Invia per email
Stampa


ROMA - La scissione è adesso. O meglio, arriverà quando Matteo Renzi chiederà elezioni senza cambiare prima la legge elettorale: "La reazione - promette Massimo D'Alema - dovrebbe essere quella di preparare un'altra lista a sinistra, che supererà sicuramente il 10% dei voti. Senza un congresso, sarà lui a rompere". Un nuovo passo verso la frattura è compiuto. Proprio nel giorno in cui Francesco Boccia, a nome di Michele Emiliano, lancia un referendum tra gli iscritti per un'assise anticipata e pianifica una consultazione parallela sui social con un quesito fotocopia: "Non è meglio scegliere prima il segretario e poi tornare al voto?". I puntini della strategia della minoranza, insomma, iniziano a unirsi. E disegnano un big bang che minaccia il segretario dem, convinto però di poter recuperare l'ala bersaniana alla causa. "Io sto girando l'Italia per la mia candidatura alla guida del Pd - si mantiene cauto Roberto Speranza - E sto combattendo la mia battaglia dentro il partito".

Alla vigilia del raduno al centro Frentani, un sms di un professore universitario fa sorridere D'Alema. "Ecco - lo mostra agli amici - se anche personalità moderate sono così arrabbiate con Renzi, vuol dire che la scissione dobbiamo farla per davvero". E in effetti il PdD - il partito di D'Alema - è qualcosa più di una bozza. Uno spazio a sinistra, ha verificato Ipr-Tecné, può puntare all'11%. Se fosse guidato da Emiliano, è opinione dell'ex premier, potrebbe addirittura puntare più in alto: "Michele ha tanti difetti e magari non sarà il leader ideale della sinistra per atteggiamenti e convincimenti, ma è una brava persona e può recuperare molto nel confronto con i cinquestelle".

Tutto nasce con la stagione dei comitati per il No al referendum. "E però - ricorda l'eurodeputato Massimo Paolucci, mentre recluta truppe - quando abbiamo iniziato quella campagna sembravamo dei pazzi, mentre adesso il clima è cambiato". Di ceto politico al fianco del leader ne è rimasto pochino. Oltre a Paolucci, il parlamentare europeo Antonio Panzeri e il senatore Paolo Corsini. Agli ultimi summit si sono visti Pietro Folena, Valdo Spini, il professor Guido Calvi e Cesare Salvi. Antonio Bassolino no, mentre sono stati avvistati due storici bassoliniani come Michele Caiazzo e il sindacalista Cgil Michele Gravano. Un segnale, utile a colorare la mappa d'Italia con qualche puntino rosso.

In cima alle speranze di consenso c'è naturalmente il Sud. "In alcune regioni - ragiona D'Alema - possiamo prendere più di Renzi. Anche perché nel Mezzogiorno il Pd ha raccolto il peggio degli ex cuffariani e cosentiniani, mentre la gente per bene se ne va". Non solo Meridione, però: i dalemiani indicano sacche rosse in Lombardia e Veneto. In quest'ultima regione, in particolare, si prova a convincere Flavio Zanonato a partecipare all'avventura. Ma è la Puglia il cuore pulsante della scissione. L'assalto alla segreteria da parte di Emiliano è in corso, le firme per un referendum interno saranno raccolte nelle prossime ore. "E Renzi non riuscirà a reggere pubblicamente un rifiuto - confida ai colleghi Francesco Boccia - Mica siamo la Casaleggio associati...".

Molto si muove, dalle parti del Pd. Nessuno sottovaluta il segnale che arriva dalla Francia, dove la scalata dell'outsider socialista fa sognare D'Alema e gli avversari dell'ex premier. Chi però preferirebbe affrontarlo restando nel partito sono soprattutto i bersaniani, consapevoli dei rischi della concorrenza interna delle altre sinistre dem. "Hamon è un altro Davide contro Golia che ce la fa - giura Speranza - E io penso che serva un congresso e un momento di chiarezza prima delle elezioni". Si vedrà. Di certo l'ex capogruppo ha ripreso a sentirsi con il Nazareno. E Pierluigi Bersani continua a frenare i suoi. Non minaccia scissioni, pur invocando una profonda
discontinuità. L'importante, ha spiegato ai fedelissimi, è non restare vittima del "divide et impera" di Renzi nei confronti della minoranza. Una tecnica già sperimenta in passato dal leader, ha ricorDato l'ex segretario, "con ottimi risultati".