sabato 26 dicembre 2015


L’arciprete don  Gerlando d’AVERNA


 

Presso l’Archivio Segreto Vaticano si rinviene l’antica bolla di nomina ad arciprete di Racalmuto di don Gerlando d’Averna. Il documento pontificio è una bolla che trovasi nei “Registri Vaticani: Bullae n.° 1911” -  ff. 211-212v. Esso investe appieno la storia della Matrice di Racalmuto.

Il quadro che emerge - se si può essere sinceri - non pare tanto onorevole per la storia della chiesa, anche se la storpiatura della nostra attuale visione appanna una obiettiva valutazione.

E’ strano che sia occorsa addirittura una lunga bolla di papa Pio IV per assegnare il rettorato dell’arcipretura di S. Antonio di Racalmuto al sac. d. Giurlando d’Averna. Non edifica molto quell’intrigo tra il Sallustio, il chierico Cesare ed il suo procuratore, il chierico Natale Remondino (forse neppure siciliani, certamente non racalmutesi), un intrigo che  ha un vago sapore di simonia[1]. Tutto sommato, impallidisce la figura dell’investito Giurlando d’Averna che pure viene designato come uno che può vantare «vitae ac morum honestas aliaque laudabilia probitas et virtuum merita, super quibus apud nos fide degno  commenda[tur] testimonio». E su tale aspetto si ritorna dopo, quando il papa dichiara: «Nos tibi premissorum meritorum tuorum intuitu specialem gratiam facere vol[umus]». Sono - mi pare - stonature nel contesto della Bolla e mi richiamano le battute che nell’ottocento l’avvocato dell’arciprete Tirone si permette di declamare nell’attacco contro i Savatteri nella controversia sul beneficio del Crocifisso. «Chiunque - scrive a pag. 10 l’avv. Giuseppe de Luca, se non ispirato, di certo non contraddetto dal colto arciprete Tirone [2] - ha familiarità dello stile delle Cancellerie della Curia Romana ben conosce il modo rituale come si ottengono le grazie. Per le dispense, che la detta Curia deve impartire, bisogna accennare ad un motivo che coonesta la grazia che si chiede. In mancanza di legitima causa si specola una ragione qualunque che avesse onesta apparenza, che vera o falsa si fosse rientra nel demanio dellla coscienza del petente

Si è potuta rintracciare quella Bolla pontificia dopo una difficoltosa consultazione degli schedari Carampi dell’Archivio Segreto Vaticano: non era facile reperirla e per la sua periferica rilevanza non risulta pubblicata da alcuno.

Il Giurlando d’Averna - figura che interessa personalmente, visto che quel cognome si è poi mutato a Racalmuto in Taverna - appare reiteratamente nei primi registri parrocchiali di battesimo della Matrice di Racalmuto.

Il documento pontificio non collima perfettamente con le annotazioni del “Liber in quo adnotata reperiuntur nomina plurimorum Sacerdotum  ..”  del 26 marzo 1638, in atti della Matrice.

Al n.° 3 abbiamo: «D. Gerlando D’Averna - Arciprete anno 1554». Credo che gli estremi siano stati presi dai primi fogli degli atti di battesimo che in effetti recano - ma con scrittura postuma  - quell’anno. Ma è datazione inattendibile, specie se consideriamo i tempi d’attuazione delle disposizioni del Concilio di Trento in ordine appunto alle registrazioni dei battesimi. Dobbiamo far dunque differire al 1564 quei documenti della Matrice. In tal caso, non vi è contraddizione tra la Bolla pontificia ed il dato del “Liber”.

Il D’Averna fu arciprete - o rettore - di Racalmuto sino alla metà degli anni ‘70: a partire dal 1579 è arciprete di Racalmuto don Michele Romano. Trovo nelle registrazioni degli atti della Matrice un dato che riguarda  il D’Averna sotto questa data:

164
21
5
1576
Gerlando di Averna

 

Non so, però,  se si riferisca al rettore della Bolla.[3]

Sintetizzando, si può sostenere che d. Giurlando D’Averna - proveniente forse da Agrigento - fu rettore dell’arcipretato di S. Antonio di Racalmuto dal 13 di novembre del 1561 sino al 1576 (probabile anno della sua morte).

E’ singolare che nella doviziosa documentazione su d. Gerlando d’Averna che si rinviene nei registri parrocchiali di battesimo del 1571, egli non sia mai indicato con il titolo di Arciprete.

Rimase allora semplice rettore di Racalmuto? E tale rimase per aggirare quella esosa pensione al Sallustio che il Vaticano voleva imporre sulla parrocchia racalmutese ad onta di ogni consuetudine e diritto della Legazia Apostolica siciliana? E saremmo tentati di rispondere affermativamente.

Il nobile Girolamo Russo, marito della figlia spuria di Giovanni del Carretto.


 

E’ certo che le vicende arcipretali di Racalmuto sono condizionate pesantemente dai Del Carretto. Sotto il d’Averna, più che il conte – che gozzoviglia in Palermo – è il genero Girolamo Russo a vessare il nostro paese, ed in definitiva anche la relativa arcipretura. Codesto Russo, pur nobile, non mancò di sposare la figlia illegittima del conte di Racalmuto, Elisabetta. Si trasferì nel castello chiaramontano come locale governatore e, a credere alle lagnanze del pingue presule Horozco, tiranneggiò sul popolo, sui preti e sui chierici.

Sul genero del conte Giovanni siamo in grado di fornire qualche cenno anagrafico, desunto dai registri della Matrice.                                                                                                                                                                   

ATTI DI BATTESIMO (Battesimo di tre bambini del nobile Russo)
data di battesimo    Cognome              Nome            Paternità                 Maternità    

                                                                                                                                                                             
3 luglio 1596           RUSSO        Francesco Maria  Girolamo sig.           Sabetta, donna               
  3 luglio 1598           RUSSO        Margherita           Gironimo don          D.a Elisabetta                                          

10   gennaio 1600          RUSSO        Giuseppe              Gerolamo, don        Elisabetta                      
Padrini dei battesimi sono i coniugi Vincenzo e Caterina Piamontesi.»

La vicenda feudale dei del Carretto della seconda metà del Cinquecento  ha alcuni momenti solenni negli estremi dei Processi che si celebravano a Palermo.  Al fine di meglio inquadrare la vicenda di d. Gerlando d’Averna, possiamo qui segnare i seguenti stralci:

1560 [4] Fino al gennaio del 1560 è barone di Racalmuto Giovanni del Carretto.  Gli succede Girolamo del Carretto, come si evince dai tanti riferimenti di quel particolare processo feudale che trascriviamo in calce. [5]

 

Importante è il testamento di Giovanni del Carretto per le implicazioni nella storia delle chiese di Racalmuto.

1584 Gli atti del processo interessano il passaggio, per successione, dal neo conte Girolamo al figlio Giovanni del Carretto.

 

L’arciprete don Michele ROMANO


 

 

Gli succede nel 1578 d. Michele Romano che figura titolare effettivo dell’Arcipretura di Racalmuto  sino al giorno 28 luglio 1587, data della sua morte.

*  *  *

 

Negli anni 60-70 del XVI secolo ferveva a Racalmuto la controversia sul mero e misto impero del barone e sugli oneri del terraggio e del terraggiolo. I documenti del fondo Palagonia ci ragguagliano a tal proposito. Stralciamo da un diploma del 1580[6] del predetto fondo:

Die decimo quinto Januarij nonae ind. 1580. Cum infra universitatem terrae Racalmuti et spectabiles et illustres dominos Barones terrae eiusdem, et antecessores illustrissimi domini D. Hieronymi de Carrettis comitis terrae predictae …….. [segue in nota [7]]

Illustrissimo et eccellentissimo Signore, Bartolo Curto, Pietro Barberi, Giacomo Capobianco, Angelo Jannuzzo, Antonuzio Morreale, Cola Macaluso, Pietro Macaluso, Antonio Lo Brutto, Vito Bucculeri, Pietro d’Alaymo, Joan Vito d’Amella, Antonio Gulpi e Giacomo Morreale, li quali furo deputati eletti per consiglio congregato circa la questione e lite vertenti tra l’altri, e l’illustris.mo Conte di Racalmuto in la R.G.C. esponino a Vostra Eccellenza che sono più anni che in detta R.G.C. ha vertuto lite fra detto conte e suoi antecessori in detto contato ex una, e li Sindaci di detta terra ex altera sopra diversi pretenzioni, particularmente addutti nel libello, e processo fra loro compilato per li quali intendiano detti Sindaci essere esenti, e liberi di certi raggioni e pagamenti, come in detto processo si contiene, e poichè s’have trattato certo accordio fra esso conte ed essi esponenti come deputati eletti per detta università circa le pretentioni predetti, e circa il detto accordio s’hanno da publicare per mano di publico notaro per comuni cautela dell’uno, e l’altro, e stante che è notorio che detti capitoli s’habbiano da publicare con vocarsi per consiglio onde habbiano da intervenire li genti di detta università, e la maggior parte di quella per ciò supplicano a V. E. si degni restar servita provedere che s’abbia a destinare uno delegato dottore degente in la città di Girgenti per manco dispendio (o di spesa) dell’esponenti, e benvista a V.E. il quale s’abbia da conferire in detta università di Racalmuto, ed in quella abbia da congregare consiglio si la detta università è contenta si o no di pubblicare il detto atto d’accordio, li quali si abbiano di fari leggiri per il detto delegato a tutte le persone che interverrano in detto consiglio per potersi stipulare il detto atto con lo consenso di tutta l’università, o maggior parte di quella - e restando l’esponenti d’accordio V.E. sia servita al detto delegato concederli autorità, e potestà di tutto quello e quanto sarrà concluso per detto accordio che possa interponere l’authorità, potestà, e decreto di V.E. e sopra questo possa interponere perpetuo silenzio, e decreto con tutte le clausole, e condizioni solite, e necessarie farsi in detti atti ut Altissimus.

Data Panormi die sexto octobris octavae Ind.s 1579 ex parte E.S. illustrissimi proregis  Magna Curio referat Hieronymus Carbonus Secretarius, et referendarius,…[segue in nota]…[8] fuerunt electi per dictum consilium prefati Antoninus Lo Brutto, et  Antonutius Morreale Sindaci et Procuratores universitatis predictae coram dicto consilio et coram dictis personis prenominatis [9] videlicet:

Capitoli dell’accordio si fà infra l’illustrissimo signor D. Hieronimo Carretto conte della terra di Racalmuto


 

 e per esso suoi figli utriusque sexus et suoi eredi e successori in dicto statu per lo quali si havi di promittiri di rato iuxta formam ritus di ratificari lu presenti contrattu à prima linea usque ad ultimam, ita che li masculi d’età sì habbiano da fari ratificari infra mesi due da contarsi d’oggi innanzi, e li minuri quam primum erunt maioris aetatis cum pacto et condictione che la persona che rathifichirà s’habbia d’obligare di rato per li suoi figli utriusque sexus, e cossì li figli di figli in infinitum intendo per quelli che haviranno di succediri in detto stato e terra di Racalmuto, e non altrimente ne per altro modo s’intenda detta promissione di rato ut supra di l’una parti, e Bartolo Curto, Pietro Barberi, Cola Capobianco, Angelo Jannuzzo, Antonuzzo Morreale, Cola Macaluso, Pietro Macaluso, Antonino Lo Brutto, Vito Bucculeri, Pietro d’Alaymo, Joan Vito d’Amella ed Antonio Gulpi eletto di nuovo per la morte dello quondam Jacobo Morreale, deputati eletti per consiglio circa la questione e liti vertenti tra lo detto illustre signor conti e l’università di detta terra in la R.G.C. ed altri differentij che tra loro sono stati, in lo quali accordio s’intenda e sia imposto perpetuo silentio:

           In primis perché è consuetudine ed osservanza nella terra di Racalmuto che tutti quelli cittadini ed abitaturi di detta terra che tenino gallini sono obligati ogn’anno darne una al Conte di detta terra per prezzo di grana dieci, e cossì quelli che tenino pollastri averni a vendiri una per prezzo di grana setti, e similmente di quelli che tenino galluzzi venderni uno l’anno per prezzo di grana cinque, per tanto stante la nova convenzione ed accordio fatto, si è convenuto ed accordato che tutti quelli cittadini di detta terra che teniranno gallini, galluzzi ò pollastri siano obligati vendiri una gallina, uno galluzzo ed una pollastra tantum l’anno al detto illustrissimo signor Conti e successori in detto contato in perpetuum, li quali abbia di pagari per prezzo di grana dieci tantum si è gallina quanto galluzzo ò pollastra, ed avuta d’una casata che terranno detti pollami, cioè quella pollame che si troviranno aviri delli sopradetti tre nominati, cioè gallini, pollastri ò galluzzi ò parti di quelli di quelli secundo la pirsuna, che quelli terrà pagati nel modo detto di sopra per una volta tantum l’anno, non pozza in detto anno detto signor signor conti pigliarci più altra pollame di quella che avirà comprato nel modo predetto nel presente capitulo, ita che quella persona cittadina ò forastera abitatura di detta terra che non avirà pollastri e gallini non sia tenuto à loco di quelli darci gallini se non tantum la gallina predetta ogn’anno come sopra detto.

           Item perché è antica consuetudine ed osservanza, et prohibizione potersi lavare nello loco d’undi currino li canali di la funtana di lo loco nominato lo fonti e la bivatura, e quelli che in tali lochi proibiti hanno lavato su stati incorsi in pena di onze 4.7.10 applicata detta pena le onze 4 allo barone che pro tempore sù stati ed al presente al Conte, e li tt. 7.10 a li baglij, per tanto stante la nuova convenzione ed accordio si patta e statuisce che ogn’anno s’abbia di promulgare bando per ordine di detto illustrissimo Signor Conte e suoi successori; lo detto bando di proibizione di lavarsi in detti lochi per lo quale si proibiscono tutti e qualsivoglia persone che siano in detta terra di Racalmuto di qualsivoglia stato grado e condizione che siano altro non eccettuato ne escluso eccetto che li genti di casa per uso di detto signor Conti, suo castello e casa, ma che tutti l’altri incorrono alla predetta pena delle onze 4.7.10 applicati del modo infrascritto, cioè delli tt. 7.10  alli Baglij tt. 3.15 e l’altri 3.15 abbiano d’entrare in potere delli magnifici giurati della detta terra, e cossì similmente pagandosi le dette onze 4 si debbano di partiri onze 2 à detto Conti ed onze 2 in potiri delli jurati, delli quali dinari di pena  che intriranno à detti jurati s’abbiano da fare tutte le spese e tutti consi e cosi necessarij di detta fontana ed aquedutti, nello quali loco si concede facoltà ad ogn’uno dell’università putiri denunciari la pena di quella persona che ci incorrirà, ita che li lavandari di detto illustrissimo signor conte lavando altre robbe di casa di detto illustre conte siano nella medesima pena nell’esazione, della quale pena sia data  l’autorità e potestà alli giurati presenti et qui pro tempore saranno di potere creare una persona deputata ogn’anno la quale habbia potestà d’esigeri auctoritate propria le sudette pene e pigliare in pena qualsivoglia persona che controverrà, la quale in fine anni anni aggia di rendiri alli giurati di detta terra justo e legali cunto della sua amministrazione e lo illustre conti non pozza impedire in cosa nessuna si non tantum et dumtaxat in la porzione che compatisce ad essole quale pene ch’entriranno ut supra d’erogarsi e spendiri tanto in la predetta fontana come in l’orologio ed altre cose in beneficio dell’università, ed in quanto alla pena di onze 4 relasciandoci il conte la sua parte, in tutto ò in parte s’intenda relaxata la parte competente alli jurati.

           Item ch’è solito e consueto li cittadini ed habitatori di detta terra havendo macina et potendo macinare alli molini del conte di detta terra aviri di macinari in detto molino di detta terra, e non à quelli di fora, stante la penadi tarì setti e grana dieci, per tanto stante la presente convenzione e concordia si statuisce perpetuamente che di qua innanti li cittadini ed abitatori di detta terra dalli quindici del mese di aprile per tutti li quindici del mese di ottobre possano e liberamente vagliano a loro libertà andari à macinari dove più li piaceet accomodo etiam in l’altri molini, che non siano del detto illustre conte, e delli quindeci del mese di ottobre insino alli quindeci del mese di aprile, cui delli detti cittadini ed abitatori vorrà andari à macinari al altri molina che non  à quelli del Conti fora lo territorio, ch’innanti siano tenuti ed obligati andare dove li piacerà a loro, ad uno delli molina di detta terra di detto conte, ed andando di giorno e trovando che li sia macina per tutto detto giorno, nello quale giorno, non pozza macinari, pozza e voglia liberamente andare dove li piacerà à macinare, e si andranno à macinari di notte, avendo detto molino macina per tutta la notte sudetta, nello quale lo detto cittadino non potrà macinare, pozza e voglia liberamente andare à macinare dove li piacerà absque incursu penae, come si è detto di sopra, e di questo se n’abbia di stare per lo giuramento dello cittadino ed abitatore della detta terra, e di questo se n’abbia di stare per lo giuramento dello cittadino ed habitatore della detta terra, ed allo garzone di detti cittadini ed habitatori di potere jurare, e si trovao o ritrovao macina per tutto quello giorno, per tutta quella notte, quando avirà andato à macinare in detti molini di detto signor conte, e che per avere ritrovato macina se n’andao ad altri molini di fora lo territorio di detta terra, e non osservando la forma di detto capitolo, incorrono nella sudetta pena, applicata conforme allo bando solito prumulgarsi, benvero che provandosi per testimonij non si stia allo juramento predetto si non alli detti testimonij, e questo s’intenda per l’altri molini, eccettuando li molina dello Raffo intendendo dello jorno della spunta del sole per insina ad ore ventidue, e la notte s’intenda dalli detti ore ventidue innanti.

           Item che è solito e consueto che li baglij tanto della terra come del territorio, le pene che fanno delli contravenzioni delli bandi ed osservantij e consuetudini di detta terra alle persone farli pagare senza testimonij, ma solo in caso di controvenzione dare solamente lo giuramento allo baglijo e per la pena dell’animali che fanno del modo detto di sopra, doviri essere solamente con la presenzia di un testimonio, per tanto per la convenzione e concordia perpetuo valituri si patta e costituisce che li peni del modo detto di sopra, che li baglij faranno alle persone nella terra, abbiano d’essere con uno testimonio, e mancando detto testimonio, non s’abbia da stare allo giuramento del detto baglio, ma allo giuramento di quella persona, che sarà presa in pena, e delli peni di fora della terra e suo territorio si stia alla consuetudine ed osservanza che al presente.

           Item perché è di consuetudine ed osservanza in questa terra, che qualsivoglia carne di bestiame grossa, che more fora la terra, e veni morta di fori, come bovina, e vacchina e di qualsivoglia altra bestiame, tanto salvatica, come domestica, non si poetere vendere per li cittadini ed abitatori di detta terra, senza che prima ne diano un quarto allo gabelloto della bocceria del conte di detta terra, per tantoper la presente convenzione e concordia si patta e statuisce che della bestiame bovina e vacchina che verrà morta di fuora stia in facoltà e libertà delli cittadini ed abitatori di detta terra padroni di detta carne, se vorranno dare lo quarto allo gabelloto della bocceria, ò vero darci denari quattro per rotulo alli bocceri, conforme alla gabella per tutta la quantità dello piso di detta carne, che venderà delli sopradetti animali morti di fora, come sono bovi, vacchi ed ogn’altro animale salvatico, ma in quanto all’altra bestiame minuta e domestica s’abbia d’osservare la consuetudine ed osservanza come è stato ed è al presente, e non li ptere vendere che non diano lo quarto d’ogni animali che disfarranno come sono crapi, becchi ed altra bestiame pecorina e poichè non fossero mortizzi, eccettuati li castrati, ed eccetto in lo caso preditto, che fossero mortizzi, sta che, li crapi e becchi si pozzano ammazzare come è stato sempre consuetudine ed è presenti intra la terra.

           Item in quanto alli Borgesi e Massari che siano esenti delle persone della giornata cossì per correri e carriare alla massaria musto ed altro cosi, e levarci bestij ed altri servizij, e delle manne [a.v.: manni] che si dunano a filari alli donne siano similmente esenti di tali gravizij, benvero li giornatari, bordonari ed altre genti che sono soliti locarsi alli servizij siano obligati serviri secondo l’osservanza e consuetudine di detta terra, e cossì ancora s’intenda per le donne, che solino filare e servire, benvero che quelli massari con tutto che siano massari e borgesi e farranno offizio di giornatari siano obligati servire non ostante che fossero massari e borgesi, quando che non aviranno à fare servizij in la robba loro, e che vorranno fare li fatti loro, e di questo similmente si ni abbia da stare allo juramento di detto cittadino ed abitatore di detta terra, si averà da afre uno servizio in la robba loro, ita che sia obligato detto signor conte pagarli sicome si pagano l’altri massari e borgesi, e similmente le donne pagarle il prezzo che li pagano l’altri, ita che le donne che non sono solite fare servizio stiano e non siano angariate per detto illustre signor conte, nè per suoi in futurum nelli cosi premissi, e l’altri che non fanno tale officio, e che fanno li fatti loro siano esenti e liberi, e cossì s’intenda per li bestij di quelli massari e borgesi, che fanno servizio ad altri, ch’in tal caso siano obligati servire come è di costume pagarci però li loro servizij, e detto signor conte sia tenuto di pagare per le cose premisse conforme sono solite pafare li massari di detta terra, ita che volendosi il conte servire delli giornateri e di qualsivoglia altra persona che si lochirà alla giornata per un giorno tantum, l’abbiano di servire senza pagare giornata alcuna, si non che siano franchi delli tt. due della giornata che tocca al conte delli tarì cinque della baglia per giornata, e volendosi servire d’altri giovani siano obligati servire del modo sopradetto dummodo che si debbiano pagare il giusto prezzo, che paghiranno l’altri di detta terra.

           Item stante l’animo bono che detto signor conte have ed ha avuto verso li suoi vassalli cittadini ed habitatori di detta terra, ci fà grazia che li terraggi  non esatti dall’anno sesta [1578], e settima [1579] indizione, e cussì tutti l’anni passati che forte apparisse dover avere detto illustre signor conte, terraggi nelli quali fossero dati li terri à più sommadi salme due di terraggio per ogni salmata di terra, che quelli terraggi che non si trovano allo presente pagamento s’abbiano da pagare à raggione di due terraggi per salmata di terre, cioè salme due di formento, e lo resto ci lo relasciao e relascia.

           Item perché è consuetudine in detta terra ed osservanza che tutti li cittadini ed abitatori di detta terra pagare la decima dello lino al detto Conte, per tanto stante la presente convenzione e concordia perpetuamente duratura, detto Conte li fà esente e libero di detta decima.

           Item perché è osservanza e consuetudine in detta terra non si potere scippare nessuna vigna che fosse nel territorio di Racalmuto, per tanto stante la presente  convenzione e concordia detto signor conte concede alli cittadini ed habitatori di detta terra alle persone che aviranno vigna in detto territorio, volendo quella seu  quelli fare scippare, li possano fari scippari avuta la licenza prima di detto conte, e relazione di esperti, e stimatore che mettirà la corte che quella vigna che vorranno scippare sia di doversi scippare, ed avuta tale licenza e relazione possano scippare detta vigna ad effetto di seminarsi e d’altri arbitrij , e che detti esperti abbiano di fare relazioni in scriptis cum juramento, acciò di detta licenza n’apparisse atto publico.

           Item perché è consuetudine ed antica osservanza in detta terra che ogn’anno eligersi e crearsi un rabbicoto[10], lo quale have eletto e creato detto conte e suoi antecessori baroni di detta terra, per tanto stante la presente convenzione e concordia si statuisce che ogn’anno le gente cittadini ed abitatori di detta terra possano per consiglio da tenersi dalli giurati di detta terra con licenza di detto conte e suoi successori eligersi tre persone cittadini di detta terra, à tale officio di rabbicoto ogn’anno, e di quelli tre eletti per detto consiglio lo rabicoto sia quello delli tre eletti per detto consiglio, lo rabbicoto sia quello delli detti tre sarrà confirmato per il conte il quale statim abbia di dare la pleggeria conforme alla prammatica.

           Item che è consuetudine ed osservanza in detta terra li baglij delli loro diritti e raggioni di peni cossì della gabella della baglia ed altri raggioni, ch’anno da costringersi li cittadini ed habitatori e loro debitori à farsi pagare le pene, per tanto per la presente concordia e convenzione perpetuamente duratura che per le pene gli baglij non possano pogliare formento nè altro loco sopra li bestij à nessuno, che poi non sia condannato per dette pene che domandano, e per quello che è condannato non pozza pagare se non lo giusto prezzo che have di avere per la presente in quanto allo pagare della baglia dritti di detti peni in denari s’osserva quello che per lo passato s’have osservato e per lo presente s’osserva, cioè cui è obligato pagare in formento, paga formento, e cui denari paga denari, e benvero che il cittadino ed habitatori di detta terra per tutto lo giorno di S. Vito per ogn’anno, ed offerendo per detti causi pagarsi denari non sia tenuto nè obligato pagare formento.

           Item perché è antica consuetudine ed osservanza in detta terra di tutto lo musto che si inchiude in detta terra e suo territorio pagare alli baroni che pro tempore sù stati ed al presente al conte, per ogni botte di musto tarì tre per botte nominayi li grana, e perché la botte di detta terra è la misura di quartari venti, pertanto per la presente concordia e convenzione si patta e statuisce che lo musto lo quale s’inchiuderà in una stipa, che fosse la caputa di quartari ventinove abbasso insino alli venti che detta ragione di grana di tale stipa s’abbia da pagare tarì tre, ed arrivando à quartari trenta, s’abbia da pagare per una botte e menza; se più di detti quartari trenta in suso fosse detta stipa di caputa, che dettaraggione di grana s’abbia di pagare quel tanto più che toccherà di caputa di trenta quartari e di quartari venti à basso la detta raggione si debbia pagare conforme alla consuetudine ed osservanza, che è allo presente, ita che per la quantità dello musto in detti stipi s’abbia di stare allo giuramento delli padroni di detto musto, ita che provandosi lo contrario tali padroni siano in pena di onze quatro d’applicarsi all’erario [a.v. thesoriere] di detto conte.

           Item perché è antica consuetudine ed osservanza in detta terra, li cittadini ed habitatori di quella per li raggioni di semina, arbitrij e massarie, che fanno e seminano in altri lochi e feghi fora dello territorio di Racalmuto pagare allo barone, che pro tempore sù stati in detta terra, ed al conte ch’al presente è quella quantità medesima per raggione di terraggio[11], che pagano alli padroni che ci dunano detti terri, si come per lo presente si paga, per tanto per la presente convenzione e concordia si patta, e perpetuamente statuisce, che li cittadini ed habitatori di detta terra, li quali farranno li loro arbitrij di massaria e seminari in altri lochi, feghi e territorio ultra lo fego di Racalmuto, che per raggione di tirraggio detto di fora [sott. ns.] tantum et dumtaxat, abbiano e deggiano pagare due salme di formento per ogni salmata di terra, che seminiranno, e se le terre, le quali fuora di detto territorio di Racalmuto pigliranno à seminare s’havessero dalli padroni per più terraggio, e per gran somma che fosse, non possano né siano costretti né tenuti pagare più che la detta somma di salme due di formento per ogni salmata di terre che semineranno, perché lo resto detto signor Conte si contenta farcini grazia e relasciarcilo; e quando realmente e veramente senza nessuna malizia nè fraude di qualunque modo si potesse commettere li detti cittadini ed abitatori, trovassero terre aà terraggio delli patroni che darranno le loro terre à seminare che per mera raggione di terraggio pagassero manco di salmi due di formento per ogni salmata di terre semineranno, quel tanto manco che sarrà delli salme due pattati per ogni salmata di terre abbiano di pagare allo detto conte di detta terra, ita che dette persone non aggiano nè debiano fraudare terraggio, nè fare collusione alcuna directe vel indirecte, tacite vel expresse, e fraudando detto terraggio facendo collusione, incorrono in quella pena, che lo conte ordenirà per suoi bandi, alli quali bandipromettino stare ed acquiescere.

           Item che è antica consuetudine [12] ed osservanza in detta terra li cittadini ed abitatori di quella che tanto intra lo territorio di Racalmuto, quanto fora di detto territorio, seminano intra chiusi loro appatronati, pagare allo conte, come per lo passato hanno pagato alli baruni che pro tempore sù stati in detta terra li terraggi di dette chiuse loro appatronate, che hanno seminato e semineranno, cioè intra la baronia e contato di Racalmuto, à raggione di un terraggio per salmata di terre, in li chiusi fora lo territorio della baronia e contato predetto, per tummina otto di  terra che semineranno ed hanno seminato pagare à raggione di salma una di formento per salmata di terra, e tummina otto di formento per tummina otto di terra, per tanto per la presente convenzione e concordia perpetuamente si patta e statuisce sopra questa raggione di terraggio di chiuse dentro e fuora territorio, pagare sicome per lo presente si ha pagato ed osservarsi l’osservanza e consuetudine in detto terraggio di chiuse dentro e fora territorio.

           Item che è antica consuetudine ed osservanza li cittadini ed abitatori di questa terra di Racalmuto, che fora dello territorio di detta terra averanno maisi, ristucci ò li vendono à forasteri di quelli che non obstante non seminano pagarni lo terraggio come hanno pagato alli baroni che pro tempore sono stati ed al presente al conto, per tanto per la presente convenzione e concordia si patta e statuisce che li cittadini ed abitatori di detta terra, li quali fora di detto territorio di Racalmuto ed altri terri, lochi e feghi, che aviranno maisi e li venderanno à forestieri, che per detti maisi aviaranno avuto le terre a due terraggi o più di detti non li pagano, né debbiano pagare più di salme due di formento per ogni salma di terre di detti maisi e restuccie, e si per manco per ogni salmata di terre di dette maesi e restuccie haviranno havuto le terre per manco siano obligati pagare li dui terraggi non innovando cosa alcuna della consuetudine e confirmandosi nel modo del pagamento di lo terraggio con la promissione del capitolo della paga dello terraggio di fora.

            Item perché è di consuetudine ed osservanza in questa terra di Racalmuto, che li cittadini ed habitatori di quella in lo territorio e fego di Racalmuto e di Garamuli nello metiri putirici teniri li loro bestij somerinini et bestij grossi che s’osservano del modo e dorma che al presente si costuma ed è consuetudine.

           Item per la presente convenzione  e concordia il signor conte si ha contentato e cossì patta e statuisce perpetuamente che li genti ed habitatori di Racalmuto patroni di loro vigne e chiuse andando a lavorare le dette vigne e chiuse per lo tempo statuito solito e consueto che per tale effetto li cittadini predetti ponno portare le loro bestiame lavoratori, si concede ch’essendoci vacche lavoratori con le quali lavoreranno dette loro vigne e chiuse e dette vacche lavoratori avessero vitelli  loro figli, quelli detti cittadini ed habitatori di Racalmuto lavorando loro proprie vigne e chiuse possano liberamente portarceli si averanno insino al numero ò vacchi selvatichi ò ienchi mannarini se li concedi che li pozzano portare e teneri del modo che si ha detto di sopra.

           Item perché è antica consuetudine ed osservanza in detta terra e territorio di Racalmuto  li cittadini ed habitatori di quella ed altri genti che in detta terra e territorio vendessero li loro beni stabili senza licenza delli baroni, che pro tempore sù stati ed al presente del conte incurriri in la pena di perdiri detti beni, e perché si ritrovano al presente alcuni beni stabili in detta terra e territorio venduti senza ottenere licenza del conte, onde sono incorsi nella caducità et omissione [a.v.: dimissione] di detti beni, per tanto per la presente concordia e convenzione, stante che detto signor conte graziosamente li relascia et li dimitti la pena  delli detti beni venduti senza licenza, in la quale hanno incorso, perpetuamente si patta e statuisce che la detta osservanza e consuetudine di non potere vendere detti beni stabili esistenti in detta terra e territorio senza licenza di detto signor conte si habbia di osservare, e cossì per la persente convenzione e concordia si patta e statuisce che detti beni stabili in detta terra e territorio di Racalmuto non si putiri vendiri senza espressa licenza di detto signor conte; ed havuta la detta licenza pagare la debita raggione di censi.

           Item perché sole succederi spessissime volti persone poco timorose di Dio e di la loro coscienza per travagliare ed interessari ad altri accusarli indebitamente, pertanto s’abbia da supplicare à S.E. e Regia G.C. che si degni concedere che si possa ordinare e statuire si come per la presente convenzione e concordia obtenta licentia predicta e non altrimente si ordina e statuisce perpetuamente che accusando alcuno à qualche persona ch’elessi li termini e non facta probazione legittima di la continenzia di la causa, statim elassi li termini e non fatta probazione contral’accusato, pozza farsi tassare le spese per lo mastro notaro per la somma tassata farsila pagare di l’accusaturi  contra lo quali si pozza procedere realiter et personaliter absque  quindena e che in questo non si abbia d’osservare l’atto novissimo fatto per S.E. nella R.G.C.

           Item che è consuetudine ed accordio che l’una e l’altra parte, cioè che tanto detto illustre conte, come li sindachi ed università preditta ad invicem si relasciaro e rimettino tutte le spese fatte usque ad hiernum diem per le sopradette liti in judicij et extra, benvero che declararo e declarano le presente spese essere alla somma di scudi ventimila per ogn’uno, e volsero e vogliono che tentando e volendo tentare detto illustre conte o suoi figli eredi e successori in detto stato in perpetuum alcuna cosa directe ò indirecte, per sè, nec per submissas personas, contra la forma, continenzia e tenore del presente contratto d’accordio, seu d’altra cosain quello contenta, tali casu che s’intenda ipso jure et ipso facto condannato à pagare dette spese alla detta università; né possano essere intese un cosa alcuna nisi prius solutis dictis expensis; e similmente contravvinendo ipsi sindaci che non possano essere intesi nisi facta soluctione predictarum expensarum ad esso illustre conte seu suoi heredi e successori in perpetuum perché cossì volsero ex pacto cum juramento firmato.

           Item e qualsivoglia altre prerogative, consuetudini, osservanzij, preminenzij, jurisdizioni, immunità, franchizzi, servitù e libertà cossì civili come criminali soliti e consueti osservanzii non previsti nè statuti  nè fattane espressa menzione per li presenti capituli, convenzione e concordia s’abbiano di guardare ed osservare nel modo e forma che sù guardati ed osservati al presente non innovando cosa nessuna ultra quelli portati e stabiliti per li presenti capitoli et etiam ex forma juris à detto conte e suoi successori competino e competiranno et similiter s’abbiano d’oservare in beneficio di detta università e dello conte e suoi successori.

           Item che per l’avvenire né in nessuno tempo s’abbiano nè possano metteri novi vettigali, servitù, angarie, e consuetudini per detto signor conte, suoi figli, eredi e successori in perpetuum eccetto che non si mettessero ed imponessero con solito ed universale consiglio more solito.

           Item che delli presenti capitulazioni e concordia se ne abbia da fare publico istrumento con tutte quelle clausole, cauteli, solennità debiti et necessarij, et quatenus opus est et non aliter nec alio modo se n’habbia di impetrare licenza, autorità e corroborazione si Sua Eccellenza e Regia Gran Corte e doppo della Mestà del Re nostro signore, le quali licenzie detto illustre signor conte procurerà e si forzerà impetrarle e fare ogni sforzo e debito suo, à sue dispese e non altrimente né in altro modo.

           Item che è antica consuetudine ed osservanza che li cittadini ed habitatori della terra di Racalmuto, che principalmente hanno in gabella tenuti di terra inclusi et strasattati, ed altri territorij per quanto importa pro rata la gabella delli dette terre seù territorij inclusi e strasattati, si patta e statuisce perpetuamente che di qui innanzi quella persona che ingabellerà tenuti di terre, che sia di salmi 50 di terre, non sia obligato se non pagare uno terraggio per salmata di terre di quello seminerà intendendosici in detta somma di salme 50 tutte le terre salvaggie che si troveranno in dette terre e territorij, ita che la gabellazione della detta tenuta sia e s’intenda ingabellata per una persona tantum e non per più persone ed ingabellandosi per più persone che siano obligati a pagare lo terraggio à salme due di formento giusta la forma dello capitolo precedente numero 13, ita che la terra selvaggia non sia più della terza parte, sopra questa fraude né collusione alcuna directe vel indirecte, tacine vel expresse, giusta la forma del capitolo n.° 13.

           Item che li predetti capitoli s’abbiano d’osservare in perpetuum tanto per detto signor conte che al presente è come per l’altri successori qui pro temporesarranno in detta università, quanto per li cittadini, ed habitatori forestieri che verranno ad habitare in detta terra.

           Item che tutte quelle persone tanto cittadini quanto abitatori che ingabelleranno feghi etiam che fossero manco di salme cinquanta per quello che semineranno li padroni tanto cittadini quanto come abitatori della detta terra di Racalmuto abbiano di pagare à detto signor conte à raggione di salma una di formento per ogni salmata di terre che seminerà dentro lo sodetto fego, dummodo che siano feghi separati si come sono al presente.

           Item perché è stato ed è consuetudine ed osservanza che tutti quelli cittadini ed abitatori di detta terra di Racalmuto che tengono chiuse dentro lo territorio di Racalmuto, Garamoli e Colmitelli di potere tenere per ogni menza salma di terre un bue, per una salma di terre due per ogni anno, ed una cavalcatura, per tanto s’abbia d’osservare detta consuetudine ed osservanza, et etiam che ci pozzano pasciri lo bestiame somerina quanto ni tengono giusta la consuetudine ed osservanza che per lo passato è stato ed al presente è.

Vidit Ascanius de Barone delegatus.

L’importante accordo fra il conte e l’universitas di Racalmuto (di grosso risalto per il diritto feudale e per le vicende del terraggio e del terraggiolo, l’odiate tasse baronali) avviene sotto il patrocinio dell’arciprete Romano, molto vicino ai del Carretto. L’arciprete mette a disposizione la chiesa madre per il raduno civico puntualmente descritto nel documento riportato. Mi sembra, comunque, che il Romano si sia mantenuto al di sopra delle parti.

 

*    *   *

 

L’arciprete  ritorna alla ribalta della storia locale dopo la sua morte. In Vaticano si conservano le lettere del vescovo spagnolo di Agrigento che reclama lo spoglio dell’eredità Romano contro le pretese del conte del Carretto.

Ecco  un significativo stralcio di una lettera a Roma[13] del 1599:

Il detto Conte di Raxhalmuto per respetto che s’ha voluto occupare la spoglia del arciprete morto di detta sua terra facendoci far certi testamenti et atti fittitij, falsi et litigiosi, per levar la detta spoglia toccante à detta Ecclesia, per la qual causa, trovandosi esso Conte debitore di detto condam Arciprete per diverse partite et parti delli vassalli di esso Conte, per occuparseli esso conte, come se l’have occupato, et per non pagare ne lassar quello che si deve per conto di detta spoglia, usao tal termino che per la gran Corte di detto Regno fece destinare un delegato seculare sotto nome di persone sue confidenti per far privare ad esso exponente della possessione di detta spoglia, come in effetto ni lo fece privare, con intento di far mettere in condentione la giurisditione ecclesiastica con lo regitor di detto Regno. Et l’exponente processe con tanta pacientia che la medesme giustitia seculare conoscio haver fatto errore et comandao fosse restituta ad esso exponente la detta spoglia. Ma con tutto questo, esso Conte non ha voluto pagare quello che si deve et si tene molti migliara di scudi et molti animali toccanti à detta spoglia, non ostanti l’excommuniche, censure et monitorij promulgati per esso exponente et che detta spoglia tocca al exponente appare per fede che fanno li giurati, per consuetudine provata, et per le misme lettere della giustitia secolare che ordinao fosse restituta al exponente.

Et più esso Conte ha voluto et vole conoscere et haver giurisditione sopra li clerici che habitano in detta sua terra di Raxhalmuto et vole che stiano à sua devotione privi della libertà ecclesiastica, con poterli carcerare et mal trattare come ha fatto à Cler: Jacopo Vella che l’ha tenuto con tanto vituperio et dispregio dell’Ecclesia in una oscura fossa “in umbra mortis”, con ceppi, ferri et muffuli per spatio di doi anni et fin hoggi non ha voluto ne vole remetterlo al foro ecclesiastico. Anzi, perchè il vicario generale d’esso exponente impedio a don Geronimo Russo, genniro d’esso Conte et gubernatore di detta sua terra, che non dasse, come volia dare, certi tratti di corda à detto clerico et essendo stato bisognoso per tal causa procedere à monitorij et excommunica, il detto Conte fece tanto strepito appresso lo regitore di detto Regno che fece congregare il Consiglio per farlo deliberare che chiamasse ad esso exponente et al detto Vicario Generale et lo reprendesse, che è, stata la prima volta che in detto Regno si mettesse in difficultà la potestà delli prelati per la potentia di detto Conte.

Con lo quale di più esso exponente have liti civili per causa di detti beni ecclesiastici, per causa di detto archipretato.

Et di più don Cesare parente di detto Conte, per il suo favore, fece scappare dalle carceri à doi prosecuti dalla corte episcopale di Girgente, et perchè ni fù prosecuto, diventano innimici delli prelati.

Altri accenni alla chiesa di Racalmuto sul finire del Cinquecento, si trovano nel lavoro a quattro mani (del Taverna e del Nalbone) “Racalmuto in Microsoft”, che riguardando tra l’altro il successore dell’arciprete Romano .

 

Capoccio arciprete di Racalmuto


 

Il Vescovo Horozco, usa ed abusa dei benefici ecclesiastici di Racalmuto, anche per le sue velleità letterarie. Del resto, aveva nominato arciprete di Racalmuto il suo segretario particolare Alessandro Capoccio che non aveva neppure il tempo di prendere possesso di persona dell’arcipretura ed ebbe perciò a mandarvi due suoi rappresentanti, muniti di formalissimi  atti notarili. [14]

Tre anni prima, don Alexandro Capocho era stato inviato a Roma, al posto del Covarruvias, per prosternare la prima relazione ‘ad limina’ dei Vescovi di Agrigento al Papa[15].

Mons. Domenico de Gregorio parla del Capoccio nel lavoro prima citato (pag. 69) come uno dei due testimoni nel processo canonico del febbraio 1594 per la nomina dell’Horozco[16] a Vescovo di Agrigento presso il nunzio pontificio in Spagna, Camillo Gaetano. In particolare, la testimonianza del Capoccio fu preziosa quando si trattò della situazione della Chiesa Agrigentina, dato che costui  aveva «dimorato circa due anni nella .. città» di Agrigento.  Peraltro, il Capoccio a quel tempo solo «da due mesi conosceva l’Horozco».

Si dà il caso che con tali testimonianze passò inosservata la mancanza della “limpieza de sangre”,  avendo il designato sangue ebreo nelle vene, che era all’epoca d’ostacolo alle cariche ecclesiastiche. Il Capoccio venne poi compensato con la lauta arcipretura di Racalmuto.

Il De Gregorio è comprensibilmente circospetto e si limita ad annotare: «Il Covarruvias portò con sé alcuni ecclesiastici spagnoli che poi fornì di benefici come Ferdinando Rodriguez, nominato nel 1596 arciprete di Cammarata, il suo familiare Giovanni Aleyva cui nel 1602 diede il beneficio della Madonna dei Miracoli di Cammarata, il dr. Antonio Perez de Bobadilla nominato canonico, Alessandro Capoccio che fu arciprete di Racalmuto (1597) e Vicario generale».

Per quanto tempo il Capoccio sia stato arciprete di Racalmuto, s’ignora. Sappiamo che subentrò l’Argumento, nominato arciprete di Racalmuto nel marzo del 1600.[17]

Di lui v’è cenno nel Sinodo del Vescovo Covarruvias del 1600-3. Tra gli altri viene nominato esaminatore sinodale. [18] Resta oscuro se la successione nell’arcipretura sia avvenuta per morte o per caduta in disgrazia del Capoccio[19].


 

ANTICHE CHIESE


 

CULTO DI S. ROSALIA


Nella visita pastorale fatta a Racalmuto vi è un accenno ad una chiesa dedicata a S. Rosalia, ubicata nella bisettrice Carmine-Fontana.  A leggere la storia di Sicilia di  Denis Mack Smith - lo storico amico di Leonardo Sciascia ([20]) - , si sarebbe portati a credere che Santa Rosalia sia stata un’invenzione del Cardinale Giannettino Doria. Fu questi in effetti che trasformò il  rinvenimento di ossa nel Monte Pellegrino, il 15 luglio 1624,  in un miracoloso rinvenimento della salma di Santa Rosalia.

Resta, invece, assodato che a Racalmuto il culto di Santa Rosalia è ben più antico. Non sembra che vi sia qualcosa su S. Rosalia nelle primissime visite pastorali agrigentine del 1540-3, dato che in quella del 1543 si accenna alle seguenti chiese racalmutesi:

1)    Chiesa Maggiore, sotto il titolo di S. Antonio;

2)    “Ecclesiola” sub titulo Annuntiationis Gloriose Virginis Marie, da tempo sede di una Confraternita e dove era stato trasferito il Santissimo , chiesa adibita ormai al posto di quella Maggiore, a quanto pare fatiscente;

3)    Chiesa di Santa Maria del Monte;

4)    Chiesa di santa Maria di Gesù;

5)    Chiesa di Santa Margherita;

6)    Chiesa di San Giuliano;

 

Nella precedente visita del 1540 abbiamo:

1)    Chiesa della “nuntiata

2)    Chiesa di Santa Maria di Gesù (Jhù)

3)    Chiesa di Santa Margherita

4)    Chiesa di “Santa Maria di lo Munti

5)    Chiesa di S. Giuliano. [21]

 

Il silenzio delle fonti - si sa - storicamente non comprova  molto; ma è certo che a quel tempo quella chiesa, se vi era, non rivestiva agli occhi della curia vescovile grande importanza.

Passando alla visita pastorale del 1608, la Chiesa di Santa Rosalia è posta nell’interno dell’abitato di Racalmuto.

Il 22 giugno VI Ind. 1608, il vescovo Bonincontro così la indica:

“E più distintamente la d.a parocchia di San Giuliano comincia dallo Carmino et  tira a drittura  strata strata alli casi di Antonino Curto La Mantia quali casi di d.to della Mantia si includino in d.ta parocchia di S. Giuliano e tira  strata strata per la potya d. m.o Gregorio Blundo et tira all’altra cantonera della Casa di Vincenzo Brucculeri affacci frunti la potya di M.o Gregorio Blundo e dilla  scindi a drittura alla Chiesa di Santa Rosalia et dilla scindi alla Cantonera  delli casi del quondam Carlo d’Afflitto parimente puntone della propria strada , et dilla tira per la medesima strada alla Cantonera delli casi del quondam Francesco di Liu et dilla tira dritto per l’orto di Cavallaro fino allo loco dov’era la chiesa di San Leonardo lo vecchio.”

E subito dopo:

“E Parimenti la parocchia della Nuntiata [...] scindi adrittura per la Casa del quondam Micheli Catalano a facci frunti della Chiesa di Santa Rosalia in sino alla cantonera delli casi di Antonino Lo Brutto in un pontone della strada ...”

Dunque il culto di Santa Rosalia è ben provato in Racalmuto, sin dal primo decennio del 1600, un quarto di secolo almeno anteriore alla discutibile invenzione delle spoglie mortali in Monte Pellegrino da parte del cardinale Doria. [22]

*  *  *

 

 

Senza dubbio la fonte storica sulla Chiesa di Santa Rosalia più antica ed accreditata è quella del PIRRI.

« Rahyalmutum - scrive a pag. 758 - [...] Pervetusta erat aedes ab anno 1400 circiter ubi ad annum 1628 dipincta videbatur  S. Rosalia Virginis in habitu heremitico, sed incuria aliquorum ob novum aedificium dicatum eidem Virgini, cuius colunt reliquias, cum societate animarum Purgatorii, habennte uncias 70, deleta est.»

 

Nessun commento: