giovedì 2 novembre 2017


-        Occorre tornare al greco, recitare in recinti sacri a Dioniso (a Racalmuto, lassù al Castelluccio), fornire una scolarità greca, tornare grecofoni, bilingui, sentire tragedie greche in originale e capirle (i diplay moderni saprebbero supplire alle lacune). Se religiosi dobbiamo essere che ciò avvenga almeno nell'irriducibile conflittualità tra l’umano ed il divino dei nostri antenati greci. Odio questa Roma papalina, cattolica che prima uccise il greco in Sicilia ed ora anche il latino. Che c’importa a noi dell’incolto Bossi? Parli lombardo lui? Se ciò gli dà senso?







Imbattutomi nelle Storie di Erodoto  tornai a declamare il VI, 21 quasi furente (storpiando il testo greco):







-        ….  kai poiesanti Frinikho drama Miletu alosin kai didaksanti es  dakruà te epese to theetron kai  ….







-        Ma dottò, che fa?







Mi interruppe sbalordito Vitacchia.







-        Che faccio? Che faccio? Leggo Erodoto. Lo conosci?







-        Nonzi!







-        E figurati non lo conoscono neppure quelli che dovrebbero conoscerlo. Stai certo, nessuno a Racalmuto. Un tempo Macaluso, quello che fu gesuita. Ora Michelangelo. E si dice qualche professoressa di greco ... due o tre ... non di più







-        Ma cu è ssu chissu?







-        E’ uno storico greco ed io vorrei scrivere come scriveva lui.







-        Ma vossia è chhiu bravu.







-        Che Dio ti benedica, ma non è così.







-        Veramente mi pariva che vossia legesse pi babbaria.







-        Era greco Vita’ era la lingua che parlavano i nostri antichi padri, qui a Racalmuto, là a casa mia a Giurgenti.







-        Però nun si capiva nenti.







-        Purtroppo. Vorrei però anch’io scrivere una dramma – meglio una tragedia più bella di quella scritta da Frinico (ignota, persa). Una tragedia sulla Sicilia del 2000 presa da orde azzurre, incolte. Arraffata da un medico sottratto alla guida di corriere. Con una Eckklesia composta da bambine dell’azione cattolica, da chierici d’incerto sesso trasmigrati dalle parrocchie alla politica, da giovincelli blesi senza cultura, da divoratori di lasagne, da protofascisti, da nazionalisti della Favara: che coro beota, che peana, che musica suonata da sfiatati! Lasciamo andare, va!







-        A vossia cu lu capisci?







-        Neppure io, neppure io mi capisco, se ti fa piacere Vita’







-        … cci l’a’ cuntari chiddu chi sacciu?







-        E che cosa vuoi sapere, tu uomo venuto da lontano.







-        Iu a Racarmuto nascivu.







-        E’ vero, è vero – ma il nonno di tuo nonno da dove veniva?







-        Boh!







-        Perché non scrivi che anche per te «tutto finisce, nel risalire del tempo, a un Leonardo Sciascia, nonno di mio nonno, che nei primi dell’Ottocento venne a Racalmuto dal vicino paese di Bompensiere per esercitarvi il mestiere di conciatore di pelli.» Anche tu mentiresti, ma pensa a quale transustanziazione affideresti la tua ancestrale salvezza? Meglio che ad un figlio di Dio.







-        Iu, però, nun sugnu nadurisi,  né cci vuogliu essiri; né nadurisi era ma nannu né ma catanannu.







-        E neppure Sciascia, né suo padre né il padre di suo padre e neppure il suo bisnonno. La verità però è prosaica, è banale, annoia, meglio la menzogna, il falso ben condito, quello letterario poi non è giammai eguagliabile dal vero cupo e meschino.







-        Nun la capisciu … mi facissi diri chiddu ca aiu a diri.







-        Nulla hai da dirmi Vita’ … perché quello che mi vuoi dire già lo so. Vedi quei cosi lì … si chiamano “faldoni”, sono dieci e me li sono dovuti sorbire tutti. Lì c’è la verità. La verità secondo la dottoressa Evelina Adelaide Mangoni Mistretta, … vergine e martire.







-        No, vergine non era. Questo lo so per esperienza personale.







-        Non sottilizzare, Vita’; vergine di cuore e di mente … castissima poliziotta dello stato.







-        Ma anche la commissaria le è antipatica, dotto’? ….







-        Manco per niente; non era però quello il suo mestiere, non lo doveva fare, l’ha voluto fare e ci ha rimesso le penne.







-        La ‘Sraeliana l’ammazzà, duttu’.







-        Ti sbagli Vita’. La ‘Sraeliana tu l’accusi ingiustamente perché ti ha fatto cornuto con una donna, il massimo per uno stallone siciliano come te.







-        Nun voli, allura ca cci cuntu chiddu che sacciu?







-        Tu mi vuoi dire: venne da lontano, da Israele una graziosa fanciulla nigrigna (nigra sum sed formosa) e venne in una sera d’inverno, tra lampi tuoni e diluvi. L’accompagnava un macilento sionista, d’origine russa. Si spacciava per fotografo: diciamo che lo era. Stettero insieme fino a quando la ‘Sreaeliana non incontrò Rosalia, scialba accompagnatrice turistica racalmutese. Fu grande amore. Tu non capivi, hai semi lascivi, hai pulsioni ereditate da coiti violenti nei tuoi precordi, per capire, per rispettare almeno. Ti sfruttarono le due donne: li hai introdotte da Aurelio. Castissimo, lui; ancor di più ora risucchiato dalla casta agonia dei sensi senili. Hai pensato a chissà cosa, Melissa voleva scrivere un libro sugli ebrei di Sicilia prima della cacciata voluta da Isabella di Castiglia. Aurelio era dotto: sapeva e fu utile al libro. Il libro in ebraico sta lì, nei faldoni, con la bella traduzione inglese. Diversamente chi lo leggerebbe? Anche la sera prima Melissa fu da Aurelio; infernale pure quella notte. Ci andò con te … ma se ne tornò con Rosalia, in macchina con Rosalia, come da testimonianze raccolte dalla poliziotta.







-        Veru è, anch’io fui interrogato da Adelaide, buon’anima.







-        Ecco, vedi. Alibi di ferro. L’indomani Aurelio fu trovato morto, avvelenato. Evidentemente dopo che Melissa se ne era andata. Chi fu allora? Adelaide, come la chiami tu, sospettò, ma sospettò della mafia … e fondatamente. Qualcuno spiava … Dalla Cava di Fulvio ciò è un gioco da bambini … poi s’introdusse … Certo che Aurelio lo conosceva .. Ma potevi anche essere tu …







-        Chi ddici duttu’ – lassammu perdiri, va’







Vitazza cambiò di pelle. Irascibile, ora e diffidente. Soprattutto impaurito, terrorizzato. Finire in sospetto della Legge, in Sicilia, con la mafia e l’antimafia. Meglio a Santa Maria, al cimitero … Meluzzo l’aveva proprio folgorato. E con malizia. Si alzò, quasi senza salutare, prese le sue cose. Meluzzo sentì lo sgommare della macchina. In gran fretta si tolse di mezzo com’era nei desideri dell’ospitante.







Capitolo IV







I QUAQUARAQUA’







Il ritorno alla terza persona, al racconto anodino, a questo punto è d’obbligo. I fatti che ora si succedono investono Meluccio Cavalieri con tale veemente cointeressamento da costringerlo a toni distaccati, a collocarsi al di fuori delle parti. E già prima  si era citato per un paio di volte come se si trattasse di un estraneo.







Or dunque, verso le ore quindici del giorno dopo, una violenta telefonata a Bovo investì il nostro scrittore:







-        hanno arrestato mio figlio … l’hanno portato alla Petrusa … la guardia di finanza si lu portà … sì, sì, a ma figliu.







Era il padre di Vitaccchia, esagitato, comprensibilmente stravolto.







Meluccio restò basito.







-        ora vengo .. ora vengo.







Tutta la famiglia di lu Cammaratisi, in cerchio come se in mezzo vi stesse un catafalco, abbassate le serrande, nella penombra, stava a commiserare la propria sventura. Qualche singhiozzo, un lamento, sospiri, pianti a dirotto del padre o del fratello: l’eco immediato delle donne, a squarciagola, imprecazioni, allusioni, nonne e vecchie con bianchi fazzoletti in testa di antica memoria si concedevano cantilene ataviche, erano prefiche risorte, l’antica Grecia piangeva nei loro cuori nella prisca maniera.







Meluccio chiamò da parte lu Cammaratisi e cercò di farsi spiegare. Notò astio che non comprendeva. 







All’alba diversi militi in giallo, elegante nella sua accurata divisa ed impettito il comandante, in assetto di guerra, impudichi erano entrati come di forza, avevano scaraventato dal letto uomini e donne senza delicatezza alcuna, indifferenti all’impacciato ricoprirsi di vecchie e giovanette. Avevano setacciato, sfondato porte, divelti lucchetti, sparpagliato biancheria. Mutissimi ma efficienti, febbrili. A Vitazza, verso il quale un paio di graduati s’indirizzò all’istante, strinsero subito ai polsi le manette e lo portarono via su un cellulare già pronto, a sirene spiegate.







-        Mezz’ura fa mi purtaruni sti carti.







Meluzzo guatò quei fogli: erano verbali, prolissi, indicate ore e circostanze, firme della sostituto procuratore La Mezzana.







-        ma qui si parla di esibizioni di mandati, di ordini di sequestro del magistrato, di mandato di cattura?







-        Tuttu chissu ant’ura mi fu datu!







-        No, le ore segnate sono di questa mattina.







-        Un gnè bberu .. un gnè bberu.







-        Non sarà vero ma qui così è verbalizzato e c’è la tua firma di accettazione.







-        Pur di togliermeli dagli occhi, pure la mia condanna a morte avrei firmato – bestemmiò in stretto racalmutese lu Cammaratisi.







-        Capisco! Ma hanno trovato qualcosa … già è tutto verbalizzato qui.







-        Cosa? … cosa?







-        … bustine di sospetto contenuto da analizzare … scatola in caratteri mediorientali …. carteggi vari … rubriche telefoniche … tronconi di assegni  … ed altro. Sono tre fogli fitti fitti.







-        Ma, se non hanno trovato niente?







-        La tua parola contro la loro … vincono loro … non c’è scampo.







Strazianti grida delle donne … si fingevano assenti .. tutto avevano sentito e capito.







-        Curpa so … curpa so, è







-        Come colpa mia?







-        Dicivano ca vussia l’aviva accusato







-        Io? Accusato di che?







-        Vussia diciva ca aviva li provi ca era stato ma figliu ad ammazzari lu dutturi Matina ed anche la poliziotta.







-        E chi dice queste minchiate? … tuo figlio sarà un burdunazzu ma omicida mai né amico di assassini. Lo conosce bene.







-        Mi lu dissi lu marasciallo.







-        Questo qui dei carabinieri?







-        Nonzi, chiddu di la finanza.







-        E secondo te, se ero il colpevole di una tale infamità, venivo qui da te come un incallito Giuda Iscariota?







L’uscita di Meluzzo, non protocollare, sorprese e convinse lu Cammaratisi: i suoi occhi, prima cupi e sospetti, si schiarirono di colpo e subito si velarono di lagrime.







-        Lassami nni iri. Lasciami andare, vediamo se riesco a fare qualcosa. Mi dispiace davvero… siamo caduti nella barbarie. Povera Sicilia, in preda alla barbarie giuridica. Non c’è più diritto in questa terra antica, nobile e poetica: c’è solo l’antimafia dei continentali. Maledetti!















*   *   *























Trafelato giunse allo spiazzo laterale della caserma dei carabinieri vicino al vecchio campo sportivo: brutta palazzina, arrogante piantone, spioncini che guatavano e portone che non si apriva; già ad essere sereni c’era da incazzarsi; figuriamoci con tutti quei nervi a fior di pelle. Per poco Meluzzo Cavalieri non si faceva denunciare per oltraggio alla forza pubblica nell’esercizio delle proprie funzioni. Il piantone, aitante marcantonio del nord, allocco almeno all’apparenza, di certo là in Sicilia quale semplice ausiliario, per sfuggire alla leva militare, - vai a sconfiggere la mafia, va’ .. va’ – era fin troppo cerimonioso eppure irritava nel volere indagare senza sapere su che cosa.







-        il suo riverito nome?







-        Sono Meluccio Cavalieri di Giorgenti.







-        Di professione?







-        Scrittore … o meglio mangia pani a tradimientu?







-        Prego?







-        Mi faccia parlare con il suo comandante, perdio!







-        Stia calmo e si moderi … il comandante…







Per fortuna di Meluccio stava passando il vice brigadiere Pizzillo … suo vecchio conoscente; andava di fretta, colmo di nervosismo.







-        dotto’ lei qua?







-        Voglio parlare con il comandante.







-        Venga con me.







Il comandante lo ricevette nel corridoio: uscì dalla sua stanza.







-        Sa, c’è il colonnello di là.







-        Che è sta cazzata dell’arresto di Vitacchia?







-        Lo vorremmo sapere pure noi. Il colonnello è di là appunto per questo. Ma lei dotto’ che cosa gli ha detto a Vitacchia?







-        Io? … e siete due … io, niente.







-        Ma non è stato lei che ha intimidito il Vitacchia parlando di sue responsabilità negli omicidi del dottore Aurelio La Matina e della dottoressa Evelina Mangoni?







-        Manco per niente? Baggianate del genere semmai le dico per ridere!







-        Lei le avrà dette per ridere, Vitacchia però ci ha creduto e si è messo a telefonare come un matto a destra ed a manca … andandosi ad incastrare  … lo vedo brutto, brutto, brutto… Ma entri, il colonnello la riceverà di buon grado … anche lui è un suo ammiratore, come me, come tutti qui ..







-        Meno il piantone!







-        Ah! Quello è un minchione del nord … veste la divisa della benemerita .. ma carabiniere non lo è. Ci si nasce carabiniere .. non ci si diventa … cosa vuole che capisca il ragioniere di Abano Terme … figlio bello e ricco di un albergatore veneto. Frutto dell’unità d’Italia … entri … entri.















Ancor più gentile il colonnello. Tarchiato, panciuto, intelligenza negli occhi, nel sorriso, nei gesti. Un siciliano, un greco: comandava la stazione di Canicattì. Coordinava l’antimafia della zona. Col colonnello Micciché c’era consuetudine collaborativa. Varie volte aveva suggerito spunti letterari, tecnicismi, consulenze sull’organizzazione della giustizia, quella togata e quella militare. Un guazzabuglio in cui Micciché navigava come un pesce nell’acqua del mare. E per i gialli di Cavalieri, quelle precisazioni, quelle rettifiche, taluni preziosi segreti erano sale che ben condiva e meglio faceva vendere.







Si scambiarono complimenti, frasi cortesi, reciproci riconoscimenti; andarono un po’ per le lunghe, spagnoleggiarono per l’insidia del sangue imbrattato da antiche nozze aragonesi; se non altro sbollì un tantinello la rabbia che ognuno di loro covava in seno. Interruppe per primo il capitano:







-        esimio dottore, il fatto è che Vitacchia, dopo essersene andato da lei ieri sera, perse davvero la trebisonda.  Non so che cosa lei veramente ebbe a dirgli. Lui, per telefono, si è messo a strombazzare che lei sospettasse di lui, anzi era certo che lei aveva le prove del duplice omicidio, che erano prove che portavano a lui, prove rinvenute in “farzuna” (usa questo strano termine..)



- voleva dire: faldoni.







-        Allora lei qualcosa sa?







-        Ora mi rammento che per zittirlo, accennai ad intrighi che affioravano dai dieci faldoni della Mangoni … ma le mie erano dicerie, tanto per dire qualcosa e soprattutto togliermelo dalle palle.







-        E quello ci è rimasto fottuto.







-        E’ così grave?







-        E’ in mano alla caina, dottore mio, non c’è scampo.







-        Mi chiarisce un po’ le idee?







-        Ho qui la trascrizione di quanto il capitano Bonadies, quello della finanza …







-        Non è siciliano?







-        No!, milanese … di Arcore … compaesano del capo insomma.







-        Siamo fottuti!







-        Penso di sì. Ha trascritto in milanese un parlare racalmutese fitto, agitatissimo … s’immagini gli inguacchi! Ho fatto dei confronti con la cassetta che pure, bontà sua, mi ha mandato in copia. Siamo alla follia pura. Ma mi dica chi potrà contestare Bonadies … una denuncia per falso in atto pubblico? … non troverà uno straccio di avvocato che ci provi … con quella strizza che hanno, con quel terrore della finanza che tengono, grandi evasori come sono … tutti.







-        Vitazzia, dunque, esci da me e che fa?







-        Da quanto emerge da questo diario riservatissimo … si sarebbe messo in contatto con Bastiano Saldì, il prosecuto degli “stiddara” di Racalmuto che ricerchiamo da oltre un anno … omicida .. l’artefice della strage di piazza Castello. Ancor oggi a capo di una cosca che smista droga da Porto Empedocle in Germania, Francia, ed anche Montecatini Terme, Abano Termine, il casinò di … ma che c’importa?







-        E perché avrebbe telefonato a Bastiano Saldì? Non aveva di meglio?







-        Cercava un alibi?







-        Un alibi?







-        Sì. In effetti la terribile notte in cui fu avvelenato il dottor La Matina, Vitazza era insieme con Bastiano Saldì … sulla spiaggia dello Zaccanello … faceva da corriere della droga … droga che doveva giungere dal mare con una barca … quella notte però non giunse nulla … il mare era tempestosissimo .. non consentiva ad alcuna imbarcazione di traghettare dal grande panfilo ormeggiato chissà dove, nascosto agli occhi nostri e della finanza. Vitazza, che aveva i numeri dei telefonini di Bastiano, lo cercò, di ritorno da lei, per pregarlo di fare qualcosa che potesse scagionarlo … ed invece fu come consegnare la pecora al lupo. Controllava Bonadies (anche noi veramente) controllava, individuò il posto in cui Saldì ricevette la telefonata … era piazza della Libertà a Palermo … vallo a beccare … registrò  … trascrisse. Fu certo che Vitazza era stato colui che aveva messo il veleno nel caffè del dottor La Matina … d’incarico della mafia che faceva capo al Saldì … Noi sappiamo che Vitazza era stato agganciato per far da palo in certo trasbordo di merce, ma sappiamo che, al di fuori di una partecipazione passiva, inconsapevole, nulla aveva fatto. La sera in questione Saldì l’aveva solo pregato di accompagnarlo al mare. Vitazza si era persino scordato che doveva andare a prelevare la giornalista israeliana dal dottore La Matina. I pedinamenti della mia squadra sono tutti verbalizzati. Eccoli qui. Li ho riscontrati. Innocente dunque il Vitazza. Vitazza fu da lei punzecchiato come capita a voi intellettuali, per amore della battuta, della provocazione … ma il poveraccio era stato sospettato anche dalla dottoressa Mangoni. Quella, nella speranza di farlo parlare, se l’era portato persino a letto. Si era convinta dell’innocenza di Vitazza e l’aveva messo sull’avviso. Qualche indizio contro Vitazza restava, che stesse attento dunque. Disperato, dopo l’incontro con lei, aveva cercato il latitante Saldì. Lo ha invocato di fare qualcosa, di scrivere una lettera, magari, far sapere alla legge che quando fu avvelenato il La Matina entrambi erano lontani, al mare. Saldì si è imbestialito, si è messo a bestemmiare, ha cominciato a parlare a baccaglio … in effetti è ambiguo … mille frasi smozzicate possono far pensare che, invece, c’era un accordo a testimoniare un alibi compiacente. Tutto combinato per coprire l’omicidio che il Saldì avrebbe commissionato  al Vitazza. Non le leggo il ciarlare di Bonadies; non ha letto i suoi romanzi e scrive da nordico; quelli parlano fluido ma scrivono da cani … non sanno scrivere (salve le grandi eccezioni s’intende; io Manzoni lo salvo), s’immagini poi se sanno verbalizzare o fare rapporti decenti o peggio chiedere in fretta e in furia mandati di cattura.







-        Ho visto la richiesta del mandato di cattura …







-        Prefabbricato, dottore mio. Questa è un’altra sporca vicenda. Il capitano ha nelle sue mani la giovane sostituto procuratore, una ragazzina del Veneto. Innamoratissima dicono. Ad Agrigento ci sta solo quando proprio non ne può fare a meno. Subito scappa per il Veneto. Il capitano la controlla; finge di esserle amico e le dice che la protegge. Quella firma tutto ciò che fa comodo al capitano della finanza, senza fare storie.







-        Me ne sono accorto.















Meluccio Cavalieri aveva bisogno di pensare. Era in uno stato confusionale, che per uno scrittore è cosa gravissima. Anche lui però era un essere umano; anche a lui capitava quanto succede ai comuni mortali.







-        Colonnello, le confesso che non ho per nulla le idee chiare.







-        Onestamente non è che qui tutto brilli per consequenzialità, per rigore, per stringatezza. Bonadies sa essere oscuro e non per omertà mafiosa. Per peculiarità del suo intelletto, diciamo. Mi pare, però che questo possa affermarsi: primo, lei – senza volerlo - ha messo in ambasce il suo amico Vitazza; secondo, il disgraziato si è visto perso e si è incollato ad un telefonino; terzo, non curandosi delle tecniche di controllo della polizia, va a confidarsi con un latitante pericolosissimo, un tempo suo amico; quarto, sperando aiuto, si è messo a sproloquiare ed ha consentito a Bonadies uno scoop poliziesco, un teorema inossidabile, uno smacco all’antimafia, cioè in definitiva … a me. Questa storia finisce male, dottore.







-        Perché tanta voglia in Bonadies di far male ad un innocente.







-        Innocente, il capitano della finanza non crede in buona fede che Vitazza lo sia. Se non avessi gli elementi che ho, anch’io lo crederei colpevole e l’avrei già sbattuto in carcere da molto tempo.







-        Nella Sicilia del 2000 non si può più essere impunemente dei balordi?







-        Dottore mio, manco prima. Prima anzi si finiva sul patibolo, sul rogo … e lei lo sa.







-        Meno, tuttavia, di Roma o Firenze …







-        Sarà! … un brutto processo a Vitazza non lo leva nessuno ..







-        Devo cercare di fare qualcosa per quel ragazzo..







-        Chissà Sciascia come mi avrebbe definito: uomo … o quaquaraquà. Il quaquaraquà onomatopeico, l’anatra che sguazza nella pozzanghera … e mafia, e antimafia, e giustizia, e gialli, e caini, e benemeriti, e procuratori … tutti nella pozzanghera, in un’arida Sicilia con uno strato di melma vasto quanto una sconfinata palude …So come andrà a finire dottore, anch’io senza essere Sciascia sono profeta, perché intelligente (già, leggo dentro le cose) e perché so (ho tutte le carte segrete … della mafia … dell’antimafia … della finanza … dei carabinieri … della procura). Mafia uguale omertà: sicuro. E l’omertà di stato? Quanti suicidi che sappiamo omicidi di stato? Restano silenziosamente impuniti. Se Calabresi muore, Sofri paga … e se Pinelli muore, nessuno deve pagare? E i suicidi del mondo della finanza? Dobbiamo ancora credere che Sindona, che Calvi che … (si vedrà, si vedrà)  Sabbanadica duttu’. Se potrò esserle utile, sarò sempre a sua disposizione. Se lei potrà essere utile a Vitazza, non si risparmi … forse solo lei è in grado di fare qualcosa … dalla sua c’è sempre la penna e quella continua ad essere l’unica spada capace di far pendere il piatto della giustizia dalla parte giusta … solo raramente però.















*   *   *















 Si attaccò al telefono con la furia di un demone imbufalito. Chiamò Palermo, la redazione del Corriere. Sì, voleva Roberto Caballero.







-        Robe’ lascia stare i convenevoli … vieni subito qui a Racalmuto … sì a Bovo, in casa di Aurelio La Matina … buon’anima…. Ti passo uno scoop che ti farà rimbalzare nelle prime pagine di tutta la carta stampata ed in quella imminchionita dei mezzi-busti televisivi … Sì, si tratta dell’omicidio dell’ispettore bankitalia La Matina Calello … notizie in esclusiva .. svelate  da Meluccio Cavalieri di Giorgenti … l’ineguagliabile scrittore dei gialli  … straingurgitati dagli imbecilli del momento  … e sono la quasi totalità della razza italica … sì specie se dipinta di azzurro … Si sta mandando all’ergastolo un innocente e Meluccio Cavalieri non vuole … posso consentirmi il divieto della giustizia cieca … ingiustissima? … Sì. sono incazzato, incazzato nero  … vieni e ne parliamo.







Roberto Caballero, giornalista cinquantenne, racalmutese, ancora alla cronaca regionale, si era attirata la simpatia di Cavalieri senza merito alcuno, per un empito umano dell’affermato scrittore, segno di unapietas che non sai mai perché finisce per far capolino nei cuori più induriti .. e quello di Meluccio era molto arido … non duro ma impermeabile  ... o così pensava lui..







Giunse a notte fonda, strombazzando, come a svegliarlo. “Sono sveglio … sta’ calmo che arrivo”. In vestaglia aprì il portoncino metallico, accese la luce esterna. Roberto si precipitò dentro, sciatto come sempre, barba lunga jeans vecchi e malandati, niente concessione all’andazzo di portare falsi jeans provocatoriamente laceri: quelli di Roberto erano semplicemente indecenti.  Apparteneva ad una cospicua famiglia racalmutese, notai sin dal Settecento, quando erano piombati predoni e saccenti da chissà dove; Aurelio, ricercatore imbattibile della locale microstoria, diceva da Assoro. Al Circolo Unione si spettegolava che i Caballero stessero sempre sopra uno scalino …  qualche volta scendevano, quando avevano bisogno … diventavano umili, sussiegosi, supplici … poi finito lo stato di necessità, eccoli subito salire su due scalini, più in alto, più ingrati, altezzosi in odiosa supponenza. Roberto, però si distingueva … intelligentissimo, stravagante, caustico di parola e di penna, aveva preso dalla mamma, non racalmutese, finissima donna che suo padre aveva fatto morire di crepacuore e di stenti, intento a ficcarsi nei talami altrui. Pare che vi riuscisse. La Sicilia cambiava: essere cornuti cominciava a divenire un fregio nobiliare, come i nobili di un tempo, solo che ora anche la plebe si nobilitava.







Ebbe tempo di mirare lo spettacolo del cielo stellato, Meluccio Cavalieri. Gli sovvenne una pagine di Aurelio, letta nell’attesa di Roberto. Non gli era sembrata spregevole, la memoria ora agghindava ancor di più il pezzo letterario. Risorgeva l’antica Grecia. Anche a Racalmuto, anche a Bovo. «….. Pindaro esaltava, a pagamento, Agrigento come la più bella città dei mortali. Racalmuto doveva fornire grano e tributi per consentire ai tiranni agrigentini di equipaggiare le costosissime corse dei carri a quattro cavalli nei giochi olimpici della lontana Grecia. Dopo, chi vinceva commissionava le famose odi a Pindaro, statue a scultori greci e profondeva doni ai santuari di Olimpia.







 A Racalmuto, sulla cui economia agricola quegli eventi ebbero a pesare, giunse, sì e no, una flebile eco, se qualche signorotto di Agrigento ebbe a recarsi nelle proprie terre per refrigerarsi in qualche sua villa sulle pendici del Serrone durante la canicola estiva. Alcuni versi delle Olimpiche di Pindaro su quella vittoria col carro di Terone nel 476 a. C. ebbero ad incantare qualche nostro antenato, incolto ma sensibile all'alta poesia.: “certo per i mortali non sta/ fissa una soglia di morte,/ né quando un giorno figlio del sole/ s'acquieterà alla fine in pura felicità:/ flutti diversi, momenti alterni/ di gioia e d'affanno vengono agli uomini” eran poi versi da avvincere anche l'animo del contadino greco, intento a riverire il suo padrone, specie se questi li recita mirando le stelle cadenti del cielo senza fine dell'estate racalmutese. »







“Bisognava tornare all’antica Grecia, alle mirabili origini di una Sicilia colta e libera, della Sicania civilissima e soave, stellare, senza diritto romano, senza terrori cristiani, senza cupi preti, senza Bossi, senza Berlusconi, senza magistrati stranieri, senza capitani in giallo venuti da Arcore …”







-        Ma che cazzo sussurri? ghignò Roberto.







-        Va ‘ffa ‘nculo. Ti do un caffè di quelli fatti da me, ricetta di Gennarino … così mi stai sveglio.







Sorbitosi il caffè, Roberto andò a stravaccarsi sul rustico divano color senape. Si concesse una sigaretta, infastidendo Meluccio che da accanito fumatore pentito inforcava ora le cuspidi di tutte le campagne contro il fumo, anche se passivo, e si offrì in olocausto ai furenti sfoghi del suo amico scrittore.







-        Dunque, che è successo?







-        Hanno arrestato Vitazza.







-        Tutto qua?







-        … è innocente ..







-        non è il primo né sarà l’ultimo.







-        Qualche responsabilità c’è l’ho pure io







-        L’hai denunciato?







-        Ci mancherebbe altro  … se lo reputo innocente?







-        Pur di scriverci un libro, non saresti capace?







-        Strunzu!







 Con varie interiezioni, digressioni, sberleffi, contumelie, Meluccio ricostruì gli eventi dei due giorni passati. Roberto alla fine s’impazientì:







-        questo Vitazza, non so se è innocente o colpevole. E come faccio a scrivere un pezzo innocentista?







-        Perché è innocente!







-        Sei sicuro? Sputa fuori allora la verità … secca, senza fronzoli, giornalistica …







-        Dimmi pure evangelica?







-        In che senso?







-        Non dice Gesù di Nazareth: “il vostro parlare sia: sì, sì … no, no”







-        Vorrà dire che domani scriverò: “Vitazza da Racalmuto è innocente? Rispondiamo: sì”, sai che successo giornalistico.







-        Non mi imbrogliare ora tu le carte.







-        E tu dammi le carte giuste ed essenziali.







-        Aurelio La Matina Calello viene dunque trovato morto avvelenato il giorno dopo; i medici stabiliscono che il decesso era da retrocedere di dodici quindici ore. La morte sarebbe avvenuta dunque nelle prime ore della sera del giorno precedente, quando a Racalmuto diluviava. Fu sera da tregenda, tutti se lo ricordano qui in paese. Continuava per altre quattro cinque ore, avremmo avuto il diluvio universale; sarebbe stato il momento della verità con tutte quelle manomissioni del sottosuolo del paese, a cominciare dalla Matrice. Vi erano le carnarie, ora non vi è più nulla: le colate di cemento sospinte dalla pressione a 10/15 atmosfere sono state sbattute contro le occlusioni di piazza Castello. Quando torneranno le grandi piogge, dell’intensità di quella sera ma più continue, avremo un grande sifone a «lu chianu castieddu»; con quanti morti?







-        Stringi







-        Nel primo pomeriggio si era recata da Aurelio la giornalista israeliana, accompagnata da Vitazza, che subito però tornò in paese. La giornalista si accomiatava da Aurelio per il suo ritorno in patria. Aurelio era stato prezioso nel fornire dettagli e letture inusuali sugli ebrei di Sicilia e su quelli di Racalmuto.







-        Fino a che ora vi è stata da Aurelio?







-         Non più di un’ora. Il tempo era ancora buono. La giornalista telefonò allora alla sua amica, l’accompagnatrice turistica racalmutese. Questa si precipitò subito a Bovo. Non entrò neppure in casa. L’israeliana l’attendeva all’imbocco della stradetta. Si fece accompagnare in gran fretta a Canicattì a prendere l’autobus per l’aeroporto di Catania delle ore 17.  Non riuscirà a prendere l’aereo per Roma da Catania: le grandi piogge impedirono il decollo. La giornalista si fece accompagnare in taxi in un albergo delle vicinanze. Tutti questi movimenti sono stati ricostruiti con diligenza da romanzo giallo dalla dottoressa Mangoni. Aurelio sino a sera era vivo: lo dicono i medici. La giornalista ha un alibi di ferro. Vitazza, dopo avere portato la giornalista da Aurelio, s’incontra con Bastiano Saldì, quello latitante. Sono amici da vecchia data. Il Vitazza viene invitato dal Saldì a fargli compagnia ed in macchina se lo porta allo Zaccanello. Si godono lo spettacolo della tempesta a mare. Non succede nulla. A tarda ora, i due se ne tornano a Racalmuto, quando Aurelio era morto da almeno due tre ore.







-        Non è che l’ispettore bankitalia sia morto ad opera di spiriti maligni, scesi sulla terra di Bovo in quella notte da tregenda? Se fossi inglese, ci scriverei un libro di magia nera.







-        Non scherzare. Non spiriti vennero a Bovo quella sera, ma uno strano cingolato creò un casino forsennato rompendo il muretto dell’ingresso, lasciando orme che neppure le grandi piogge riuscirono a levare. A guidare quel cingolato doveva essere un solo individuo, non colto e tuttavia amico di Aurelio, che ebbe ad aprirgli in quell’ora insolita senza sospetto. Gli offrì persino un caffè.







-        E questo è certo?







-        No, questo si suppone … ragionevolmente.







-        Il cingolato è stato rinvenuto?







-        Non se ne sa niente. Nessun mezzo che possa giustificare il tipo delle orme è stato rinvenuto. Si pensa ad un mezzo straniero. Dopo la morte della Mangoni, la polizia sta tentando connessioni con il mezzo che uccise la poliziotta. Ma senza risultato alcuno … almeno per quello che mi si dice. Io del colonnello Micciché mi fido ciecamente. Perché mi dovrebbe imbrogliare?







-        Siamo quindi di fronte ad un assassinio senza omicida?







-        Sino a quando il capitano della finanza non ha creduto di essere l’inviato del Signore che in quattro e quattr’otto ti svela l’arcano.







-        E questo non ti sfagiola, non foss’altro per questione di prestigio professionale.







-        Me ne sbatto le palle del prestigio  … è l’innocenza di Vitazza che mi sta a cuore.







-        Non è che mi hai convinto proprio tanto su questa conclamata innocenza …







-        Non sono solo io ad esserne convinto … anche il colonnello Micciché ne è sicuro .. nell’incontro di oggi mi ha svelato piccoli segreti che hanno fatto chiarezza anche a me … tanti lati oscuri mi si sono chiariti. Pensavo cose inesatte, facevo confusione … Micciché ha fatto luce … il verdetto è indubitabile: non colpevole.







-        Andiamo, dunque, dal giudice e con l’autorevolezza che tutti ti riconoscono, con la testimonianza di Micciché e con i flash dei miei fotografi tiriamo fuori quest’angelo dalle patrie carceri.







-        Fosse facile!







-        Cosa lo impedisce?







-        Il capitano della finanza Bonadies.







-        E’ così potente?







-        È impotente e per questo è imbattibile: l’imbecillità, la testardaggine, la ruggine fra i corpi militari dello stato, la voglia di carriera, il sentirsi infallibile è un intruglio che a noi semplici mortali suona idiozia, per i militari si chiama senso dell’onore.







-        Protervi!







-        Domani, anzi stanotte, tu scrivi un bell’articolo, lo pubblichi e vedrai che le acque si smuovono.







-        E che scrivo?







-        Scrivi che ti sei incontrato con Meluccio etc., che ti ha confidato i segreti più ghiotti sulla morte dell’ispettore della bankitalia, che li ha desunti dalle carte dell’ispettore e da quelli della polizia. Un granchio prende la Finanza: non sa leggere i bilanci delle società sotto verifica e vuole leggere nei misteri dei servizi segreti …







-        Come? Come?







-        Servizi segreti, sì: l’omicidio di Aurelio La Matina Calello è un omicidio commissionato all’estero, da uno stato estero ed eseguito dal servizio segreto di quello stato.







-        Tu vuoi scherzare?







-        No, no … scrivilo … scrivi che te l’ho detto io. Scrivi che sono pronto a riferire al ministro degli interni italiano … quello è un grassone ma è un cervellone … mi è amico … ha stima .. ed io di lui   .. anche se è di destra, anzi è passato a destra; mi stava meglio quando scriveva a Lotta Continua … allora non aveva capito niente ma stava dalla parte giusta … ora capisce tutto, ma gli piace stare dalla parte sbagliata .. controcorrente: è nel suo stile (e forse anche nel mio).







-        Tu mi mandi dritto, dritto in galera.







-        Ti farebbe bene: così rinsavisci un po’







-        Anche a te farebbe bene; pure tu hai bisogno di un po’ di saggezza.







-        Spiacente, per limiti di età non sono più carcerabile.







-        Eseguirò a puntino. Resto, però, sicuro del fatto che Vitazza, stinco di santo non è. Amico e .. compare di Bastiano Saldì: mafia, droga, stiddara, stragi







-        Contiguo? E chi non è contiguo di questi tempi? Io, tu, i reprobi ed i santi, i preti ed i malandrini, lo stato ed i magistrati, i militari ed i politici …







-        Quante denunce per calunnia, oltraggio alle istituzioni, vilipendi ..debbo prenotarmi?







-        Nessuna .. perché sai scrivere e queste cose le sai dire senza farti cogliere in fallo. Complimenti.







-        … violazioni del segreto istruttorio, d’ufficio …







-        quelle non le escludo … e ci metto anche violazione dei segreti di stato .. anzi di stati esteri … suona meglio.







-        A la faccia?







-        Non per nulla sei giornalista … devi rischiare ..







-        E’ una vita che rischio. Il risultato? Capo cronaca di una periferica regione, di un giornale milanese che della Sicilia gliene frega un cazzo.







-        Ma è il primo giornale d’Italia.







-        Appunto.







-        Là c’è un computer, c’è il modem .. datti da fare e subito. Dai la stura alla tua fantasia … usa il paravento: il noto scrittore Meluccio Cavalieri da Giorgenti … scrivi sempre “da Giorgenti” … ci tengo … ognuno ha le sue fissazioni … la mia tutto sommato è veniale. Sì: il noto scrittore ci confida; sostiene; ci ha svelato; contesta; è sicuro …  e via di questo passo. Puoi anche sostenere che il papa è stato sodomizzato da un asino in erezione … fa ancora effetto, sai.







-        Vitazza esce ed io entro, ho capito.







-        Finalmente giustizia è fatta.







Roberto, sigaretta in bocca, si chinò sulla tastiera del computer e di getto scrisse i tre o quattro fogli dell’articolo. Inviò l’e-mail; si alzò, un gugno di saluto a Meluccio ed andò a buttarsi sul primo lettino che gli sembrò di potere usare. Quasi di colpo cominciò a russare. Meluccio non volle disturbarlo, spense le luci e cercò di addormentarsi anche lui. Non fu facile.















*   *   *







In prima battuta, la corrispondenza finì nel foglio regionale. In tarda mattinata, però, vi fu un’edizione straordinaria. L’articolo apparve in prima pagina con un titolo mirabolante, inusuale per un giornale tanto compassato come il Corriere della Sera: «Omicidio ex ispettore bankitalia – La GdiF di Agrigento depista – Certo lo zampino di un servizio segreto estero».







-        Titoli così sono sospetti, disse Roberto.







-        Articoli così sono pugni nello stomaco; bisogna saperli sferrare, ed il Corriere il mestieraccio suo lo sa fare, rimbeccò Meluccio.







Trillò il telefono. Segreterie particolari. Interrogatori. “Sì, lo scrittore Meluccio Cavalieri da Giorgenti, in carne ed ossa”. “Attenda, Le passo il signor ministro degli interni”.







-        Ah Melu’, che mi combini – e giù una risata chiassosa, veramente divertita.







-        Se il ministro della polizia si disturba, l’avrò fatta veramente grossa.







-        Guarda che sono stato io ad imporre l’edizione straordinaria al Corrierone; anche il titolo ho dettato. Come ex giornalista, sono licenze che mi posso permettere.







-        Come ministro degli interni .. che come giornalista il Corrierone ti mandava a fare in culo.







-        Come sei volgare?







-        Mai quanto un ministro di mia conoscenza. Ma a che gioco stai giocando?







-        Al tuo Melu’ … al tuo …







-        Dannato di un uomo … il mio è solo voglia di rimettere in libertà un mio amico di Racalmuto, un tale di nome Vitazza. Ti dice qualcosa questo nome?







-        Nulla di nulla ..







-        Allora dimmi quale è il tuo gioco …







-        Quello che tu hai fatto sbandierare a quel povero ragazzo  …







-        Chi?







-        Il giornalista ..







-        Ma quello ha cinquant’anni.







-        Sempre ragazzo per noi Melu’ ..  Non so se la storia dei servizi segreti tu la conosca davvero o è stata una tua stronzata. Credo che hai inventato .. non dal nulla, però .. avrai letto qualcosa nelle carte che ho detto di consegnarti. Tu non sai e parli .. io so e non posso parlare. Ci completiamo. Bella trinità, visto che entrambi ci serviamo del cinquantenne giornalista. Polizia, letteratura e giornalismo: giustizia sarà fatta. Speriamo, almeno. Approfondisci Melu’, approfondisci .. spero davvero in te.







Ed era la seconda volta che nel volgere di 24 ore due diversi esponenti della polizia di stato gli affidavano il sovrumano incarico di fare giustizia, con la forza della penna, con la magia della fantasia. Non c’era più religione.







Nella tarda mattinata del giorno dopo, quando Roberto si decise ad alzarsi, Meluccio si accinse a fare una scappatina a casa sua, ad Agrigento. Teneva abitazione avanti la curia vescovile. Occupava la magione che era stata dei Del Carretto. Le carte di Aurelio parlavano di un palazzetto del 1300. Era detto in un atto notarile esibito ai Martino nel 1400, in un processo d’investitura. La contea della sciasciana Racalmuto nasce da un baratto fra due fratelli, Gerardo e Matteo del Carretto: a Matteo finisce “lu  cannuni” ma non solo quello: questo sedicente nobile genovese in effetti si insedia a Giorgenti, vicino al vescovo naturalmente, «in  quoddam   hospitio magno existente in civitate Agrigenti  iuxta hospitium magnifici Aloysio de Monteaperto ex parte meridiei, ecclesiam S.cti  Mathei ex parte orientis, casalina heredum quondam domini Frederici de Aloysio ex parte orientis/, viam publicam ex parte occidentis et alios confines.» I grandi predoni di Agrigento stavano tutti lì. “Ed ora vi sto io” si  sussurrò tra il compiaciuto e lo stomacato Meluccio. Veramente, stava al solo secondo piano: stanzoni enormi, oscenità pittoriche del Sozzi consunte, gelo d’inverno … ma d’estate c’era gradevolissima frescura, meglio qui che a San Leone. Solo che da qualche mese si era fissato per Bovo di Racalmuto: tutto l’opposto. Sperava di farsi vendere quell’anodina casetta dell’avvelenato Aurelio. Gli eredi, prima o poi, gliel’avrebbero ceduta. Non era questione di soldi. Meluccio pensò al suo antenato vescovo e botanico: forse per questo propendeva per gli orti di Bovo: Veramente, lì orti non ce n’erano: ma un progetto bolliva in pentola. Per un intuito di Aurelio si era costituita a Racalmuto una strana associazione che si denominava “IDESAM” come dire “istituto dissalatori acqua del mare”. Dal vicino Mar Mediterraneo si doveva portare l’acqua dissalata.  Scavalcando politici e faccendieri, la cosa stava andando avanti. Prodi in persona se ne era interessato. I fondi comunitari stavano per arrivare. Un invaso agli sprofondi di Sacchitello era più che un progetto. Da lì acqua dappertutto, anche a Bovo, per orti, agricoltura intensiva, primaticci. Meluccio vi stava dando l’anima perché il sogno di un mare d’acqua sulla terra di Sicilia si avverasse. Ostacolavano, e di brutto, gli acquaroli di Canicattì, non mafiosi si diceva eppure molto somiglianti, con il Lasagne come loro occulto protettore sotto sembianze di verde irriducibile. “Il dissalatore inquina l’aria. Le condutture distruggono l’ambiente.” il suo slogan ad effetto. Un mare di voti lo subissava ad ogni elezione. Frotte di autobotti pompavano acqua dallo Zaccanello di Racalmuto e la portavano nei vigneti di Canicattì; si deprimeva sempre più il livello di quella falda acquifera; c’erano voluti diversi milioni d’anni per formarsi, dal pleistocene; in dieci anni, dicevano pozzaroli incolti ma esperti, il livello era sceso di sei metri. Prossimo il prosciugamento totale; incombente il fenomeno dello zubbio: volte in gesso che si erodono per reazioni chimiche e sprofondano; addio scorrimento veloce, addio terre ubertose della Menta e dintorni; povera incolumità pubblica.







A Meluccio venne fatto di pensare all’improvviso: va a finire che cerchiamo chissà dove l’omicida di Aurelio ed invece eccolo là a Canicattì, in seno agli autobottisti.







A Meluccio la strana mania delle cose della terra veniva – o così amava pensare – da un antenato vescovo e botanico. Si chiamava Antonino Cavalieri. E’ rimasto celebre per una sua originale richiesta al re borbone: «S.R.M. – Sire – Antonino Cavalieri – scrisse il 14 gennaio 1789 – vescovo e cittadino di Girgenti, umilissimo vassallo di vostra reale maestà, umiliato al regio trono le rappresenta, come per doppio titolo della nascita da lui sortita in quella città, e del supremo grado ecclesiastico, al quale per vostra real clemenza è stato inalzato, sentendosi in obbligo di promuovere con tutte le sue forze i vantaggi spirituali, e temporali di quella popolazione, à considerato, che tra le altre cose manca ivi il comodo dell’erbe medicinali, perché non essendovi colà mai stato orto botanico, né persone esperte nella cognizione de’ semplici manca agli ammalati il soccorso di taj rimedj …» Dove impiantare quell’orto botonaco? «Esiste in distanza di un miglio in circa dalle mura di quella città un conventino già de’ PP. Riformati .. a cui è annessa una piccola selva ...» Il conventino era stato soppresso tre anni prima. Espropriamolo - chiede il vescovo -  «sarebbe questo un sito opportuno alla formazione dell’orto botanico, dopo che ivi si ridurrà un'altra volta la piccola vena dell’acqua sorgente ….. » Le idee di Aurelio avevano avuto un precursore, nientemeno un vescovo ed un vescovo della famiglia di Meluccio. Certo, allora era il Settecento, secolo dei lumi anche in Sicilia, anche per i vescovi giurgintani – ma della prosapia  dei Cavalieri – mentre, ora nel duemila i vescovi giorgintani si preoccupano solo degli espropri, di salvaguardare gli estirpatori del verde, gli uomini del cemento … in cambio di chiesuole antistanti a templi greci. Meluccio se ne adontava e s’imponeva il compito di saldare l’antenato vescovo illuminista con il tetro Aurelio.







Decise di far visita al suo presule del Settecento: si recò in cattedrale e portò il solito garofano rosso che depose sul sacello: dall’alto, dal medaglione marmoreo lo mirava con sorriso spento; rubizzo, testa incassata nel tronco, privo quasi di collo, ma ondulata l’ampia gorgia, dovette somigliare tanto a quei canonici descritti dal Brydone; per tanti versi dovette essere simile al vescovo di quel viaggio dell’impertinente inglese. “molto rispettato”, “nel fare a botta e risposta … è maestro”, “uomo affabilissimo e gentile”, “appartiene ad una delle prime famiglie dell’isola”, “è un omettino onesto e una persona piacevole”, “è fuori del comune che abbia raggiunto una simile carica così giovane, essendo questo il vescovado più ricco del regno. E’ un buon letterato, profondamente erudito sia di cose antiche che di cose moderne, ed è altrettanto intelligente che colto”. Ma c’è da giurare che l’antenato fosse proprio quel canonico che dopo il pranzo fu preso da «una violenta crisi di stomaco, e mentre vomitava si volse a me con una faccia tutta pentita, e scuotendo il capo gemette: “Ah! Signor capitano, sapevo che Ponzio era un grande traditore”  … mi ha detto che basterebbe che stessimo un po’ con loro per convincerci che sono gli uomini più felici della terra. “Abbiamo escluso dal nostro sistema”, mi disse, “tutto quello che è triste o malinconico, e siamo persuasi che di tutte le vie dell’universo quella che mena al cielo deve essere la più bella e la meno tetra. Se non è così”, aggiunse, “Dio abbia misericordia di noi, perché temo che in cielo non ci arriveremo mai”.»







-        Ah! zzi parrì nni diciva di minchiati chissu, picchì ingrisi cridiva di fari lu spertu ed era babbu … minchiati, zzi parrì, minchiati … Ah! ccà nun si po’ diri? … semmu in chiesa! Ma chista è la catridali di San Giurlannu, è nurmannu puru iddu .. a nnantri nun nni po’ capiri.















Meluccio scese in via Atenea, si recò dall’avvocato Pujades, amico suo d’infanzia.















-        Carme’  quel mandato di Vitazza te lo sei fatto dare?







-        Sicuro; appena mi hai telefonato sono corso alla Petrusa e subito il ragazzo si è affidato a me.







-        Quando esce?







-        Non lo so. Ho parlato con il procuratore capo e niente; la veneta non l’ho vista. Come al solito è scappata per casa sua, dal suo amoroso. Bonadies è schifiltoso … ma ha trovato una scusa per non ricevermi. Ho pronta l’istanza al giudice per la libertà provvisoria. Ci mancava però che tu ti mettessi a fare lo stronzo con quella intervista dei miei coglioni … e temo che dopo averlo fatto rinchiudere gli stia serrando le porte per non farlo più uscire ..







-        Minchia!







-        Proprio così, stiamo tutti finendo a minchia. Già, perché ti stanno preparando un bel papiello con dentro una sequela di reati da accumularci sopra una ventina d’anni: violazioni dei segreti di stato, di quelli d’ufficio, di quelli istruttori, oltraggio alle forze pubbliche, calunnia etc. etc.







-        E come lo sai?







-        Vengo dal tribunale; sentivo strillare Bonadies nella stanza della veneta. Mi ha visto il procuratore, mi ha chiamato ed in gran segreto mi ha detto che non può impedire alla veneta di inviare una comunicazione giudiziaria a te ed a quella povera vittima del tuo giornalista a comando.







-        Mi porterai le arance.







-        Sei troppo importante per farti il piacere delle manette, diventeresti un martire; troppa pubblicità per te e troppi guai per il procuratore … che di guai ad Agrigento ce ne ha da vendere. Gli mancava pure quel Bonadies.







-        Che ha Bonadies?







-        Bonadies è un ufficiale della finanza onesto; fanatico, sì … ma integerrimo. Si era messo in testa che tutti sono uguali dinanzi alla legge, anche quella fiscale che sappiamo essere un colabrodo. Manette agli evasori? A tutti sostiene Bonadies. Anche ad un vescovo che si era dato all’usura. Voleva addirittura metterlo dentro. Questo no, non c’è riuscito … un rinvio a giudizio, però, glielo procurò … ed un invio ad Agrigento se lo procurò, alla città delle tre p: punizione, promozione, pensionamento. Guarda che per tanti versi quel capitano che tu tanto odii, mi è simpatico, per me è una vittima del dovere ..







-        che fa tante vittime della giustizia. Il fanatismo dei militari  … te lo raccomando: buio mentale e crudeltà di cuore.







-        Ricordatene nel prossimo romanzo.















Il telefonino di Meluccio trilla; Roberto Caballero di là si agita, inveisce, protesta.







-        ho capito, so, il mio avvocato mi sta già informando … lo consiglio pure a te … è gratis, cioè a mie spese.







-        Guarda che non posso difendere due coimputati … interruppe Pujades.







-        Non ne hai bisogno. Meglio. Scattava già un’incompatibilità. L’Italia è la terra delle incompatibilità … e tutti stanno insieme … il diritto naviga a destra, la vita a sinistra. … mi dici che il tuo giornale sta inviando i pezzi da novanta dell’avvocatura milanese … sai che ci fanno ad Agrigento? Un piffero … ad ogni modo contento tu, contenti tutti. ….. Pujades mi dice che i fastidi non saranno per noi … è il povero Vitazza che patirà l’anima dei guai suoi … al solito, giustizia all’italiana maniera che inventa le colpe dei deboli ed affossa i misfatti dei potenti … pare che stavolta i potenti siamo noi … io perché scrivo gialli di successo e tu perché c’hai il corrierone dalla tua parte. Sì, ci vediamo presto … arrivederci.















L’avvocato Pujades accentuò i suoi tic nervosi. Si fece rilasciare un mandato ampio e pieno. Si accomiatò di mala grazia dallo scrittore amico e si precipitò in tribunale. Meluccio tornò a dimensioni normali, si sentì uomo ormai vecchio come capita a tutti i settantenni.  Non era paura la sua, solo angoscia, avvilimento, avversione per tutto quanto sa di stato, di potere, di procure, di capitani e di avvocati, anche. Li avvertì come nemici ed ebbe in uggia anche la vita. A passi lenti, bolso e vecchio si incamminò per le scalette che conducevano su, al seminario. La sera agrigentina sapeva di morte, quasi un preludio funebre. L’uomo, questa misera cosa con empiti di onnipotenza subito in cenere. A Meluccio cessò la voglia di lotta … rintanarsi nell’ospizio dei del Carretto ora era l’unico suo desiderio, emergeva l’infanzia, quando si sentiva protetto dal corpo della madre, sotto al rifugio, per ripararsi dalle bombe che dal cielo piovevano nella guerra del Quaranta.“Memento homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris”, la polvere del mercoledì delle ceneri quale saggissimo simbolo! - in questo era profondamente cattolico, cupo, senza speranza, dannato all’inferno. Non per nulla amava proclamarsi: cattolico non credente.

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