martedì 26 gennaio 2016

I DEL CARRETTO BARONI DI RACALMUTO
Quando il 22 marzo 1392 la spedizione spagnola approdò a Favignana, dalla lontana Genova i Del Carretto si decisero a veleggiare verso la Sicilia per riprendersi le terre racalmutesi cui pensavano di avere diritto per successione diretta e per lascito di Matteo Doria. Racalmuto si presentava tripartita: a sud-est il Castelluccio, munito già della sua fortezza, e dintorni era feudo denominato Gibillini e di pertinenza dei signori di Favara; a nord il castello chiaramontano era coronato da case coperte di paglia e con il suo toponimo arabo costituiva la terra abitata di un feudo ampio che meglio definiremo dopo; ed a sud-ovest le ampie pianure della Menta della Noce del Rovetto erano considerate terre burgensatiche, di personale proprietà del feudatario.
Le terre dello stato di Racalmuto, soggette a vincolo feudale, non si estendevano dunque per tutto il territorio extraurbano: un qualche rilievo di autonomia mostrava la contrada della Menta (sempre dei del Carretto) che talora è stata denominata ‘feudo’. Sono dei del Carretto i fertili fondi di Garamoli, ma appaiono come terre allodiali.
Lo stato di Racalmuto parte dalla contrada di Cannatuni (come ai giorni nostri)  e da quel versante nord va verso ponente: coinvolge Santa Margaritella e Santa Maria di Gesù, arriva alle porte di Grotte (Rina o Scavo Morto); si diffonde nella fertile piana di Fico Amara o Fontanella della Fico; sale sulla Montagna; gira per Rocca Russa e per Bovo; include una parte del Serrone (un altro versante è detto appartenere al feudo di Gibbillini); scende per JudioMalatiCasalvecchio e Saracino,  annettendo le contrade di San GiulianoBaruna[13] e Difisa; e chiude quindi l’irregolare circonferenza inerpicandosi per le contrade della Pernice fino a Quattro Finaiti.
Menta, Noce, Garamoli Roveto e Zaccanello sono pertinenze del feudo dei Del Carretto, ma hanno una loro distinta configurazione.
Negli atti notarili non sempre è chiara la peculiarità feudale di queste terre dei del Carretto che talora vengono segnate come un distinto ‘feudo’ (fego della Menta o della Nuci), talaltra no, e comunque restano talora attratte nell’intreccio delle doti di ‘paragio’ dei cadetti e delle figlie di quella famiglia.
L’importanza dei possedimenti di Garamoli si coglie da una pagina della ‘Fabrica’ [14] della Matrice del 1658.  La fiumara di Garamoli doveva essere contornata da un bosco  fitto con alberi ad alto fusto. Da lì si ricavava il legname per costruzione, fonte di grossi affari. La famiglia Napoli, quella degli Alcello e l’altra dei Gueli fornivano maestranze specializzate, ben pagate per l’epoca.
Per coprire il tetto della Matrice occorrevano “burduna” di enormi proporzioni. Si trovavano nel mezzo della fiumara di Garamoli. Per trarli fuori provvide la maestranza  ma soprattutto un nugolo di nerboruti facchini che furono pagati in modo inconsueto: con salsicce e vino. La pagina della “fabrica” del dicembre 1658 appare degna di essere riportata qui diffusamente:
«.. al d. di Napoli con dui figli et m.° Alcello tarì  11; ...
·     alli d. di Napoli,  Alcello et dui altri mastri tt. 12.10;
·     alli d. di Gueli et Napoli et un giovane per pulire travetta et intravettare tt. 12;
·     alli d. di Gueli et Napoli et suo figlio per havere andato in Garamoli per sbarrare li travetti et li burduna n.° tre che mancano al complimento della nave tt. 11.10;
·     per havere fatto portare dui carichi di travetti di Garamoli tt. 5;
·     alli d. di Gueli et Napoli con dui figli tt. 14. per havere comprato deci lignami da Vincenzo Pitrozzella per mancanza di forbici onze 3.10;
·     più per havere fatto venire dui burduna da Garamoli tt. 20;
·     e più per pani salzizza e vino a vinti homini che uscirno detti burduna dentro la fiumana  e ni portaro uno tt. 15.8
Piena autonomia ha sempre invece il feudo di Gibbillini. Feudi dei dintorni di Racalmuto sono - stando a certi atti notarili - quelli Di Grotte, del Chiuppo, di Scintilia e del Nadore.
*   *   *
Il grandissimo storico spagnolo Surita ha una pagina che ci coinvolge, che attiene proprio ai Del Carretto fiancheggiatori del Duca di Montblanc. [15]
Per il Surita, dunque, fu Gerardo del Carretto, Marchese di Savona, che si mise al servizio del re di Sicilia, Martino, nella nota guerra che durò alcuni anni. Lo spagnolo desunse questa notizia dagli archivi aragonesi, di certo, ma abbiamo il dubbio che ad ispirarlo siano state le cronache cinquecentesche, specie quelle del Fazello. Se attendibili, queste note di cronaca ci svelano il fatto che Gerardo del Carretto attorno al 1392 si faceva passare per marchese di Savona, il che non collima proprio con la storia di quella città ligure. Più che il fratello Matteo del Carretto, sarebbe stato Gerardo a darsi da fare in un primo tempo per accattivarsi le simpatie dei Martino. Sarebbe sempre Gerardo a mettersi a guerreggiare in difesa dei catalani nella lotta contro la parzialità latina di Sicilia. Quanto credito si possa concedere è questione ardua, non risolvibile allo stato delle attuali conoscenze.
Una documentazione probante della titolarità su Racalmuto i del Carretto sono costretti, comunque, a darla alla fine del secolo, quando la cancelleria dei Martino diviene intransigente e vuole prove certe delle pretese feudali. Alle prese con la corte non è più però Gerardo ma Matteo, il fratello cadetto. Fu vero l’atto transattivo tra i fratelli che fu presentato alla corte in quello che può considerarsi il primo processo per l’investitura della baronia di Racalmuto? Davvero avvenne il riparto dei beni tra i due fratelli? Fu solo formalizzata l’assegnazione delle possidenze genovesi al primogenito Gerardo e l’attribuzione dei beni feudali e burgensatici di Sicilia - in particolare il castro di Racalmuto - al cadetto Matteo Del Carretto? Interrogativi cui non siamo in grado di dare risposte certe. 

I DEL CARRETTO VERSO LA SIGNORIA DI RACALMUTO

Il quattordicesimo secolo vede i del Carretto impossessarsi, prima, e padroneggiare, dopo, sulla Terra di Racalmuto. Come questa famiglia genovese (o di Finale Ligure) si sia impadronita di Racalmuto, facendone un personale feudo con mero e misto impero, è mistero ancor oggi non dipanato. Vi fu al tempo del figlio di Matteo del Carretto - all’inizio del secolo XV - una necessità difensiva di fronte alle inchieste di Martino e, in parte fondatamente, in parte capziosamente, si fecero risalire al matrimonio di una Costanza Chiaramonte con Antonio del Carretto le origini della baronia di Racalmuto in capo a quella famiglia  proveniente da Genova. In un atto - mezzo falso e mezzo vero del 13 aprile 1400 - abbiamo le ascendenze ed i titoli per la legittimazione baronale di Racalmuto. Lasciamo agli araldici ed agli storici il compito di far luce sulla questione, che inquinata com’è nelle sue più antiche fonti,  difficilmente potrà essere del tutto chiarita. Quel che ci preme è qui sottolineare come proprio sotto Matteo del Carretto fu scritta e tramandata un’importante pagina di storia sacra locale. Al barone di Racalmuto si rivolgeva Re Martino per la traslazione del beneficio canonicale di S. Margaritella da un canonico fellone ad altro di Paternò, fedele alla causa dei Martino, pur soggetti a cocenti scomuniche papali. Si era conclusa la triste vicenda della ribellione dei Chiaramonte - che pur dovevano essere legati da vincoli di sangue ai del Carretto - ed era stata domata la resistenza palermitana di Enrico Chiaramonte. Il re aragonese, tra l’altro, cominciò a metter mano alla riforma ecclesiastica. In un certo senso ne aveva diritto per quello strano istituto tutto siciliano e peculiare che fu la Legazia Apostolica. Per la liberazione dai saraceni da parte dei Normanni, il Papa aveva accordato ai regnanti di Sicilia una inconsueta rappresentanza religiosa in forza della quale il legato  del Pontefice anche in materia religiosa in Sicilia era proprio il re. E Martino ne approfittò per togliere e donare canonicati, prebende e riconoscimenti onorifici di natura ecclesiastica.
Anche Racalmuto, con il suo vetusto beneficio di S. Margaritella, entrò in questo aberrante gioco politico-religioso. Chiarisce bene la vicenda un documento: esso fu ben presente a Giovan Luca Barberi che gli tornava acconcio per ribadire l’autorità delegata dal Pontefice ai re di Sicilia per i benefici ecclesiastici. Sul passo del Barberi si basa poi il Pirri per assegnare il beneficio di S. Margaritella di Racalmuto ai canonici di Agrigento. Nel diploma si accenna solo al ‘canonicatus Sancte Margarite de Rachalmuto’: diversamente da quanto poi afferma Luca Barberi, quando scrive attorno al 1511, nell’originale non si fa accenno di sorta ad alcuna chiesa dedicata alla santa in Racalmuto. I benefici, sì, ma la chiesa è dubbia. Intanto si è certi che solo in prossimità del 1511 è provata l’esistenza in Racalmuto di una chiesetta del canonicato di dedicata a S. Margherita. E prima?
Tanti collegano quella chiesa ad un diploma del 1108, ma ciò origina da una interessata tesi della curia agrigentina. Il beneficio può benissimo essere sorto a metà del XIV secolo per accordo tra la curia vescovile ed i Chiaramonte, più verosimilmente  Manfredi Chiaramonte, oppure per benevola concessione di quest’ultimo a peste cessata ed a suggello del concordato col Papa.

LA CONTROVERSA BARONIA DEI DEL CARRETTO NEL XV SECOLO

Il secolo XV vede Racalmuto saldamente in mano a Giovanni del Carretto, figlio di Matteo, di quell’avventuriero, cioè che si era arrabattato  alla fine del secolo precedente. Henri Bresc vorrebbe questo Giovanni del Carretto come un disastrato, finito in mano degli Isfar di Siculiana. A noi risulta il contrario. Lo vediamo rapace esportatore di grano locale. Appare come creditore dei Martino, acquirente di quote di feudi in quel di Mussomeli, ma lo storico francese è perentorio: «La baisse du prix de la terre - que l’on suit sur la courbe des prix moyens des fief vendus par la noblesse  oblige   à un endettement toujours plus grave et à une gestion très rigoureuse du patrimoine résiduel. Et l’on s’achemine vers l’intervention de la monarchie et de la classe féodale dans l’administration des domaines fonciers et des seigneuries: Giovanni Del Carretto est ainsi dépouillé en 1422 de sa baronnie de Racalmuto, confiée en curatelle à son gendre Gispert d’Isfar, déjà maître de Siculiana
Di questa espoliazione della baronia di Racalmuto a favore di Gispert d’Isfar, non trovasi riscontro alcuno nell’altra pubblicistica di nostra conoscenza. Il Barone (o Baronio) che scrive nel 1630 ([16]) sembra escludere del tutto una sì infausta cessione. Ma quel non spregevole latinista, addentro di sicuro alle segrete cose dei del Carretto, è smaccatamente elogiativo per dargli eccessivo credito. Comunque, l’interruzione della baronia dal 1422 al 1453 non viene neppure sospettata. Così è anche in una lunga comparsa giudiziale della fine del seicento, presentata dall’ultimo Girolamo del Carretto. 
Gibert Isfar avrebbe sposato una figlia di Giovanni I del Carretto nel 1418 ([17]); il personaggio è arrogante, intraprendente, si dà all’usura, sa farsi nominare mastro portolano. Il Bresc è prodigo di notizie sul suo conto. Tra l’altro, compra per 10.000 fiorini la castellanìa e la “secrezia” di Sciacca (Bresc, op. cit. pag. 857); opera a tassi usurari del 7% (ibidem pag. 859); è bene insediato a Siculiana (ibidem pag. 887). Soprattutto riesce a farsi nominare feudatario di tale centro dell’agrigentino nel 1430 per ripopolarlo (ibidem pag. 895; ASO Canc. 65, f. 42).
Attorno alla metà del secolo, subentra nella baronia di Racalmuto Federico del Carretto. Il 3 agosto 1452 ne viene ratificata l’investitura stando agli atti del  protonotaro del Regno in Palermo. Un grave episodio di intolleranza religiosa contro gli ebrei - in cui però preminente è l’aspetto di comune criminalità - si verifica nelle immediate adiacenze di Racalmuto nell’anno 1474.
Il Cinquecento si apre con la pia leggenda della venuta della Madonna del Monte. Dominava il barone (non certo conte) Ercole Del Carretto. Ebbe costui il suo bel da fare con Giovan Luca Barberi, che sembra essere venuto proprio a Racalmuto per meglio investigare sulle usurpazioni della potente famiglia baronale. Il Barberi arriva persino a dubitare sul concepimento nel legittimo letto di alcuni antenati del povero barone Ercole Del Carretto. Gli contesta molte irregolarità d’investitura ed il padrone di Racalmuto è costretto a ricorrere ai ripari formalizzando i suoi titoli nobiliari presso la corte vicereale di Palermo, a suon di once. La ricaduta - oggi si direbbe: traslazione d’imposta - sui disgraziati racalmutesi dovette essere espoliativa. In compenso - direbbe Sciascia - fu profuso il succo gastrico delle opere di religione. Non proprio una “venuta” miracolosa, ma una statua di marmo della Madonna fu certamente fatta venire da Palermo - genericamente si dice dalla scuola del Gagini - e posta in bella mostra su un altare, maestosa, della chiesa del Monte, che ad ogni buon conto preesisteva. Ai parrocchiani, questo non può di sicuro venire predicato. Se ne scandalizzerebbero oltre misura. Ma qui, in un orecchio, può venire sommessamente e riservatamente sussurrato. Chi ha orecchie da intendere, intenda.

PERCHE' UNA STORIA SUI DEL CARRETTO

Astrette in un paio di pagine sono godibili le riflessioni terminali (1984) di Leonardo Sciascia ([18]) su tutta la storia racalmutese. Desolato il quadro: per lo scrittore è flebile l'eco dell’antica 'dimora vitale', che si amplifica forse una sola volta quando Racalmuto «piccolo paese, 'lontano e solo', come sperduto nel Val di Mazara, diocesi di Girgenti , ... dall'oscurità di secoli emerge, nella prima metà del XVII, a una vita che Américo Castro direbbe 'narrabile' .... grazie alla simultanea presenza di un prete che vuole una chiesa 'bella' e vi profonde il suo denaro, di un pittore, di un medico, di un teologo; e di un eretico.» Di solito, invece, «per secoli, vita appena 'descrivibile', nell'avvicendarsi di feudatari che, come in ogni altra parte della Sicilia, venivano dal nord predace o dalla non meno predace 'avara povertà di Catalogna'; col carico di speranze deluse e delle rinnovate e a volte accresciute angherie che ogni nuova signoria apportava.»
Sull'altipiano solfifero ebbe quindi a trascorrere un’oscura, millenaria vicenda umana; ma era una 'vita pur sempre tenace e rigogliosa che si abbarbicava al dolore ed alla fame come erba alle rocce'.
Promana quasi un monito a non indugiare sulle araldiche traversie dei signori di Racalmuto. Eppure noi ci accingiamo ugualmente a scrivere sui Del Carretto ed altri feudatari locali. Abbiamo rovistato a lungo negli archivi (dalla locale matrice al lontano archivio segreto del Vaticano; da Agrigento ai ponderosi fondi di Palermo); abbiamo rinvenuto carte, documenti, diplomi, testamenti, codicilli che una qualche luce nuova la proiettano sul vivere feudale dei racalmutesi. Tanto ci pare sufficiente a superare remore e riserbi.
L'avvicendarsi dei feudatari è stato sinora narrato dagli eruditi locali con topiche ed errori, spesso con “visionarietà romantica”: correggerli alla luce dei documenti d'archivio un qualche valore dovrebbe pure rivestirlo. Incapperemo sicuramente anche noi in sviste ed abbagli: consentiremo, così, ad altri il gusto di rettificarci. Niente è più proficuo dell'errore, quando provoca ulteriori ricerche. Il silenzio equivale al nulla: è sintomo d'accidia, uno dei sette peccati capitali, almeno per i cattolici.
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Sui Del Carretto di Racalmuto è reperibile una folta letteratura, specie fra storici ed eruditi del Seicento; ma solo Sciascia (vedansi Le parrocchie di Regalpetra Morte dell'inquisitore), scavalcando il vacuo curiosare araldico, scandaglia gli amari gravami di quella signoria feudale. Peccato che il grande scrittore si sia voluto attenere, sino alla fine dei suoi giorni, ai dati cronachistici dell'acerbo Tinebra Martorana. Finisce, così, col dare fuorviante credibilità a vicende inventate o pasticciate. Sono da notare, ad esempio, queste topiche piuttosto gravi:
1.         Il 'Girolamo terzo Del Carretto' che «moriva per mano del boia: colpevole di una congiura che tendeva all'indipendenza del regno di Sicilia» ([19]) è inesistente. A salire sul patibolo allestito nel 'regio castello' di Palermo era stato lo scervellato Giovanni V del Carretto il 26 febbraio 1650. Quello che si indica come Girolamo quarto è invece il terzo. Dopo una parentesi in cui il feudo di Racalmuto risulta assegnato alla vedova del malcapitato Giovanni V, la contea viene restituita, nel 1654, al predetto Girolamo III. Costui, finché subì l'influenza della prima moglie Melchiorra Lanza Moncada figlia del conte di Sommatino, fu munifico verso conventi, ospedale e chiese. Ma quando fu prossimo ai cinquant'anni, forse perché oberato dai debiti, si scatenò contro il clero di Racalmuto, denegandogli le esenzioni terriere risalenti all'ultimo barone Giovanni III Del Carretto  ed intentando contro di lui, presso il Tribunale della Gran Corte, una causa che poteva costargli una scottante scomunica.
Alla fine dei Seicento, il 2 giugno 1687, Girolamo III del Carretto si spoglia della contea, sicuramente per sfuggire ai creditori, facendone donazione al figlio Giuseppe. Ma costui premuore al padre e pertanto il feudo ritorna sotto la titolarità di Girolamo III sino alla sua morte, con la quale si estingue la signoria dei Del Carretto su Racalmuto. Un Girolamo IV ([20]), dunque, non è mai esistito.
2. Giovanni V Del Carretto non "contrasse parentado con Beatrice Ventimiglia, figlia di Giovanni I, principe di Castelnuovo" come vorrebbe - sulla scia del Villabianca ([21]) - il Tinebra-Martorana, riecheggiato più volte da Sciascia. Costei, invero, ne era la madre ed era proprio quella Beatrice protagonista del pasticciaccio che  nel maggio del 1622  sarebbe stato perpetrato insieme "al priore degli agostiniani ed al servo di Vita" ([22]).
3. Che Girolamo II Del Carretto sia il massimo responsabile della «vessatoria pressione fiscale» del terraggio e del terraggiolo, «canoni e tasse enfiteutiche ... applicati con pesantezza ed arbitrio» ed «in modo particolarmente crudele e brigantesco» ([23]) dal conte in parola, è forzatura storica. Il terraggiolo fu tassa sui 'cittadini et habitaturi' della Terra di Racalmuto osteggiata sin dai tempi degli ultimi baroni del Cinquecento. Nel 1580 il neo-conte Girolamo I, dissanguato finanziariamente dalla sua mania per i titoli altisonanti - quello di conte riesce a conseguirlo, quello di marchese, no -, trova giurati compiacenti ed ordisce una 'transazione consensuale'. Nel 1609, quando Girolamo II è appena dodicenne, il suo tutore architetta con i maggiorenti di Racalmuto una furbata che verrà poi del tutto cassata nel 1613: si pensa di sostituire il terraggiolo con una donazione una tantum di 34.000 scudi da far gravare su tutti gli abitanti di Racalmuto. Gli effetti furono disastrosi, pensiamo più per il conte che per racalmutesi. I fondi della donazione risultarono irreperibili. Si optò per un reddito annuo del 7% (2.380 scudi) da far pagare a tutti i residenti, dovessero o non dovessero il terraggiolo (e cioè due salme di frumento per ogni salma di terra coltivata in feudi diversi da quello di Racalmuto). Furono 700 le famiglie che presero la fuga. Nel 1613, avendo maggior peso il sedicenne Girolamo Del Carretto, si ritornò all'antico regime sancito nel 1580. L'anno dopo, frate Evodio di Polizzi fondava il convento degli agostiniani 'riformati di S. Adriano' a San Giuliano. Rem promovente Hieronymo Comite, scrive il Pirro. Che ragione avesse poi, otto anni dopo, il frate a mutare la doverosa gratitudine in rancore omicida non può spiegarsi con la stravagante tradizione riportata dal Tinebra. A ben vedere, il frate ebbe a limitare la sua opera alla primissima fase. Passò quindi ad altri conventi ed a Racalmuto con tutta probabilità non mise più piede. Le carte della Matrice, così diuturnamente puntuali per quel periodo, giammai accennano al padre agostiniano (Evodio o Fuodio o Odio, comunque si chiamasse).   
Val dunque la pena di tentare una veridica storia dei Del Carretto? A noi pare di sì. In definitiva, anche se di  vita 'appena descrivibile', si tratta pur sempre della storia di Racalmuto.
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Sul ramo di Sicilia della famiglia Del Carretto, nulla è reperibile in letteratura sino a tutto il secolo XV. Agli albori del XVI,  il rancoroso Giovan Luca Barberi si produce in una maligna stroncatura della legittimità del titolo baronale di Racalmuto in capo alla rampante famiglia d'origine ligure.
Solo in una circostanza ha ragione da vendere il Barberi  e cioè quando contesta l'ammissibilità della prima investitura baronale in favore di Matteo del Carretto dopo la cessione da parte del fratello maggiore Gerardo, primogenito, peraltro, di Antonio del Carretto. 
In Palermo, infine, non vi era nei primi anni del '500 - né vi è tuttora - alcun documento dell'investitura di Giovanni II del Carretto né del figlio Ercole, proprio quello della Madonna del Monte. Ne fa diligente annotazione lo stesso inquisitore Giovan Luca Barberi.
Ancor oggi non possiamo discostarci da quello che scrive, dopo il 1519, quel diligente burocrate sull'origine e sui primi sviluppi dell'impossessamento feudale di Racalmuto da parte dei Del Carretto. Ribadiamo che non pochi dubbi nutriamo sull'attendibilità delle antiche notizie di una terra feudale racalmutese in mano a Federico II  Chiaramonte, cui succede la figlia Costanza. Non è storicamente provato che da Costanza Chiaramonte, sposatasi in prime nozze con Antonio Del Carretto, il feudo sia passato al figlio di primo letto Antonino Del Carretto e da questi al primogenito Gerardo Del Carretto, che, per un concambio con 28 'lochi de communi' in quel di Genova, si sarebbe indotto a cederlo al fratello minore Matteo (l'altro fratello Giacomino era, frattanto, deceduto). Ma avremo tempo per indugiare sui nostri dubbi.
Prima che l'Inveges - un furbo religioso del Seicento, nativo di Sciacca - confezionasse nella sua notoria Cartagine siciliana (Palermo 1651), testamenti ed atti notarili, che nessuno mai ha poi avuto la ventura di reperire, per un'epopea spesso mistificatoria sui Chiaramonte (e di striscio sui Del Carretto), l'accorto Barberi ([24]) aveva così ricostruito, sulla base dei documenti della cancelleria di Palermo, l'avvento ed il consolidamento a Racalmuto della 'predace' famiglia ligure:
La terra con il suo castello di Racalmuto è sita e posta nel Regno di Sicilia in Val Mazara ed era un tempo posseduta dal condam Antonio del Carretto.
Morto costui, doveva succedere nella stessa terra Gerardo del Carretto, come figlio primogenito, che però vendette definitivamente tutti i diritti che aveva sopra l'anzidetta terra e su tutti gli altri beni del cennato suo padre e soprattutto quei diritti che aveva e poteva avere  per ragione di successione e di eredità da parte di Costanza di Chiaramonte sua nonna, nonché quegli altri diritti dell'eredità del detto condam Antonio del Carretto e donna Salvasia suoi genitori e del condam Giacomo  suo fratello, e particolarmente i diritti sopra Giuliana, Garrivuli ... al condam Matteo del Carretto, marchese di Savona, fratello secondogenito del predetto Gerardo.
Il condam Matteo del Carretto, marchese di Savona, acquista i predetti beni e diritti dal  fratello Gerardo,  per il prezzo di 3250 fiorini. Ciò appare nel pubblico strumento celebrato e pubblicato per il giudice Giacomo de Randacio in data 11 marzo - VIII^ Indizione - 1399. Il contratto fu accettato e confermato dal signor Re Martino a vantaggio dello stesso Matteo del Carretto e dei suoi eredi e successori, in perpetuo, come risulta nel privilegio di tale conferma dato in Catania il 13 aprile del detto anno, annotato nel libro del predetto anno 1399, VIII^ indizione f. 38. Questo Matteo aveva avuto prima la conferma della detta terra dal detto signore Re Martino con la seguente clausola «gli cediamo e concediamo, in forza della presente grazia, tutti i singoli diritti che vantiamo su detto casale o che possiamo vantare per qualsiasi fatto o diritto, ecc. ..», come risulta nel libro dell'anno 1391 XV^ indizione f. 71. Sennonché il cennato Matteo del Carretto si ribellò contro il suo re signore. Furono così devoluti al regio fisco tutti i suoi beni. Ma tornato, alla fine, nell'obbedienza, ottenne dal detto signor Re Martino la remissione e l'indulgenza con la restituzione della detta terra e degli altri beni, con revoca e annullamento di tutti i decreti, sentenze ed atti contro di lui emanati o fatti, come risulta nel privilegio della detta remissione notato nel libro dell'anno 1396 V^ indizione, nelle carte 33.
E morto Matteo, gli successe nella detta terra Giovanni del Carretto [I], suo figlio ed erede, che ebbe anche dal Re Martino la conferma della detta terra  in un diploma ove risultano inseriti i predetti privilegi ed il contratto di vendita fatta al predetto condam Matteo per Gerardo del Carretto, come risulta nel privilegio del detto re dato in Catania il 5 agosto VIIII^ indizione 1401 e nella Regia Cancelleria nel medesimo libro dell'anno 1399, notato nelle carte 177.
E morto Giovanni, successe Federico del Carretto, suo figlio primogenito, legittimo e naturale, il quale Federico ottenne dal condam Simone arcivescovo palermitano l'investitura della detta terra per sé ed i suoi eredi sotto vincolo del consueto servizio militare e con riserva dei diritti della regia curia e delle costituzioni del signore Re Giacomo e degli altri predecessori regali edite sui beni demaniali, come risulta nel libro grande dell'anno 1453 nelle carte 565.
E morto il cennato Federico, gli successe Giovanni del Carretto [II], suo figlio, il quale, come appare dall'ufficio della regia cancelleria, non prese giammai l'investitura della detta terra.
Morto il detto Giovanni, gli successe Ercole del Carretto figlio legittimo e naturale e maggiore del detto Giovanni, del quale del pari non risulta investitura alcuna ed al presente si possiede quella terra per lo stesso Ercole del Carretto, con un reddito annuo superiore ad once 700.

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