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ROMA - Gentile e ironico, Valentino Parlato fumava ottanta sigarette Pueblo al giorno e beveva vino bianco anche di buon mattino. Straordinaria figura di comunista eretico è morto all'età di 86 anni. Dal 1969, anno della scissione dal Pci, la sua biografia si era interamente identificata con quella del manifesto, il giornale di cui fu fondatore e quattro volte direttore. Non fosse stato per lui, per la sua incessante ricerca di finanziamenti, a tutti i livelli - perfino dal Psi di Craxi una volta ottenne un prestito di 60 milioni di lire, poi restituito - il quotidiano, un pezzo di storia della nostra editoria, probabilmente non sarebbe sopravvissuto..

Era nato a Tripoli, dove il padre lavorava come funzionario del fisco.  Valentino Parlato venne espulso dal Protettorato inglese nel '51. Raccontò così quegli anni lontani: "Ero studente in Legge: se fossi sfuggito a questa prima ondata sarei diventato un avvocato tripolino e quando Gheddafi m'avrebbe cacciato, nel 1979, insieme a tutti gli altri, mi sarei ritrovato in Italia, a quasi cinquant'anni, senz'arte né parte. Sarei finito a fare l'avvocaticchio per una compagnia d'assicurazione ad Agrigento, a Catania. Un incubo. L'ho veramente scampata bella". Invece, finisce per fare il funzionario nel Pci, collaboratore di Giorgio Amendola ("ogni mattina mi chiedeva: che succede in città?, come si fa con un ragazzino"). Lo spediscono per un breve periodo alla federazione di Agrigento, quindi si ritrova giornalista economico a Rinascita.
Negli anni Cinquanta ha conosciuto Luciana Castellina e Rossana Rossanda, due incontri decisivi. Ha 38 anni quando i tre lasciano il Pci e fondano il manifesto rivista; il primo numero costa 50 lire e vende 30mila copie. Enrico Berlinguer prova a mediare con Rossanda, nel tentativo di evitare la rottura definitiva, ma il 4 settembre, dopo l'invasione dell'Unione sovietica in Cecoslovacchia, la rivista esce con l'articolo "Praga è sola": un duro affondo contro il Pci per non aver condannato l'intervento sovietico, un pezzo non firmato, ma scritto da Luigi Pintor. E' il divorzio immediato, come raccontò nel libro-intervista: "La rivoluzione non russa", a cura di Giancarlo Greco.

Il 24 novembre 1969 Valentino Parlato viene licenziato da Rinascita, e insieme a Natoli, Rossanda, Pintor, è radiato dal Pci. Il manifesto diventa quotidiano il 28 aprile 1971, e pur nella forte connotazione politica, doveva essere "un giornale, un giornale, un giornale", come disse Pintor, parafrasando la celebre frase di Gertrude Stein "una rosa è una rosa è una rosa". Il primo numero vende 22mila copie. La sede è in via Tomacelli, al quinto piano di uno stabile dell'Ina, dove rimarrà fino al 2007, da qui passerà un'intera generazione di cronisti. Magri stipendi per tutti, rotazione delle mansioni, un redattore deve occuparsi delle spedizioni. Nel '78, per finanziare l'acquisto della tipografia a Milano, tutti rinunciarono allo stipendio per tre mesi. "Con Rossana mi sento tutte le settimane e Luciana è straordinaria nella sua voglia di girare il mondo", riassunse così quelle amicizie per la vita.

Due mogli, Clara Valenzano e Delfina Bonada, tre figli, uno dei quali, Matteo, ha fatto anche un documentario sul padre, Vita e avventure del Signor di Bric à Brac, scritto e diretto insieme a Marina Catucci e Roberto Salinas. Nel salotto di casa Parlato spiccano le foto con il cardinale Silvestrini e il colonnello Gheddafi, e valgono queste istantanee a raccontare il personaggio, e le sue contraddizioni, più di tanti articoli. Sostenne il governo Dini e il primo Prodi, alle ultime elezioni comunali a Roma aveva votato Virginia Raggi.

Come tutti alla fine era sgomento per come erano andate le cose, per la debolezza della sinistra incapace di cogliere i mutamenti della società: "Siamo in una fase di passaggio, le forze di produzione sono cambiate ma non sappiamo come analizzarle; il lavoro umano è diventato meno importante di una volta; servirebbe una rielaborazione del pensiero, ma la sinistra ragiona come se il passato fosse ancora presente. E' in crisi la speranza, mio nipote che ha 9 anni e so già che avrà meno possibilità di quelli della mia generazione. Non si può non essere pessimisti", disse un'intervista nel suo ultimo colloquio con Repubblica nel novembre scorso, quindi, malinconico, allungò le dita sul piattino di mandorle poste sul tavolo.