sabato 8 giugno 2013

Lezione di filosofia estetica


FILOSOFIA

Il colore è tanto acceso che infiamma l’immagine, ne brucia lo sguardo o il tempo: è questo prima un metaplasmo, poi una metafora.

L’idea del sole come idea di luogo che nega la realtà e allora il luogo diventa il simbolo di un’altra cosa,  e forse già il tempo o la materia dell’essere: Bruno è nato dalle stesse parti dove è nata la filosofia e all’inizio della filosofia, a partire da Parmenide e Zenone o Melisso di Elea, congiungeva il tempo all’essere e addirittura ne con fondava la materia.

L’arie e il tempo come misura o materia di scena nella filosofia, e qui come materi  e scena della pittura, e poi al loro interno il formarsi incendiario delle immagini a forma di sole o a forma di quelle figure interne alla solarità e alla scena del sole che sono state sempre presentate come lingue e di cui siamo soliti usare poi la metafora quando appunto parliamo di lingue di fuoco.. Immagini, metafora e tempo. Cosi in questa pittura che è tutta una sceneggiatura di lingue di fuoco, in un paesaggio misto spesso tra terrestre  e aereo di piccole figurazioni ardenti e frequentemente attive (appunto in lingue di fuoco) nella metafora non delle cose o nel realismo freddo delle cose, ma in quella dell’essere e nell’idealismo caldo delle pose.

FILOSOFIA E PITTURA

Probabilmente il progressivo venir meno dell’autenticità e della responsabilità nelle esperienze artistiche attuali ha molto più a che fare di quanto non si pensi con lo smarrimento, l’assottigliamento delle capacità di produzione simbolica sociale, tanto che ci si può domandare, in termini forse ancora più drammatici di quanto non si sia fatto finora, quale sia lo statuto e la reale incidenza di quel diritto all’esistenza dell’arte di cui parlava Adorno, un’arte tuttora disperatamente impegnata nel compito di giustificare se stessa, trasformata in un estenuante commento della propria sterilità” : cosi è arrivato a dire Massimo Carboni in ‘Aut-Aut’ di maggio-agosto 1995 al titolo ‘Pittura e Filosofia’. E probabilmente la colpa c’é. Probabilmente, per esempio, la critica non critica, omologa e non ama il proprio sapere come sapere di vita: la critica non è il sapere sull’arte, ma altro, e cioè il sapere che fa dell’arte una via dove incontrare la vita. Le parole di Carboni sono gravi, esse dànno la colpa all’arte e forse ha ragione, ma noi sappiamo che l’arte è simbolica a una condizione soltanto: che essa sia metà di quello che si dice di lei, e l’altra metà è appunto la critica e cioè il nostro linguaggio di vita. Sembra difficile eppure è un esercizio corrente, vediamo una cosa e ci viene da dire, da parlare, di essa, di noi, della vita. La critica ha perso la sua dimensione letteraria, la sua passione di fantasia parlata e la sua originaria vocazione di essere filosofia. Romanzo e poesia.

PITTURA

In principio la pittura, la sua macchina di revisione poi: la moviola.

In principio dunque la pittura come presa e come macchina da presa o di contatto: e allora l’occhio, la mano, la cosa che appare. In principio l’iconismo dell’espressione; l’unità di tempo, di luogo e di azione come unità istruttoria della scena vista e visiva e anche come quinta di ciò che è possibile nel doppio rapporto con l’arte: il segno. Il senso, la cosa, la posa; il nome e il fantasma. Il tutto come cosa, patema e gesto d’azzardo: ludus e pthos nella tecnica di una psicologia che fa la spola tra pulsioni forse senza direzione. Questo perché probabilmente l’oggetto della vista è archeologico e costituisce quello che può essere individuato come principio artistico; il problema è: che cosa e come si può eventualmente poi assumere questa cosa quale principio esplicativo e di artisticità?. E’ una forma, è una figura, è un gioco di forme e di figure, è un rapporto di presa e di sorpresa, di noto e ignoto, un atto di contatto, di distacco, di visione o di revisione, di stasi o di fuga, di soggetto e di oggetto, d’autore o di lettore, di verità o di spettacolo eccetera; pluralità, slittamento, sparizione, esplosione e implosione; di che si tratta? C’è una parola intensamente intrigante di Vincenzo Perna che ci fa strada: quando parla di ‘macro-pittura’, nel senso di una pittura estesa che paela della pittura, ne fa scena come calcolo anche di prospettiva e in rapporto di proiezione con l’arte, come gioco di questo calcolo.

E’ a questo punto allora che adesso parliamo dell’invenzione che più di ogni altra scopre l’intera posta in gioco: quella che abbiamo chiamato la macchina di revisione della stessa pittura. Consiste essa, la macchina,di  una struttura di due fulcri rotatori, posti a circa un metro di distanza l’uno dall’altro, in modo che il rotolo della pittura come un film passi tra i due come una sequenza continua di fotogrammi, e lo spettatore ne azioni personalmente e a distanza il pulsante. Perna ne parla come di un telero, e in effeti l’idea e la stessa di quelle specie di videorama che sono i grandi teleri dei grandi artisti veneti, Veronese, Tintoretto: idea rinascimentale, in desiderio di cinema. Questa macchina fagocita la pittura e ne interiorizza  l’dea nell’idea stessa della propria tecnica di macchina di revisione, ed è questo che alla fine vince e avvince. Cosi l’espressionismo morfematico della pittura diventa un’altra cosa: perché l’installazione lo medializza ulteriormente, e allora tutta l’operazione (forma, contenuta) si sposta. A questo punto allora di che dobbiamo parlare? Della pittura o della istallazione? E quale medium/mediazione/medialità? E che da qui prima la pittura si propone il problema dell’essere della pittura, e poi l’istallazione introduce l’idea della camera ottica per vederne la prospettiva, la proiezione nel campo lungo dell’arte e la sua stessa genealogia. Medialismo e immedialismo, siamo al punti di uscita forse definitivo dell’arte, e dallo sguardo o dal tempo dell’arte.

 

Valdagno, agosto 1995

 

                                                                                                                                 Salvatore Fazia          

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