sabato 26 dicembre 2015


FATTI E MISFATTI, FACCENDE E VICENDE RACALMUTESI

 

Il 1622 fu anno fatale per Racalmuto: sarà vero, non sarà vero, fatto sta che il pressoché impubere Girolamo del Carretto vi rimise la pelle. Per malattia, come noi pensiamo, per mano omicida di un servo, come tutto Racalmuto ha voglia di credere, poco importa. La peste è alle porte: Marco Antonio Alaimo a Palermo si diletta di letteratura latina e trasforma gli antichi saggi romani in maestri incommensurabili di medicina. Beatrice del Carretto, giovane vedova e bella ereditiera, forse tresca con il cognato arciprete, figlio illegittimo dell’irrequieto Giovanni Del Carretto.

Il popolo soffre e tace: ma qualche tratto di penna cade nei registri della Curia Vescovile, a discreta memoria futura. Cataldo Morreale è racalumtese ma chissà perché langue nelle carceri (pare, personali) di tal Raffaele Gnandardone; e così Paolo La Licata, figlio di Pietro. Il vescovo viene a saperlo; se ne intenerisce (forse per denaro) e ne dispone “gli arresti domiciliari”. Ecco quel che oggi possiamo leggere nei sotterranei della Curia Vescovile di Agrigento:

REGISTRI  1622 et 1623

f. 181

 Eodem ( die 21 9bris VI ind. 1622)

Pro Cataldo Monreale Terrae Racalmuti ad presens carcerato in domo Raffaelis Gnandardone, et Paolo la Licata Petri terrae praedictae ad presens carcerato in Castro ..

ANNOTATO provvisus et mandatum ... quod isti Cataldus Monreale et Paulus La Licata habeant facultatem et licentiam non obstante clausola contenta in prox.a accedendi ad terram Racalmutiibique commorandi per dies quatuor a crastina die numerandos trium et dumtaxat ..                                                                         \

 

La giustizia curiale agrigentina era, diciamolo pure,  compiacente con gli ottimati racalmutesi. E Laura Barba poteva allora vantare accondiscendenze episcopali, atte ad avere il sopravvento su Martino Curto, che non era poi l’ultimo venuto, anche se qualche vezzo usuraio dovette averlo. Una Laura Barba ubbidiente al marito fino all’autodistruzione della propria cospicua dote, non ci pare del tutto sincera. Non vuol essere spergiura e con palese menzogna si prostra al Vescovo per intenerirlo e farsi assolvere dai giuramenti (in campo economico) profusi in azzardate operazioni finanziarie.  Il Vescovo ha voglia di crederle: noi, francamente, no. Al nostro paziente (eventuale) lettore lasciamo il destro di credere a chi voglia.

 

Die 26 novembre 1622 (f. 188)

 Nos Dilecte nobis in Xristo Laurie relictae quondam Antonini Barba Terrae Racalmuti agrigentinae doecesis salutem . Fuit nobis ex parte tua supplicatum .. ut nos provisum sub forma sequente Videlicet.  ... Laurea relicta dello quondam Antonino Barba della terra di Racalmuto espone a V. S. Ill.ma che non potendo resistere essa esponente alla violenza et timore di detto suo marito fu costretta in tempo di sua vita tantum per vim et metus concussam quantum reverentia maritali obligarsi quantum debitoris di detto suo marito con gravissima et enormissima lesione con prejudizio della sua dote, sicome si obbligao contra sua voglia in solidum con dicto suo marito ... di onze 1. 15 di rendita dovuti et da pagarsi ogni anno a Martino Curto. In virtù di questa subjugatione fatti nelli atti di notaro Simuni Arnuni di Racalmuto …  et anco detto suo marito la fece obligarsi ad una venditione di certi casalini venduti a D. Giuseppe Sanfilippo. In virtù di questo fatto all'atti di notar Natali Castrogiovanni die 20 octobris XV Ind. 1616 et più la feci obligari sicome lo obligao in una permutatione, et cambio di una vigna di detto suo marito con una vigna di Angilo ...... per la quale permutatione essa esponenti si acollao pagare in solidum con suo marito o. 1 ogni anno allo Convento di S. Maria di Gesù di Racalmuto. In virtù di questo fatto nelli atti di notaro Simuni Arnuni di Racalmuto et similmente la fece intervenire et obligare a certi terraggi dovuti a Fabricio di Trapani. In virtù di questo fatto nelli atti di notarr Natali Castro Gio: dicti et anco in  uno altro contratto debitore di onze 40 dovuti ad Angelo Duno (?) In virtù di ... li quali obligationi benche de jure siano nulli et nullissimi tutta volta a maggior cautela pretende detti atti far dichiarare invalidi et nulli et rescindere  et obstandoli li giuramenti prestati et contenuti in detti contratti li quali non devono esser vinculo di iniquita per tanto non resultandoli tanto grave preiudicio  et interesse di sua dote della quale non può ne deve restare indotata de iure. Supplica perciò V. S. Ill.ma resti servita ordinazione che sia absoluta da tutti et singuli iuramenti in genere et in specie facultate et expresse presbiti et presentem ab illo iuramento  petendo absolutionem et ea obtenta non  ... ad effectum agendi  et concederli ditta absolutione . In forma ... Agrigenti die 8 novembre VI ind. 1622. Ex parte  fuit provisus et .. quoad absolvatur ab omnibus et singulis iuramentis in genere et specie presbiteris ad effectum agendi tunc et dumtaxat ....

 Non erano tempi quelli in cui i Curto riuscivano ad intessere buoni rapporti con il vescovo di Agrigento. Una condanna in contumacia se la becca Antonino Curto fu Bartolo. Il vescovo dà incarico al locale Vicario per l’esecuzione dell’episcopale afflizione.

(f. 191) die 29 novembris 1622

Contumacia Antonini Curto quondam Bartholi terrae Racalmuti et tali fermiter  huius episcopi ... agrigentinae diocesis directa R.do Vicario d.ae Terrae

Di casa sul colle vescovile era ovviamente il chierico, già ricco, famoso e felicemente sposato. Ha voglia di andare in giro in abito clericale. Fa voti al vescovo ed il vescovo è ben felice di esaudire il mistico desiderio del pittore racalmutese. 

Die 29 dicembre 1622 (f. 213)

 

Nos dilecto in X.sto filio Cle: Petro d'Asaro terrae Racalmuti. quia ex parte tua fuit nobis suplicatum ut tibi observaternales (') litteras ... licentia abitum clericalem insumendi ac gerendi  expositis  concedere digneremeur ideo fuit  per nos ad relaciones .....

in dorso memorialis ebibis  quod fiant ... in forma ut sequitur .. Bonincontro  ... filio Petro de asaro d.ae terrae Racalmuti salutem  ... ex parte tua fuerit nobis .. expositum quod cum fueris

 

Il 5 febbraio 1621 s’erge già imponente l’attuale Matrice intitolata a Santa Maria dell’Annunziata: certo non era ancora il tempio a tre navate che oggi contraddistingue Racalmuto e quella strana svolta del corso principale che gli ottocenteschi massoni racalmutesi hanno voluto dedicare all’eretico ed ostile Garibaldi. Ma non era più l’ecclesiola degli anni ’40 del 500. Vi officiava anche don Santo d’Agrò, e se pur accarezzava il sogno (lugubre) di farsi seppellire sotto il primo altare della navata laterale, non si può dire che avesse tutti quegli alumbiamenti che dopo gli appioppò, infondatamente, Leonardo Sciascia. Vicino c’era già un altare che veniva servito dai confrati di S. Giuseppe. E sotto la detta data del 5 febbraio 1621, quel sodalizio (confraternita senza dubbio della buona morte) ottiene dal dottor don Gabriele Salerno (U.I.d. e vicario generale) tanto di bolla episcopale che avrà reso felice il Governatore (della religiosa confraternita, s’intende) Francesco lo Brutto ed i notabili (i confrati “officiali”) Jacobo Grillo, Benedetto Troyano, Girlando Gueli e Vincenzo Macaluso. «Cupientes – scandisce oltremodo solennemente, il Salerno – vobis  [concediamo] licentias et facultates .. fundandi ac oratorium costruendi sub titulo S. Joseph, sacchos et mantellos apportandi et deferendi in processionibus et exercitia spiritualia exercendi in dicta ecclesia S. Mariae Annunciatae in cappella S. Joseph …»  Saremmo stati veramente curiosi di vedere questi nostri secenteschi antenati, tristi e compunti, nelle sacre processioni e goderci lo spettacolo di codesti allucinati figuri nei loro lunghi “sacchi” e con quelle azolate mantelline, mistificante sagra di un contristato rito religioso con attori poco sinceri, reduci forse da orge vinaiole consumate nelle tante “putie di vino” nei bassi del Castello o negli anfratti di Zia Betta.

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