Dopo l’Unità d’Italia, Racalmuto ha sconvolgimenti
profondissimi che lì per lì i loquaci galantuomini sicuramente non colsero; ma
basta vede come si chiude il quadro statistico di fine secolo per capire quale
rivoluzione sociale si era determinata. Certo la componente borghese fu
egemone. Chi aveva terre da sfruttare con scavi alla ricerca dello zolfo lo
fece con perseveranza, con protervia persino, con avventure impensabili in
gente atavicamente adusa a lavorare solo il mese della “riconta”. Ed i buoni
borghesi di Racalmuto non si accorsero neppure che continuando in quel modo
avrebbero dovuto poi rammaricarsi del fatto che “un galantomu un po’ cchiu dari
nna masciddata a lu so viddanu”. Quando noi oggi - nipoti di zolfatai
analfabeti che a dire dei notai dell’epoca non sapevano “scrivere ne(sic)
sottoscrivere per non averlo mai appreso” - si divertiamo nelle serate al
circolo a sbeffeggiare qualche malconcio erede di quei supponenti signori, un
gusto sadico, un empito di ancestrale livore, lo proviamo ancora, con una
qualche ingordigia.
Racalmuto si affacia al secolo XX con connotati che
possiamo cogliere dall’Annuario d’Italia
- Calendario generale del Regno” del 1896 pag. 318 e segg. «Mandamento di Racalmuto - Comuni
2 - Popolazione 22.648, Tribunale, Conservatorie delle ipoteche e Ufficio
metrico in Girgenti, Ufficio di P.S. e Uff. Reg. In Racalmuto. Magazzino
Privative e Agenzia delle imposte a Canicattì - Racalmuto - Collegio elettorale di Canicattì, diocesi di
Girgenti. Ab. 13.434 Sup. Ett. 4.237
- Alt. Su livello del mare m. 460 - Grosso borgo, fabbricato sulla
sinistra di un affluente del Platani. Corsi d’acqua: un affluente del Platani.
Prodotti: cereali, viti, olivi, frutta. Miniere: Miniere di zolfo
greggio e varie miniere di salgemma. Fiere: ultima Domenica di maggio
(bestiame e merci). Sindaco: Tulumello barone Luigi. Segret. Comunale:
Rao Liborio. - Agenti di assicurazione: Macaluso Vincenzo (Venezia), Rao
Liborio. Albergatori: Martorana Alfonso - Valenti Giuseppe. Bestiame:
(negoz.) Borsellino Calogero - Borselino Giovanni - Pavia Giulio - Piazza Gio.
E Giuseppe. Caffettieri: Esposto Pio; Farrauto Gioacchino; ved. Licata. Cappelli
(negoz.): Conigliaro Francesco - Martorana Nicolò. Cereali: (negoz.)
Bartolotta Giuseppe - Bartolotta Salvatore - Bartolotta Nicolò - Scimè
Salvatore - Nalbone F.lli. Cordami: (fabbric.) Greco Salvatore - Scimè
Salvatore. Farine: (negoz.) Falcone Gioacchino - Geraci Calogero - Scimè
Gregorio - Scimè Alfonso - Scimè Pasquale - Schillaci Ventura - Taibbi
Gioacchino. Ferro: (negoz.) Cutaia Luigi - Macaluso Salvatore. Formaggi:
(negoz.) Denaro Calogero - Denaro F.lli - Giuffrida Gaetana - Iovane Antonio. Legnami:
(negoz.) Macaluso Francesco - Macaluso Salvatore - Napoli Carmelo - Cutaia
Luigi. Merciai: Alessi Salvatore - Di Rosa Giuseppe. Miniere di
salgemma: (eserc.) Bartolotta Giuseppe - Denaro Giovanni - Lauricella
Nicolò - Licata Salvatore. Miniere di zolfo: (eserc.) Argento
Michelangelo - Argento Santo - Bartolotta Diego - Bonomo Giuseppe e Figli -
Brucculeri Michelangelo - Buscarino Pietro - Cavallaro Giuseppe - Cavallaro
Luigi - Cino Calogero - Cutaia Salvatore - Farrauto cav. Alfonso - Farrauto
Francesco - Franco Gaspare - La Rocca Salvatore - Liotta Calogero - Lo Jacono
Vincenzo - Macaluso Stefano di Calogero - Macaluso Stefano di Francesco -
Mantia Giuseppe - Mantia Michele - Mantia Salvatore - Martorana Salvatore -
Martorana Vincenzo - Matrona comm. Gaspare - Matrona cav. Paolino - Matrona
cav. Michele - Matrona Napoleone - Messana Calogero - Morreale Carmelo -
Munisteri Pinò Nicolò - Picone Salvatore - Puma Carmelo - Romano Calogero fu
Luigi - Romano Giuseppe - Romano dott. Salvatore - Salvo Giuseppe - Schillaci Diego
- Schillaci Giuseppe - Schillaci Pietro - Schillaci Ventura F.lli - Sciascia
Leonardo - Scibetta Diego - Scibetta avv. Giuseppe e F.lli - Scimè Pasquale -
Sferlazza Salvatore e Figli - Tinebra Luigi - Tinebra Salvatore; Serafino;
Vincenzo - Tulumello Arcangelo - Tulumello b.ni Luigi - Tulumello Nicolò -
Tulumello Salvatore - Vella Antonio e Volpe Calogero. Mode: (negoz.)
Conigliaro F. - Molini: (eserc.) Burruano Giuseppe - Falcone Gioacchino
- Farrauto Salvatore - Palermo Nicolò - Scimè Pasquale - Scimè Sferlazza
Salvatore. Molini (a vapore) : (eserc.) Alfano Giuseppe - Farruggia
Gerlando - Grillo e Picataggi - Scimè Arnone Giuseppe. Olio d’oliva:
Cinquemani Alfonso - Cinquemani Dom. - Cinquemani Salvatore - Leone Diego -
Licata Salvatore - Liotta Pietro e Patti Leonardo. Panettieri: Genova
Pietro - Rizzo Nicolò - Romano Ignazio. Paste alimentari: (fabbric.)
Franco Vincenzo - Giudice Nicolò - La Rocca Francesco - La Rocca ved. Carmela -
Mattina Salvatore - Mattina Vincenzo - Picataggi Federico (a vapore) -
Pitruzzella Angelo; Diego. Pellami: (neg.) Alessi Salvatore. Pizzicagnoli:
Denaro Salvatore - Iovane Antonio. Sommacco :(negoz.) Denaro Giovanni -
Flavia Giuseppe - Grillo Raffaele - Mantia Giuseppe - Martorana Luigi - Mendola
Calogero - Pantalone Giosafatte. Tessuti: (negoz.) Collura Salvatore -
Franco Gaspare - Petruzzella G.B. - Puma Gerlando - Romano Calogero - Scibetta
Giuseppe. Vini: (negoz. Ingrosso) Mazttina Carmelo - Mendola Santo -
Puma Giov. - Puma Michelangelo - Salvo
Giuseppe - Taverna Carmelo - Zaffuto Angelo. Professioni: Agrimensori: Amato Calogero. Agronomi:
Busuito Alfonso Falletta Luigi - Grisafi Calogero - Terrana Giuseppe. Farmacisti:
Baeri Angelo - Cavallaro Giuseppe - Scibetta Luigi - Presti Cesare - Romano
Giuseppe - Tulumello Salvatore. Medici-chirurghi:
Bartolotta Giuseppe - Burruano Francesco - Busuito Luigi - Busuito Giuseppe -
Busuito Salvatore - Cavallaro Erminio - Falletta Gaetano - Romano Salvatore -
Scibetta-Troisi Alfonso - Scibetta-Troisi Diego - Macaluso Luigi. Notai: Alaimo Michelangelo - Gaglio Ferdinando -
Vassallo Giuseppe Antonio.
Il quadro economico che se ne trae è molto variegato
ed esplicativo. Oltre 63 esercenti di
miniere di zolfo (per converso solo 4
esercenti di miniere di salgemma) attestano l’importanza del settore.
L’agricoltura è piuttosto fiorente: 5 grossisti in cereali; 7 spacci di farine;
6 molini e 4 a vapore; paste alimentari e pane vengono smerciati in vari punti
di vendita; opera anche un pastificio a vapore; 7 commercianti all’ingrosso in
vino; 7 grossisti di sommacco; 7 grossisti di olio di oliva. Il secondario, in
un centro effervescente per occupazione industriale e per sviluppo agricolo, è
congruo: negozi di ferro, di pellami, di legname, di cordami non mancano; e poi
merciai ed empori di mode, di tessuti, di cappelli; quindi trovano lavoro i
caffettieri (ben tre). La pastorizia è discreta: negozi di formaggio e quattro macelleria lo comprovano. Nutrita la
serie dei professionisti: diversi agrimensori ed agronomi, segno della
rilevanza della proprietà terriera; tre notai (di cui solo uno veramente
racalmutese); stranamente i tanti avvocati del tempo non ci vengono segnalati;
e poi tanti (troppi) medici (ma molti
sono fra loro strettisimi parenti ed è da pensare che la laurea fosse più un
orpello che lo studio propedeutico ad una effettiva professione medica). Il
quadro ‘borghese’, “agrario” ed il profilo degli esercenti di miniere di zolfo
- che un ruolo avranno nell’avvento del fascismo a Racalmuto - sono ben
delineati a decifrare fra i cognomi delle famiglie che figurano come esercenti
di particolari arti e mestieri. Destinati ad uno squallido tramonto le tre
famiglie in qualche modo titolate: i Tulumello, i Matrona ed i Farrauto;
presenti nell’agone politico prefascista i vari Cavallaro, Bartolotta, Scimé,
Baeri, Mantia, Vella, etc. E’ arduo
rinvenirvi i ceppi d’origine di quelle che saranno le figure dominanti del
fascismo: Giovanni Agrò, il dott. Enrico
Macaluso, il prof. Giuseppe Mattina di Gaetano, il maestro Macaluso, Antonio
Restivo: una rotazione dirigenziale, in senso popolare, il fascismo a Racalmuto
senza dubbio finì col determinarla, una sorta di redenzione sociale delle
classi meno abbienti, una retrocessione dalle funzioni pubbliche dei
‘galantuomini’ racalmutesi dell’Ottocento.
Luigi Pirandello ne I
vecchi e i giovani [1] accenna
alle condizioni - avvilentissime - dei ceti infimi racalmutesi. Vi include
ovviamente gli zolfatai. Triste la sorte dei ‘mafiosi’ incastrati dalla
giustizia: miseranda la vita delle loro donne.
«..s’affollavano
storditi i paesani zotici di Grotte o di Favara, di Racalmuto o di
Raffadali o di Montaperto, solfaraj e
contadini, la maggior parte, dalle facce terrigne e arsicce, dagli occhi
lupigni, vestiti dei grevi abiti di festa di panno turchino con berrette di
strana foggia: a cono, di velluto; a calza, di cotone; o padavovane; con
cerchietti o cateneccetti d’oro agli orecchi; venuti per testimoniare o per
assistere i parenti carcerati. Parlavano tutti con cupi suoni gutturali o con
aperte pretratte interjezioni. Il lastricato della strada schizzava faville al
cupo fracasso dei loro scarponi imbullettati, di cuojo grezzo, erti, massicci e
scivolosi. E avevan seco le loro donne, madri e mogli e figlie e sorelle, dagli
occhi spauriti o lampeggianti d’un’ansietà torbida e schiva, vestite di
baracane, avvolte nelle brevi mantelline di panno, bianche o nere, col
fazzoletto dai vivaci colori in capo, annodato sotto il mento, alcune coi lobi
degli orecchi strappati dal peso degli orecchini a cerchio, a pendagli, a
lagrimoni; altre vestite di nero e con gli occhi e le guance bruciati dal
pianto, parenti di qualche assassinato. Fra queste, quand’eran sole, s’aggirava
occhiuta e obliqua qualche vecchia mezzana a tentar le più giovani e
appariscenti che avvampavano per l’onta e che pur non di meno tavolta cedevano
ed eran condotte, oppresse di angoscia e tremanti, a fare abbandono del proprio
corpo, senz’alcun loro piacere, per non ritornare al paese a mani vuote, per
comperare ai figlioli lontani, orfani, un pajo di scarpette, una vesticciuola.»
Forse un tantinello oleografica, ma pur sempre molto
pertinente, la raffigarazione che Nino Savarese [2] fa delle
zolfare e dei zolfatai che ben si attaglia alla Racalmuto di quella seconda
metà dell’Ottocento. «I fazzoletti di
seta sgargiantissimi, i pantaloni a campana, gli scarpini di pelle lucida con
lo scricchiolìo, il berretto sulle
ventitre e il grumoletto giallo dei semprevivi all’occhiello, sono distintivi
della classe zolfilfera, non solo ignorati, ma ironizzati, dalla gente di
campagna. Dopo di essere stati mezzo nudi come selvaggi, grondanti sudore anche
di pieno inverno, nelle gallerie e nei pozzi afosi o sotto il peso delle corbe
nei trasporti, per i quali spesso non esistono mezzi animali o meccanici, quelle
vistose gale sono come una rivincita, una specie di commemorazione domenicale,
di fatto, non tanto naturale e prevedibile, di essere ancora in vita e con le
tasche piene di danaro ben guadagnato. E
fra i proprietari e dirigenti di zolfare e proprietari di terre, c’è ancora,
una netta distinzione di modi, di vita, di gusti e persino una certa differenza
nel linguaggio: gli uni sempre intenti a tentare nuove avventure di pozzi e di
gallerie, con l’animo sospeso sulle incognite degli abissi e degli improvvisi
disastri dei crolli e del grisù, gli altri con gli occhi pacificamente rivolti
al cielo a scrutare i cambiamenti del tempo. [...] L’isola è ancora ricchissima
di zolfo. Specie nella parte centrale, le miniere, in certe contrade, si
seguono a brevissima distanza.
«Dalla
profondità delle loro viscere esse hanno mandato ricchezze enormi: intere
generazioni di padroni vi si sono arricchite; intere generazioni di operai vi
hanno logorato la loro esistenza, ed eccole che fumano ancora, che è il loro
modo di dire che esistono, che producono ancora e vogliono nuove braccia e
nuovi sacrifici, in cambio di nuove promesse di ricchezza e di felicità! La
fumata di una miniera altera le linee del paesaggio di una contrada, come per
l’avvertimento che, in quel punto, la terra si sta consumando in una
dissoluzione e in uno struggimento innaturali: c’è qualcosa che richiama la
vampata di un incendio o di un disastro irreparabile. Non vedi le poche
colonnine di fumo delle ciminiere di una fabbrica, le quali hanno sempre qualche
cosa di simmetrico e di preordinato, ma centinaia di colonne di fumo che
salgono, ora altissime, ora basse, ora a larghe volute come veli di nebbia
densa e giallastra. [...]
«I molli
pascoli, gli orti grassi, le vigne sembrano girare al largo da questi
luoghidove la terra si è resa maledettamente infeconda. [...]
«Qua e là, tra
le distese grigie del tufo e i mucchi rossastri dei detriti della fusione,
sbocciano improvvisamente come grandi fiori gialli, i mucchi dello zolfo già
fuso ed accatastato, pronto per essere spedito. Queste cataste vengono fatte in
prossimità dei forni e dei calcheroni, che sono i luoghi della fusione; a
sistema moderno, i primi, a modo antico, i secondi. I calcheroni, mucchi di
minerale più minuto, a cono, sembrano piccolissimi vulcani a catena; i forni,
piatte costruzioni in muratura hanno nell’interno la forma di botti da vino,
col mezzule e la spina e l’ampio cocchiume aperto, dal quale, per certi
soppalchi praticabili, viene versato il minerale grezzo. Lo zolfo, acceso all’interno,
filtra attraverso i residui che non fondono, e viene fuori dalla spina, in un
liquido scuro, ancora denso, sfrigolante di fiammelle azzurrognole, tra vapori
acri ed irrespirabili. Le operazioni che si vedono in una miniera sembrano
allora quelle di una vendemmia diabolica condotta nel centro della terra, e
questo il vino di Mefistofele!
«Di notte la
miniera è appena segnata da grappoli di lampadine. Ma nel suo grembo infuocato
il lavoro non si arresta nemmeno durante la notte. Squadre di minatori non
lasciano il piccone. Si suda ancora e si impreca mentre nelle campagne intorno,
i lumi delle casette campestri si spensero assai per tempo, e i contadini
aspettano il nuovo soleper riprendere la loro fatica. E i campanacci dei bovi e
delle pecore levano sui campi silenziosi il loro suono di pace e di
tranquillità.»
Quanto al contrasto contadini-zolfatai che affiora
dalla pagina di Savarese, per Racalmuto dovremmo fare un qualche distinguo se
già nel lontano 1885 il pretore locale così riferiva alla Giunta per l’Inchiesta Agraria sulle condizioni della classe agricola: [3] «Il contadino di questi luoghi non è un servo
della gleba, non è scarsamente pagato come in altri luoghi: se non gli è ben
pagato il suo lavoro sui campi, trova sicuro lavoro e ben retribuito
nelle miniere e perciò non è misero, ha di che vivere e può mantenere la sua
famiglia [...], veri contadini, individui che attendono esclusivamente alla
cultura dei campi, non ve ne sono: lavorano alternativamente, ora in miniera di
zolfo, ora nei campi.»
L. Hamilton Caico, l’irrequita moglie di uno dei
membri dell’importante famiglia Caico di Montedoro (paese finitimo con
Racalmuto), commentando vicende e costumi di un paese agricolo-minerario
attorno al primo decennio del secolo, in pieno riferimento, quindi, al centro
che qui interessa, scriveva: «Il lavoro
al quale il piconiere è sottoposto
corrode e disgrega la sua personalità, fino alla perdita totale di ogni senso
morale. Imbroglia e deruba il pur severo sorvegliante, durante il lavoro della
miniera; e quando rientra in paese, non fa altro che bere e gioca d’azzardo,
sperperando così tutto quello che ha guadagnato durante la settimana [...]. E’
rispettoso e sottomesso ai superiori durante le ore di lavoro, ma appena
ritorna in paese diventa prepotente e litigioso, con un atteggiamento
sprezzantee provocatorio [...]. E i carusi? Le infelici creature vengono ingaggiate per lavorare all’aperto non
appena compiono dieci anni e, quando hanno compiuto i quattordici anni, per
lavorare dentro la miniera [...] questo genere di vita li predispone al
rachitismo e alla deformità e, moralmente, sopprime in essi ogni istinto di
umana bontà, poiché crescono avendo a loro modello i piconieri, anzi con un più completo e generale
disfacimento della dignità umana [...], mentre nell’animo nascono e crescono
istinti violenti di ribellione e di malvagità, i sensi di un odio inconscio, le
tendenze più perverse.» ([4])
Gli zolfatai di Racalmuto furono politicamente e
sindacalmente vivaci. Saranno i primi a passare al fascismo, ma con un
ribellismo sindacale che fu domato molto tardi dallo stesso nuovo regime.
Ancora, nel 1931, osavano scioperare per contestare la riduzione della paga
unilateralmente decisa dagli esercenti. [5] Prima di
tale - sospetta - conversione al fascismo, erano stati socialisti sotto l’egida
di una strana figura d’avvocato locale, Vincenzo Vella, figura che illustreremo
dopo. Non crediamo proprio che avessero gradito lo sproloquio moralistico che
ebbe a propinargli un noto socialista dell’epoca, il geom. Domenico Saieva.
Costui, organizzatore di minatori a Favara fra fine secolo ed i primi del ‘900,
in un comizio agli zolfatai di Racalmuto del 12 marzo 1905 redarguiva i locali
zolfatai in questi termini: «Io ho
sentito il dovere di dirvi ... che se volete andare avanti occorre educarvi,
abbandonare il vizio, le bettole e dare una contingente inferiore alla
criminalità [...] le statistiche criminali parlano chiaro e fanno spavento
[..]. Ignoranti, viziosi e disorganizzati come siete oggi, vivrete sempre nella
più orribile abiezione morale ed economica [..].» ([6])
Quanto alla
vexata quaestio dei carusi, il
moralismo era antico, ma in fondo cinico. Richeggiano le scriteriate parole che
un sindaco di Racalmuto, Gaspare Matrona, tanto conclamato da Leonardo Sciascia,
ebbe a pronunciare nel 1875 davanti alla Giunta per l’Inchiesta sulla Sicilia:
«A domanda: E l’affare fanciulli
nelle zofare? Risponde: E’ questione
grave, ci è l’umanità da una parte e l’interesse economico dall’altra. A domanda: Produce danni fisici e morali?:
Risponde: Non quanto si crede. Per le
zolfare credo che ci vorrebbe una specie di consorzio. Qui la proprietà è
divisa. Tutti siamo nella commodità generale. Per togliere l’acqua occorrerebbe
potersi avvalere per costruzione di acquedotto dei terreni sottostanti; una
specie di servitù di acquedotto o meglio consorzio.» [7]
Racalmuto si consegnarà al fascismo dopo una frenetica
corsa allo zolfo. Un indice è quello demografico che è bene qui segnare:
Abitanti di Racalmuto
Anno
|
N.ro abit.
|
Indici 1825 =100
|
1825
|
7.170
|
100
|
1831
|
7.806
|
108,87
|
1852
|
9.030
|
125,94
|
1869
|
12.252
|
170,88
|
1894
|
13.384
|
186,67
|
1901
|
16.029
|
223,56
|
1911
|
14.398
|
200,81
|
1921
|
13.045
|
181,94
|
1931
|
14.044
|
195,87
|
1936
|
13.061
|
182,16
|
1951
|
12.623
|
176,05
|
1961
|
11.293
|
157,50
|
1980
|
10.000
|
139,47
|
In quasi un
secolo, dal 1861 al 1951, i quozienti medi annui dell’incremento totale, di
quello naturale ed il saldo emigratorio sono stati:
Comune di
Racalmuto
Periodi
|
Incremento totale
|
incremento naturale
|
saldo migratorio
|
1861
-1 871
|
3,6
|
8,86
|
-5,26
|
1871
- 1881
|
20
|
18,43
|
1,55
|
1881
- 1901
|
09,65
|
13,26
|
-4,64
|
1901
- 1911
|
-10,8
|
11,32
|
-22,12
|
1911
- 1921
|
-14,6
|
4,19
|
-18,79
|
1921
- 1931
|
11,4
|
9,93
|
1,47
|
1931
- 1951
|
-06,72
|
9,97
|
-16,69
|
Nel periodo 1861-1871 l’incremento totale della
popolazione è inferiore a quello naturale, il che comporta una emigrazione
netta del 5,26 per mille; in quello successivo tra il 1871 ed il 1881 il saldo
migratorio s’inverte ed abbiamo una immigrazione netta dell’1,55 per mille;
dopo l’emigrazione prende il sopravvento e nel periodo 1881-1901 è del 4,64 per
mille, nel decennio successivo di ben il 22,12 per mille e tra il 1911 ed il
1921 è ancora del 18,79 per mille; dopo - nel primo decennio fascista - abbiamo
un’inversione di tendenza: il flusso diviene immigratorio per l’1,47 per mille;
quindi il flusso emigratorio riprende il sopravvento ( 16,69 per mille nel
ventennio 1931-1951). [8]
Rispetto alla provincia di Agrigento, lo sviluppo
demografico di Racalmuto ha avuto il seguente andamento:
Anno
|
abit. Racalmuto (A)
|
N.ro ind.
(B).
|
abitanti prov. Ag. (C)
|
N.ro ind.
(D)
|
Rapporto %
A/C
|
Rapporto % B/D
|
1901
|
16.029
|
100
|
371.638
|
100
|
4,313
|
100
|
1911
|
14.398
|
89,825
|
393.804
|
105,96
|
3,656
|
84,77
|
1921
|
13.045
|
90,603
|
369.856
|
93,92
|
3,527
|
96,47
|
1931
|
14.044
|
107,658
|
398.886
|
107,85
|
3,521
|
99,82
|
1936
|
13.061
|
93,001
|
407.759
|
102,22
|
3,203
|
90,98
|
1951
|
12.623
|
96,647
|
461.660
|
113,22
|
2,734
|
85,36
|
1961
|
11.293
|
89,464
|
447.458
|
96,92
|
2,524
|
92,30
|
1980
|
10.000
|
88,550
|
449.699
|
100,50
|
2,224
|
88,11
|
Rispetto al territorio dell’intera provincia di
Agrigento, la popolazione di Racalmuto scema sempre più d’importanza passando
dal 4,313% del 1901 al 2,224% dei tempi d’oggi: un vero dimezzamento
d’importanza. Eugenio Napoleone Messana [9], lo
storico locale degli anni sessanta, da prendersi molto con le pinze, è alquanto
malizioso quando scrive: «Osservando i dati dell’Istituto Centrale di
statistica [...] balza evidente una crescente flessione demografica dal 1936 al
1961». Quasi si trattasse di un fenomeno iniziato in pieno fascismo. Era
invece, come abbiamo visto, un deflusso che affondava le radici alla fine
dell’Ottocento.
*
* *
Si è visto come per desiderio di Garibaldi sia salito
al parlamento di Torino il deputato La Porta: un personaggio battagliero, talora
equivoco, protagonista comunque di non poche battaglie parlamentari. I fatti
del 1862 ebbero risonanza e risonanza arroventata in parlamento. Nella torna
del 7 aprile del 1962 s’incardina la discussione sull’interpellanza del La
Porta. [10] Si
tratta dell’ «andamento amministrativo nella Sicilia». Il focoso giovane
deputato siciliano è dispersivo, logorroico e non riesce a mordere come vorrebbe. Molti prolissi periodi gli
occorrono prima di introdurre l’oggetto della sua interpellanza: «noi
deplorammo il favoritismo, la protezione governativa, la preferenza che il
Governo accordava all’elemento della scacciata dinastia in tutti gli uffizi»
finalmente inizia ad accusare per riprendere le fila del discorso sull’onda del
ricordo «noi rimproverammo gli abusi, le violenze che alcuni agenti del potere
esecutivo in Sicilia perpetravano a danno dell’elemento liberale, a danno di
quell’elemento che godeva e gode la simpatia delle popolazioni.» Il riferimento
al prefetto Falconcini è palpabile; l’eco della persecuzione del racalmutese
Matrona, evidente. Ma abbiamo visto che il Matrona opportunisticamente ebbe
invece ad accordarsi con il prefetto, scagionandolo da ogni accusa: la
convenienza fece aggio sulla verità, segno non proprio di grande elevatezza
morale dei conclamati Matrona.
Per l’on. La Porta, era stato vessato proprio
quell’elemento che «rappresentò in Sicilia la iniziativa della rivoluzione del
1860, la capitanò, guidò il popolo al plebiscito del 21 ottobre e, qualunque
volta la causa dell’unità nazionale o dall’opera dei retrivi o dagli errori del Governo sia compromessa
nell’isola, malgrado i torti ricevuti, non mancò mai al suo dovere.»
Il Laporta infierisce. «noi abbiamo accusato la
lentezza, la trascuratezza governativa in materia di opere pubbliche; le strade,
i ponti, i porti, o non iniziati, o lentamente o deplorevolmente avviati; il
denaro pubblico con poca utilità speso; le leggi votate dal Parlamento per
quelle provincie, sterile e derisoria parola.» Un ritornello, una posta del
rosario che spesse volte, fino alla noia, verrà dopo ripetuta, in tutte le
epoche, sotto i vari governi, persino fino ai nostri giorni. Dopo un anno e
mezzo, francamente era solo retorica esigere chissà quali miracoli governativi.
Ma dopo, col tempo, quel rosario amaro verrà recitato con ben più solida
fondatezza.
Certo ha ragione La Porta ad ironizzare sui «rapporti
dei prefetti che descrivevano l’isola beata e tranquilla e quasi inneggiante un
cantico di benedizione ai ministri costituzionali.» In effetti c’era da fare
una «requisitoria dello stato d’assedio, per dimostrare alla Camera quale fu
specialmente il terreno, ove quel Ministero [il dimissionario Governo Rattazzi, n.d.r.]
esercitò le sue violenze, le doportazioni in massa, le fucilazioni senza
giudizio, ogni atto, non dirò di Governo assoluto, ma dirò un’altra parola,
dirò di despotismo ...» Qualche esagerazione, senza dubbio; ma un quadro nella
sostanza terribilmente rispondente al vero. Altro che Falconcini, vittima di
chissà quali ingiustizie!
Il La Porta scende a dettagli: «Il tenente dei
carabinieri in Naro, provincia di Girgenti, annunziò pubblicamente che aveva
bisogno di un esempio durante lo stato d’ssaedio in quella città; manifestò
volere la fucilazione di un infelice Puleri Manto, e quella fucilazione fu eseguita.
[...] Il maresciallo dei carabinieri in Marsala è quello stesso che arrestava
il signor Andrea Danna, il primo cittadino di quel paese. [...] Il maresciallo
dei carabinieri in Misilmeri [procedeva a ] 37 arresti che fece per pure ire
personali. ... Gli arrestati dopo pochi giorni, riconosciuti innocenti, furono
messi in libertà.»
Ma il quadro dell’ordine pubblico era in ogni caso
desolante. «La sicurezza pubblica in Sicilia è ridotta ad un’amara delusione.
Migliaia di renitenti alla leva, migliaia di evasi dalle prigioni battono la
campagna; e già alcune bande si sono organizzate e specialmnete nelle provincie
di Palermo, di Siracusa, di Girgenti, alcune bande che spargono il terrore in
tutti i proprietari, che rubano, assassinano ad ogni momento.» E quanto ad
Agrigento, «i proprietari stanno rinchiusi in casa; nemmeno si attentano di
uscire in città. E’ raro che uno dei grossi proprietari di quel circondario non
abbia già ricevuto un biglietto di scrocco, e non tema di uscire dalla casa per
non incorrere nella vendetta di coloro che hanno richiesto una somma di danaro
e che essi non si trovano in grado di pagare. Il barone Genoardi è stato
tassato per cento mila lire. Il signor Vincenzo Mendolia è stato tassato per
duecento mila lire, e così molti altri. [...] Il numero dei renitenti alla leva
in quel circondario ascende a 600 per la leva del 1842, oltre poi quelli del
1840,1841 ed oltre 900 altri. In tutto tra renitenti alla leva ed evasi dalle
prigioni sono 1650 nel solo circondario di Girgenti. [...] A pochi passi dalla
città di Girgenti vi è un ladroneggio
organizzato colla sua burocrazia: coloro che trasportano zolfo appena
usciti dalla città trovano cinque o sei ladri che ne notano il nome e impongono
loro una taglia; al ritorno la taglia è esatta e il nome cancellato.»
Prende quindi la parola il deputato Ricciardi per
ragguagliare su talune amenità: « Ho avvicinato ed interrogato ogni ceto di
persone, cominciando dal principe e terminando all’artigiano, non ho udito mai
voce che lodasse l’opera del Governo. [..] Quest’isola godeva sotto i Borboni
di alcuni privilegi, i quali naturalmente doveva perdere all’apparire della
libertà e dell’unità nazionale. Certamente un paese dove non esisteva la leva e
che ha dovuto sobbarcarsi alla medesima, deve essere assai malcontento; quindi
i cinque o sei mila refrattari di cui è forza deplorar l’esistenza. In Sicilia
non v’era carta da bollo, ora non vi è solo questo, sìbene il registro ed il
bollo, che han rovinato tutte le classi le quali viveano del foro. [...] Debbo
dirvi ora una parola intorno alle carceri di Palermo ... Signori, in quelle
carceri ho scorto cose degne del medio evo, cioè 1400 detenuti, di cui
pochissimi condannati, i più tenuti a disposizione della questura, e non
interrogati da tre, da sei, da diciotto mesi! Alcuni tenuti in celle nelle
quali passeggiano come fiere in gabbia, e senza lavoro! Altri, tenuti in
vastissimi cameroni in numero di 100 o 150, senza un misero pagliariccio;
dormono avvolti in mantelli, e lascio immaginare a loro, signori, che cosa
debba avvenire la notte in quei cameroni.»
La risposta del ministro Peruzzi è scontata:
burocratica, evasiva, legittimista. Ma quelche spunto è degno di menzione: «...
debbo osservare come disgraziatamente siasi verificato che taluni proprietari
adoperano pei lavori di campagna preferibilmente dei renitenti alla leva ed
altri che trovansi in questo stato extralegale, perché fanno pagar loro questa
irregolarità di condizioni col prestar loro una mercede minore di quella che
accordano agli altri lavoranti.»
Noi non abbiamo dubbi: a Racalmuto i galantuomini,
grandi proprietari di terra, fecero fortuna a sfruttare quei poveri renitenti.
Chissà i commenti al circolo di compagnia.
Il Peruzzi è tagliente nello stigmatizzare la
manomorta ecclesiastica agrigentina. « La provincia di Girgenti è quella dove
la maggior parte dei beni sono nelle mani delle corporazioni religiose e del
clero. Io stesso, visitando la provincia di Girgenti, ho dovuto maravigliarmi,
come dopo aver veduto una quantità di solfare vicine l’una all’altra, dovessi
poi attraversare lungo tratto di paese senza vederne una. Ebbene, quel lungo
tratto di paese era proprietà della mensa arcivescovile, o vescovile non so, di
Girgenti. Quella mensa non voleva dare ad altri la facoltà di ricercare
depositi di zolfo, né coltivarli né tampoco li ricercava e coltivava essa stessa. L’industria stessa
degli zolfi, o signori, non contribuisce per avventura alla maggior moralità di
quelle popolazioni, e di questo possono convoncersi tutti quelli che hanno
esaminato le condizioni nelle quali quell’industria viene esercitata.
«Inoltre la provincia di Girgenti ha avuta la
disgrazia d’avere un’evasione di detenuti, dei quali una piccolissima porzione
si è potuta riprendere, mentre degli altri che è egli avvenuto? Si sono forse
costituite delle bande armate in quella provincia? Niente affatto. Tutte le
ricerche fatte dalla forza militare sono riuscite inutili, ed ho quindi motivo di credere che anche questi siano stati,
per così dire, riassorbiti dal apese, che si siano sparsi per le barie borgate,
per le varie masserie, per le varie solfare, e che di là facilmente si muovano
a commettere i delitti. [...] Io ho cambiato il prefetto di quella provincia
perché ho creduto che questa misura fosse indispensabile. Ho invitato il
prefetto a propormi il cambiamento di delegati e di altri funzionari sotto i
suoi ordini, scioglimenti di Consigli comunali e di guardie nazionali, ed egli
mi ha risposto che effettivamente conviene adottare siffatte disposizioni. »
* * *
Bisogna dare atto ad Eugenio Napoleone Messa di avere
bene inquadrato l’avvicendarsi dei sindaci di Racalmuto dopo l’Unità d’Italia.
La successione dei sindaci nel ventennio successivo alla venuta di Garibaldi
l’abbiamo vista prima. Oltre ai dati di cronaca del Messana, noi disponiamo di
queste risultanze d’archivio.
Maggio del 1860
Al convento dei Minori sotto titolo di S. Francesco di
Assisi di Racalmuto (convento di S. Francesco), dimorano questi frati: 1° fra
Michele Antonio Garafalo, guardiano; 2° fra Salvatore Mirisola; 3° padre Luigi
Scibetta.
1864
Nel convento di S. Francesco ora l’organico dei monaci
era composto dal solito fra Scibetta, da fra Pietro Calamera, dal p. Fracesco
Mulé, da fra Giuseppe Scimè detto Cicolino, tìlaico terziario e da fra Antonio
Chiodo:
1866
Il 24 agosto 1866 abbiamo l’ultima registrazione del
convento di S. Francesco. Poi tutto passa in mano laica per le note leggi
eversive. Fra Francesco Mulè sottoscrive ricevuta “a buon conto del mio
vestiario della somma di onze 16, dico 16). Si chiude la gloriosa storia del
convento di S. Francesco di Racalmuto: l’eremo dei Minori di S. Francesco
chiude i battenti per volontà degli estranei piemontesi. Le terre -
appetibilissime - passano in mano ai furbi e fedifraghi notabili locali.
1869
27 giugno 1869 “Mene mazziniane (lettera da Firenze):
«il partito mazziniano a tentato, tenta , ed in ogni modo studia per avere
degli affigliati nelle vie ferrate e negli uffici telegrafici». [11]
11 agosto 1869 «Avendo con la massima riservatezza e
circospezione indagato sulla condotta di questo Ufficiale telegrafico sig.
Tulumello Salvatore di Luigi non ho osservato sinora dal suo contegno alcun
indizio da cui desumere che fosse un affigliato o cooperatore del partito
Mazziniano», Il delegato Morra (?) al Prefetto [dall’Ufficio di Pubblica
Sicurezza di Racalmuto]. [12]
1870
Racalmuto 14 giugno 1870 «...Venendo agli uffici
pubblici, incominciando dalla Pretura diretta da qualche mese dal vice pretore,
procede regolarmente, però sarebbe desiderabile che venisse al più presto
possibile il nuovo Pretore titolare sig. Ripollina, che si attende, per dare
maggiormente spinta ed attività al regolare andamento dell’amministrazione
della giustizia. Sui Reali Carabinieri non v’è cosa di proposito da osservare in
contrario; sarebbe però utile che il comandante della stazione sig. Bertelli,
bravo giovane, spiegasse maggiore energia per disciplina sui propri dipendenti,
i quali profittandosi della bontà del loro capo sono un po’ rilassati nel
servizio, non prestando con quella attività che si richiede; attività
indispensabile per potere alla meglio sorvegliare il territorio, e l’abitato
che sono vasti, mentre la forza è ristrettissima, per cui si dovrebbe aumentare
la Stazione almeno di altri due Carabinieri non essendocene che quattro, con
altrettanti soldati: forza la quale rimane quasi esclusivamente in
continuazione per la scorta delle due corriere postali che transitano in questo
stradale ogni giorno.
«Il servizio delle due guardie campestri esistenti
Deleo e Vinci, è del tutto trascurato da poiché il Municipio invece di farli
disimpegnare il proprio incarico li lascia praticamente addetti ai propri
particolari e di scorta al sig. Sindaco, sig. Matrona, Giunta, parenti e amici.
Si dice pure che i suaccennati agenti spalleggiati dall’Autorità Comunale
commettono scrocchi, ma nulla si può accertare di positivo.
«Gli Uffici del registro, telegrafico e poste non
danno motivo a lagnanza nel pubblico, però ci vorrebbe un poco più di attività
in quest’ultimo servizio, e che il capo dell’Ufficio sig. Borsellino non fosse
trascurato nel prescritto orario di tenere aperta la Posta, e non abbandonasse
quasi totalmente il servizio al suo commesso sig. Grillo Calogero buon giovane,
ma piuttosto inesperto e distratto. L Delegato [firma illeggibile].»
Il sindaco che nel 1870 si serviva di quella guardia
campestre, che poi vedremo sinistra protagonista in casa Matrona, era il notaio
Michele Angelo Alaimo che precede don Gasparino che sindaco lo diventa nel
1872: frattanto quel Matrona era consigliere provinciale (dal 1868 al 1871):
tanto bastava per dirottare la non proprio pacifica guardia Vinci a seguire ed
avere in custodia l’intera famiglia dei già arroganti Matrona. Borsellino aveva
in mano la Posta ma l’affidava ad un giovane definito «inespero e distratto»:
Calogero Grillo. Uno spaccato dellA Racalmuto del 1870 non proprio esaltante.
Ma vi era maretta in Municipio. «...l’assessore sig.
Matrona Paolino ha dichiarato alla Presidenza lo stsesso non volere far più
parte della Giunta Municipale, manifestando essere stato fin oggi in carica,
perché il dovere lo chiamava di sentire prima cerziorata la gestione, onde
potere al caso rispondere contro ogni insidia e scandaloso mendacio. Il
consigliere Gaspare Matrona presa indi la parola, come nel paese vaghe e
insidiose calunnie spinte da spirito di parte siano circolate ad
appuntarel’integrità del Sindaco e del Corpo Municipale. Per quanto calunniosi
ed insensati siano gli appunti, lo provano al Consiglio i presentati conti; la
reputazione delle individualità che hanno fin oggi composto la giunta
municipale e quando parlo di individualità, egli dice, io non scendo a
determinare quella del sig. Matrona Paolino, mentre lo stesso all’oggi dà
sicura del nome, unisce solo a scuola dei maldicenti, l’aversi trovato una sola
famiglia componente la giunta municipale, essere stato il solo estranei fra tre
fratelli cognati sindaco ed assessore. Signori, egli dice, non è mia arte, né
bisogno l’assegnare la nostra famiglia Matrona a promotore di ogni bene del
paese. L’invidia, la reazione, il regressismo, sono stati questi spettri
dell’avvilito stato di questo Comune, che bene spesso ci han gettato il guanto
della sfida; e noi l’abbiamo sempre accettato. Al regresso abbiamo risposto,
collo spingere per quanto in noi è stata la forza, il progresso; alla reazione
coll’arme alla mano del 6 settembre 1862 abbiamo risposto colle armi; alle
invidie e calunnie che circolansi nel paese contro l’onestà, risponderemo nella
possibilità di provare, colla traduzione innanzi ai tribunali dei colpevoli.
Solo mi è dolorosotanta mia opera essere difficile, perché i vili in questo
sono astuti e circospetti per scoprirsi; la loro voce [non attacca]; loro non
si mostrano di fronte all’onestà ed il loro rantolo d’infamia come cupo e
sepolcrale rombo priva anche i più ... attenti a poterne diffinitivamente
discercare il movente e segnarne il calunniatore.
«Il consigliere Cavallaro sig. Felice presa la parola
ha significato al sig. Matrona che nella difficile arena municipale non si è
mai risparmiato d’insidiosamente attentare l’onestà dei rappresentati: e che
chi si ha avuto la rappresentanza municipale
in qualunque epoca, è stato sempre segno di calunnia.
«Conto dell’entrata e dell’uscita del comune di
Racalmuto - per l’esercizio reso dal suo esattore e tesoriere il signor
Leopoldo Muratori - [popolazione abitanti n.° 12.500]: dai licenzi dei dazi
appaltati al sig. Agrò Alfano Baldassare L. 1.118; da Pietro Buscemi fu
Vincenzo appaltatore dei dazi sopra le tegole, mattoni, gesso, calce, tavole,
legname e ferro L. 1.238; da Petrotto Giuseppe fu Nicolò appaltatore del dazio
sopra la paglia L. 98.»
Ironia della storia: chi avrebbe mai detto che il più
circospetto e sagace figlio di Racalmuto, Leonardo Sciascia, avrebbe fatte sue
quelle sgangherate parole apologetiche di don Gasparino Matrona, parole che ma
celano uno stato di disagio per accuse infamanti contro il congiunto don
Paolino Matrona. Nel circolo dei civili, per chi si parteggiava?
Intanto le asettiche carte degli archivi agrigentini
ci sciorinano questi dati:
Prefettura di Girgenti - Racalmuto - Consuntivo del
1870
Conto 1871 = Manutenzione Cimiteri: al sig. Lupi cav.
Carlo per piantagione cipressi, per cancello di ferro, tavolo mortuario e croci
impiantate L. 600.
Conto 1872: al sig. cav. Lupi Carlo, appaltatore
dell’illuminazione notturna; al sig. Picone Salvatore per trasporto prostitute
L. 10.
1873
19 marzo: fibrillazione in Sicilia per l’onomastico di
Garibaldi e di Mazzini. Il 26 marzo il delegato sig. De Benedectis può
assicurare il prefetto: non risulta che qui «il partito avanzato avesse inteso
promuovere qualche dimostrazione per il giorno 19 corrente.» Calogero Savatteri
sarà stato un mazziniano, ma se ne sta buono a curarsi i suoi cospicui
interessi. Ancora non poteva permettersi neppure una qualche strampalata
concione al Mutuo Soccorso, per il momento feudo incontrastato dei Matrona,
liberali sì ma antimazziniani.
2 giugno 1873: « Ieri celebravasi in questa la Festa
dello Statuto Nazionale. Il Municipio con tanto lodevole zelo, impegnavasi che
tal festa riuscisse con solennità; infatti appena fatto giorno il suono della
musica e taluni colpi di mortaretti annunciavano la fausta ricorrenza. Tutte le
botteghe lungo il corso, pavesate del tricolor vessillo. Alle 11 il
sottoscritto, insieme a tutte le locali Autorità, Consiglieri, e ceto civile,
dietro invito di questo signor Sindaco, sono convenuti nel Palazzo di Città,
ove riunitesi al Municipio, e tutta la scolareca, seguiti dalle bandiere, e
musica, sono andati al Duomo, ove il Clero ha cantato l’Inno Ambrosiano,
assistendovi anche il Parroco, e finita tal sacra Cerimonia, si è nuovamente
recato nel Palazzo di Città, ove fatti i soliti evviva, e felicitazioni, si è
sciolto il convegno. Nelle ore pomeridiane la musica ha continuato ad allettare
i Cittadini, fino alle ore 10 ch’ebbe fine la festa. Intanto il suddetto giorno
non deplorossi alcun reato, essendo l’ordine pubblico tranquillo. L’Ufficiale
di P.S. in missione Luigi Macaluso.» Che motivo avesse l’arciprete Tirone di
cantare il Te Deum in lode degli
scomunicati sabaudi, quelli della breccia di Porta Pia del 1870, è di ardua
ricognizione ma di pesante sospetto. Il ceto civile - quello del circolo unione
- è ovviamente del tutto ossequioso: magari la sera, qualche frecciatina verso
i nuovi opportunisti (assenti) non sarà stata risparmiata - allora come ora.
Il Messana (op. cit. pag. 495) pubblica un
interessante manifesto politico del Tulumello del 1873. «La consorteria - vi si
dice e si parla ovviamente di quella del Matrona - vi chiamerà all’urna colle
solite promesse, minacce e mostrandovi alle occorrenze anco la carabina!» La
congrega del barone Luigi Tulumello era composta da Ignazio Picone Alfano, da
Ignazio Alfano Vinci, da Felice Cavallaro Salvo e dal farmacista Lo Presti,
nonché da un maltrattato (dal delegato di S.P.) Giuseppe Romano Alessi che
definivasi presidente della società operaia. A parte quest’ultimo, si trattava
di galantuomini dissidenti che amavano definirsi “cittadini onesti, intelligenti
e liberali a tutta prova”. Cercava di far breccia tra i Messana (per i fatti
del 60), tra i Picone (per le minacce e
le offese personali patite), tra i Mantia (per gli spudorati attentati alla
loro proprietà ed alla loro vita); ai Borsellino (per le infamie subite), ai
Grillo (per gli orribili fatti del 60 e del 62), ai Picataggi (per gli arresti
arbitrari subiti); ai Lo Presti (per un asserito furto ai loro danni); agli
Alfano, ai Farrauto; ai Mantione (per imputazioni, oltraggi .. ed il carcere a
San Vito). I Tulumello comunque in quella tornata elettorale non vinsero. Si
consolida anzi la saga del mecenate don Gasparino Matrona. Per poco, però. Il
crollo del 1875 incombe.
1874
Gioacchino Savatteri viene eletto membro del consiglio
provinciale per il mandamento di Racalmuto con voti 143 per l’anno 1874
1875
«Prefettura di Girgenti - Duello fra don Gaspare
Matrona e Barone Tulumello. 3 settembre 1875 - Si vuol per certo un duello fra
Matrona don Gaspare e B.ne Tulumello da Racalmuto, ove forse avverrà, essendo
ieri partito da Girgenti per quella volta il sig. Picone d. Nicolò, per fare
forse da Padrino al Matrona. Si dice ancora, che ne avverrà un altro tra
Matrona Napoleone e certo Cavallaro. Ma il Matrona trovasi attualmente in
Girgenti in unione al fratello Paolino, il quale ieri ricevè un telegramma che
alla lettura fu visto turbarsi; dietro di che partì il sig. Picone. »
«Telegramma decifrato del 4/9/1875 - Oggi questo
Segretario Comunale ritornato. Dicesi duello sospeso da riprendere in 4 giorni.
Qui sinora calma. Se avvenisse duello se ne faranno altri. F.to Macaluso
Delegato.»
«Segretario Comunale Lauricella è uno dei secondi.
Duello per attacchi personali con opposizione municipale. Dicesi di altri
duelli. F.to Macaluso.»
«Finora conoscesi solamente barone Tulumello con due
secondi fatti venire da Naro sia partito per costà (Girgenti) alle sei.
Ignorasi terreno. F.to Macaluso.»
Il 4/9/1875 il prefetto convoca a Girgenti il
segretario comunale Lauricella.
Nella sessione del 1875 il cav. Giuseppe matrona viene
eletto membro del consiglio provinciale per il mandamento di Racalmuto per
l’anno 1875.
Nel n.° 6 dell’8 maggio 1875 del “Don Bucefalo” vi è
una “nostra corrispondenza” da Racalmuto. «2 maggio [...] vogliamo tenere
parola dello stato anormale del comune di Racalmuto. Sotto crudele ed improba
passione, giace questo deplorevole comune affidato al reggime (sic) di un
sindaco ambizioso ... Sin dalla di lui promozione al potere, Racalmuto non ha
altro segnalato che una amministrazione elevata al più vero assolutismo, ad una
colluvie di irregolarità, meri capricci, ed infrazioni alle leggi rispetto a
taluni atti della comune azienda [...]» Si parla di un “favoloso mutuo”; di una
strada che appena appaltata “si dirupa”; alle enormi spese per il teatro e per
le scuole femminili. «Briga per la costruzione di una strada rotabile tra i
comuni Racalmuto-Favara, opera grandemente vessatoria e capricciosa che per
fornire a questi magnati caporioni facile accesso alle rispettive casine, si
condannano e proprietà ed interessi pubblici e privati.»
Eugenio Napoleone Messana fornisce una versione tutta
sua alla vicenda del duello Matrona-Tulumello. [13] Vi
innesta una faccenda d’alcova che avrebbe visto coinvolto Luigi Lauricella.
Costui, segretario comunale, sarebbe stato gratificato dal Matrona con
l’incarico ed un lauto stipendio in cambio dei favori della moglie, secondo
quel che avrebbe sussurrato in un articolo di stampa il barone Tulumello.
Soggiunge il Messana: «Sta di fatto che la moglie del Segretario si è suicidata
e don Gasparino si è eclissato per molto tempo.» «Il segretario Lauricella
lasciò Racalmuto meditando nel cuore vendetta. Non passò molto tempo e vide ad
Agrigento il Matrona. Lo seguì a distanza pazientemente. Don Gasperino entrò
nel negozio Scibetta in Via Atenea. All’uscita fu raggiunto da un colpo di
pistola. Il segretario mirò al cuore ma sfiorando il gomito sinistro colpì il
femore e si dileguò nella folla. L’assenza da comune indusse la giunta,
indignata per le ingiuste accuse contro il suo sindaco, a protestare presso
l’autorità tutoria, indi a dimettersi. Nel 1876 fu nominato sindaco l’avv.
Gioacchino Savatteri, amico e dello stesso partito del Matrona.» Si sa: Eugenio
Napoleone Messana è un immaginifico. Inventata o meno tutta codesta bardatura,
a noi non resta che attendere incontri fortunati con carte d’archivio per una
ricognizione critica della (salace) vicenda.
28 giugno 1875 [14]
«Racalmuto - Miniere Pernici e Frappaolo - Quesiti - Dalle diverse indagini che
segretamente e con qualche studio da me operate risulta 1) che circa duemila
operai attualmente lavorano nel gruppo di miniere Pernice e Frappaolo di
proprietà del Pr.pe di Aragona. 2) La produzione approssimativa dell’anno 1874
di queste miniere potrebbe ascendere a duecentomila quintali, ogni quintale
composto di cento rotoli ed in quest’anno sono suscettibili di aumento. 3) Una
sorta di minerale grezzo e poi messa in fusione produce in media .. 20 (venti) balate ed ogni due balate, che
si chiama carico, portano il peso di quintali uno, e rotoli cinquanta circa. 4)
Da poco tempo e nei vari discorsi sulle miniere della Pernice si è usato il
titolo di Nuova California per le
immense speculazioni di escavamento che ogni giorno si operano per trovare il
minerale. Però questa voce non si è ancora generalizzata, per il fatto che la
montagna Pernice è gravida di suoi rappresentanti del minerale sulfureo ed un
buon agente delle tasse potrebbe arrecare dei vantaggi alla Finanza dello
Stato. Tutto questo ho potuto raccogliere con la massima avvedutezza per non
destare degli allarmi ai proprietari delle miniere che per lo più sono tutti
civili e di alta levatura, amici e conoscenti dell’attuale agente delle tasse;
e ciò in esecuzione degli ordini della S.V.I. contenuti nella riservata nota
qui riguardata. Il delegato di S.P. - Macaluso.» Macaluso fu dunque sbirro
accorto: non amò infastidire i “civili” - uomini di “alta levatura, amici e
conoscenti dell’attuale agente delle tasse”. I civili parcheggiavano nei loro
due circoli: gli interessi solfiferi venivano tenuti nascosti, non tanto per
paura dell’agente delle tasse - diversamente da quel che avverrà nel dopo
guerra con i contributi unificati su cui sarcasticamente si sofferma Sciascia -
ma per timore di quello sbirro, che pur dovevano ospitare nelle loro sale
sociali.
1877
4 giugno: «Duca di Cesarò - Suo passaggio a Racalmuto
colla Consorte. L’on. Duca e consorte si intrattennero alquanto nel Palazzo
municipale ... visitarono il teatro, la famiglia dei signori Matrona e quella
del dr. Scibetta Troisi Giovanni.»
Conto del 1877 presentato dal Tesoriere Matrona Carlo.
1878
Conto del 1878 presentato dal tesoriere Nalbone Luigi.
[1]) Luigi Pirandello - I vecchi e
i giovani - Oscar Mondadori 1973 - pag. 142-143
[2]) Nino Savarese - La Sicilia nei suoi aspetti poco noti od ignoti - in
Delle cose di Sicilia - vol. IV - Sellerio editore Palermo 1986, pag.
254 e segg.
[3]) Cfr. Atti della Giunta per l’Inchiesa Agraria
sulle condizioni della classe agricola, vol. XIII, tomo I, fasc. III, Relazione generale, Roma 1885, pp. 661-662.
[4]) Cfr. L. Hamilton Caico, Vicende e
costumi siciliani, Epos, Palermo 1983, pp. 118-121.
[5])
Archivio Centrale dello Stato - Ministero Interno - Pubblica Sicurezza - 1930,
busta 310 fasc. C1 - Relazione del prefetto Miglio del 16 luglio 1931.
[6]) Cit. in
S.
Bosco, Il proletariato a Favara. Lotte
scioperi ed altre manifestazioni dal 1860 al 1960, Sicilia Punto L
Edizioni, Ragusa. S.d., p. 75.
[7])
Archivio Centrale dello Stato - Giunta per l’inchiesta sulla Sicilia -
Fascicolo 66.
[8])
Elaborazione dai dati riportati dallo studio di Mario
Cassetti - Fascismo e crollo operaio. I
villaggi minerari (1937-1942)
in Economia e società nell’area dello
zolfo - secoli XIX-XX -
Sciascia Caltanissetta editore 1989 - pag. 456.
[9]) Eugenio Napoleone Messana - Racalmuto
nella storia della Sicilia - Canicattì 1969 - pag. 443.
[10] ) Camera dei Deputati - Discussioni - 6° Periodo, pag. 6341 e
segg.; ibidem, tornata del 12 giugno 1863, pag. 237 e segg.
[11] ) Archivio di Stato di Agrigento
- Inventario n.° 18 - fascicolo n.° 23 (1869-70)
[12] ) Archivio di Stato di
Agrigento - Inventario n.° 18 - fascicolo n.° 23 (1869-70)
[13] ) Eugenio Napoleone Messana - Racalmuto
nella storia della Sicilia - Canicattì 1969 - pag. 279.
[14] )
Archivio Stato Agrigento - Inventario 18 - Atti prefettura - voll. 43-43bis.
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