venerdì 13 novembre 2015


Ancora triste giorno per i miei affetti, per i miei ricordi: addio cara Rosina la iridescente fanciulla di una terna diversa e simile, di tre fioriture di inconciliabile colore da un grande ceppo familiare. Cara Rosina La Rocca, diretto fiore di un ceppo vetusto, e benemerito saldo e radicato da secoli nella intelligente terra di Racalmuto  in contrapposto al fiero Giacomo, forte e coriaceo, emergente, o a chi scrive ondivago nella fede e nelle lotte: tutti e tre nell’arco di un mese quello dei fori o quello che prima lo annuncia. La mia infanzia che muore: e qui a Roma non porto manco una rosa, una di quelle rose maggioline che con i gigli e le margherite nel mio ricordo fioriscono nella tua prima casa quella nei pressi di San Gregorio, prima del ponticello meta di grandi passeggiate.

Cara Rosina altera per due splendidi figli, belli come te, cerulei, fulvi. Mi ripete ancora mia moglie colpita del luccichio dei tuoi occhi nell’antico San Sebastiano, ammirata del tuo grande Gigi. Quanto è bello Gigi me, dicevi e mia moglie annuiva, mentre Gigi tuo aveva il fiorito parlare e il dolce accento, come te, come tua madre, la grande fascinosa zia Ciccina.

Che mondo, oggi listato a nero. Come brilla questa derisa Racalmuto. Cara Rosina ovunque tu stia ispiraci orgoglio, fierezza, gioia. E che i tuoi figli continuino a dare lustro a questa nostra terra, a questa grande Racalmuto. E questo sia il non funereo pensiero dolente mio nell’abbraccio ideale ai due tuoi figlioli e al tuo dignitosissimo consorte.

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