Pier Luigi Bersani in assetto di combattimento: "Se Renzi tira dritto, è finito il Pd e rinasce un nuovo Ulivo, plurale e democratico"
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Scusi Bersani, dice Renzi: il Congresso dopo il 4 dicembre siete voi, cioè la minoranza, che non l’avete voluto.
Cazzate. Scriva così che non si scandalizza nessuno. Vogliamo dirci la verità? Per anticipare il Congresso servono le dimissioni del segretario. Evidentemente qualcuno non si vuole dimettere, e infatti il Congresso anticipato non l'ha mai proposto. Ora dico io: chiamalo come vuoi, Congresso, primarie, ma un luogo di confronto e di contendibilità lo chiedo.
Dicono che per Statuto…
(Interrompe). Per l’amor dio Dio, non mi si parli di Statuto e cavilli. L’Assemblea in un partito è sovrana e può fare quel che vuole. Sia chiaro, serve una roba vera, non una gazebata. Non pretendo certo che si cambi lo Statuto come feci io, quando in nome della democrazia feci le primarie con Renzi. Si trovi il modo.
Subito, dice lei. Non dopo il voto.
Subito, per discutere come andare al voto. Nel Pd si è aperta una enorme questione democratica. Guardiamoci da fuori: un ciclo elettorale e politico si è chiuso, e lasciamo stare che abbiamo governato con i voti del 2013 e con un altro programma. Ora, dicevo, a conclusione di una fase vogliamo consentire la contendibilità di linea, di progetto e di leadership come ogni partito in Europa? Abbiamo perso Roma, Torino, le amministrative, e si è detto “avanti così”. È arrivata una botta al referendum e si è detto “avanti così”. La Corte fa saltare l’Italicum e si dice “avanti così”. Avanti così. Come si può pretendere che chi non è stato d’accordo su scuola lavoro, eccetera, possa andare a fare in giro i comizi dicendo, votateci che non è successo niente? Direi che dobbiamo parlare di una cosetta che si chiama Italia, o no?
Parliamone Bersani.
Bene, io vorrei porre una serie di questioni, e avere una risposta. Risposta politica. A partire da questa vicenda della legge elettorale. Siamo passati in poche settimane da un sistema che era il record mondiale del maggioritario a un iper-proporzionale senza bussola, senza discutere.
L’ultima suggestione è estendere l’Italicum al Senato, così ci sono due leggi uniformi e si può votare.
Ripeto: una legge che garantisce l’ingovernabilità. Rende necessario un accordo con Berlusconi e neanche basta. Ma aggiungo, questo lo dovrebbe scrivere in grassetto nell’intervista: vanno tolti i capilista bloccati che portano a una Camera formata per il 70 per cento di nominati. E considero una provocazione allargare al Senato questo scempio. Possiamo discutere o no? E per favore: evitiamo le volgarità dei discorsi sulle seggiole. Io, Speranza, altri abbiamo dimostrato che noi ai posti semmai rinunciamo, in nome delle battaglie sui principi. È offensivo dire che vuole posti chi sta dicendo che bisogna abolire l’aberrazione dei nominati.
Però Bersani, c’è un punto di fondo dietro la discussione sulla legge elettorale, con questo o quel modello. Che è la durata della legislatura.
Esatto, e infatti anche di questo si dovrebbe discutere. Il governo deve governare o no? Io dico di sì, senza darsi tante traiettorie: mettere in sicurezza alcune cose a cominciare dalle banche, correggere qualcosa degli errori fatti, ad esempio sul lavoro e sui voucher. Lo chiedo al presidente del Consiglio. Vuole governare Gentiloni? Ricordiamoci tutti che un presidente del Consiglio giura sulla Costituzione, non facciamo vedere un autolicenziamento in streaming alla direzione del Pd.
Però, Bersani, mi pare di capire che il ragionamento di Renzi sia: la legislatura dopo il referendum è finita, se andiamo avanti ci tocca fare una manovra lacrime e sangue, votiamo subito.
Vuole andare al voto per evitare Congresso, manovra, referendum della Cgil, evitare tutto… Ma uno che governa non è mica uno slalomista! Qualche paletto deve prenderlo. La sconfitta, andando avanti così, non è evitabile. Napolitano ha ragione, ma io non sto dicendo che non si può votare prima della scadenza naturale. Sto dicendo: andiamoci con ordine, dopo un Congresso e con una legge elettorale decente.
Renzi le risponderebbe che sono tutte chiacchiere, perché chi vuole tirarla per le lunghe pensa solo al vitalizi.
Sono contento di questa domanda perché è inaccettabile questa frase. Ci può star tutto nella vita, comprese le diverse opinioni, però se buttiamo anche a mare la dignità del Parlamento non si capisce dove andiamo. Non può insultare il Parlamento. I vitalizi non ci sono più dal 2012 e ci sono qui dentro deputati 30enni che non sono qui ad aspettare i 65 anni per avere qualche euro di contributi. Non so se siano bersaniani o renziani: oggi ne ho visto qualcuno che piangeva. Gente onesta, perbene, che fa la politica perché ci crede. Perché non si vive di solo pane. Il rispetto conta.
Va bene, lei chiede un cambio di rotta: congresso, legge elettorale, governo. Ma se, come si dice in gergo, Renzi tira dritto, forza, ovvero va al voto in tempi brevi senza congresso, lei che fa?
Io prima di tutto combatto, sia chiaro. E mi aspetto di non essere il solo. C’è Renzi nel Pd, ma anche tanti altri. È ora che dicano qualcosa perché così si va a sbattere e si dissolve il Pd. Chiedo che qualcuno apra bocca, perché non ci si può nascondere al punto in cui siamo arrivati. Non sfuggo però alla domanda e le rispondo in modo molto chiaro: se chi ha la responsabilità di decidere tira dritto, allora risponderà del fatto che non c’è più il Pd.
Sta dicendo che se tira dritto la scissione la sta facendo Renzi?
Il concetto è questo, anche se io lavoro per evitarla. E aggiungo: in quel caso estremo non si aspettino, lo dico agli osservatori, che semplicemente avvenga qualcosa che assomigli a una rottura tra Margherita e Ds. Otto anni non son passati invano e l’idea del Pd risorgerebbe dalla ceneri, perché è una idea buona. Un Pd a servizio di un’area larga, ulivista, plurale, può essere tradito: ma viene fuori da un'altra parte. Non nascerebbe, nel caso estremo, la Cosa 3 di Bersani e D’Alema, ma un soggetto largo, plurale, ulivista. In grado di interpretare quel pezzo di popolo che ha lasciato il Pd e la fase nuova che si è aperta.
Quella dell’anti-establishment.
Del ripiegamento della globalizzazione, di fronte alla quale è emersa una nuova destra sovranista, identitaria, populista. parafrasando Altan: quando alla nostra gente vengono in testa idee che non condividono, significa che sta nascendo una egemonia. Ecco, questa fase ci consente di sentirci gramsciani. Il rapporto tra andamento grande, tra le cose economiche e i modelli di pensiero, è chiaro e non puoi non combattere su quel terreno lì. Serve un campo di idee, non l'uomo forte. Trump otto anni fa chi era? Un miliardario circondato di donne, che nessuno avrebbe preso sul serio. Ora interpreta un bisogno di protezione, una nuova destra che rappresenta anche tute blu e ceto medio stremato dalla crisi. Se ci sono idee che funzionano, poi chi le interpreta arriva. La parola protezione la vogliamo declinare a sinistra o dobbiamo rassegnarci ai muri?
Il che significa finirla, anche in Italia con la narrazione della terza via.
Abbiamo perso il contatto con la realtà. Non si capisce una cosa semplice: quando eravamo nella fase dell'espansione della globalizzazione, quel pensiero interpretava la realtà. La Terza Via, ci ha fatto anche vincere, ma ora è cambiata la fase. Si è visto al referendum: non c’è più la maggioranza silenziosa, il ceto medio moderato anni Novanta. Prevale una esigenza di protezione.
Sarebbe anche complicato per voi fare i comizi, magnificando jobs act e Marchionne.
E infatti non dovremo farli. Dovremo parlare di protezione, ma dovremo farlo sui diritti del lavoro, essenziali elementi del welfare universalistico, salute, sanità, fiscalità progressiva. Insomma, sulle idee della sinistra, l’Ulivo.
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