Di fronte a Sciascia scrittore, noi restiamo
ammaliati; la sua prosa è musica, la sua visionarietà è sublime, il suo
moralismo sconcertante, la sua ironia corrosiva, il suo periodare pieno
d’inventiva inusitata ed avvolgente. Non era tenuto alla verità storica ed
infatti non l’amò. A noi - che molto più
sommessamente - andiamo in cerca del vero storico del locale arrovellarsi
umano, resta l’intralcio di un grande scrittore che ha voglia di stravolgere il
banale avvenimento, il prosaico ruolo degli ottimati racalmutesi,
l’affaccendarsi ingenuo, ma non perverso, di preti e frati del minuscolo
proscenio nostrano. Nella prefazione al libro del Tinebra, Sciascia si lascia
andare a tutta una serie di giudizi storici su figure ed avvenimenti della Racalmuto
dell’Ottocento: ebbene quelle valutazioni ci paiono decisamente cervellotiche.
Dice Sciascia: «La richiesta e la ricerca del libro [del Tinebra] divenne tanto
intensa quanto vana. E non la spense la pubblicazione .. della storia del paese di E.N. Messana,
voluminosa, fitta di notizie.» [pag. 8]; ma dopo, alla fine [pag. 15],
«limitato è il numero delle notizie che su Racalmuto si possono estrarre da
libri e da manoscritti, moltissime e di sottili e lunghi tentacoli sono quelle
che si possono estrarre dalla memoria. Dalla galassia della memoria.» Ci pare
uno Sciascia o in vena di contraddizioni o di sardoniche, eppure sotterranee,
stroncature degli insaccati cronachistici del Messana. In ogni caso della
“galassia della memoria” sciasciana, da punto di vista storico, c’è molto da
diffidare. I Matrona non possono davvero essere definiti: «una famiglia che per
amministrare il comune disamministrava il proprio patrimonio o, più
esattamente, andava travasando nel patrimonio pubblico.» Abbiamo visto invece come
quei matrona tendessero a farsi assegnare medaglie d’oro ultracostose e come
tendessero a dar dare soldi pubblici ai propri famigli bagarioti, e come
facessero finanziare strade comode che comodamente collegassero il paese ai
loro poderi, alla Noce, a pro’ di loro e dei soliti “amici della Noce”, allora
come adesso. Certo, se non si trattasse di Sciascia, sarebbe da sghignazzo
un’elucubrazione così ingenua come la seguente: «Naturalmente, - vedi pag. 12 -
i Matrona dei nemici: ma si scoprirono più tardi, aggregandosi alla famiglia
Tulumello. Intanto, nel 1875-76, si limitavano a denuncie [sic] anonime: e la
commissione d’inchiesta (si chiamava propriamente giunta), ne riceve tre:
contro l’amministrazione comunale, contro il sindaco Gaspare Matrona. Ma si
infrangevano contro l’evidenza di quel comune
amministrato con tanta dedizione, coraggio e generosità che il
colonnello propone a modello non solo della Sicilia ma dell’Italia intera. E si
capisce che nel giro di mezzo secolo i Matrona furono poveri, sicché fu facile
ai loro avversari batterli: col
conseguente effetto di un ritorno al malandrinaggio, della mafia, delle
usurpazioni e prevaricazioni. [Corsivo
ns.]» Spropositi del genere vanno solo negletti. A dire il vero i Tulumello
non abbatterono don Gasparino Matrona. Questi cedé la sindacatura al suo
correligionario don Gioacchino Savatteri, nel 1875 per le vicende che abbiamo
adombrato. Don Gioacchino Savatteri dovette abbandonare la sindacatura per un
sospetto peculato di L. 7.535. Le carte dell’archivio di stato di Agrigento del
1890 insolentiscono quella nefanda gestione: «Nel comune di Racalmuto -
sbraitano - l’inchiesta a carico della precedente amministrazione non è ancora
compiuta e già abbe a risultare un’appropriazione indebita di L. 7.535 a carico
dell’ex sindaco Savatteri che fu denunziato all’autorità giudiziaria.» Sciascia
aveva ataviche subalternità verso i Matrona. Confessa [pag. 13] «tutto sommato,
devo ai Matrona questo mio rifugio in campagna: perché mio nonno loro
fedelissimo elettore, volle anche lui, da capomastro di zolfara, avere un
pezzetto di terra nella stessa contrada, edificandovi una casetta: ora è un
secolo).» Noi non abbiamo di siffatte gratitudini: anzi ribolle la rivolta
ancestrale dei miei poveri antenati zolfatai, sfruttati da tali arroganti
“civili”, galantuomini, ottimati, signorotti o come diavolo si chiamano;
sfruttati anche per «non sapere scrivere né sottoscrivere per non averlo mai
appreso.»[1] E gli
zolfatai non sapevano leggere e scrivere perché facevano comodo da “carusi”
andare nelle miniere dei Matrona (e di altri ottimati), come arrogantemente don
Gasparino dichiara ai membri della Giunta. E si è visto come don Gasparino
risparmiasse sull’istruzione dei figli del popolo, avendo più a cuore gli
spettacoli lirici, propoziatrici di tresce con attrici, cantanti e ballerine.
Eh! Sciascia, Sciascia! Lascia perdere i Matrona tutti presi a far [pag. 11]
«scuole, uffici comunali, strade selciate, fognature, macello, fontanelle
rionali, teatro.» Ed in men di cinque anni (la sindatura di don Gasparino dura
secondo il Messana , appendice 29a, dal 1872 al 1876): non ci crede neppure il
prof. Salvatore restivo che pu sappiamo quanto sia devoto alla memoria di
Sciascia. Giustamente annota, ad esempio, che il teatro di Racalmuto fu
inaugurato il 9.11.1880, come dire quattro anni dopo la defenestrazione dei
matrona per un duello mancato. L’avversato Messana comprova che nel 1874, in
pieno regime di don Gasparino, 32 erano i racalmutesi “aderenti alla mafia”
secondo la segnalazione del delagato di P.S. Annibale Macaluso (cfr. appendice
XVII, pag. 493). Il sottotenente comandante la sezione dei carabinieri di
Racalmuto, G. Bianchi, ha un concetto tutto personale, ottocentesco, della
legge se scrive: «l’attuale sindaco di quel paese sig. Matrona Cav. Gaspare è
l’unico cittadino capace di mantenere obbedienti alle Leggi dello Stato una
massa di uomini oltremodo ignorante e proclivi a qualunque reato». [2] Oggi -
molto più civilmente - quel sindaco finirebbe nelle grinfie dell’Antimafia, proprio
quella che Sciascia non amò tanto.
Archivio Centrale di Stato - Roma - "Commissione
Parlamentare d'inchiesta - 1875-76"
«Vi
è una lettera di Nalbone Francesco
di Racalmuto - rimessa al Prefetto di Girgenti e quindi non figutante agli atti
- contro il Sindaco di Racalmuto - cfr.
Fascicolo 5 - sf. 3 lettera N - n. 1»
«Fascicolo
11 sott. 8 -
[V. acclusa fotocopia]
[Cfr.
Fascicolo 66 per la trascrizione del resoconto stenografico]
[Archivio Centrale dello Stato - Giunta per l'inchiesta sulle condizioni
sociali ed economiche della Sicilia 1875, SCATOLA 7 FASCICOLO 5 - sf. 2
LETTERA "A" n. 15]
da
Racalmuto, 20 dicembre 1875 (anonimo)
«Illustrissimi Signori
Onorevoli
Componenti la Commissione
d'inchiesta parlamentare
Canicattì
«Illustrissimi
Signori,
«Racalmuto,
che in questi ultimi tempi dà lo spettacolo di un anormale stato, stava ansante
appettando una visita delle Signorie loro ill.mi per dare una forma di esistenza che fosse conforme a giustizia,
alla riparazione ed alla concordia secondo le promesse potenti inaugurate dal
nostro Augusto Sovrano .
«E
però l'allarme si rincrudelisce nel venire a conoscenza che le loro Signorie
hanno preso altra rotta, lasciando Racalmuto. S'addolora dippiù sentendo che ga
chiamato una Commissione scelta dal seno d'un partito che vuole a forza imporsi
con violenze, con prepotenze e con illegalità e ch'è in urto alle ispirazioni
pubbliche. L'ultima cronaca del paese è bastante delineata dalla stampa, che
per ultimo risultato pose al silenzio i nemici pubblici.
«Dei
reclami si sono presentati alle Autorità superiori della Provincia, senza
risultati. Signori Onorevoli! Racalmuto
per più versi non è paese che merita essere abbandonato! ...E' perciò pubblica
anzia [sic] di far sentire i proprii lamenti alla Commissione d'inchiesta Dalle
Signorie loro bene rappresentata; e si è sicuri che si convincerebbero che
sotto la vernice di un lusinghiero quadro, esistono piaghe cancerrose per
Racalmuto che solo la loro sennata Autorità potrebbe sanare.
«Si
chiede quindi che fossero chiamati cittadini di qualunque gradazione; meno fratelli Matrona, Cammillo Picataggi, Alfonso
Farrauto, Giuseppe Grillo Cavallaro, Carlo Lupi, fratelli Salvatore e Michiele
Mantia, Arciprete, Michiele Alaimo, Gioachino Savatteri, ed impiegati tutti
comunali, i quali hanno saputo collidersi e colludersi in più o in meno; e
formano i gaudenti dell'azienda Comunale.
«Con
ogni sicurezza allora le SS.LL.II. si potrebbero fare giusta es adequata [sic]
immagine delle condizioni attuali lacrimevoli del paese, per promuoversi gli
opportuni e giusti provvedimenti.
«Si
spera giustizia.
«Racalmuto
20 Dicembre 1875»
Nella
"Rubricella" contenuta
nella Scatola 7[Renato GRISPO-
L'Archivio della Giunta per l'inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche
della Sicilia - Inventario - Cappelli Editore 1969 porta [5] - L'archivio usa questo testo per inventario, ma la
numerazione non corrisponde alle scatole] e che riguarda le
"petizioni", alla lettera N
risulta la seguente annotazione che ci porta se non all'autore, almeno
all'ispiratore delle precedenti lettere non firmate:
«
N.ro ordine
«Nalbone Francesco 1
"al prefetto di Girgenti"
e
nell' «Elenco dei Reclami e petizioni» [Stessa
scatola 7, stesso fascicolo 5, ma sottofascicolo 3, elenco ben diverso dalla
Rubrucella p.c.] vine meglio precisato come così di seguito:
1 Nalbone
Francesco di Racalmuto «Reclamo contro il Sindaco di Racalmuto»
* * * * * *
Archivio di Stato di
Agrigento
Da
Inventario n. 32
Conto di Racalmuto del 1878
presentato da Nalbone Luigi.
-----------------------
Fascicolo n. 403 (Inventario n. 32)
- Conti Racalmuto 1869-1887
«Conto entrata ed uscita
per l'esercizio 1886.
reso
dal Tesoriere Comunale Nalbone Giuseppe.»
-
Anno 1885
reso
dal Tesoriere Comunale Nalbone Giuseppe.
[Archivio Centrale dello Stato - Roma - Ministero Interno - Pubblica
Sicurezza (P.S.) - Busta 80 sf. C
1]
Archivio Centrale dello
Stato - Roma - Ministero Interno - Pubblica
Sicurezza (P.S.) 1925 - Busta 80 sf. C 1]
Espresso
del 30 luglio 1925.
«il
15 andante circa 120 operai della miniera di zolfo Terrana di racalmuto e
Grotte si astennero dal lavoro pretendendo l'aumento del salario in seguito
dell'avvenuto aumento del prezzo dello zolfo. Alle ore 9,30 dello stesso giorno
operai predetti recaronsi quello scalo ferroviario assistere passaggio On.
Farinacci, che fermatosi pochi minuti promise suo intervento favore operai
stessi. Però giorno 20 successivo tutti zolfatai bacino minerario Racalmuto e
Grotte, segno solidarietà e per analogo scopo si astennero pure lavoro. Di
seguito laboriose trattative .... fu raggiunto accordo sulla base ... dell'aumento del 10 % sui salari attuali
a decorrere dal 1° Agosto p.v. ..»
Testo
accordo:
«L'anno
1925 addì 28 luglio nell'Ufficio di P.S. di racalmuto alle ore 12.
«Sono presenti i sigg: Comm. Angelo Nalbone esercente miniera Cozzotondo, Cav. Rosario
Falzone esercente miniera Giona G. e P. Galleria, Mattina Salvatore di Gaetano
in rappresentanza degli esercenti della miniera Giona-Salinella N.°3-6; il cav.
Baldassare Terrana esercente della miniera Dammuso, il Cav. Vassallo Ernesto
esercente miniera Quattrofinaiti
Vassallo, il sig. Ricottone Giuseppe fu Giuseppe in rappresentanza per la
sua parte della miniera Gubellina
... e dall'altra parte il sig. Lo Sardo Giuseppe fu Nicolònella qualità
di presidente del locale Sindacato Fascista Zolfatai, Piazza Salvatore di
Salvatore nella qualità di Vice Presidente, il sig. La Mastra Giuseppe di
Nicolò nella qualità di Segretario, i sigg. Guastella Vincenzo fu Antonino,
Taibi Salvatore fu Giovanni, Mattina Giuseppe di Nicolò, Bartolotta
Michelangelo fu Raffaele, Arturo Gioacchino fu Gioacchino nella qualità di
consiglieri di detto Sindacato, i quali per non prolungare uno stato di cose
nocivo ai reciproci interessi e anche alla Economia Nazionale sono di pieno
accordo addivenenti mercè l'opera del locale funzionario di P.S. con l'ausilio
dell'Avv. Burruano Salvatore membro del Direttorio Provinciale fascista alle
seguenti convenzioni da avere vigore in tutte le forme di legge a datare dal 1°
Agosto 1925.
«Gli
esercenti tenuto conto presente l'ultimo listino del Consorzio zolfifero
siciliano n. 118 ove è segnato un aumento del prezzo di vendita in ragione di
L. 5 a quintale, concedono alle maestranze, che accettano, un aumento del 10%
sul prezzo base pagato sin oggi.
«Tale
aumento unito ai precedenti aumenti dell'8 e del 6 per centosommano un totale
del 24% sul prezzo base.
«[.......]
«I
rappresentanti delle maestranze si impegnano a fare riprendere il lavoro a
cominciare da domani 29 andante.»
Archivio Centrale dello
Stato - Roma - Ministero Interno - Pubblica Sicurezza
(P.S.) 1932 - Busta 41 sf. C 1]
30.6.1932
«29
corrente Racalmuto - Nalbone Luigi
proprietario esercente miniera Cozzotondo - per nota crisi industria zolfifera
- ha sospeso estrazione minerale lasciando disoccupati 74 operai Racalmuto -
Comandante Tenenza Ten. Lo Monaco.»
* * * * * * *
Da
una lista a stampa dell'Archivio di
Stato di Agrigento
«Lista della sezione elettorale di
Racalmuto.
«N.ro
d'ordine - Elettori Cognomi e nomi -
PATERNITA' - data nascita - titolo o qualità che gli
lista
lista conferisce
il diritto
com politica
elettorale commer-
mer comuna
le
ciia le
le
--------------
181 316
- Nalbone Giuseppe di Luigi - 28 marzo 1857 - negoziante di zolfo.
182 317
- Nalbone Angelo di Luigi - 2 giugno 1863
F.M. EMANUELI e
GAETANI - Della Sicilia Nobile - parte IV - Forni Editore
[Copia anastatica
dell'edizione Palermo 1759] - RAGALMUTO - [pag. 199 e ss. Parte II Libro IV]
Il
nome di RAGALMUTO vuol dire in
lingua Araba, cioè DISTRUTTO(i) MASSA - Sic. in Prospett. p. 2 C.E. f.282 -; e questo fa credere essere
stata fabbricata dai Saraceni su le rovine di qualche estinta Città. Ella è
Baronale con mero e misto imperio, luogo ottenendo tralle mediterranee della
Valle di Mazara [a) - ARETII, Liber de situ Sic. ex Bibliot., CARUSII t I f. 22
c. 2], ed ivi fra le piu' belle che abbondino di grano, e di ogni sorte di
biade. Fu di ragione di Ruberto MALCOVANAT Signore di Busacchino, il cui figlio
Guglielmo adorno videsi dell'eccelsa carica di Maestro Giustiziere del Regno
sotto il Conte Ruggieri, come notò Pirri nella sua Cron. de' Rè, f. 38, e nella
SIC.Sac. not. Montisreg. fog. 460 c. 2. e 461 c. 1., e la tenne pur anche la
Famiglia ABGRIGNANO, se diam fede a MINUTOLO - Mem. Prior. lib. 8, f. 273. Credesi
indi concessa dal Rè Ruggieri Normanno figlio del liberatore testé accennato ad
ABBO BARRESE in consuso con quelle Terre, che sotto l'aggettivo di pleraque
oppida per conto di esso Barrese numera FALZELLO nella sua Stor. di Sic. dec.
2. lib. 9. cap. 9 f. 184 avvegnachè sullo spirare del secolo decimoterzo stava
ella in potere di Giovanni BARRESE, il quale al riferire del Padre APRILE Cron.
Sic. f. 144 c. 1 fu il primo tra i Baroni del nostro Regno, che nelle guerre
fatte dall'armi dei Collegati Angioini in quest'Isola passasse al loro partito
col suo vassallaggio consistente nelle Terre di PIETRAPERZIA, NASO, RAGALMUTO, CAPO D'ORLANDO, E
MONTEMAURO, terra oggi disfatta, situata in quel monte, che si alza fra la
Città di Piazza e 'l MAZZARINO presso il fiume Braeme. Sicché dichiarato
fellone esso Giovanni, cadde Tal Baronia nelle mani del Reg. Fisco, da cui
l'ottennero i CHIARAMONTESI, possedendola primieramente Giovanni B. del Comiso, il quale per essa
prestò servigio militare sotto il Rè Federigo II, così costando dalla seguente
nota della Sic. Nob. di MUSCIA f. 23 D.
Joannes de Claramonte pro Casali
Comachi, quod emit a Beringario de LUBERA, PETRAMUSUNICHI, MUSARO, RACHALIANATO, S. JOANNIS, ET FABARIA
Quindi acquistandola successivamente FEDERIGO secondo di quedto nome, terzo genito di Federigo
primo Chiaramonte, e di Marchisia Prefolio, e fratello di Manfredo Conte di
Modica, e del chiarissimo Giovanni il Vecchio, l'accrebbe egli con la fabbrica di
una forte Rocca, o sia Castello, che quivi sin oggi si vede in piedi, siccome
ce 'l conferma Fazello dec. 1. lib. 10. cap. 3. fog. 468. Inveges nella sua Cartagine Siciliana lib. 2 cap. 6. f. 230. e Pirri Sic. Sac. not.
Agrig. fog. 758 c. 1 colle seguenti
parole; Propè Gruttas ad duo hinc p. m. RAYHALMUTUM Sarracenicum oppidum
occurrit: ub arx est a Federico Claramontano olim eius Domino erecta. Fu
sua mugliera Giovanna, siccome si legge nel testamento di esso Barone Federigo,
che vien citato quì sotto: Item eligo
meos fidecommissarios Dominum Bertoldum de Labro Episcopum Agrigentinum,
Dominam Joannam consortem meam etc.
ma di qual famiglia si fosse, a noi non palese. Da questa Dama nacque Costanza unica di lor figliola, che nel
1307, nobilmente si sposò ad Antonio del
Carretto Marchese di Savona, e del Finale [p.201] provieniente dalla Real
Famiglia del Carretto derivata da Aleramo figliolo di Vitichindo Secondo Duca di Sassonia, e
madre feconda di Pontefici di Porporati (a) [Ciacconio Vite de'Papi, e Cardinali ediz. Vaticana del 1630 t.2. f. 1376.], e
Principi Sovrani, come notò Crescenzi par. 1. narraz. 20. cap. I f. 568, Barone nel suo Anfit. Sic. Nob. lib. Proc. f. 5., e Sansovini Case Illustr. d'Italia ediz.
di Venezia del 1670 f. 317 e 319, celebrandosi tal maritaggio nella Città di
Girgenti per gli atti di Notar Bonsignor Tomasio Terrana di Girgenti a dì 11
settembre 1307, ratificato in Finale
l'istesso anno, come riferisce Barone ragionando di quella Casa Carretto nel
suo libro De Maiest. Panorm. lib. 3. c. 11. lit. C.,
l'istesso anche confermando il testamento testè cennato di esso Barone Federigo
fatto nel 1311. a 27. di Dicembre 10
Ind., e poscia pubblicato a 22. di Gennajo del 1313. negli atti di Notar Pietro
di Patti con tali parole: Item
instituo, facio, et ordino haeredem meam universalem in omnibus bonis meis
Contantiam fialiam meam, consortem nobilis Domini Antonini Marchionis Saonae,
et Domini Finari. Cui Dominae Contantiae haeredi meae, eius filios, et filias
in ipsa haereditae substituo; ita tamen, quod si forte, [quod absit] dicta
Domina Constantia absque liberis statim annos impleverit; quod ipsa haereditas
ad Dominum Manfridum Comitem Mohac, et Joannem de Claromonte milites fratres
meos, legitimè, et integrè revertatur. Venne essa Constanza per la
morte di Federigo suo padre ad esser Signora, e Padrona dell'opulenta di lui
eredità; e dal suo matrimonio nascendo Antonio
del CARRETTO primogenito, fece a lui libera, e graziosa donazione del
retaggio di questa Terra, come appare negli atti di Notar Ruggieri d'Anselmo in Finari a 30 . Agosto 12 Ind. 1344.
Rimase però Ella fra breve spazio d'anni Vedova del suo consorte Antonino, morto nella Città del Finale, e per ritrovarsi bella, nel fiore
della sua gioventù , e ricca, passò
quivi alle seconde nozze con Branca, altrimenti detto Brancalione
d'Auria (b) [Ansalone, de sua Fam. digress. ult. f. 256]
[PICONE lo confonde con un personaggio di DANTE - Inferno canto XXXIII] cioè DORIA,
Famiglia nobilissima di Genova, che nell'anno 1335. fu Governatore della
Sardegna. Riuscì cotal matrimonio fecondo di prole, generando essa 1. Manfredo, da cui discese Mazziotta,
2. Matteo, 3. Isabella moglie
di Bonifacio figlio di Federigo ALOGNA; da cui nacquero Ciancone, e Vinciguerra
ALAGONA. Se ne morì finalmente in
Girgenti , avendo prima fatto il suo testamento, pubblicato negli atti di Not. Giorlando di Domenico a 28. Marzo 5
Ind. 1350 [ma il 1350 è 3 e non 5 Ind. - Notizia che sembra tratta da
Inveges, v. Picone p. 480 nota 3], transuntato dopo in Catania ad istanza di Manfredo d'Auria di lui primogenito negli atti di Not. Filippo
Santasofia a 24. di Novembre 1. Indiz. 1361., nominando in quello molti
esecutori di sua volontà, e fidecommissari, cioè il Vescovo di girgenti, allora
Ottaviano di LABRO Palermitano [p. 202]
il suddetto Manfredo d'Auria suo
primogenito, ed il Priore del Convento di S. Domenico della Città di Girgenti.
E quì finalmente sepolta, essa venne nella Cappella di Federigo Chiaramonte suo
genitore, fabbricata nel convento testè cennato di S. Domenico. Fece molti e
pii legati, ordinando che si spedisse la fabbrica del suddetto Convento da suo
padre cominciata, come anche nella Chiesa del Monasterio delle monache di S,
Spirito di Girgenti, che si fabricasse una cappella, e sepoltura per la sua
madre Giovanna (a) [Inveges, Cartag. Sic. lib. 2 cap. 6 f. 228 e segg.]. Ammogliossi il riferito Antonio del CARRETTO e CHIARAMONTE figlio primogenito di essa
Costanza, come sopra accennai, con SALVASIA, di cui non si fa il cognome per
l'antichità dei secoli, e con essa diede i natali a GERARDO, il quale servito avendo il Rè MARTINO nel 1398. contro i
Baroni di lui ribelli in questo Regno, come dice SURITA Ann. Arag. par. 2 lib. 10 cap. 67 f. 429. c. 1 volle ritornare in
Genova a godere gli antichi suoi vassallaggi degl'incliti suoi predecessori, e
gli antichi domini della Città di Savona, e del Finale; sicché per far questo,
quasi obbligato videsi a far rinunzia del presente Stato di RAGALMUTO a MATTEO DEL CARRETTO suo fratello germano, accompagnato co' Feudi di
Sigliana, o sia Siculiana, Garriolo, e Concietto, ricevendo da lui a titolo di
prezzo fiorini 3250 negli atti di Notar
Antonio de ROSATA in Agosto 1399,
come dice INVEGES nel suo Palermo Nob. Famiglia del Carretto fog. 55 c. 1 e SAVASTA Caso di Sciacca
tratt. 2 cap. 14 fog. 42. Ciò non ostante voglio credere essere stato fatto
tale atto tra essi due fratelli in vim actus di divisione de' beni loro
paterni, e materni, e di atto finale di accordo piuttosto, che di vendizione,
avvegnaché esso MATTEO ottenuto avea prima l'invest. dello Stato di RAGALMUTO
per privilegio di Rè MARTINO data in Palermo a dì 4. Giugno 4. Ind. 1392 (b)
[R. CANCELL. lib. an. 1391. fog. 71], e per regie lettere di esso a 5.
Frebbraro di detto anno, nelle queli viene egli chiamato da esso Sovrano col
titolo di B. di RAGALMUTO, e con il trattamento, che più importa, di Marchese
di Savona (c) [PROT. an. 1392. Sign. lit. E. f. 95]. Ed in quest'anno appare altresì aver liberato esso stesso C. MATTEO la
Città di Palermo dalla tirannide de i CHIARAMONTANI, restituendola al real
Demanio coll'opera insieme di Francesco VALGUARNERA
giuniore B. del Godrano, e di Raimondo de Aptilia Pretore di essa città, come
dice BARONE nel suo lib. De Majest. Panorm. lib. 3 cap. 11. Fam. Valguarnera,
e del Carretto. Quindi è, che in
considerazione di tali servigi fu a lui data da esso Sovrano l'eccelsa carica
di Vicario Generale del regno, col'altra insieme di Camerlengo, e Maestro
Razionale, notandosi da Pirri CHRON. REGUM f. 81. tra i personaggi piu' grandi
della Città di Palermo, benemeriti di esso Rè Martino. Fu egli Signore delle
Terre di Siculiana, e Calatabia[203]no, come si legge in BARONE loc. cit., ed
in tutti i predetti Stati ebbe successore il figlio GIOVANNI, che di essi investissi jure haereditario nel 1401,
sotto li 5. Agosto 9. Indiz. per privilegio del summontovato rè Martino (a) [R. CANCELL. an. 1399. f. 177.
- MINUTOLO, Mem. Prior. lib. 9. f. 294 - BARONE, loc. cit.], scorgendosi per
essi ancora arruolato nel s ervizio militare de' Feudatari del regno, così
presso MUSCIA, Sic. Nob. f. 69. «D.
Joannes de CARRETTO pro Casali RAGALMUTI, et Feudis Columbuden, et mediate
Sigliane ..7...Aggiunge egli al retaggio paterno i Feudi di Cabacia, Rjava,
e Salamone, come appare sulla nota del detto real servizio f. 114 «D. Joannes de Carretto tenet feudum
Cabariae, annui redditus unciarum XXXX. Feuda Rayavae, et Salamuni unciarum
LXX». E da esso finalmente respirò vita il Barone FEDERIGO che investissi di questo Stato nell'anno 1453 (b) [R. CANC.
an. 1453. f. 565. - MINUTOLO loc. cit.], genitore rendendosi di GIOVANNI giuniore, da cui venne ERCOLE (c) [Vien rammentato da Don VINCENZO DI GIOVANNI nel suo PALERMO RISTOR.
lib. 4. f. 229. retr. nel famoso caso occorso tra i BONROSI con Paolo del Carretto
fratello del Summenzionato Ercole][v.pagg.296-297] e da questo altro
GIOVANNI, che col nome di terzo nei Baroni di RAGALMUTO prese sua
investitura per essa Baronia nel dì 31 Gennaro 7. Indiz. 1519 (d) [R. CANC. an.
1518. 7. Ind. f. 462 - MINUTOLO, loc, cit.]. Di questo Cavaliere, scrive BARONE
lib. cit, Fam. del Carretto, essere stato egli
onorato dall'Imperadore Carlo quinto quando fu un Palermo nel 1535. Con
atti di distintissima estimazione «hunc Carolus V Imperator, dice egli, cum
Panormum accessit miris affecit
honoribus, ut pote qui tum propria, tum avita nobilitate dignus, qui
susciperetur, quique inter Dynastas omnes precipuo honore habetur». Di esso
fu nobile prole GIROLAMO , che fu lo
stipite della presente investitura, come diremo appresso, e le due femmine MARIA e PORZIA; la prima delle quali si vede sepolta nella Chiesa del
Monastero di Santa Caterina di Palermo dentro un tumolo marmoreo adorno della
seguente iscrizione:
MARIAE de
CARRETTO Joannis Domini RAHALMUTI filiae antiquissina, et
praeclarissima
SAXONIAE Ducum stirpe, et quadam animi probitate
excellenti foeminae, quae annum aetatis agens septimum
se ad Divae
Catharinae
Coenobium religiosissimum aggregavit vixitqie singu-
lari
probitatis exemplo itaque anno 1566 Coenobii Antistita dele-
cta
familiam meliore vitae ratione informandam curavit, eiusdem
deinde
Coenobii Templo, quod condere inceperat absoluto, vitam omni
laude cumulatam explevit D. PORTIA de CARRETO uxor D.
Gasparis
de Barresio illustris vir carissimae sorori hoc amoris,
et doloris
monumentum posuit. Vixit annos 70. Antistita
annos 30. Obiit
anno
1598.
Scorgendosi la seconda cioè PORZIA testè avvisata dentro un altro tumolo, eretto nella
Cappella di Nostra Signora della Grazia della Chiesa de' Padri di S. Cita di Palermo
col seguente epitaffio:
Conditur hoc tumulo BARRESIS PORTIA, paris
CARRETTI illustris, candida progenies.
Vivit nobilitas, vivit post funera
virtus.
Sic moriens Coeli gaudia laeta subit.
Obiit anno 1607 mense Julii die 25.
Accanto di questo tumolo se ne vede un altro
appartanente ad essa casa CARRETTO, ove si legge:
CARRECTI genere et claro jacet orta
Beatrix
virtutum ardenti lumine splendior.
Vixit cara viro moriens, coeloque
recepta est,
Inde Beatricis nomen, et homen habet.
D. ARDENTIA ARCAN D. Betricis
CARRETTOS PHILADELPHI olim Baro-
nissae matri suae suavissemae tumulum
propriis expolitum la-
crymis moestissima
Succedono quindi
GIROLAMO nel retaggio di questo Stato dopo la morte di
Giovanni suo genitore, lo ridusse egli all'onor di Contea per provilegio del
serenissimo Rè Filippo Secondo, dato
nell'Escuriale di S. Lorenzo a dì 27.Giugno 1576 (a) [Pirri, Sic. Sacr. Agrig. f. 758, c. 1], esecutoriato in Palermo a 28
Giugno 1577 (b) [R. Cancell. ann. 1577. f. 476]. Fu pretore di Palermo nell'anno
1559 (a) [DI GIOVANNI, Palermo Ristor. lib. 4. f. 242 retr.], e Don Vincenzo Di
Giovanni nel suo PALERMO RISTORATO lib. 2 f. 138. giustamente l'annovera fra 'l
chiaro stuolo de' Padri della Patria mercé il lodevolissimo governo, ch'egli
fece, procacciato avendone gloria, ed ornamento. Presedette altresì la
Compagnia della Carità di essa Città di Palermo nel 1549., e adorno videsi di
distintissimi elogi fattigli da Rodolfo Imperatore con le sue Imperiali lettere
al Rè Filippo II. negli anni 1580 e 1598., rapportate per extensum da BARONE loc.
cit. lib. 3. c. 11 De Majest. Panormit.
- Da esso fu dato al mondo [p. 205] GIOVANNI
del CARRETTO, quarto di questo
nome. il quale fu il secondo C. di
RAGALMUTO, e Pretore di Palermo nel 1600. (a) [Lapidi Senatorie che si veggono a porta di VICARI, e porta di MACQUEDA]
di non minor merito di quello del genitore come vuole il citato DI GIOVANNI
nell'istesso luogo notato di sopra, avvegnachè fu egli dotato d tanta prudenza,
valore, ed abilità, che nella onorevol carriera di reggere gli affari pubblici
avanzò tutti gli altri cavalieri suoi pari, e magnati suoi contemporanei.
Quindi prevalse appo il detto di Macqueda
Vicerè di Sicilia, a segno tale che lo fece strategoto di Messina, qual
ufficio però non potè egli esercitare, per essere stato provveduto contro la
forma de' Privilegi de' Messinesi, che ammetteano solamente colui, il quale ne avea la real
patente. Trascelto videsi Governatore della Compagnia de' Bianchi di Palermo
negli anni 1597., 1601. e 1605., e fu Diputato del Regno nel 1600. Festeggiò
suo sposalizio con Margherita d'Aragona
Tagliavia e Marinis figlio di Giovanni
D'Aragona, e di Maria Marinis
della Favara, e D. di Terranova jugali (b) [PIRRI
Chron. Regum f. 22]; parto della
quale fu C.
GIROLAMO
del CARRETTO ed Aragona, chiamato
il giuniore (c) [BARONE, loc. cit.], da cui vide la prima luce
GIOVANNI quinto,
che fu il primo P. di VENTIMIGLIA (d) [Notisi, che il succennato GIOVANNI del
CARRETTO non fu Pretor di Palermo, e
Diputato del Regno nel 1600, come si disse per errore par. I lib. 1. f. 24.
tom. 1, ma bensì lo fu il lui avolo, cioè il quarto GIOVANNI secondo C. di
Ragalmuto, come sopra ho notato; percò tal luogo deve correggersi], come narrai
nel capitolo di detto Principato par. 2 lib. I. f. 74], ove si vede il
rimanente della genealogia di detti principi del CARRETTO e Conti di REGALMUTO,
sin tanto che estinti essi in PALERMO colla morte dell'ultimo Principe GIUSEPPE del CARRETTO e LANZA,
passando detta contea nelle mani della di lui vedova BRIGIDA SCHITTINI e GALLETTI, che jure crediti, delle sue doti aggiudicossela investendosene a 10.
Luglio 1716, se ne vede oggi investita sin dal 1747. del dì 16.Marzo la vivente
Principessa di Palagonia GRAVINA Maria
Gioachina GAETANI e BUGLIO, e C. di
Ragalmuto, la di cui invest. per detto Stato cadde a 7. Agosto 1735., e del
titolo di essa a 12. Aprile 1736.
PARTE
II. libro I - DELLA SICILIA NOBILE [VILLA
BIANCA]
VENTIMIGLIA - TERRA
BARONALE
[pag. 74] e vedesi nella Valle di Mazara col mero,
e misto Impero, che le fu concesso pe 'l suo governo a dì 3. Novembre 1632.
BEATRICE
VENTIMIGLIA figlia di Giovanni
Principe di Castelbuono. Prima P. ottenne il titolo dal Serenissimo Rè Filippo
IV, con suo real Privilegio dato a 7. Maggio 1627. esecutoriato a 31. Agosto di
detto anno. Si maritò Ella a GIOVANNI
del CARRETTO C. di Racalmuto, di già eletto Diputato del Regno, e Pretore
di palermo nel 1600, da cui trasse in figlio:
GIROLAMO
del CARRETTO e VENTIMIGLIA (e) [MONG. Bibliot. Sicul. tom. I f.
210] che successe in questo Stato pe 'l diritto della Principessa sua
madre. Questi fu l'infelice Conte di
Racalmuto, che negli ANNALI di
SICILIA del secolo 1649, lasciò di sé mesta memoria (a) [CARUSO, STORIA SICIL. par. 3 Vol. 2. lib. 5. f. 132]. I di lui sposalizi
celebraronsi con Beatrice BRANCIFORTE figlia di Giovanni figlio di Fabrizio P. di
Butera, e da essa ebbe
GIROLAMO
del CARRETTO e BRANCIFORTE,
investito a 15. Agosto 1656, Fu questi Maestro del Campo nella guerra di
Messina (b) [CARUSO, Stor. Sic. par. 3 Vol. 2 l. 5. f. 179] e sostenendo tale carica prese
il Casal di Soccorso, avendo difeso coraggiosamente SAMMICI da' Colli di
Valdina, ed impedì lo sbarco de' Franzesi presso Melazzo (c) [AURIA Cron. f. 211], onde poi insieme fu eletto Vicario Generale nella
Città di Noto, di Girgenti, Licata e Caltagirone (d) [TALAMANCA Enrico f. 171. Mongit.
Biblioteca Sic. Tom. I f. 210]. Fu
Pretore di Palermo nel 1682, Diputato di questo Regno, e gentiluomo di camera
del Ser.mo Rè Carlo II. pubblicato a 10. Agosto 1688 (e) [AURIA Cron. f. 211].
Sposo nelle prime sue nozze MELCHIORRA
LANZA e MONCADA figlia di LORENZO C. di Sommatino, e poscia ebbe in moglie
COSTANZA di AMATO ed AGLIATA, figlia di ANTONIO P. di GALATI. Dal primo suo
letto coniugale venne alla luce
GIUSEPPE
del CARRETTO e LANZA. Videsi
questo nell'onorato impiego di Capitano di Palermo nel 1698, e premorendo al
padre senza figli fece estinguere nella sua persona la Famiglia illustrissima
del CARRETTO de' Signori di SAVONA, che prendendo origine Reale, stimavasi una
delle più cospicue Prosapie di questo Regno (f) [Caso di Sciacca del SAVASTA
cap. 15. f. 43]. Fu sua moglie BRIGIDA
SCHITTINI e GALLETTI figlia di Gio: Battista primo M. di S. ELIA, la quale per il credito della
sua dote avvalorato da una sentenza proferita dalla R. G. Corte nel 1711.
pigliò possesso di questo Stato, e insieme di questo Titolo a 10. luglio 1716.
Venendo essa a morte succedette in questi feudi sua sorella OLIVA SCHITTINI e GALLETTI maritata a
Giacomo P. Lanza, il di cui figlio
ANTONINO LANZA
e SCHITTINI se ne investì a 26.
Agosto 1739. Questi vive attuale P. Ventimiglia, P. Lanza, B. dello Stato di
Calamigna, etc.
Leonardo SCIASCIA Le parrocchie di
Regalpetra - ed.
Laterza 1982 Bari U.L.
[pag. 15] Nella Chiesa del Carmine c'è un massiccio
sarcofago di granito, due pantere rincagnate che lo sostengono. Vi riposa
«l'Ill.mo don Girolamo del Carretto, conte di questa terra di Regalpetra, che
morì ucciso da un servo a casa sua, il 6 maggio 1622». [...] Girolamo, secondo di questo nome nella
famiglia dei conti di Regalpetra, è vestito alla spagnola: mantelletto di
broccato di seta, giubbetto verde a rabeschi d'argento, calzoni sbuffati al
ginocchio; senza calze, senza scarpe; alto quanto un eroe del West, il volto
quadrato in cui il naso piccolo e le labbra spiacevolmente sottili mettono una
nota di gelida perfidia, le mani fini leggermente artigliate, le unghie
perfette. L'imbalsamatore sapeva il suo mestiere. Vicino alla mano sinistra ha
un teschio della grandezza di un'arancia, di un bambino di pochi mesi; tra le
gambe un altro teschio poco più grande, di un suo bambino che le [16] le
cronache dicono morì incornato da una capra, alla quale per giuoco si era
avvicinato. Evidentemente, nel corso di tre secoli, c'è stato qualche parroco che
ha avuto un'idea di più immediato profitto sull'Ill.mo don Girolamo del
Carretto. Un ricercatore di memorie locali ci certifica di uno spadino con
impugnatura d'oro, di bottoni rivacati da pesanti monete d'oro, pure d'oro
l'astuccio che racchiudeva una pergamena. Non ci costa sforzo immaginare la
scena [...] il prete a lavorar di coltello per far
saltare i bottoni, a sfilare lo spadino, a togliere le scarpe a quel morto
[...] Il conte stava affacciato al balcone alto fra le due torri guardando le
povere case ammucchiate ai piedi del castello, quando il servo Antonio di Vita
«facendoglisi da presso, l'assassinò con un colpo d'arma da fuoco». [...] Donna
Beatrice , vedova del conte, perdonò al servo di Vita. [...] Della voracità di
don Girolamo del Carretto una anonima memoria testimoia - «Oltre alle
numerose tasse e donativi e imposizioni
feudali, che gravavano sui poveri vassalli di regalpetra, i suoi signori erano
soliti esigere, sin dal secolo XV, due tasse dette del terraggio e del terraggiolo
dagli abitanti delle campagne e dai borgesi. Questi balzelli i [17] del
Carretto solevano esigere non solo da coloro che seminavano terre nel loro
stato, benhè le possedessero come enfiteuti, e ne pagassero l'annuale censo, ma
anche da coloro che coltivassero terre non appartenenti alla contea, ma che
avessero loro abitazioni in Regalpetra. Ne avveniva dunque, che questi ultimi
ne dovevano pagare il censo, il terraggio e il terraggiolo a quel signore a cui
s'appartenevano le terre, ed inoltre il terraggio e il terraggiolo ai signori
del nostro comune... Già i borgesi di Regalpetra, forti nei loro diritti,
avevano intentata una lite contro quel signore feudale per ottenere
l'abolizione delle tasse arbitrarie. Il conte si adoperò presso alcuni di essi,
e finalmente si venne all'accordo, che i vassalli di regalpetra dovevano
pagargli scudi trentaquattromila, e sarebbero stati in perpetuo liberi da quei
balzelli. Per autorizzazione del regio Tribunale, si riunirono allora in
consiglio i borgesi di regalpetra, con facoltà di imporre al paese tutte le
tasse necessarie alla prelevazione di
quella ingente somma. Le tasse furono imposte, e ogni cosa andava per la buona
via. Ma, allorché i regalpetresi credevano redenta, pretio sanguinis, la loro libertà, ecco don Girolamo del Carretto
getta nella bilancia la spada di Brenno
... e trasgredendo ogni accordo, calpestando ogni promessa e giuramento,
continua ad esigere il terraggio e il
terraggiolo, e s'impadronisce inoltre di quelle nuove tasse». [v.
TINEBRA, p. 125- 126]
Ammazzato, da due sicari del barone di Sommatino,
morì anche il padre di Girolamo, uomo anch'esso vendicativo ed avido. Il primo
Girolamo fu invece, ad opinione del Di Giovanni, uomo di grandi meriti. Per lui
Filippo II datava dall'Escuriale di San Lorenzo, il 27 giugno del 1756, un
privilegio che elevava Regalpetra a contea. Ma sui meriti di Girolamo primo non
sappiamo molto: fu pretore di Palermo, e non credo dovuta a «bizzarra opinione
seu presuntione», come invece afferma il Paruta,[TINEBRA p. 118] la sollevazione
dei palermitani contro la sua autorità. Né mi pare sia da ascrivere a sua
gloria il fatto che per suo ordine, il giorno sedici del mese di marzo
dell'anno milleseicento, trentasette facchini abbiano sibita la pena della
frusta: notizia che senza commento offre il già ricordato erudito
regalpetrese.[TINEBRA, p. 118]
[...] [19] Nel 1645 della peste restava un ricordo
di castigo e di redenzione: Regalpetra contava case milleduecentotrentasei ed abitanti cinquemilacentosei. [RACALMUTO in
T. p. 200] Il terzo Girolamo, che era
andato a cacciarsi in una congiura contro la sovranità di don Filippo IV,
grazie ad un servo di nome Mercurio e al gesuita padre Spucces cui il servi
svelava la trama, moriva giustiziato a Palermo, in buona compagnia di nobili e di
giureconsulti; il figlio, quarto dello stesso nome, veniva investito della
signoria di Regalpetra il 15 agosto 1654; fu maestro di campo in guerra e
gentiluomo di camera di Carlo II. Con lui si estingueva la famiglia,
l'investitura passava ai marchesi di S. Elia, ancor oggi i borgesi di
regalpetra pagano il censo agli Eredi dei Sant'Elia: ma certo che fu grande
riforma quella che i Sant'Elia fecero centocinquantanni addietro, divisero il
feudo in lotti, stabilirono un censo non gravoso, la piccola proprietà nacque,
litigiosa e feroce; una lite per confini o trazzzere fa presto a passare dal
perito catastale a quello balistico, i borgesi hanno fame di terra come di
pane, ciascuno tenta [20] di mangiare la terra del vicino, come una talpa [...]
Da LA MORTE DELL'INQUISITORE [Pubblicato assieme alle Parrocchie di Regalpetra,
prima citato - p. 180]
Era signore di Racalmuto Girolomo II del Carretto,
uomo spietato ed avido: ed appena due mesi dopo, il 6 di maggio, un suo servo,
certo Antonio di Vita, lo avrebbe mandato agli inferi con una scoppettata. Pare
che ad incaricare il di Vita fosse stato il priore del convento degli
agostiniani riformati, in rivalsa di una somma di denaro che il conte era
riuscito a sottrargli. Secondo la tradizione locale il priore era riuscito a
raccogliere un bel mucchio di quattrini: e con la pia intenzione di ampliare il
convento e di abbellire l'annessa chiesa di S. Giuliano. Ma il del Carretto
riuscì a farsi consegnare il denaro. Come prova delle intenzioni del priore e
del rapace intervento del conte, il popolo indica le colonne che a lato del
vecchio convento cominciavano a sorgere, la fornace di calce poco lontana.
Che un fondo di verità sia in questa tradizione,
riteniamo confermato dall'epilogo stesso del racconto popolare, che dice il
servo di Vita averla fatta franca grazie a donna Beatrice, ventitreenne vedova
del conte: la quale non solo perdonò al di Vita, fermamente dicendo a chi
voleva fare vendetta che la morte del
servo non ritorna in vita il padrone, ma lo liberò e nascose. Ora
chiaramente traluce e arride, in questo epilogo, l'allusione a un conte del
Carretto cornuto e scoppettato: ma
questa viene ad essere una specie di causa secondaria della sua fine,
principale restando quella dell'odio del pretore. Insomma: se non ci fossero
stati elementi reali a indicare il priore degli agostiniani come mandante,
volentieri il popolo avrebbe mosso il racconto dalle corna del conte.
Il priore non era certo uno stinco di santo: ma
quel colpo di scoppetta il conte lo riceveva consacrato da un paese intero. Una
memoria della fine del '600 (oggi introvabile, ma trascritta in riassunto da
Nicolò Tinebra Martorana, autore di una buona storia del paese) dice della
vessatoria pressione fiscale esercitata dai del Carretto, e da don Girolamo II
in modo particolarmente crudele e brigantesco. Il terraggio e il terraggiolo, che
erano canoni e tasse enfiteutiche, venivano applicati con pesantezza ed
arbitrio: e non solo si esigevano da coloro che erano effettivamente enfiteuti
nella contea di racalmuto, ma anche da coloro che soltanto avevano
domicilio nella contea e avevano
enfiteusi fuori del territorio; e non dovevano essere pochi in questa
condizione. Per cui la fuga di contadini dai dominî dei del Carretto fu per
secoli continua, e in certi periodi addirittura massiccia: e i ripopolamenti
coatto o di franchigia non riuscivano a colmare dei tutto i vuoti lasciati dai
fuggitivi.
Il documento riassunto dal Tinebra dice che appunto
durante la signoria di Girolamo II i borgesi
di racalmuto, che già avevano mosso ricorso per l'abolizione delle tasse
arbitrarie, subirono gravissimo inganno: ché il conte simulò condiscendenza, si
disse disposto ad abolire quei balzelli per sempre; ma dietro versamento di una
grossa somma, esattamente trentaquattromila scudi. L'entità della somma, però,
a noi fa pensare che non si trattase di un riscatto da certe tasse, ma del
definitivo riscatto del comune dal dominio baronale; del passaggio da terra
baronale a terra demaniale, reale.
Per mettere insieme una tal somma, il Regio
Tribunale autorizzò una straordinaria autoimposizione di tasse: ma appena le
nuove e straordinarie tasse furono applicate, don Girolamo del Carretto
dichiarò che le considerava ordinarie e non in funzione del riscatto. I borgesi, naturalmente, ricorsero: ma la
dolorosa questione fu in un certo modo risolta a loro favore solo nel 1784,
durante il viceregno del Caracciolo.
Il priore degli agostiniani e il loro servo di Vita
fecero dunque vendetta per tutto un paese, quale che sia stato il pasticciaccio di cui, insieme al defunto
e a donna Beatrice, furono protagonisti. (Curiosa è la dicitura di una
pergamena posta, quasi certamente un anno dopo, nel sarcofago di granito in cui
fu trasferita la salma del conte: dà l'età di donna Beatrice, ventiquattro
anni, e tace su quella del conte. Vero è che non disponiamo dell'originale, ma
di una copia del 1705; ma non abbiamo ragione di dubitare della fedeltà della
trascrizione, dovuta al priore dei carmelitani Giuseppe Poma: e l'originale era
stata stilata dal suo predecessore Giovanni Ricci, che forse si permise di
tramandare allusivamente una piccola malignità.) [...]
Dall'anno 1622, in cui fra Diego nacque, al 1658,
in cui salì al rogo, i conti del Carretto passarono in rapida successione: Girolamo
II, Giovanni, V, Girolamo III, Girolamo IV. I del Carretto non avevano vita
lunga. E se il secondo Girolamo era morto per mano di un sicario (come del
resto anche il padre), il terzo moriva per mano del boia: colpevole di una
congiura che tendeva all'indipendenza della Sicilia. E non è da credere che si
fosse invischiato nella congiura per ragioni ideali: cognato del conte di
Mazzarino per averne sposato la sorella (anche questa di nome Beatrice),
vagheggiava di avere in famiglia il re di Sicilia. Ma l'Inquisizione vegliava,
vegliavano i gesuiti; e, a congiura scoperta, il conte ebbe l'ingenuità di
restarsene in Sicilia, fidando forse in amicizie e protezioni a corte e nel
Regno. Una congiura contro la corona di Spagna era però cosa ben più grave dei delittuosi
puntigli, delle inflessibili vendette cui i del carretto erano dediti. Giovanni
IV, per esempio, aveva fatto ammazzare un certo Gaspare La Cannita che,
appunto, temendo del conte, era venuto da Napoli a Palermo sulla parola del
duca d'Alba, viceré, che gli dava guarentigia. E' facile immaginare l'ira del
viceré contro il del Carretto: ma si infranse contro la protezione che il
Sant'Uffizio accordò al conte, suo familiare. (Questo stesso Giovanni IV
troviamo nella cronaca dello scoppio della polveriera del Castello a mare, 19
agosto 1593: stava a colazione con l'inquisitore Paramo, ché allora il
Sant'Uffizio aveva sede nel Castello a mare, quando avvenne lo scoppio. Ne
uscirono salvi, anche se il Paramo [Ludovico Paramo o de Paramo è l'autore di
quel libro che Voltaire infilza, alla voce Inquisizione,
nel Dizionario filosofico. «Luigi
[Ludovico] di Paramo, uno dei più rispettabili scrittori e dei più vivi
splendori del Sant'Uffizio... Questo Paramo era un uomo semplice, esattissimo
nelle date, che non ometteva nessun fatto interessante, e calcolava col massimo
scrupolo, il numero delle vittime umane che il Sant'Uffizio aveva immolato in
tutti i paesi.»] gravemento offeso. Vi perirono invece Antonio Veneziano e
Argisto Giuffredi, due dei più grandi ingegni del cinquecento siciliano, che si
trovavano in prigione.)
Della familiarità
dei del Carreto col Sant'Uffizio abbiamo altri esempi. Ma qui ci basta notare
che a Racalmuto, contro l'eretica pravità
e a strumento dei potenti, l'Inquisizione non doveva essere inattiva. [...] Appunto da documenti pubblicati dal
garufi sappiamo che a Racalmuto c'erano, nel 1575, otto familiari e un
commissario del Sant'Uffizio; e due anni dopo dieci familiari, un commissario e
un mastro notaro: su una popolazione di circa cinquemila (il Maggiore-Perno dà
5.279 abitanti nel 1570, 3.825 nel 1583: per quanto queste cifre siano da
accettare con cautela, si può senz'altro ritenere attendibile la flessione).
Vale a dire che il solo Sant'Uffizio aveva una forza quale oggi, con una popolazione
doppia, non tengono i carabinieri. Se poi aggiungiamo gli sbirri della corte
laicale e quelli della corte vicariale, e le spie, ad immaginare la vita di
questo nostro povero paese alla fine del secolo XVI lo sgomento ci prende.
[190] Di chiese e conventi a Racalmuto ce n'erano in abbondanza: e a Pietro
d'Asaro non mancava il da fare, in esecuzione di devote promissioni di borgesi e di legati testamentarî di
preti e usurai. Lasciando da parte le chiese, ecco un sommario elenco dei
conventi: dei benedettini, dei carmelitani, dei minori osservanti, dei
francescani conventuali, delle clarisse, dei riformati di sant'Agostino. In
quest'ultimo, esattamente denominato degli agostiniani di sant'Adriano o della
riforma centuripina, entrò (giovanissimo, è da presumere) Diego La Matina: non
sappiamo se per circostanze familiari o per calcolo o per vocazione.
L'ordine degli agostiniani di sant'Adriano fu
fondato nel 1579 da Andrea Guasto da Castrogiovanni: il quale, stabilita coi
primi compagni la professione della regola nella chiesa catanese di
Sant'Agostino, si trasferì in Centuripe, in luogo quasi allora deserto, e fabbricate anguste celle, pose i rudimenti di vita
eremitica, e propagolla in progresso per la Sicilia: notizia che dobbiamo a
Vito Amico [Dizionario topografico della
Sicilia di VITO
AMICO, a cura di G. Di Marzo,
Palermo 1859.], e non trova riscontro nelle enciclopedie cattoliche ed
ecclesiastiche che abbiamo consultato. Lo stesso Vito Amico dice che il
convento di Racalmuto fu dal pio monaco
Evodio Poliziense promosso e dal conte Girolamo del Carretto dotato nel 1628.
Evidente errore: ché nel 1628 il conte Girolamo era morto da sei anni. Più
esatto è il Pirro: S. Iuliani Agustiniani
Reformati de S. Adriano ab. an. 1614, rem promovente Hieronymo Comite, opera F.
Fuodij Polistensis [R. Pirro, Sicilia Sacra, libro terzo, Palermo
1641].
In quanto al pio
monaco Evodio Poliziense o Fuodio Polistense, si tratta senza dubbio alcuno
di quel priore cui dalla leggenda popolare è attribuito il mandato per l'assassinio
del conte Girolamo. Infatti il Tinebra Martorana, che non si era preoccupato di
consultare in proposito i testi del pirro e dell'Amico, cade in equivoco quando
dice che al priore di questo convento la
tradizione serba il nome di frate Odio, riferendosi con ogni probabilità
all'azione da lui commessa. Era semplicemente il nome, piuttosto peregrino,
di evodio o Fuodio che nel corso del tempo si era mutato in Odio.
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