono scisti con qualche valenza storica. Ma visto che “a lu conti cci arrivà mmasciata”, il riferimento è decisamente postumo, databile dopo il declinare del XVI secolo. Il carme dialettale, bello esteticamente, lascia nelle brume anch’esso l’origine della pia tradizione del miracoloso evento della Madonna del Monte che sceglie la sua dimora nel nostro paese, in cima alla panoramica altura della omonima chiesa.

 

GIOVANNI III DEL CARRETTO

 

 

Figura centrale nello snodo dei feudatari di Racalmuto, fu anche colui che seppe portare all’apice la signoria carrettesca della nostra terra. Alla morte del padre s’insedia nel castello baronale con puntiglioso rispetto della liturgia feudale. Invia a Palermo come suo procuratore il magnifico Artale Tudisco - di cui sopra - ed il 28 gennaio 1519 ottiene la rituale investitura.

Giovanni III del Carretto, appena barone, si sarebbe macchiato della committenza di un delitto contro i Barresi di Castronuovo. Così racconta il suo lontano pronipote Vincenzo di Giovanni. Ma sarà stato poi vero? Si dà il caso che gli atti disponibili ce lo raffigurano - per quel che vedremo - un uomo religiosissimo, al limite del bigottismo, prodigo con preti, monaci e chiese. Anche con il suo notaio, quel Jacopo Damiano che finì sotto tortura nelle segrete del Santo Uffizio. Per eresia, si scrisse. Per eccessiva indulgenza verso gli eccessivi empiti di sperperatrice religiosità del suo assistito in punto di morte, abbiamo voglia di pensare noi.

Il Baronio ce lo descrive ovviamente in termini esageratamente elogiativi. Traducendo dal latino, per quello storico di casa del Carretto: «da Ercole si ebbe Giovanni III, singolare figura per prudenza e per intemerata virtù. Carlo V quando fu a Palermo lo coprì di mirabili onori. Di tal che, sia per la propria che per l’avita nobiltà, fu degno di stare con grande onore tra i Dinasti. Giovanni ebbe due figli: il primogenito Girolamo ed il glorioso Federico che divenne barone di Sciabica.» (vedi op. cit. §§ 75 e 76)

 

Processo d’investitura di Giovanni del Carretto, ultimo barone di Racalmuto

 

 

 

Sul citato Giovanni fornisce lumi il processo n.  1175: () abbiamo avuto già modo di citarlo. Siccome lo riteniamo basilare per la storia racalmutese del secolo XVI, lo trascriviamo, traducendo, quando occorre, dal latino.

 

«N.° 1175 - In Palermo nell’ufficio  del Protonotaro del Regno di Sicilia, sotto la data del  28 gennaio, VII^ Ind., 1519.

 

«Memoriale esibito e presentato nell’Ufficio del Protonotaro del Regno di Sicilia, dall’ill. Artale de Tudisco, procuratore del magnifico signore don Giovanni del Carretto, figlio primogenito, legittimo e naturale, unico ed universale erede del quondam magnifico Ercole del Carretto, un tempo signore e barone della terra di Racalmuto (Rayalmuti), che teneva e possedeva la detta terra di Racalmuto con il suo castello e fortilizio, nonché con i suoi diritti e pertinenze a seguito della morte del prefato quondam magnifico Ercole, suo padre.

E tanto per prendere l’investitura della detta baronia con i suoi diritti e pertinenze sia per la morte del signor nostro Re Ferdinando, di gloriosa memoria, sia per la successione delle maestà cattoliche, la Regina Giovanna ed il Re Carlo, signori nostri invittissimi, quant’anche per la morte del prefato quondam magnifico Ercole del Carretto, suo  padre.

 

«Innanzitutto, si afferma che il detto quondam magnifico Ercole del Carretto, padre del detto magnifico don Giovanni, al tempo della sua vita, e fino alla sua morte, tenne e possedette la terra  di Racalmuto, con il suo castello e fortilizio, nonché con i suoi diritti e pertinenze, cambiando tutti gli ufficiali tutte le volte che piacque al medesimo quondam magnifico barone Ercole e percependo e facendo percepire i relativi frutti, redditi e proventi da vero signore e padrone.    

 

 

 

«Del pari, si testimonia che il prefato magnifico signore Giovanni del Carretto fu ed è figlio primogenito, legittimo e naturale del detto quondam magnifico Ercole e come tale e per tale lo teneva, trattava e reputava, così come era dagli altri tenuto, trattato e reputato.

 

«Del pari, si afferma che il detto quondam magnifico Ercole del Carretto, un tempo signore e barone della detta terra e padre del detto magnifico signor Giovanni del Carretto, quando piacque al Signore, morì e defunse nel castello della predetta terra di Racalmuto, sotto la data del mese di gennaio, VI^ Ind., 1517, lasciando superstite e successore in detta baronia il detto magnifico quondam Giovanni del Carretto, dello stesso quondam magnifico Ercole figlio unico, legittimo e naturale, ed avendo prima redatto testamento solenne in mano del notaio Antonio Quaglia del città di Agrigento, sotto il giorno 27 del predetto mese di gennaio, testamento nel quale venne istituito suo universale erede il detto magnifico signor Giovanni.

 

«Del pari, si afferma che, morto e defunto il detto magnifico Ercole, il detto magnifico don Giovanni del Carretto, quale figlio legittimo e naturale del detto quondam magnifico Ercole, e come successore legittimo in detta baronia, ebbe per il tramite del suo  procuratore, prese e conseguì  l’attuale, reale e corporale possesso della detta terra di Racalmuto con il suo castello e fortilizio, nonché con i suoi diritti e pertinenze, secondo quanto risulta dal rogito celebrato nella terra e nel castello predetti dal notaio Antonio Quaglia della città di Agrigento in data 16 di gennaio VI^ Ind. 1517.

 

«Del pari, si afferma che in questo regno di Sicilia fu ed è fama pubblica e voce notoria che il prefato cattolico Re Ferdinando, di gloriosa memoria, morì e che il suo ultimo giorno di vita cadde nel mese di gennaio della IV^ indizione [1516] passata prossima ed a lui successe in tutti i suoi  dominî e regni la serenissima Regina donna Giovanna, sua figlia legittima e naturale, nonché il cattolico ed invittissimo Re Carlo, della stessa regina Giovanna figlio primogenito e naturale. Così fu ed è la verità. 

«Del pari, si afferma che al fine di prestare il debito giuramento e l’omaggio della dovuta  fedeltà e del vassallaggio, nonché di ottenere l’investitura della predetta terra e castello, con tutti i suoi diritti e pertinenze - tanto per la morte di Re Ferdinando, di gloriosa memoria, quanto per la morte del proprio padre - seriamente creò ed istituì suo procuratore il magnifico illustre Artale de Tudisco, come risulta dalla procura agli atti dell’egregio notaio Giovanni de Malta, in data 26 del presente mese di gennaio VII^ Ind. 1519.

 

«Testi ricevuti ed esaminati nell’ufficio del Protonotaro del Regno a richiesta ed istanza del magnifico don Giovanni del Carretto, figlio legittimo e naturale del quondam magnifico don Giovanni del Carretto, al fine di prendere l’investitura della baronia di Racalmuto, tanto per la morte del Re Ferdinando, di gloriosa memoria, quanto per la morte del magnifico Ercole del Carretto, suo padre e signore di detta terra.

[...]

«E’ da sapere come fra gli altri capitoli del testamento del quondam spettabile Ercole del Carretto, barone della terra di Racalmuto, vi è l’infrascritto capitolo.

 

«Nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, amen. Nell’anno dall’incarnazione 1517, nel mese di gennaio, il giorno 27, VII^ indizione, in Racalmuto e nel castello del magnifico e spettabile signor Ercole del Carretto [si raccolgono le ultime volontà testamentarie], accese tre candele verso la quinta ora della notte.

[ ...]

«A tutti e singoli i chiamati ad ispezionare seriamente, vedere e leggere il presente atto pubblico, sia evidente e noto che esso fu redatto da me  notaio, con i testimoni infrascritti,  presso il castello della terra e baronia di Racalmuto nel Regno di Sicilia.

 

« Si è costituito il magnifico signor Cesare del Carretto quale procuratore  del magnifico e spettabile signor don Giovanni del Carretto, signore e barone della predetta terra e baronia di Racalmuto, figlio primogenito, legittimo e naturale del magnifico e  spettabile quondam signor Ercole del Carretto, morto di recente nella detta terra e dipartitosi da questa vita adempiendo tutte le formalità necessarie per conferire alle sue ultime volontà la totale validità. 

 

«Peraltro, con pubblico strumento redatto in carta membrana, sono state espletate le conseguenti formalità  in modo solenne presso la città di Napoli il primo marzo VI^ indizione 1518 per mano del nobile ed egregio Bartolo Carloni della stessa città di Napoli, abilitato notaio per tutto il regno di Napoli .

«Di tal che è stato preso, recepito e tenuto  - così come si prende, si recepisce e si tiene - il naturale, reale e corporale possesso della predetta terra e baronia di Racalmuto per tatto e tocco delle chiavi del castello della stessa terra e baronia, nonché della porta e del cantone  dello stesso castello, aprendo e chiudendo, entrando ed uscendo dal castello ad libitum senza l’opposizione di alcuno.

«Se ne attesta quindi il possesso con tutti i singoli relativi diritti e pertinenze. E se ne redige atto in segno di vera presa del possesso naturale, reale e corporale della predetta terra e baronia, con tutti i singoli suoi diritti e pertinenze, acquisendone l’integrità dello stato della stessa terra e baronia sotto il profilo del dominio, quale configuratosi con le sue spettanze e pertinenze giusta la forma, la serie ed il contenuto dei privilegi della ripetuta baronia.

 

«E continuando nella presa di possesso, fattane l’acquisizione, il procuratore mutò e depose nella detta terra gli ufficiali; in essa quindi nominò altri ufficiali e cioè: innanzitutto istituì e nominò capitano della medesima terra Nardu lu Nobili; giudice il nobile Scipione lu Carretto;  giudice ordinario e militare, il magnifico signore don Paolo de Mistrectis.

 

«Del pari, nominò Giurati: Enrico lu Nobili; Pietro d’Acquisto, Vito Taibi e Andrea Gulpi. Come Castellano del predetto castello fu chiamato il magnifico signore don Giovanni Benigno de Tudisco; come Segreto,  il magnifico Silvestro de Urso; come Maestro Notaro il magnifico Gilberto de Tudisco.

«E per segno di quanto precede, il predetto procuratore - a tal ultimo titolo - fece redigere il presente atto pubblico da valere per ogni luogo e tempo.

 

«Testi: il magnifico Matteo del Carretto, il magnifico Jo: Artale Tudisco, il magnifico Teseo de Torres ed il nobile Giacomo de Alletto.

«Dai miei atti, notaro Antonino Quaglia agrigentino»

«26 gennaio VII^ Ind. 1519

 

«Il magnifico don Giovanni del Carretto, barone e signore della terra di Racalmuto, presente innanzi a noi, spontaneamente - con  ogni miglior modo e forma con cui più preclarmente può essere detto e fatto - costituì, scelse, creò e solennemente nominò come suo vero ed indubitato procuratore, attore, nunzio speciale il magnifico Giovanni Artale Todisco.

«Questi, presente ed accettando l’onere della infrascritta procura del tutto volontariamente, compare a nome e per conto  e parte del predetto magnifico costituente dinanzi l’ill. signor Viceré  per prendere l’investitura della terra e baronia con relativo castello di Racalmuto, nell’integrità del suo stato e nella pienezza dei suoi diritti e pertinenze, sia per la morte di Re Ferdinando, di gloriosa memoria, sia per la successione delle invittissime cattoliche maestà, la regina Giovanna ed il Re Carlo, signori nostri invittissimi, e sia per la morte del quondam magnifico Ercole del Carretto, il di lui padre.

«Al contempo, il procuratore, in nome e per parte del predetto magnifico mandante, si presenta per prestare il giuramento e rendere l’omaggio di debita fedeltà e vassallaggio nelle mani dell’illustre e potente signore viceré, nonché per svolgere quant’altro occorra per prendere la predetta investitura, non mancando il detto magnifico mandante di obbligarsi  sotto vincolo di ipoteca etc.  Così giurò etc.

« Testi: nobile Pietro Pasta e magnifico Vito Paladello.»

 

Da questo processo, che - pur nella sua contorsione - è il meno complesso dei processi d’investitura dei del Carretto, emergono due o tre istituti molto peculiari del diritto feudale della nostra terra di Racalmuto:

1.              Diritto dei baroni all’amministrazione della giustizia. Un secolo dopo, il pingue vescovo di Agrigento Horozco cerca pretestuosamente di contrastarlo, fingendosi paladino di un omicida, il  chierico Jacobo Vella.

2.              Diritto alla destituzione e nomina di tutte le cariche, civili e militari, di Racalmuto. I Tudisco, i Promontorio, i Piamontesi, i Neglia, i Puma, i Nobili, gli Acquisto, i Taibi, i Fanara,  i La Licata, i Gulpi, i Rizzo, i Morreali, i Vaccari, i Capobianco etc. hanno, tra il XIV ed il XVI secolo possibilità di farsi apprezzare dagli stravaganti baroni di Racalmuto: ne diventano fiduciari; spesso si arricchiscono alle loro spalle; in ogni caso attecchiscono nella fertile terra del grano. Poi tanti svaniscono nel nulla. Qualcuno resta tuttora, ma senza più il ruolo di profittatori del regime.

3.              Non emerge ancora un chiaro affermarsi del diritto al terraggio ed al terraggiolo [prestazioni in natura da parte dei coltivatori delle terre del barone, nel primo caso, e fuori la baronia, nel secondo - stando almeno alla volgarizzazione della fine del Settecento].

4.              Il mero e misto imperio  dei baroni fa capolino nel Cinquecento, ma piuttosto tardivamente.

 

Giovanni III del Carretto eredita la boronia di Racalmuto qualche tempo prima dell’iniziale investitura; alla morte del padre Ercole e cioè il 27 gennaio (o un paio di giorni dopo) del 1517. Il 16 marzo di quell’anno il neo barone manda come suo procuratore Cesare del Carretto per la formale acquisizione della baronia.  Il relativo atto viene stilato con rogito del notaio Bartolo Carloni di Napoli in data 1° marzo 1518. Il successivo 26 gennaio 1518 nomina procuratore il già detto Giovanni Artale Tudisco per gli adempimenti presso la curia vicereale di Palermo. L’investitura risulta definita il 31 gennaio del 1519. “Fiat investitura” la nota finale del processo. In una ricostruzione del 1558 si dice che Giovanni fu costretto all’investitura “per la morte del cattolico ed invittissimo re Ferdinando di gloriosa memoria e per la successione delle cattoliche maestà la regina Giovanna ed il re Carlo”. Adempimenti che comportavano aggravi fiscali in prima battuta per il barone, ma per ricaduta sui malcapitati nostri compaesani del ‘500. E poi si vuol far credere che i grandi eventi della storia non avessero incidenza sulla villica popolazione racalmutese!

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