* * *
Si è già visto quale ruolo ebbe a svolgere il prefetto Reale nella
penetrazione del primo fascismo nella provincia di Agrigento. Era da tempo,
specie sotto Crispi e Giolitti, che l’istituto prefettizio aveva un peso
determinante nell’evoluzione politica nella zona d’influenza. Era un gioco
occulto ma penetrantissimo e di risolutiva importanza. Solo lo studio delle
carte d’archivio - mirabilmente custodite nell’Archivio Centrale di Stato -
consentono di squarciare questi misteri della gestione del potere nell’Italia
post-unitaria, almeno sino all’avvento della democrazia di popolo con la
riforma ed il ridimensionamento dei prefetti.
Un elenco dei prefetti di Agrigento (limitatamente al primo periodo
fascista) non è quindi qui ozioso:
Cognome e nome
|
titoli
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dati
anagrafici
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data
di nomina
|
data
di fine
incarico
|
nuova
destinazione
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Pugliese Samuele
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Dott. -
prefetto a disposizione
|
n. a Perano (Chieti) 6.9.1872
+ Roma, 14.8.1939
|
15 febbraio
1922
|
5 aprile
1922
|
prefetto di
Foggia
|
Rocco Raffaele
|
Dott.
Prefetto di Grosseto
|
n. a Napoli
il 2.12.1864
|
18 giugno
1922
|
16 giugno
1923
|
collocato a
disposizione
|
Reale Ernesto
|
Dott. Vice
prefetto
|
n. a Sassari
il 30.6.1875 + Roma il 30.12.1947
|
16 marzo
1923
|
22 ottobre
1924
|
prefetto di
Potenza
|
merizzi giovanni antonio
|
Dott.
Prefetto di Lecce
|
Sondrio
11.7.1861
|
22 ottobre
1924
|
10 gennaio
1925
|
prefetto di
Macerata
|
Rivelli Giovanni Battista
|
Dott. Vice
prefetto
|
Campagna
(Salerno) 24.6.1870 + Roma 10.9.1967
|
10 gennaio
1925
|
12 febbraio
1926
|
Prefetto di
Aquila
|
Salvetti Giacomo
|
Vice
prefetto
|
Pallanza
(Novara) 7.3.1877 + Torino 1°.10.1953
|
12 febbraio
1926
|
16 ottobre
1926
|
Prefetto
di Grosseto
|
Maggiotto Giovanni
|
Dott.
Prefetto di Grosseto
|
Venezia
18.2.1857 + Roma 18.12.1938
|
16 ottobre
1926
|
16 novembre
1927
|
collocato a
disposizione
|
Sacchetti Sebastiano
|
Dott. Vice
Prefetto
|
Teramo
15.8.1880 + Roma 13.2.1952
|
1° dicembre
1927
|
16 dicembre
1929
|
collocato a
disposizione
|
Miglio Federico
|
Dott.
Prefetto a disposizione
|
Castrovillari
(Cosenza) 4.8.1883 + Firenze 27.4.1956
|
16 dicembre
1929
|
16 aprile
1932
|
collocato a disposizione
|
* * *
L’anno della grande turbolenza in seno alla Federazione fascista di
Agrigento è il 1925 e ciò ben si spiega se si ha presente il quadro politico
nazionale. Tutto cambiava in Italia; tutto doveva cambiare ad Agrigento. Come?
Si ha voglia di affermare, a posteriore,
alla siciliana maniera, gattopardescamente. In definitiva, cambiava tutto per
non mutare nulla.
Ritroviamo, come al solito, la
cronaca fedele nelle carte prefettizie che si custodiscono a Roma ([1]). Il
quadro è decisamente esaustivo per non doverlo qui riportare piuttosto
integralmente.
Un telegramma cifrato parte dalla prefettura di Girgenti il 29.1.1925
alle ore 22 della sera. «Incidenti - recita - verificatisi occasione
rinnovazione Direttorio questa Federazione provinciale fascista e di cui
informai codesto On. Ministero con espresso 19 corrente n.° 31 Gab. Hanno avuto il seguito che si
prevedeva.» Il Ministero annota a matita “non è pervenuto a noi”.
«I quattro deputati fascisti - scende nel dettaglio il telegramma cifrato
- della provincia Onorevoli Abisso, Riolo, Palmisano e Gangitano hanno
concordemente aperta una decisa campagna contro il segretario provinciale Cav.
Galatioto considerato che dopo atteggiamento da lui assunto di aperto
antagonismo in loro confronto confermato dalla condotta tenuta nella predetta
circostanza non possa egli rimanere nella carica che ricopre, tanto più che
recente rielezione del Galatioto sarebbe illegale, perché riunione non fu
preceduta da regolare convocazione. Constami che predetti Deputati ed altri
esponenti Direttorio provinciale abbiano chiesto al Direttorio Nazionale
provvedimenti a carico del Galatioto e che sarebbe per venire qui On. Starace
per compire inchiesta. E’ opinione generale condivisa anche da persone
rispettabili al di fuori partiti locali che permanenza Galatioto al posto di
segretario provinciale può danneggiare anziché giovare al fascismo della
provincia, dato suo temperamento impulsivo, violento, inconciliabile che gli ha
procurato larghissime antipatie.
«Per questi motivi ritengo bene un eventuale suo allontanamento dalla
carica di segretario provinciale ed un probabile conseguente suo dissidentismo
non potrebbe pregiudicare molto situazione fascismo locale tenuto anche conto che suo ascendente si
limita a pochi elementi più SCALMANATI e irriflessivi. Tutte queste circostanze
mi hanno sconsigliato di tentare un amichevole componimento della vertenza ed
il Galatioto che prevede quasi certa perdita carica cerca correre ripari.
Sembra che egli intenda recarsi costà domani per portare nelle alte sfere sue
proteste ed ottenere anche udienza da S.E. il Presidente del Consiglio dei
Ministri. Prefetto RIVELLI».
Il lavorio sotterraneo diviene febbrile. Contro Galatioto opera,
subdolamente il prefetto Rivelli, che frattanto ottiene che venga nominato un
Commissario. Si tratta del prof. Paladino che sappiamo essere un siciliano di Floridia, a suo tempo
socialista rivoluzionario e quindi interventista e nazionalista, iscrittosi al Fascio nel 1920.
Il prefetto si premura di catechizzarlo. Vedremo: senza troppo successo. Il
collegamento prefettizio con Roma è puntuale. In data 5 aprile 1925 parte un
telegramma cifrato (alle ore 21) dalla prefettura di Girgenti per il Ministero
Interno - Gabinetto. Vi si legge: «La crisi che in gennaio erasi aperta in seno
Direttorio questa Federazione provinciale fascista e di cui riferii a codesto
On. Ministero con espresso 19 detto n.° 31 Gab. E con telegramma successivo
giorno 29, ha avuto ora suo epilogo con la nomina da parte della Direzione del
Partito fascista di un Commissario nella persona del Prof. Paladino, redattore
del giornale “Il Popolo d’Italia” edizione romana, il quale è giunto qui ieri
sera con incarico preparare e presiedere Congresso provinciale dei Fasci per
nomina nuovo Direttorio Federazione provinciale fascista.
«Situazione assume speciale importanza pel fatto che tutti e 4 i deputati
fascisti della provincia solidamente e di pieno accordo muovono guerra per
ragioni di indole morale al segretario federazione fascista Cav. Galatioto cui
figura fu già da me rappresentata nei succitati dispacci. Commissario Prof.
Paladino ha oggi avuto meco un colloquio nel quale gli ho fatto comprendere che
il dissenso è insanabile e che nell’interesse del fascismo sarebbe bene
escludere il Galatioto dalle future
combinazioni del Direttorio provinciale.»
La fazione di Galatioto è in subbuglio. E’ molto forte nella parte
orientale dell’agrigentino. Racalmutesi emergenti ne fanno parte: Puma e
Burruano. Un personaggio che diverrà fin troppo celebre nel dopoguerra:
Calogero Vizzini, è della congrega. Il prefetto Rivelli è vigile ed ostile. Telegrafa
a Roma il 15 maggio 1926 (ore 20,35) in questi termini: «Viene oggi spedito da
qui a V.E. nonché a S.E. il Presidente Consiglio e segretario generale Partito
a firma Commissari Prefettizi Canicattì, Racalmuto e Grotte e Sindaco Ravanusa
[Calogero Vizzini, n.d.r.] telegramma
protesta voluta mia azione ostile fascismo. Con espresso odierno onoromi dare
dettagliati chiarimenti in merito tale infondata protesta ispirata e promossa
da noto esaltato Gerolamo Galatioto già segretario federazione fascista scopo
sfogare suo livore per vedersi oramai spogliato ogni autorità e prestigio
seguito sua azione deleteria in seno Partito e in conseguenza suo atteggiamento
di aperta avversione ai quattro deputati fascisti della provincia per fini
personali elettorali. PREFETTO RIVELLI»
Il telegramma accusatorio era partito solo poche ore prima (16,20) da
Girgenti e ovviamente lo spionaggio prefettizio era vigile e solerte. Era stato
indirizzato a S.E. Mussolini; a S.E. Federzoni e a S.E. Suardo; testualmente
affermava: «Sottoscritti commissari prefettizi Canicattì, Racalmuto, Grotte e
sindaco Racavanusa protestano vivamente contro operato questo Prefetto che
calpestando pure idealità fasciste tende
sfacciatamente agevolare elementi democratici sociali e principalmente
Guarino Amella nel suo vecchio collegio composto nostri paesi. Denunciano
costante inspiegabile sabotaggio amministrativo scopo favorire elementi
antifascisti che notoriamente invita suoi ricevimenti. Denunciano sue basse
persecuzioni contro puri fascisti rei solo di non sottomettersi sue intenzioni
ricorrendo anche fornire informazioni false. Denunciano recrudescenza abigeati.
Denunciano sua mancanza impegno onore imponendo dimissioni chieste da notissimi
democratici sociali. Comunicano loro dimissioni da commissari e sindaco e
chiedono energico intervento Governo Partito con rigorosa inchiesta.
Sottoscritti segretari politici fasci Grotte, Canicattì, Racalmuto, Ravanusa,
fermi loro posto responsabilità perché ripongono fiducia piena commissario
straordinario federazione fascista e organi Partito, affermano loro piena
solidarietà commissari sindaco ai quali dànno pubblico atto per magnifica opera
fascista svolta nonostante palese ostruzionismo Prefetto.
«Puma avv. Agostino - Commissario
prefettizio Canicattì;
«Vassallo Ernesto - Commissario
prefettizio Grotte;
«Burruano avv. Salvatore - Commissario
prefettizio Racalmuto;
«Vizzini Calogero - Sindaco
Ravanusa;
«Caramazza Gaetano - Segretario
politico Fascio Canicattì;
«Montagna Nino - Segretario
politico Fascio Grotte:
«Burruano Salvatore - Segretario
politico Fascio Racalmuto;
«Vizzini Calogero - Segretario
politico Fascio Ravanusa.»
Il corso degli eventi elettorali del primo fascismo post-aventiniano per
le cariche del direttorio provinciale sembra che si sia risolto, in un primo
momento, in modo avverso al prefetto. Un altro dei soliti telegrammo cifrati,
partito da Agrigento il 10 giugno 1925, informa il Ministero che «per Domenica
prossima 14 corrente è indetto congresso fasci questa provincia per elezioni Federazione
provinciale fascista. Frattanto da Commissario straordinario Prof. Paladino con
mal dissimulato accordo con ex segretario provinciale Cav. Galatioto, di cui è
nota precedente deprecata azione, sono stati sciolti e ricostituiti vari altri
fasci oltre quelli segnalati mio rapporto 23 maggio scorso 344 Gab., parimenti
con intonazione contraria ai 4 deputati fascisti, onde prevedesi probabilità
che dette elezioni diano vita ad una situazione poco favorevole ai veri
interessi del Fascismo ed avente precipuo scopo capovolgere situazioni
municipali ai fini esclusivamente particolaristici e personali e preparare ...
per combattere nelle prossime elezioni politiche attuali deputati fascisti.
Compio dovere informare V. Ecc. In relazione surriferito mio rapporto per
eventuali passi presso Direzione del Partito Fascista e convenienti direttive
al Prof. Paladino. Ossequi. Prefetto Rivelli».
Il 14 giugno al prefetto non restò altro che confermare seccamente di
avere previsto lo sgradito risultato elettorale. «Oggi - telegrafa - ha avuto
qui luogo elezione direttorio provinciale fascista. Risultò eletta lista
presentata da commissario straordinario prof. Paladino. Opposizione si astenne
votazione; ordine pubblico tranquillo. Riservomi più dettagliate informazioni. Prefetto
Rivelli.»
Il giorno dopo (15 giugno 1926, ore 10,50) un altro cifrato redatto nei
seguenti termini: «Seguito telegramma ieri, significo che iersera in seno
Direttorio Provinciale Fascista, eletti prof. Paladino Raffaele a segretario
politico e Cav. Galatioto Girolamo a segretario politico aggiunto.»
Il rapporto prefettizio sugli eventi è contenuto in un espresso inviato
da Girgenti il 15 giugno 1925 - Div. Gab. N.° 886. «Di seguito ai miei
telegrammi di ieri e di oggi pari numero - relaziona il prefetto Giovan
Battista Rivelli - pregiomi significare a codesto On. Ministero che ieri, alle
ore 10,30 sotto la presidenza dell’On. Cucco, arrivato espressamente da Palermo
ebbe luogo, nei locali di questo Municipio, il Congresso per l’elezione del
Direttorio della Federazione Provinciale Fascista.
«Intervennero tutti i Segretari politici delle Sezioni Fasciste della
Provincia, nonché gli On.li Palmisano, Gangitano e Riolo.
«La discussione fu lunga ed in qualche punto anche movimentata, avendo
gli Onorevoli presenti attaccato di poco lealismo il Commissario Straordinario
per la Federazione Prof. Paladino, specie per quanto si riferisce al
tesseramento dei nuovi soci delle recenti ricostituite Sezioni Fasciste, mentre
questi ed i suoi amici accusavano di
poca sincerità fascista i Deputati della Provincia, presenti ed assenti.
«Verso le ore 14,30, chiusa la discussione gli Onorevoli presenti con i
segretari fascisti loro amici, abbandonavano il Congresso, e procedutosi alla
votazione risultavano eletti i Signori:
«Pladino Prof. Raffaele - Galatioto
Cav. Girolamo - Martorana Avv. Salvatore - Mangiavillani Avv. Nitto - Damiani
Crispo Avv. Salvatore - Burruano Avv. Salvatore - Puma Avv. Agostino -
Baiamonte Dott. Giacomo - Pontillo Cav. Avv. Giuseppe - Sferlazzas Ing.
Giovanni - Chiarenza Emilio.
«Iersera poi nei locali
della Federazione Provinciale, in seno al Direttorio, vennero eletti il Prof.
Blandini Segretario politico e Cav. Galatioto Segretario politico aggiunto.
«Tutta la giornata ieri trascorse senza alcun incidente per le rigorose
misure di ordine pubblico adottate. L’On. Cucco ieri stesso partì per Palermo -
Prefetto (Giov. Battista Rivelli).»
Con un successivo espresso (Div. Gab. N.° 886 del 19.6.1925) il prefetto tiene informato il
Ministero sugli sviluppi elettorali. «Per doverosa notizia - scrive - pregiomi
comunicare a codesto On. Ministero che 14 andante, all’arrivo dell’autobus
postale a Raffadali, che portava una ventina di fascisti, reduci da Girgenti,
pel Congresso Provinciale fascista, avvenne uno scambio di invettive tra i
fascisti di cui sopra e quelli che si trovavano in paese, e che attendevano
l’esito del Congresso, gli uni e gli altri, facenti capo rispettivamente alle
due tendenze in lotta al Congresso Provinciale stesso. Non si ebbero a deplorare
incidenti, degni di nota, anche per il pronto intervento dell’Arma.
«Alle ore 20 dello stesso giorno il Corpo musicale di Raffadali, dopo
aver terminato pubblico concerto in quell’abitato, richiesto di suonare l’inno
“Giovinezza” non vi aderì, adducendo che dato quanto era avvenuto qualche ora
prima, tra le due fazioni fasciste, temeva potessero verificarsi serii
incidenti. Promise però che giorno dopo avrebbe aderito a quanto si richiedeva.
Nessun incidente. Ordine pubblico normale.
«Anche a Racalmuto la stessa sera conosciutosi esito Federazione
Provinciale Fascista, s’improvvisò manifestazione giubilo, cui presero parte
fascisti e circa 300 simpatizzanti, che preceduti musica, percosse via
principale suono inni patriottici e al grido Viva Casa Savoia, S.E. Mussolini,
Galatioto e Burruano. Dopo poche parole occasione dette Avvocato Burruano
Carmelo dimostrazione si sciolse senza incidenti. Ordine pubblico tranquillo.
P/Prefetto: Giordano.»
Un biglietto urgente del solito Giordano del 22 giugno 1925 informa: «Per
doverosa notizia pregiomi comunicare a codesto On.le Ministero che alle ore 19
del 15 andante circa 150 fascisti in Ravanusa con bandiere e banda musicale si
recarono allo sbocco dello stradale di Riesi per fare incontro al Segretario
Provinciale Politico Aggiunto Cav. Galatioto Girolamo. Alle ore 19,30 egli vi
giunse e venne accompagnato alla sede del Fascio ove furono tenuti brevi
discorsi di occasione. Alle ore 20,10 la cerimonia ebbe termine senza alcun
incidente. Ordine pubblico tranquillo.»
Il successivo 16 agosto siamo ancora su questa lunghezza d’onda. «Per
doverosa notizia - ed ora è il prefetto Rivelli a firmare di suo pugno -
pregiomi comunicare a codesto On. Ministero che ieri nel Teatro Nazionale di
Canicattì si riunì l’assemblea di quella Sezione Fascista cui intervennero
circa 250 fascisti per decidere due questioni importanti: 1°) Elezioni
Amministrative. 2°) Appalto del Dazio. L’assemblea approvò ad unanimità, la
relazione letta da Caramazza Imperia Giuseppe componente il Direttorio ed
inviata alla Autorità Superiore per indire al più presto le elezioni per la
costituzione del nuovo Consiglio Comunale. Alla quasi unanimità approvò
l’ordine del giorno presentato da Narbone Salvatore componente del Direttorio
per rimandare la discussione e la decisione
dell’appalto del Dazio alla nuova Amministrazione Comunale. Nessun
incidente.»
Il contrasto deputati fascisti-federazione provinciale esplodeva in piena
estate. Veniva da Roma per una composizione il segretario nazionale Farinacci.
Le note prefettizie ci ragguagliano mano mano sugli avvenimenti.
20 agosto 1925
«Ieri questo segretario federale fascista Prof. Paladino telegrafava
Segretario Generale Partito on. Farinacci essersi raggiunto accordo fra
deputati e federazione provinciale fascista. Rammento che on. Farinacci venuto
qui scorso luglio esaminare crisi fascismo provincia incaricava prof. Paladino
e on. Palmisano rivedere situazione alcuni fasci per quali erasi determinato
dissidio fra deputati fascisti da un lato e federazione provinciale
fascista e sottoporre conclusioni a
qust’ultima.
«Dopo lunga assenza da qui prof. Paladino durante la quale lavoro
revisione appena iniziato era rimasto sospeso riunivansi ieri mio gabinetto
deputati on. Palmisano Gangitano e Riolo con prof. Paladino e segretario fed.
Fascista Umberto Galatioto per accordo preventivo circa proposte da presentare
giorno stesso federazione prov. Fascista. Mancava on. Abisso che trovasi
Trentino. Si stabilì soprassedere per fascio Licata non sembrando prudente momento
attuale emettere qualsiasi decisione data condizione spirito pubblico locale
pei recenti sanguinosi incidenti; rinviare per ulteriore esame situazione
Canicattì e Cammarata; ratificare elezioni nuovo direttorio Ribera e Siculiana; ratificare costituzione
nuovo fascio Campobello riammettendovi però cessato segretario politico fascio
e cessato segretario sindacati che ne erano stati esplulsi; sciogliere fasci
Cattolica Eraclea e Cianciana rimandandone ricostituzione ad epoca da
stabilire; affidare reggenza triumvirale fascio S. Stefano Quisquina.
«Portate subito tali proposte assemblea federale furono approvate. Dopo
ciò Prof. Paladino e direttorio provinciale hanno avuto premura spargere subito
voce essersi raggiunto accordo con deputati ritenendo che da decisioni prese
sia uscita rafforzata la posizione in confronto di questi ultimi. Deputati
d’altra parte non intendono affatto che provvedimenti concordati e deliberati
possano risolversi diminuzione loro autorità e influenza. Ho impressione perciò
che accordo sia più che altro apparente e comunque abbia abbia basi assai
deboli e precarie. Basta infatti considerare anzitutto mancato intervento on.
Abisso il più autorevole dei deputati interessati che non avendo conferito
alcun mandato colleghi può aver voluto con sua assenza riservarsi libertà
d’azione. Occorre inoltre notare che per alcune situazioni più importanti e
delicate come Licata e Canicattì essendosi rinviate decisioni rimane sempre
aperta via a più o meno prossime contese. A rafforzare miei dubbi sulla
sincerità e solidità acordi sia poi il fatto che comunicazione telegrafica ad
On. Farinacci del raggiunto accordo è stata fatta a firma soltanto Prog.
Paladino e non pure on. Palmisano mentre ad entrambi on. Farinacci aveva
conferito incarico riesame situazioni. Seguo corso avvenimenti per informare
ulteriormente Vostra Eccellenza. Prefetto Rivelli».
Il 4 settembre partiva dal
Ministero per il Vice Prefetto di Girgenti questo dispaccio telegrafico:
«Pregasi comunicare codesto viceprefetto seguente dispaccio del prefetto
titolare comm. Rivelli. Stop. “Ieri
deciso scioglimento Direttorio Federale et invio commissario straordinario alla
Federazione Fascista. Stop. Nella eventualità provvedimento possa fornire
occasione agitazioni, manifestazioni, concentramenti squadre, violenze contro
persone e beni, occorre prendere d’urgenza tutte necessarie misure perché ciò
sia assolutamente impedito agendo energicamente contro chiunque tentasse farlo
senza distinzione persone et partito. Stop. Occorre anche vigilare severamente
et impedire che persone specie le più turbolente vadano armate senza licenza o
che continuino a godere di questa qualora diventate indegne e costituiscano
pericolo ordine pubblico. Stop. Vigilanza autorotà P.S. deve principalmente e
più efficacemente svolgersi dove più forti e più acri si agitano contese
fasciste e dove maggiore influenza esercitano i capi dissidenti. Stop. Prego
perciò V.S. prendere subito accordi con Questore e con comandanti divisioni
arma anche prima mio ritorno costà predisponendo opportuno piano vigilanza.
Stop. All’uopo Ministero su mia richiesta ha disposto invio costà altri cento
carabinieri. Stop. Domani Sabato giungeranno Girgenti onorevoli Riolo e
Palmisano. Prego disporre servizio vigilanza tutela”.»
Una lunga relazione dei carabinieri di Campobello di Licata, che il vice
prefetto Giordano manda in copia l’11 settembre 1925, chiarisce il clima
turbolento che si era determinato tra le fazioni fasciste agrigentine.
«Con
riferimento alla nota sopraindicata pregiomi trascrivere qui di seguito quanto
mi comunica la locale divisione interna de CC.RR.:
«Con riferimento al foglio controdistinto si
partecipa che da verifiche praticate in Campobello di Licata dal Capitano
Coppaloni Sig. Pietro Comandante la locale Compagnia Esterna è risultato quanto
segue:
«L’attuale Direttorio fascista di Campobello
di Licata si compone di individui taluni dei quali sino al 21 giugno 1924 non
erano inscritti al partito fascista, e altri, pur essendo ex combattenti,
costituirono e diressero la Società “Per la Patria e per il Re” emanazione
legittima dell’ “Italia Libera” che fu sciolta per decreto Prefettizio del 6
gennaio 1925 perché formata da elementi sovvertitori dell’ordine pubblico e di
idee strettamente antifasciste.
«Il Direttorio stesso è stato creato dal
Professore Paladini in seguito allo scioglimento di altro Direttorio contro il
volere concorde dei quattro Deputati della Provincia.
«Alcuni dei componenti il Direttorio
predetto fra cui il segretario politico Dott. Cammarata Costantino perché
ritenuti professanti idee antinazionali, e designati dalla voce pubblica quali
detentori abusivi di armi da fuoco, subirono il sei gennaio del corrente anno,
perquisizioni domiciliari eseguite dai militari dell’Arma e dal Funzionario di P.S.;
come risulta dal verbale n.° 3 in data 6 gennaio 1925 della Stazione di
Campobello.
«Lo stesso Direttorio del Fascio che conta
circa 120 nuovi iscritti su una popolazione di oltre 18.000 abitanti cerca con
ogni mezzo di potere aumentare il proprio prestigio e la propria autorità e
vorrebbe per raggiungere tale scopo, avere dall’Arma locale incondizionato
appoggio e completa dedizione mentre al contrario l’Arma di Campobello e per
essa il Maresciallo d’Alloggio Maggiore Burati Crescenzo si mantiene molto
indipendente ed obiettivo e gode la piena fiducia dei deputati fascisti della
Provincia.
«Il Burati per la sua opera prestata in
Campobello fu encomiato dal Comando Generale dell’Arma. Al Maresciallo Burati
si fanno i seguenti addebiti:
1°) Di amicizia intima con l’ex segretario
politico al quale il Burati avrebbe fatto apertamente dichiarazione di
devozione incondizionata e promesse di ausilio.
«Il Maresciallo Burati giunse a Campobello
di Licata nel novembre 1924. Reggeva in quell’epoca il fascio il Comm. Dott.
Curatolo Medico Condotto uomo superiore ad ogni sospetto. [...]
«2°) Di esersi opposto in ogni occasione che
i fascisti cantassero inni fascisti e per sino di aver vietato che la musica
suonasse detti inni. [...]
«I fascisti dissidenti di campobello,
secondo dichiarazione del predetto Direttorio, sono due: il Dott. Curatolo
suddetto e suo nipote Sammarco, entrambi fatti espellere dal partito per opera
dell’attuale Direttorio.
«Dopo la loro esplulsione si astennero dal
prendere parte attiva alla vita pubblica del paese. Non si comprende quindi in
che consista l’atteggiamento tollerante dell’Arma [...] Ma per meglio
prospettare il caos che regna nel Direttorio di Campobello, si fa presente che
il suddetto Rag. Sammarco sebbene espulso dal partito, è tuttora capo manipolo
della M.V.S.N.
«3°) Di acquiescenza per fatti verificatisi
in Campobello il 23 giugno 1925.
«Il 23 giugno 1925 ebbero luogo in
Campobello di Licata le elezioni del nuovo Direttorio. L’avvocato Galatioto
fratello di un membro dell’attuale Direttorio, simpatizzante fascista designato dal dott. Cammarata come colui il
quale avrebbe potuto obiettivamente sul comportamento del Maresciallo Burati
così ha raccontato i fatti:
«””Il Maresciallo Burati [..] comprese con
rara avvedutezza la vera situazione dell’ordine pubblico in Campobello.
[..]Verso sera di detto giorno man mano che si veniva a conoscenza dell’esito
delle elezioni, gli animi degli appartenenti alle due tendenze in lotta
andavano eccitandosi. Ad un certo punto, quattro o cinque individui usciti
dalla casa del rag. Sammarco situata nei pressi della sala della votazione,
attreversarono in atto spavaldo e di sfida quella piazza XX Settembre gremita
di gente [..]””
«Per gli spari avvenuti il giorno seguente
il Burati non era presente perché ammalato in Caserma; ma l’autore di tali
spari identificato per certo Carneci Carmelo fascista, venne arrestato come
risulta dal verbale n.° 71 del 25 giugno della Stazione di Campobello.
«Per gli spari verificatisi i giorni
successivi (si sparò solo il giorno 28) l’autore, identificato per certo
Cassaro Carmelo, datosi alla latitanza, venne denunciato all’Autorità
Giudiziaria come risulta dal verbale n.° 72 del 29 giugno della Stazione di
Campobello.
«4°) Arresto del Maresciallo dei CC.RR. in
pensione Sansone Giovanni in seguito ai disordini avvenuti il 6 luglio.
« .. verso le ore 21 del 6 luglio […] nella piazza XX Settembre e precisamente
davanti la Sezione Fascista si era inscenata una dimostrazione ostile contro
quel Commissario Prefettizio, Cav. Crisafulli [..] Certo Sansose Giovanni fu
Giuseppe di anni 55 Maresciallo dell’Arma in congedo, con le mani in alto e
gesticolando in atto minaccioso [si rivolse in malo modo] al maresciallo Burati
... Ad assembramento sciolto .. Il Sansoni .. venne invitato .. in casermadove
fu dichiarato in arresto. [..] Durante la stessa notte l’arrestato venne
tradotto al carcere mandamentale di
Ravanusa, per evitare che l’indomani si tentasse, come era stato progettato
qualche atto incolsulto da parte dei fascisti per liberare il Sansone. [..]
«5°) di avere elevato contravvenzione ai
fascisti il 4 agosto 1925.
«[..] il 4 agosto u.s. verso le ore 24 circa
una quarantina di individui con canti e schiamazzi, suonando anche chitarre e
mandolini disturbavano in quella Via V. Emanuele la quiete pubblica. [...] Il
maresciallo [..] riusci a fermarne sette ed a perquisirli: uno di questi certo
Alaimo Cristoforo fascista tesserato, venne trovaro in possesso di una
rivoltella senza licenza, per cui fu arrestato [..]»
I fatti non sono lievi ma non tali da spiegare il pandemonio che
determinarono. C’era, certo, alla base, una strumentalizzazione politica. I
deputati facevano fronte comune. Il Paladino è figura opaca per contrastare
l’abilità di un Abisso. Il Galatioto non dovette rifulgere per acume tattico.
Avere contro il prefetto si dimostrò, per lui e la sua congrega, esiziale. In
ogni caso, il fascismo cominciava davvero a mostrare il suo volto duro. E
l’ordine pubblico cominciava a guadagnarci. Comunque la si pensi.
Il 16 settembre il prefetto Rivelli aveva partita vinta. Era arrivato ad
Agrigento nientemeno che Achille Starace. «On. Starace - informa - giunto qui
il 13 corrente quale inviato straordinario della Direzione del Partito Fascista
presso questa disciolta Federazione provinciale fascista, dopo esaminata
situazione, ha, con determinazione odierna, stabilito sciogliere tutti i fasci
della provincia, riservandosi incaricare appositi fiduciari ricomposizione a
suo tempo fasci medesimi.
«Provvedimento improntato opportunissimo senso serenità obiettività ha
riscosso applauso generale ed è stato accolto assai favorevolmente da
popolazione che da esso trae motivo ritorno desiderata tranquillità intera
provincia e nobile sprone rafforzamento locali energie fasciste in guisa da
assicurare al Governo Nazionale il più largo consenso e la più incondizionata e
disciplinata devozione.»
E l’on. Starace è proprio un duro. Gongola il prefetto telegrafando il 18
seguente: «On. Starace commissario straordinario questa federazione provinciale
fascista con provvedimento ieri ha
sciolto tutti fasci questa provincia ordinando segretari politici sezioni
portare presso sede federazione stessa chiavi dei locali. Provveduto tutela
ordine pubblico esecuzione ordine suddetto commissario.»
Dobbiamo sempre al Rivelli la cronistoria del frenetico operare di
Starace ad Agrigento. Il 13 novembre 1925 il prefetto così ragguaglia il
ministero: «On. Starace Commissario straordinario questa federazione fascista,
ha radunato qui dieci corrente fiduciari da lui nominati per ricostituzione
fasci provincia, impartendo loro precise nobilissime istruzioni per tale lavoro
destinato ridare lustro decoro e solidità al fascismo provincia che opera insana disciolto direttorio aveva
traviato con meschine interessate competizioni. Erano presenti anche 4 deputati
fascisti provincia On. Abisso, Gangitano, Palmisano e Riolo.
«Iscrizioni nuovi fasci incominciano oggi e termineranno 20 corrente.
Congresso Federale per nomina Direttorio provinciale prevedesi possa avere
luogo entro primi mesi dicembre.
«Avviata così a felice brillante sistemazione mercè opera impareggiabile
ferma ed accorta On. Starace politica fascista provinciale si è riconosciuta
d’accordo con me possibilità addivenire a breve scadenza ed a gradi,
ricostruzione Amm.ni Comunali rette da commissari attualmente in n.° 23
cominciando da questa città e altri centri importanti su cui riservomi a parte
relative specifiche proposte.»
Il prefetto di Agrigento, a fine novembre 1925 (Telegramma del 29/11/1925)
opera ormai in piena sintonia col regime: sono le vicende delle sezioni
fasciste ad interessarlo e sono queste ad interessare il Ministero degli
Interni. «Oggi hanno avuto luogo - telegrafa il Rivelli - elezioni direttori sezioni fasciste in tutta
provincia. Da notizie finora pervenute da parecchi comuni ovunque è riuscita
lista propugnata da fiduciari del commissario straordinario federazione
provinciale On. Starace.»
Il 2 dicembre successivo, il prefetto ritorna sull’argomento con una
relazione alquanto più dettagliata. Vi fa capolino anche l’on. La Loggia. Il
suo destino politico viene qui marcato come l’ultimo atto. La fine
dell’importante uomo politico di Agrigento è inappellabilmente segnata.
«Ieri segretari politici dei 42 fasci provincia, riuniti sede Federazione
Provinciale Fascista hanno telegrafato On. Farinacci formulando unanime
voto sia ritardata convocazione
congresso Provinciale per lasciare direzione Fascismo Provincia On.le Starace,
fino esaurimento elezioni ricostituzione Consigli Comunali e Provinciali ed
esprimendo unanime plauso per rifiuto opposto da Direzione Partito ingresso
On.le La Loggia stop Entrambe manifestazioni
rispondono alto criterio interesse politico provincia e incontrano perciò
mio pieno consenso. Ricostituzione normale rappresentanza provincia e rimanente
diciotto comuni retti da Commissari potrebbe infatti aver luogo entro gennaio e
febbraio prossimi essendosi oramai mercé validissimo contributo On.le Starace
sistemata e chiarita situazione politica provincia ed è quindi opportuno che
anche nel periodo conclusivo della situazione amministrativa non manchi
prezioso concorso opera sua stop Ostilità poi così vibratamente espressa da
tutti Segretari Politici dei Fasci riguardo On.le La Loggia avvalorano
segnalazioni fatte a Vostra Eccellenza miei telegrammi 12 e 22 novembre n. 916
e 935 circa discredito cui detto
Deputato è caduto questa provincia e conseguenze .... che deriverebbero da
eventuale convalidazione sua elezione. Ossequi, prefetto Rivelli.»
Il Galatioto che aveva retto il fascismo provinciale per vario tempo è
orami alle corde. Ha un sapore patetico questa corrispondenza che il prefetto
Rivelli ha col Ministero sulla definitiva scomparsa dalla scena politica del
fascista della prima ora di Ravanusa.
«Per doverosa notizia - esordisce un telegramma prefettizio del 17
novembre 1925 - pregiomi significare a codesto on. Ministero che ore 21,10
corrente in Ravanusa allo arrivo dell’Avv. Sillitti Alfredo e Cav. Gallo Vito
quali designati per la reggenza di quel fascio, venne improvvisata imponente
manifestazione da parte dei nuovi fascisti al grido di viva S.E. Mussolini. Il
corteo si diresse sede fascio inneggiando agli ospiti suddetti, a S.E.
Mussolini, all’on. Gangitano ed a tutti i deputati fascisti. Nella sede
pronunciarono brevi discorsi occasione Avv. Stillitti, Cav. Gallo ed il Dott.
Attanasio Salvatore, ringraziando i convenuti e innegiando alle glorie del
fascismo e del suo Duce. Poco dopo corteo si sciolse senza nessun incidente.»
Qualche giorno dopo, il 23 novembre, il prefetto s’interessa per l’ultima
volta del Galatioto. «Ore 15,30 ieri - telegrafa - in Ravanusa Galatioto
Girolamo ex segretario politico federazione provinciale fascista, Sindaco
Vizzini ed altri deridevano aversari. Intervento funzionario sicurezza ivi in
missione arma e militi nazionali furono allontanati. Contegno medesimi provocò
risentimento popolazione e per subitanea reazione formossi imponente
manifestazione che percorse vie principali inneggiando Re e Duce. Dopo brevi
parole maggiori esponenti fascismo quel comune, dimostranti si diressero verso
Municipio con intendimenti ostili quella amministrazione comunale; per opera
però del funzionario sicurezza e della commissione reggenza nuovo fascio,
manifestazione si sciolse senza incidenti. Per evitare turbamento ordine
pubblico ho inviato colà 20 carabinieri rinforzo, giusta richiesta quel
funzionario al quale ho rinnovato tassative energiche disposizioni procedere
senza riguardo carico perturbatori ordine pubblico. Giacché poi permanenza a
atteggiamento provocatori amministrazione comunale causa principale
dell’agitazione che minaccia turbamento ordine pubblico e amministrazione
stessa, è oramai divenuta invisa maggioranza popolazione, con decreto odierno
ho sospeso per urgenti motivi di ordine
pubblico consiglio inviando qual commissario prefettizio il commissario di P.S.
Dr. Montalbano Edvige e riservomi proposta scioglimento.»
La svolta del 1925
Il 1925 segna senza dubbio una svolta nel modo di essere del fascismo.
Dopo il discorso del 3 gennaio cambia Mussolini, cambia il suo modo di vedere
il parlamento, cambia il suo atteggiamento nei confronti delle istituzioni
tradizionali. E l’Italia si avvia verso un regime indubitabilmente
dittaroriale.
«Il 3
gennaio 1925, con in tasca un decreto di scioglimento della Camera firmato in
bianco dal re, dopo una resistenza neppure troppo convinta, Mussolini si
presentò in Parlamento e assunse per sé e per il suo movimento ogni
responsabilità di quanto era avvenuto. Non si trattò dello spartiacque fra due
epoche, ma del momento della scelta esplicita e irreversibile della soluzione di forza: “Quando due
elementi sono in lotta e sono irriducibili - dichiarò Mussolini - la soluzione
è la forza”. Gli strumenti adottati furono ancora una volta offerti
dall’autoritarismo delle leggi vigenti e della pratica repressiva e
centralizzatrice dello Stato, nonché delle nuove restrizioni introdotte dallo
stesso fascismo in questi anni. La notte del 3 gennaio Federzoni telegrafò ai
prefetti ordinando loro l’applicazione più rigorosa delle norme vigenti che già
limitavano drasticamente ogni libertà d’associazione e di movimentoe
prescrivendo la soppressione dei gruppi di “Italia libera”, organizzazioni di
ex combattenti, e retate di comunisti. Venivano così colpiti ad un tempo, con
una tecnica caratteristica del fascismo che si apprestava a divenire regime
totalitario, gli oppositori storicamente più vicini e più lontani, cioè gli
elementi più capaci di operare una disgregazione all’interno della base sociale
del fascismo o di organizzare la resistenza più intransigente e più combattiva
alla costruzione del regime.»
Per una
valutazione meno ostile, valgano le note del Nolte ([3]): «Mussolini non cadde perché lo appoggiavano
il re e il papa, il senato e l’industria, timorosi di potersi trovare di nuovo
di fronte ai socialisti e ai comunisti. Ma si perdette irrimediabilmente una
delle possibilità di evoluzione di Mussolini, soprattutto quella che non
dipendeva tanto dalla sua “fede” e dal suo temperamento quanto dalla sua
visione politica: di essere il capo, e non il dittatore, di una democrazia
sociale. Eppure ancora nel famoso discorso del 3 gennaio 1925, che “chiarì la
situazione” e significò l’accettazionedefinitiva del totalitarismo fascista, è
possibile avvertire una vena di tristezza se non di disperazione, e in pari tempo - per quanto la cosa possa
sembri paradossale - un più forte vincolo con la monarchia e con le forze conservatrici.»
«L’avvenimento più importante di questa
epoca, - scrive sempre il Nolte a pag. 317 e segg. - che per lumghezza e prosperità viene seconda nell’esistenza
politica di Mussolini, fu la creazione di ciò che si suole chiamare dominio
totalitario.
«Dopo il 3 gennaio Mussolini non si oppone
più alla “ripresa totale, integrale” dell’azione fascista, che da tempo i suoi
estremisti esigevano. Lo squadrismo, di nuovo potente, leva ancora la testa e
porta contro i suoi avversari gli argomenti che gli sono tipici. Farinacci,
nuovo segretario generale, si applica con tutta l’energia del suo fanatismo al
compito di “smatteottizzare”, esalta l’ “intransigenza rivoluzionaria ” del
fascismo, minaccia gli avversari di una “terza ondata”, e nega Nè più né meno che
gli antifascisti possano essere considerati italiani. Ben presto l’opposizione
non ha più nessuna possibilità di muoversi liberamente. Se in un primo tempo ci
si accontenta di sequestrare senza ritegno i suoi giornali, dopo l’attentato di
Bologna tutti i giornali ostili al regime vengono proibiti, viene istituito un
tribunale speciale supremo, la punizione del “confino” diventa una misura
preventiva lasciata all’arbitrio dei prefetti senza praticamente alcuna
possibilità di protesta o di controllo. Dove mai avrebbero potuto vivere gli
avversari anche solo potenziali del fascismo se non su isole rocciose, ora che
la “feroce volontà totalitaria” di Mussolini aveva da un pezzo negato a tutti i
partiti ogni diritto all’esistenza e voleva fare della nazione un “blocco
granitico” o “monolitico”? Aveva già dimenticato che appena due anni prima
un’Italia senza opposizione e senza contrasti di forze sociali gli era parsa
“insopportabile”? Ora si diceva che in un regime totalitario come quello
fascista l’opposizione era stolta e superflua, dal momento che il regime
trovava nel proprio petto e nella resistenza delle cose l’indispensabile
opposizione.
«Come, l’opposizione, anche lo Stato è in
lui stesso. La citatissima formula “tutto nello Stato, niente al di fuori dello
Stato, nulla contro lo Stato” non va affatto intesa, statalisticamente, come
una contrapposizione tra Stato e una
particolarità di tipo individuale o collettivo. Questo Stato è caratterizzato
piuttosto dal fatto che esso non può essere rigorosamente separato dal partito
o contrapposto a questo: l’apparato dello Stato e quello del partito sono
strumenti di dominio in mano a Mussolini, e anzi il partito - grazie alla sua
maggiore modernità o anche per la sua dignità ideologica - diventa più
importante ogni anno che passa.
«L’opera legislativa che fissò la
“mussolinizzazione” dello Stato fu costituita dalle così dette “leggi
fascistissime”, non a caso create da Alfredo Rocco.» ([4])
Un quadro abbastanza veridico - anche se non privo di preconcetti ideologici
- di quello che ebbe a verificarsi in quest’anno di svolta nell’intera Sicilia
ci viene fornito dal Renda ([5]).
«I fascisti non vollero lasciare dubbi che i
veri padroni della situazione fossero loro - stralciamo dal testo del Renda
- e soltanto loro. La riprova di quella
verità, del resto, venne poco dopo, allorché nell’agosto 1925, si procedette
alla elezione del consiglio comunale di Palermo. In tale occasione, il fronte
delle opposizioni, ammaestrato dagli avvenimenti nel frattempo verificatisi nel
paese, si presentò compatto nella lista Unione per la libertà, chiusa solo ai
comunisti, i quali formarono lista propria. [..] In modo aperto, e senza giro
di parole, lo scontro venne affrontato fra la libertà e la dittatura. Sul
momento vinse quest’ultima. I voti della lista fascista furono 26.249; i voti
della lista di concentrazione liberale, 16.616; i voti della lista comunista,
211. [...] Non diedero quel segnale di rivolta politica e morale che l’Italia
antifascista dalla Sicilia si aspettava. La classe dirigente dell’isola rimase
ferma nella scelta già fatta in favore del fascismo.
«Le elezioni amministrative di Palermo
furono l’ultimo guizzo di resistenza legale al fascismo. Vittorio Emanuele
Orlando ne trasse la conclusione che “nell’attuale vita politica italiana non
vi è posto per un uomo del mio passato e della mia fede”; e si dimise da
deputato per protesta [..] A chi non seguì il suo gesto, non fu riservata sorte
migliore. Subito dopo, infatti, varate le leggi eccezionali, altri 13 deputati
di opposizione (fra i quali Colonna di Cesarò, Giuffrida, Guarino Amella)
furono dimissionati dal parlamento con atto d’imperio. Francesco Lo Sardo,
addirittura, oltre che privato del mandato parlamentare, fu anche arrestato.
Contemporaneamente si procedette allo scioglimento formale dei partiti politici
(di fatto erano già paralizzati da tempo); furono soppressi i sindacati; fu
abolita la libertà di stampa e proibita ogni forma di vita politica a chi non
accettasse di sottostare al regime. Ne seguì legalmente la fine del regime
liberale e l’instaurazione della dittatura. A non perdere la fede nella libertà
e a non ammainare la bandiera furono solo piccoli gruppi o singole personalità;
ea distinguersi nella volontà e nel proposito di non cedere fu, in particolare,
il piccolo partito comunista, fatto di alcune centinaia o di alcune migliaia di
militanti, che, per sfuggire alla spietata caccia della polizia, cercò riparo
nella più rigorosa clandestinità.
«Instaurato il regime del partito unico, la
storia politica isolana, al pari di quella nazionale, sembrò identificarsi, e
non pochi pretesero che si identificasse, col fascismo. [..]
«Il passaggio dal regime liberale al regime
fascista, pur carattterizzato da un largo consenso poi in parte rimesso in
discussione, non fu indolore, e non si limitò alla distruzione di qualche
camera del lavoro, di qualche cooperativa, di qualche sezione comunista o
socialista e neppure alla somministrazione di una certa quantità di olio di
ricino accompagnata da dosi più o meno maccicce di manganellate. La transizione
dalla libertà alla dittatura, oltre che un processo politico, fu anche un
rivolgimento sociale. Alla vecchia classe dirigente di ispirazione
democratico-liberale se ne sostituì una nuova, la cui formazione politica fu diversa,
e la cui composizione non si identificò tutta nel fascismo, ma in parte trovò
la propria ragione d’essere fuori del fascismo e in parte anche nello stesso
antifascismo. La nuova classe dirigente si defferenziò dalla vecchia, anche per
il fatto che la sua matrice sociale non fu necessariamente legata, come nel
passato, alla grande proprietà terriera, e più ancora alla campagna, ma divenne
espressione del ruolo emergente assunto nella società dai ceti medi e in
particolare dai ceti impiegatizi dello Stato e degli enti pubblici parastatali.
In questo senso, la scelta filofascista dei grandi proprietari terrieri,
operata fra il 1922 e il 1924, e poi consolidata negli anni successivi, più che
un errore, fu il segno dell’esaurirsi della loro capacità di egemonia sul resto
della società.
«[..] negli equilibri di potere interni al
regime, la nuova classe dirigente siciliana, formatasi durante il ventennio,
sia per qualità che per capacità di rappresentanza, non fu più capace di
esercitare un qualche peso di rilievo nazionale [...].
«Quella situazione al livello della
rappresentanza parlamentare si riflesse con maggiore evidenza nelle istituzioni
locali, nei comuni, nelle istanze del partito, nei sindacati. Non fu più come
ai tempi della Sinistra storica, quando gran parte del personale politico
periferico era costituito direttamente da medi e grandi proprietari terrieri.
Segretari federali fascisti, essi stessi possessori di latifondi o rampolli del
vecchio baronaggio, come il conte Gaetani di Naro, durante il ventennio, si
contano sulla punta delle dita. La quasi totalità dei gerarchi appartiene,
invece, ai ceri di media e di piccola borghesia così urbana come anche rurale.
Naturalmente, pure in regime liberale non erano pochi i rappresentanti politici
e parlamentari di origine piccolo borghese; ma la loro funzione era quella di
agenti fiduciari delle classi dominanti proprietarie. In regime fascista, tale
stretto legame di dipendenza non esiste più, non essendo più la stessa di un
tempo la fonte di legittimazione del potere. Per altro, come segno di un
mutamento istituzionale, tende a diffondersi e
generalizzarsi la figura del funzionario di partito, che non esercita la
politica come servizio occasionale e temporaneo, bensì come professione
organica e permanente, le cui fortune si identificano con la ragion d’essere
del regime. Da questo punto di vista, il fascismo, generalizzando un fenomeno
già presente nelle organizzazioni politiche e sindacali della Sinistra
socialista, e anche fra le organizzazioni cattoliche, rappresenta un fenomeno
sociale e politico da non sottovalutare nella prospettiva di lungo periodo. In
effetti, è la prima volta che, in forma vistosa e quasi plateale, la grande
proprietà terriera siciliana viene staccata drasticamente dal potere, sebbene
il potere manifesta il proprio ossequio verso la proprietà medesima.
«Durante il ventennio, senza dubbio, i
grandi signori del latifondo siciliano conservano la terra, mantengono o
restaurano la loro influenza sociale, ricevono anche vantaggi economici
sostanziali (la battaglia del grano e la bonifica(; ma non hanno più voce
diretta e vincolante negli affari del governo nazionale e nel controllo delle
amministrazioni locali. Significativamente, il primo podestà fascista di
Palermo è un docente universitario, che prende il posto di un qualificato
esponente della vecchia aristocrazia. [..]
«Insieme alla forzata separazione della
grande proprietà terriera dalla diretta gestione del potere, altra importante
novità del fascismo è il suo essere un regime di massa, che porta al
reclutamento obbligatorio di tutti gli strati sociali della popolazione nel
partito, nel sindacato, nei circoli dopolavoristici, in altre associazioni
sportive e culturali varie.»
Nel giornale L’Impero del 24
marzo 1929 il 1925 viene definito l’anno della “seconda ondata”. Gli iscritti
al fascio non erano poi molti: solo 599.988. Il fascismo provinciale di
Agrigento si dibatte nelle beghe interne per la conquista del potere.
Galatioto, sincero fascista, si scontra con i deputati tradizionali ed in
ispecie con il trasformista on. Abisso e, come abbiamo visto, soccombe
miseramente. Galatioto non capì, peraltro, il ruolo del prefetto nella
strategia del nuovo regime. Si credette al di sopra del prefetto Rivelli e
questi lo giubilò. Ancora non si era nel pieno regime totalitario. Si pensi che
vecchi esponenti dei clerico-moderati potevano avere possibilità
nell’agrigentino di restare a galla. E’ il caso dell’ex deputato dei Popolari on..le avv. Eugenio Fronda. L’on.le
La Loggia alla fine del 1925 non avrà però possibilità alcuna di salvarsi
politicamente ed il prefetto che forse in cuor suo avrebbe voluto recuperarlo
deve sprezzantemente silurarlo, come si è detto sopra. Nel settembre del 1925
la situazione provinciale si coglie significativamente da questi scorci di
corrispondenza del solito prefetto Rivelli con il Ministero degli Interni. ([6])
Riemerge la solita faccenda della estromissione di Galatioto. «La recente
riunione al Viminale - scrive il prefetto Rivelli in data 24 settembre 1925 -
del direttorio di questa federazione provinciale fascista, sotto la presidenza
della E. V. E con l’intervento dell’on. Farinacci e dello scrivente avvenuta ai
primi del corrente mese, e il conseguente provvedimento dello scioglimento
della federazione stessa, con la nomina del commissario straordinario in
persona dell’on. Starace, mentre son valsi a chiarire la situazione politica
del fascismo in questa provincia, rafforzando il prestigio e la posizione dei
quattro deputati fascisti, contro i quali ingiustamente si appuntavano le
ostilità del direttorio provinciale, hanno per conseguenza determinato un più
ragionevole, più serio e più esplicito indirizzo della politica fascista
provinciale.» In tale quadro non c’è più posto per un personaggio come Galatioto
che, peraltro, rivestiva ancora una carica presso la provincia. Ed allora,
essendo stato “il cav. Girolamo Galatioto ([7]) .. il
condottiero della campagna ostile ai deputati”, questi andava escluso “per
incompatibilità politica” che risultava evidente “data la nuova situazione
politica della provincia.” Per converso, poteva farsi ancora affidamento per la
carica provinciale sull’on. Fronda. Ci si può fidare dell’ «on. Avv. Eugenio
Fronda - può permettersi di affermare il prefetto del tempo -, leader del
locale gruppo cattolico, perché, sebbene
capo della locale sezione del Centro cattolico, ha dato già prova nelle
elezioni generali politiche del 6 aprile 1924 di essere un fedele sostenitore
del governo nazionale, e perché nelle prossime elezioni amministrative di
questo capoluogo il suo gruppo potrà dare un efficace ed influente aiuto
all’esiguo fascio locale per combattere il partito demo-sociale, che è forte ed
agguerrito.»
Il passo del prefetto rappresenta una testimonianza della provincia di
Agrigento di eccezionale valore. Dunque, sino al settembre del 1925 si pensava
ancora in termini elettorali, come se fosse d’attualità il pluralismo politico
e partitico. Cattolici e demosociali vengono additati dal prefetto come forze
egemoni nell’agrigentino contro un “fascio debole”. La logica delle alleanze
perdura in periferia o in quella estrema periferia come quella marginale
provincia siciliana. Certo, non si era avuto il risultato amministrativo di
Palermo. Ma la chiave di lettura dell’evoluzione politica delle realtà
periferiche o di quelle agrigentine resta, a livello ufficiale, quella del
prefetto Rivelli. E a dire il vero non pare molto simmetrica alla storiografia
imperante.
Ciò, invero, non significa che i giudizi in fondo burocratici dei
prefetti cogliessero proprio nel segno. La convinzione del funzionario
periferico poteva essere fallace ed al centro non si voleva o non si aveva
interesse a correggerla.
Non va dimenticato che nel 1925 ministro degli interni era Federzoni,
figura di fascista particolare, vicino al re e sicuramente legalista. Le
circolari cui accenna il Ragionieri saranno state di taglio dittatoriale; resta
al contempo incontrovertibile che proprio sotto Federzoni - e finché restò
ministro degli interni - inizia un processo di raddrizzamento della Milizia. Il
prefetto Ravelli - l’abbiamo già citato - non mostra tenerezza verso quel corpo
separato militare.
Sino al 10 gennaio 1925 prefetto di Agrigento fu Giovanni Antonio
Merizzi, di nomina preaventina. A lui vengono indirizzate le famose circolari
Federzoni ed è lui che così ragguaglia il ministero in data 7 gennaio 1925 ([8]): « ..
presso alcuni comunisti di questo capoluogo sono state sequestrate circolari e
stampe di propaganda sovversiva, parecchi bollettini del Comitato esecutivo
comunista, elenchi di componenti le cellule ed altro. Sono stati perciò tratti
in arresto sei comunisti mentre altri si sono resi irreperibili ...»
Il successivo giorno 10, il prefetto torna a fornire ulteriori ragguagli:
« ... Presso avv. Molinari capo del partito popolare di Sciacca è stata
sequestrata corrispondenza con deputato on. Aldisio, nella quale contengonsi
notizie relative movimento e intendimenti Comitato Centrale opposizione. Sono
stati chiusi i seguenti circoli sospetti in linea politica: sezione socialista
di Palma di Montechiaro e quella di Licata; sezione “Italia libera” di
Campobello di Licata. Sono stati pure chiusi esercizi pubblici che erano
ritrovi di sovversivi.»
Ed il 14 gennaio: «.. sono state eseguite altre numerose perquisizioni e
sono state in vari comuni revocate licenze di esercizi pubblici che erano
ritrovi di persone politicamente sospette. Sono state chiuse le seguenti altre
associazioni: a Sciacca il circolo popolare e quello socialista; a Campobello
il sodalizio dei sensali; ad Aragona il circolo agrario ed il circolo
democratico “Duca di Cesarò”; a Naro l’associazione combattenti e
smobilitati ed il circolo manovali; a
Palma Montechiaro la sezione socialista unitaria; a Canicattì il circolo
operaio e la sezione democratica sociale; a Ravanusa il circolo operaio, il
circolo operaio sensali, il circolo giovanile cattolico ed il circolo sportivo
[..] Proseguono operazioni per chiudere altri sodalizi politicamente sospetti,
perquisizioni domiciliari per rastrellamento armi e munizioni non denunziate e
revoche licenze esercizi pubblici.»
Nel febbraio 1925 è già operante
in Agrigento il prefetto Rivelli di cui si è avuto modo di citare svariate
volte. Il 4 febbraio 1925, questi, sulla scia del suo predecessore, informa il
ministero di altri provvedimenti restrittivi. «Pregio assicuare - scrive - la
chiusura delle sezioni democratiche sociali di Girgenti, Canicattì ed Aragona e
della società agraria di produzione e lavoro di S. Angelo Muxaro ... per
ragioni d’ordine pubblico. I relativi locali erano divenuti ritrovi di elementi
turbolenti e capaci di sovvertire i poteri dello Stato e perché ivi veniva
fatta la più pericolosa propaganda antinazionale ed antifascista”. Il
linguaggio del nuovo prefetto è trasparentemente più allineato ideologicamente
al nuovo corso della politica nazionale. Il 17 marzo del 1925 è in grado di
rassicuare il ministro che l’impopolare provvedimento di scioglimento di
“Italia libera” è stato adottato anche in quel di Agrigento. Sezioni di ”Italia
libera” «risultavano costituite solamente in Licata e Campobello di Licata”.
Esse erano “state sciolte nel gennaio scorso”.
Il 5 marzo 1925, dopo appena un mese di permanenza in Agrigento, il prefetto Rivelli è - o si mostra -
conoscitore della psicologia delle masse
agrigentine. «Provvedimento sospensione
funzioni organi centrali amministrativi dell’Associazione Nazionale
Combattenti, - telegrafa ([9]) - è
stato in questa Provincia favorevolmente accolto meno in qualche centro. Data però apatia
queste popolazioni provvedimento non è stato eccessivamente commentato ..»
Fra le carte ministeriali troviamo alcuni accenni alla situazione
politica e sociale dell’agrigentino, contenuti nelle relazioni del 1925 della
M.V.S.N. di Palermo ([10]). La
prima relazione risale al 28 febbraio 1925, ed a proposito di Girgenti si
allude al contrasto «sorto in seno alla Federazione provinciale» ed ai «motivi
che l’avevano determinato». «La situazione - si assicura - però ora è stata
così ricomposta. La Federazione Provinciale è stata dal Direttorio Nazionale sciolta e ne affidò
la reggenza ai 4 deputati fascisti della provincia on.li Abisso, Palmisano,
Riolo e Gangitano ed al cessato Segretario Cav. Galatioto. A quest’ultimo il
Direttorio Nazionale ha conferito i poteri di Segretario della reggenza.»
Più esplicito il successivo rapporto del 5 maggio 1925. Quanto a Girgenti
«l’andamento della politica provinciale, in seguito allo scioglimento della
reggenza e nomina del Commissario Straordinario alla Federazione del P.N.F.
nella presona del sig. Prof. Paladino Raffaele, ha subito un ristagno venendo
tutto ad innestare sulla dibattuta e nota questione, onde fu necessario il
provvedimento della Direzione del P.N.F. La situazione economica della
provincia va sempre più migliorando con l’inoltrarsi della stagione. Il
malumore del passato, dovuto al rincaro dei viveri, è un po’ attutito per il
buon raccolto che si prepara nell’anno agricolo in corso. Il costo dei generi
alimentari, però, si mantiene tuttavia relativamente caro: il lieve ribasso di
prezzo apportato dalle Commissioni economiche non è stato bene accolto dalle
popolazioni, giacché esso, in relazione al diminuito costo del grano è
veramente irrisorio. Nel corso del mese è stato in parte superato il grave
dissidio economico-sociale fra i zolfatai. I padroni e proprietari di miniere
non volevano concedere l’aumento del 15% stabilito sulle paghe giornaliere come
da concordato posto dalle organizzazioni sindacali. Venne minacciato uno
sciopero generale, che però non si effettuò, in parte dovuto alle tristi
condizioni economiche dei lavoratori. Non si deplorano incidenti di sorta. Una
certa preoccupazione desta in tutti una certa recrudescenza manifestatasi in
questi giorni di delitti vari. Sono in corso misure che sta adottando la P.S.»
Il 1925 si chiude in Agrigento con qualche turbolenza politica, sia pure
tutta racchiusa al’interno del movimento fascista.
Un certo Guzzo Giovanni protesta il 13 dicembre da Licata ([11]) contro
una lunga sequela di violenze che furono denunziate alla Procura generale di
Palermo a carico di un funzionario di P.S. che avrebbe impedito di presentare
un’altra lista facente capo ai cittadini di Licata di “pura fede fascista”.
Parla di un “facinoroso bloccamento”. In particolare sarebbe stata omessa la
distribuzione di certificati elettorali.
Il 14 dicembre il prefetto scrive a Roma che l’on. Starace si era interessato di Licata. “Nella sua
opera di epurazione aveva espulso dal partito ex fascisti per gravi atti di
indisciplina.”
Nel complesso l’anno si conclude all’insegna del vittorioso raffermarsi
del fascismo. La solita documentazione ministeriale contiene ora il linguaggio
trionfalistico del nuovo regime. «Imponente, delirante dimostrazione per
proclamazione eletti lista» telegrafa da Agrigento il 18 dicembre 1925 il
prefetto. Il successivo giorno, la relazione prefettizia accenna ad una
manifestazione in teoatro dello stesso prefetto, dell’on. Starace, dei deputati
fascisti ed altre presonalità politiche “per elezioni amministrative questo
capoluogo indette per domani”. Ovviamente, tutto è superlativo: “efficace” è il
discorso del comm. Altieri, candidato sindaco; ma “robusto, brillantissimo” è
il discorso dell’on. Starace “che ha riscosso continui deliranti applausi”.
A Grotte si hanno le elezioni in quello stesso giorno (20.12.1925). Su
4281 elettori sono presenti 3711. Votano la lista fascista in 2186. Il fascismo
guadagna maggioranza e minoranza. L’avv. Seminerio subentra al commissario
prefettizio cav. Fede. La prefettura ragguaglia il ministero anche su tali, minime
vicende dello scenario politico agrigentino.
Racalmuto verso il regime fascista.
Racalmuto passò, pressoché inavvertitamente, dal regime della democrazia
sociale del duca Colonna di Cesarò a quello fascista. Fu decisione presa
dall’alto, subita, ma accettata di buon grado, senza alcuna opposizione. Fu il
prefetto a determinare la svolta con lo scioglimento d’imperio
dell’amministrazione demo-sociale. Quel che sorprende è il fatto che il regio
decreto (23 marzo 1924) con il quale veniva sciolto il consiglio comunale
matura in tempi in cui il duca di Cesarò era alleto nel listone nazionale con
Mussolini. Gli amministratori locali erano di fede demo-sociale: ciò nonostante
vennero travolti da un’inchiesta amministrativa, quanto veritiera ed obiettiva
non si riesce bene a valutare. E’ da supporre una frattura tra i politici
locali ed i vertici della democrazia sociale. I personaggi che dominavano sulla
scena amministrativa racalmutese non sono da giudicare, del resto, campioni di
fedeltà politica. Un rinnegamento dall’alto non è da escludere, ma non figura
in alcun modo provato.Sindaco in carica risultava un medico: il dottor Nicolò
Scimé; il vero dominatore erà, però, un personaggio della nuova borghesia
agraria: il commentatore Giuseppe Bartolotta, non proprio un capo mafia,
seppure molto temuto dalla locale cosca mafiosa.
E.N. Messana così ci racconta l’ascesa al comune dei due personaggi ([12]):
«A guerra finita gli schieramenti politici
del paese sopravvissuti erano il gruppo dei fautori di Marchesano, capeggiato
dal Comm. Giuseppe Bartolotta e dal dott. Nicolò Scimé ed il gruppo dei fautori
di Gangitano rappresentato dal Comm. Angelo Nalbone e dal dott. Salvatore
Busuito. Il primo aveva avuto una specie di scissione. Bartolotta e Scimé erano
passati con Guarino Amella, il dott. Enrico Macaluso invece con Abisso. I
socialisti antichi, quelli alla De Felice, nell’avv. Calogero Picone Chiodo
avevano trovato un degnissimo rappresentante, della stessa levatura di Vincenzo
Vella. I due avvocati socialisti non riuscirono in pese a creare una forza
elettorale di sinistra vera e propria, perché per la purezza delle loro anime,
recependo la concezione marxista, non erano riusciti a liberarsi
dell’estremismo ed erano rimasti ancorati ad una forma infantile di intransigenza,
affascinante, interessante ma incapace a maturare le coscienze delle masse. E
dire che Calogero Picone Chiodo svolse un’attività politica che trascese la
limitatezza paesana.
«Egli, figlio del popolo, appena laureato in
legge si dedicò all’insegnamento nelle scuole elementari. Poi si dimise dal
posto di maestro ed intraprese una densa attività giornalistica. Protestò ed
insultò Mussolini per il tradimento della classe operaia, ordito e consumato
nel 1919. Fu un oratore felice, trascinatore di folle e contribuì ad avvicinare
al socialismo e la gioventù del paese. Lui, col classico cappellolargo dei
socialisti dell’epoca, organizzava scioperi e proteste, teneva conferenze, in
paese e fuori, tanto da rendersi famoso e notabile nel circondario. Allorché il
fascismo soppresse la libertà ed instaurò la dittatura, Calogero Picone Chiodo
dovette fuggire da Racalmuto per non incappare in qualche processo davanti il
tribunale speciale istituito da Mussolini contro l’opposizione di ogni colore.
Peregrinò per l’Italia perseguitato ad ogni istante. Si ridusse a fare il
venditore ambulante. Appena avvistato doveva fuggire per non essere arrestato.
Dopo tanto girare riparò a Bolzano in casa di Ettore Messana, suo amico
d’infanzia ed ex compagno, già vice questore in quella città. I due erano tanto
intimi che si chiamavano compari. Ettore Messana intanto una mattina arrivando
in questura trovò un telegramma firmato dal Ministro dell’Interno così
concepito: “Dicesi ricercato antifascista Calogero Picone Chiodo aggirasi
pressi cotesta città, pregasi disporre accurati servizi onde assicurarlo
giustizia prima che valichi frontiere.”
«Il ministro dell’interno nel ventennio
fascista fu quasi sempre lo stesso capo del governo Benito Mussolini. Il
telegramma perciò valeva un ordine di Mussolini. Il ricercato era l’ospite suo
compare e suo paesano. Tornatosene a casa, aspettò che finisse il pranzo, poi
si chiamò in disparte il compare e glielo esibì. Il povero Liddu Chiodo non
seppe che dire, Ettore Messana gli assicurò che lo avrebbe messo in salvo lui
oltre il confine. Verso sera gli procurò un passaporto con false generalità e
lo fece scortare fino ad Insbruk da due agenti. Calogero Picone Chiodo in
Austria si affermò, prese moglie e vi rimase fino all’occupazione tedesca, poi
passò in Svizzera ed il 25 luglio 1943 in Italia, morì a Milano. Fu anche un
medium fortissimo. Scrisse sullo spiritismo parecchie opere, si ricordano “la
verità sullo spiritismo” e “L’Immortalità dell’anima”, scrisse ancora “il
bolscevismo”, dove criticò aspramente il leninismo. Calogero Picone Chiodo fu,
infine, l’unico fuoriuscito racalmutese del periodo fascista. [Se prestiamo
fede, però, al fascicolo del Casellario Politico Centrale - busta n.° 3951, il
personaggio ne esce malconcio e molto meno nobile di quello che il Messana
tenta, con la sua incespicante sintassi, di accreditarci. Ma di ciò in seguito,
n.d.r.]
«Nel 1919 vi fu una nuova epidemia, il
vaiuolo, con le sue vittime e i superstiti sgrefiati dalle cicatrici del
terribile male. La sofferenza degli .....sino a pag. 366]
Riportiamo una relazione della Prefettura di Agrigento,
datata 16 dicembre 1919, sulle
condizioni dell'ordine pubblico e
della sicurezza nella Provincia (cfr.
Archivio Centrale dello Stato -
Ministero Interno - Ps - 1919, b. 121).
«Da qualche tempo ad opera di aderenti al partito socialista
ufficiale, per sfruttare l'attuale momento critico di disagio generale, viene
preso pretesto da qualsiasi argomento per creare agitazioni più o meno "ingiustificate". Si
cerca così di tener compatte le masse per le prossime lotte elettorali
amministrative e di fare opera proficua
di propaganda per rafforzare il partito stesso in provincia, che finora ha
potuto fare solamente assegnamento su nuclei di scarsa importanza.
«Primo pretesto per il R. Decreto 2 settembre
scorso, recante provvedimenti per l'occupazione delle terre incolte. Le
associazioni agricole della Provincia, istigati da agitatori messi in giro dalla locale Camera del Lavoro,
iniziarono subito una campagna per ottenere dalla Prefettura l'applicazione del
decreto suddetto; e tale movimento, iniziato apparentemente con carattere di
legalità, degenerò subito in vera e
propria agitazione, tendente ad impedire ai
proprietari di terre l'aumento dei canoni annui di fitto e la modifica
dei patti di mezzadria e si ricorse persino ad intimidazioni su fittavoli e
mezzadri per indurli ad abbandonare le terre e renderle incolte, onde
facilitare l'occupazione.
«Quest'Ufficio contrappose subito l'opera
propria e dei dipendenti funzionari perché‚ l'agitazione non sortisse pratici
risultati ed ottenere che i minacciati disordini abortissero ovunque, sia
assecondando le trattative di componimenti colà dove i proprietari di terre si
erano dimostrati proclivi ad intavolarle, sia provvedendo con i mezzi a
disposizione, a tutelare l’ordine pubblico e a fare opera di propaganda per
impedire l'abbandono delle terre e la sospensione delle culture intraprese.
«Finita tale agitazione, i socialisti ne
inscenarono un’altra ancora. Forti del lodo
arbitrale del collegio dei probiviri di Caltanissetta sulle pretese di aumento
dei salari avanzate dagli operai di quel bacino minerario, inducono la numerosa
classe zolfifera della Provincia ad invocare l'applicazione anche in questa giurisdizione: Aragana,
Favara, Cianciana, Racalmuto, Grotte, Comitini abboccano all'amo.
«I proprietari delle miniere però resistono:
gli operai di rimando proclamano lo
sciopero.
«Quest'Ufficio, nell’interesse dell’ordine
pubblico, interviene nella vertenza e dopo pratiche loboriosissime ottenne
ovunque la ripresa del lavoro, riuscendo a persuadere le organizzazioni
zolfifere che non poteva il lodo accennato applicarsi alle industrie del genere
di questa provincia, nella quale la vertenza sorgeva ex novo e che, in ogni
caso, dovevansi attendere le
deliberazioni della commissione di
appello in Roma, cui era stata deferito su ricorso degli industriali la
soluzione della controversia. Ottennero però nell’occasione gli zolfatari quasi
ovunque aumenti di salario, con pagamento di arretrati da parte degli
esercenti, che accogliendo in parte le
pretese dei propri lavotarori, volontariamente vi si sobbarcarono.
«Visto abortire anche tale pretesto, i
mestatori, che erano ricorsi per mantenere desta l’agitazione anche coll’ausilio
di compagni, all’uopo qui venuti da fuori provincia, prova cotesta che le fila del movimento vengono
mosse dall’alto, si danno ad aizzare ancora le masse per pretese irregolarità
nella distribuzione degli sfarinati nei vari comuni, per la cattiva qualità della farina fornita e per
invocare la distribuzione del grano in sostituzione della farina stessa, alla
popolazione che ne avesse diritto.
«E così, a Favara si cerca di scimmiottare i
Soviet pretendendo che una commissione di operai regoli la distribuzione degli
sfarinati; a S. Giovanni, S. Biagio Platani, Cammarata ed altrove si minacciano
torbidi e si pretende l'aumento del
contingentamento; a S. Stefano Quisquina, rocca del socialismo in Provincia, si
crea una vivissima agitazione per ottenere grano invece di farina, pur non disponendosi di mezzi idonei alla
macinazione, prendendo a pretesto la cattiva qualità della farina, che, al
contrario, è ottima perché‚ fornita da stabilimenti che approvvigionano altri
Comuni, nei quali mai sono stati lamentati inconvenienti del genere. In
quest'ultimo Comune, ove sorge a tale scopo
un comitato permanente di agitazione, si pretende persino impedire alla
Commissione Militare di Requisizione il trasporto del frumento requisito e
depositato in quei magazzini
statali.
«A questo movimento, per ovvie ragioni di
tornaconto e di speculazione, è stata
trascinata tutta la cittadinanza, e ciò ha costretto quest’Ufficio a dislocare
colà un forte nucleo di truppa allo
scopo di assicurare il regolare funzionamento delle operazioni di requisizione
e il conseguente regolare approvvigionamento della Provincia; d'altra parte si
è interessato il Consorzio per addivenire a qualche aumento nell'assegnazione
degli sfarinati effettivamente non
corrispondenti al bisogno e tali provvedimenti sono valsi ad infrenare i più violenti e a tranquillizzare
i più timidi, esasperati al punto da
indurre il Sindaco a telegrafare a diversi deputati della Provincia, sia pure
di tendenze opposte, perché‚ patrocinassero presso il competente Ministero
l'accoglimento dei desiderata della popolazione, anche a costo di dare
soddisfazione ai socialisti, avversari irriducibili con l'amministrazione al potere.
«Anche tale agitazione è stata così ridotta
in modesti confini. L’ordine pubblico anche in S. Stefano Quisquina tende
a ritornare normale.
«E' naturale e logico che il succedersi
ininterrotto di tutte queste agitazioni che io riferisco a codesto Ministero
perché‚ si renda conto della difficoltà che quest’Ufficio attraversa quotidianamente
per far fronte alle esigenze dell’ordine
pubblico e per evitare fatti che potrebbero avere su di esso grave
ripercussione, ciò implichi lo spostamento continuo dei mezzi limitati di cui dispone, e la
peregrinazione continua dall’uno all’altro Comune della Provincia dei nuclei di
agenti della Forza Pubblica che sono quindi distratti dai servizi di Istituto e
di quelli di Polizia Giudiziaria, nelle campagne in ispecie.
«Tali fatti influiscono evidentemente sulla
recrudescenza dei reati e conseguente
allarme nella popolazione rurale che non
può accudire, con tranquillità, al lavoro dei campi.
«Si aggiunga a tali circostanze la
soppressione della locale Tenenza Guardie Città, che contribuisce ad
assottigliare il numero degli Agenti
disponibili, per quanto sostituiti dai soldati sui quali pochissimo
assegnamento può farsi per i servizi di prevenzione e anche di repressione dei
reati.
«Anche ciò credo di portare a conoscenza di
codesto On.le Ministero perché‚ si compiaccia esaminare benevolmente la
possibilità di mettere quest’Ufficio in grado di ovviare agli inconvenienti prospettati, aumentando
convenientemente il numero dei carabinieri in Provincia, per potere, sia
rafforzando le stazioni, sia costituendo nuclei speciali, porre almeno un
argine al dilagare della delinquenza e della propaganda sovversiva che
intenderebbe farsi a base di
intimidazioni, di sopraffazioni e di violenze.
«IL
PREFETTO: Nannetti».
Un quadro di grave turbolenza sociale nella Racalmuto
dell’agosto del 1920 emerge dai rapporti di polizia e dai ragguagli della
prefettura al Ministero degli Interni ( [13]) Le avvisaglie della rivolta d'estate
della popolazione racalmutese si erano avuti l’anno prima per il diffuso
malcontento in seno agli zolfatai.
Un telegramma prefettizio (n. 4113 dell'8 luglio 1919)
aveva informato il Ministero dell'Interno che «in Racalmuto centro minerario
tutti zolfatai scioperarono scopo protesta contro caro-viveri ed iniziarono
dimostrazione tosto sedata pronto intervento quel funzionario. Seguito promessa
attuazione nuovo calmiere scioperanti si sciolsero.»
Nella successiva estate la faccenda si complica. Per tre giorni (dal 14 al 17 luglio
1920) si hanno - precisa un telegramma
della solita prefettura agrigentina:
«dimostrazioni ostili amministrazione comunale
Racalmuto, togliendosi a pretesto insufficienza e cattiva distribuzione
sfarinati. Pro sindaco e giunta comunale cedendo intimazione folla tumultuante
ha rassegnato dimissioni. Nomina R. Commissario imponesi perciò anche come mezzo
calmare gli animi. Non avendo assolutamente come provvedere ho delegato funzioni commissario prefettizio al V.
Commissario di P.S. Allisio Carlo già
mandato in luogo finché‚ non sia possibile sostituirlo. Pregasi ratificare.
Prefetto Nannetti.»
Segue un altro dispaccio al Ministero per segnalare
che proprio quel diciassette luglio del 1920 una «colonna di circa tremila
dimostranti tentò di saccheggiare e incendiare magazzino fave comm. Narbone
(sic) un maggiorente dell'amministrazione comunale.» Il prefetto Nannetti soggiunge di avere chiesto al «Comm. Mori [che]
sia colà [cioè a Racalmuto] inviato oggi
stesso parte nucleo carabinieri servizio rinforzo». La faccenda ha un corso che
indispettisce l'on. Abisso[che] sia
colà [cioè a Racalmuto] inviato oggi stesso parte nucleo carabinieri servizio rinforzo». La faccenda ha un corso
che indispettisce l’on. Abisso. Il Ministero chiede una prima delucidazione
al prefetto di Girgenti che tra l'amaro
ed il velenoso così replica il 19
luglio:
«on. Abisso che prima era un mio non
desiderato laudatore sotto tutti i rapporti, oggi, per suo tornaconto politico,
pare abbia cambiato giudizio [..] [E
tanto perché a Racalmuto]
procedono accertamenti con arresto responsabili, ciò che non si vorrebbe dai partigiani
on. Abisso, militanti partito avverso amministrazione comunale, contro cui
disordini furono promossi sotto pretesto deficienza servizi approvvigionamento
per i quali purtroppo si attraversa un
periodo di difficoltà non avendosi rifornimento stabile e non riuscendo che, a stento, con grano
requisito di produzione locale, soddisfare giornalmente bisogni
popolazione.»
I partigiani dell’on. Abisso, avversari del Nalbone ed
altri componenti dell'amministrazione comunale, erano personaggi eccellenti
della scena politica e sociale di Racalmuto. L'on. Abisso, per difenderli,
lancia un'interrogazione parlamentare, a risposta scritta, il 7 agosto del
1920. Il prefetto è costretto a
difendersi. L'iniziale sicumera scema ed ora
chiarisce che
«V. Commissario Micucci fu da me fatto sostituire con Allisio e Mazzora perché‚
Pro-Sindaco Racalmuto era fisso nell'idea che funzionario fosse stato
influenzato dai suoi avversari, circostanza questa che dimostra infondatezza
accusa on. Abisso. Quanto al tenente presidente gruppo requisizione, egli ha
affermato non aver mai detto le
parole attribuitegli da
commissione zolfatai presentatasi 15 dic. mese a quell'ufficio p.s.- Ha pure
affermato non avere mai ricevuto denunzie per vendite clandestine di grano a
prezzi superiori ai prescritti.»
Certo, l'on. Abisso era stato perentorio e sferzante
nella sua interrogazione parlamentare. L'onorevole voleva sapere, senza mezzi
termini, quali provvedimenti intendeva
prendere il Ministero «contro quei funzionari che nel loro impudente partigiano
contegno [avevano] provocato gravi
tumulti nel comune di Racalmuto». La cronistoria di quei gravi tumulti la
troviamo negli stessi documenti ministeriali.
«Telegramma 10417 da Girgenti 5.8.920:
partenza ore 21.45 arrivo 6 1,30 - Min.
Interni:
«Dal
prefetto di Catania è stato trasmesso telegramma ieri di codesto Ministero
17583 relativo interrogazione On. Abisso contro contegno funzionari ai quali imputa tumulti
verificatisi Racalmuto dal 14 al 16 decorso luglio. - Premesso che disordini
Racalmuto ebbero inizio improvvisamente e che
malcontento per deficienza approvvigionamento servì per pretesto
avversari amministrazione comunale per abbatterla costringendo pro-sindaco dott.
ALAIMO a dimettersi, escludo che unico
funzionario in luogo Domenico Micucci all'inizio dei disordini e gli altri V.
Commissario Allisio Carlo e dott. Marzani Francesco, colà andati giorno 15 per
sostituirlo perché‚ pro-sindaco
ne dimostrò convenienza, abbiano provocato
essi i tumulti. Devesianzi ai funzionari P.S. se i disordini furono
arginati e vinti senza conseguenze per le persone.»
Segue
'dettagliata' del 23.
«Aggiungo per quel conto che dovesse farsene e allo scopo di essere il
più possibilmente preciso su ogni circostanza che il 15 luglio Commissione
zolfatari, contadini ed operai presentossi ufficio P.S. Racalmuto reclamando
sostituzione tenente quel gruppo requisizione cereali che dicevano non aver
dato corso denuncia avuta vendita grano prezzo lire 170 al quintale e che alle
rimostranze popolazione avrebbe risposto
"mangiate patate". In proposito riferii subito presidente
Commissione Provinciale requisizione per provvedimenti caso.
«Presidente dispose inchiesta ma ancora non
conoscesi risultato che perciò riservomi comunicare avendo fatto speciale sollecitazione. - Prefetto Nannetti -.»
In
contemporanea, la Prefettura di Girgenti
ragguagliava il Ministero su quelli che definiva ‘i disordini di
Racalmuto' nei seguenti termini:
«Trascrivo - esordisce il prefetto Nannetti - il rapporto presentatomi da quel V. Commissario di
P.S. - "Con riferimento a precedente corrispondenza telegrafica,
pregiomi riferire alla S.V. Ill.ma che in questo Comune serpeggiava un
forte malcontento per la deficienza
degli sfarinati.
«"La mattina del 14 corrente un gruppo
di circa 300 persone, all'arrivo di due autocarri carichi di pasta, li
circondavano per impedire che la pasta venisse depositata nel magazzino consorziale per tema di possibili
sottrazioni. Intervenuto il V. Commissario sig. Domenico Micucci, detta pasta
venne depositata in questo ufficio di P.S.
«"Nel frattempo si raccolsero circa 200
persone, che, precedute dalla bandiera nazionale, si avviarono presso
l'abitazione del pro-sindaco con grida di abbasso, reclamando le di lui
dimissioni.
«"Contro l'abitazione del pro-sindaco
vennero lanciati sassi che frantumarono i vetri di tutte le invetriate.
«"Però, per l'intervento del V. Commissario
Sig. Micucci, la folla desistette da
altre violenze e si diresse verso la casa
comunale con minaccia di saccheggiarla se il pro-sindaco non si fosse
dimesso.
«"Poco dopo il dott. Alaimo fece sapere
che egli aveva già presentate le proprie dimissioni e la folla ritornò in
piazza continuando a protestare per la scarsa distribuzione degli sfarinati.
Indi, mercé‚ l'esortazione del predetto funzionario, i dimostranti si
sciolsero. Il quindici successivo, si ebbe altro tentativo di dimostrazione, che, senza incidenti, venne
sciolta.
«"La sera del 16, alle ore 20 e 15,
essendosi ad arte propalata la notizia che l'ill.mo signor Prefetto non aveva
accettate le dimissioni del pro-sindaco e trattenuto a Girgenti, in segno di
punizione, il V. Commissario sig. Micucci, in Piazza Umberto 1ø s’improvvisò
una dimostrazione con grida 'Abbasso l'amministrazione comunale', e per
l'abolizione del tesseramento al mulino per la macinazione del grano. I dimostranti percorsero la Via
Garibaldi, frantumando molti vetri delle abitazioni private, non esclusi quelli
di quell'Ufficio di P.S.; e mentre lo scrivente parlamentava con il Presidente
del gruppo della requisizione grano, sig. Tenente Veniero Giuseppe, per un
componimento conforme ai desiderata della popolazione, parte dei dimostranti si
avviò alla casa del comm. sig. Angelo NALBONE e, quivi, dopo avergli frantumato
tutti i vetri, scassinarono la porta di un magazzino sottostante all'abitazione
dello stesso e vi appiccarono incendio, per cui, il comm. Nalbone, per
richiamare l'attenzione della forza, cominciò a sparare colpi d'arma da fuoco.
«"Recatomi sul posto con i pochi
militari dell'arma presenti, dopo aver subito fugati i dimostranti, mi diedi
con l'ausilio anche dei vicini di casa Nalbone, a fare opera di spegnimento.
Durante le quali operazioni i dimostranti si riversarono verso l'abitazione del
pro-sindaco, ove, oltre di avergli frantumato altri pochi vetri rimasti intatti
il giorno avanti, gli devastarono la villetta prospiciente all'abitazione, gli
abbatterono parte della ringhiera di ferro che cingeva la villetta dalla parte
della strada e tutta quella laterale che divide la villetta dal cortile
d'ingresso. Tentarono pure di forzare il portone di entrata, di scassinare la
porta del magazzino con cereali e quella della cantina, che resistettero,
rubandogli due paia di colombi, cagionandogli un danno complessivo di L.
2.000.-
«"Durante tale vandalismo il Prosindaco
cominciò a sparare colpi d'arma da fuoco per fare ivi accorrere la forza in di
lui soccorso, ed in seguito ai quali
colpi mi recai subito in luogo con i militari dell'arma, ma il furore popolare
aveva già compiuto la sua opera, e, dopo non pochi superati stenti si riuscì a
fare gradatamente allontanare la folla.
«"Dalle indagini successivamente svolte
si è potuto stabilire che la causale dei disordini non è stato solamente
il malcontento per la deficienza degli
sfarinati ma l'influenza politico-amministrativa locale dei maggiorenti del
partito contrario, per rovesciare l'amministrazione comunale.
«"Accertata la responsabilità degli
esecutori dei lamentati danneggiamenti, si è proceduto all'arresto di Macaluso
Leonardo di Calogero, di Rizzo Eduardo fu Vincenzo, di Rizzo Francesca di Pietro, di Ippolito Stefana
di Gaetano, di Scibetta Luigia fu Luigi e Ansaldo Giovanna fu Mariano. E
denunciati, per la loro irreperibilità, i nominati Grego Giuseppe di Vincenzo,
Cacciato Pietro d'Ignoti, Chiodo Giuseppe fu Calogero, Campanella Salvatore fu
Antonio, Cino Francesco fu Calogero, fratelli Giuseppe e Luigi Lo Bue e
Giuseppe Castelli d'Ignoti, siccome tutti esecutori materiali; e denunciati inoltre per istigazione il comm.
Giuseppe Bartolotta fu Luigi, l'avv. Emanuele Cavallaro fu Felice, Luigi
Messana di Emilio, Alfonso Vinci di Giuseppe, Nicolò Sferrazza di Carmelo, Nestore Falletto fu
Luigi, Francesco Caratozzolo fu Felice e l'avv. Calogero Picone Chiodo fu
Giuseppe”. Il Prefetto Nannetti.»
Quelle suffragette in formato paesano e racalmutese trascondono la nota
di colore. Alla testa di quel codazzo manzoniano, tutto preso dal pane e dalla farina in termini di un più
o meno convinto populismo, erano donne fiere, irrituali, imperiose, ardenti e
passionarie. Ombre fluttuanti nelle memorie dei racalmutesi. Annidda la Pisciara
o Carmela l'Acqualora erano come loro se non loro. In una Racalmuto
maschilista, prevenuta contro le donne, un po’
codina, quegli esempi di
ribellismo femminile sono eccezioni, ma pur sempre casi di rimarchevole
ribellismo.
PARTE SECONDA
[14]L’AFFERMAZIONE DEL FASCISMO A RACALMUTO
Il QUINQUENNIO 1926-1931
L’antifascismo a Racalmuto.
I paradigmi della società contadina meridionale quali si colgono nella
letteratura antifascita di Levi (Cristo si è fermato ad Eboli) o di Ignazio
Silone (Fontamara) non trovano riscontri significativi nella vicenda
racalmutese che pure si dispiega tutta in un contesto di contadini e di piccoli
proprietari terrieri. Quel che emerge maggiormente è il diverso livello di vita
ed il più variegato assetto sociale.
Ci
pare esplicativa, invece, del modo di pensare dell’intera comunità nazionale
questa pagina de IL CONFORMISTA di
Alberto Moravia, espunta ovviamente delle particolarità narrative. Era sorta a
Racalmuto, come altrove, una sorta di “simmetria” tra il modo di pensare del
singolo ed il fascismo divenuto regime: «come qualcuno che, arredando la
propria casa, si preoccupi di collocarvi mobili tutti dellom stesso stile.»
«Questa simmetria, [ad ognuno] pareva di leggerla nei fatti degli ultimi anni,
in progressivo accrescimento di chiarezza e di importanza [..] Questo progresso
[..] piaceva, non [si] sapeva perché, forse perché era facile ravvisarvi una
logica più che umana e saperla ravvisare dava un senso di sicurezza e di
infallibilità. [..] Questa convinzione era venuta dal nulla, come è da credersi che venga alla gente ignorante
e comune; dall’aria, insomma, come si intende quando si dice che un’idea è
nell’aria. [..] Per simpatia, insomma, dando a questa parola un senso tutto
irriflesso, alogico, irrazionale. Una simpatia
che si poteva dire soltanto per metafora che veniva dall’aria [..]
Questa simpatia, dunque, veniva da zone più profonde [..] non era né
superficiale, né abborracciata irrazionalmente e volontariaemnte con ragioni e
motivi opinabili, ma legata ad una condizione
istintiva e quasi fisiologica, ad una fede, insomma, che [si]
condivideva con altri milioni di persone. [Si] faceva tutta una cosa sola con
la società e il popolo in cui [ci] si trovava a vivere. [..] [Si] era uno di
loro, un fratello, un cittadino, un camerata..»a
Massimo Ganci - un uomo di sinistra e quindi piuttosto prevenuto nei
confonti del fascismo - non ha molto da dire sul periodo che a noi interessa e
nella sua “Sicilia contemporanea” affidata alla ponderosa inziativa del 1979
della Società editrice Storia di Napoli e della Sicilia, si limita ad annotare:
«Dopo le elezioni e la vittoria
fascista del ‘24, il quadro cambierà completamente: l’appoggio della mafia
diverrà, infatti, deliqualificante e inutle. A mantenere l’ordine nelle
campagne e ad accattivarsi i grandi terrieri, non era più necessaria l”onorata
società”; poteva farlo, e molto meglio, la Milizia Volontaria per la Sicurezza
Nazionale. Anzi, per accattivarsi ancora di più il ceto dei latifondisti ed
anche quello dei piccoli e medi proprietari, bisognava liberare le campagne dei
gabelloti mafiosi che impedivano ai signori addirittura il libero accesso alle
loro terre e taglieggiavano i metateri e i braccianti.
«Di qui l’operazione Mori, che con
sistemi ‘forti’, dal 1920 al 1930, realizzò, nelle quattroprovince dell’isola,
una spetata ‘operazione antimafia’; con paesi interi circondati nottetempo da
migliaia di carabinieri, con retate gigantesche, con processoni celebrati in
chiese sconsacrate, dato che le normali aule della Corte d’Assise non riuscivano a contenere le
migliaia di imputati di associazione a delinquere; il tutto con criteri
procedurali piuttosto sbrigativi, che portavano a pesantissime condanne, cui
seguiva il confino. I tempi dell’assoluzione per insufficienza di prove, erano
tramontati.
«[..] E’ [però] certo che dal 1930
sino al 1943, la tranquillità regnò nella campagna siciliana: per i ricchi, ma
anche per i poveri. Di guisa che, se la parola libertà ha un significato
concreto e non formale e significa anche sicurezza della vita e degli averi,
paradossalmente si deve giungere alla concertante presa d’atto che questo tipo
di libertà venne assicurato alle genti siciliane, proprio da una dittatura!
«[..] L’opposizione siciliana al
fascismo, durante gli anni 1925-1943 è in gran parte simile a quella di tutta
la nazione. Se qualcosa la distinse fu l’impegno minore di quello che
caratterizzò altre regioni. Come non era stata all’avanguardia nel favorire
l’avvento del fascismo, la Sicilia non lo fu neppure per contestarlo.
«Comunque qualcosa ci fu. Negli
anni sino al 25 il dissenso passò attraverso i canali della stampa. Si
distinsero per decisione il ‘Babbio’ di Maggiore Di Chiara, il ‘Paff Paff’ di
tendenze radicaleggianti, ‘La libertà’ organo dei popolari sturziani (‘La
Primavera Cattolica, organo dell’Azione Cattolica siciliana, era invece su
posizioni fasciste), tutti stampati a Palermo.» ([15])
Restringendo il campo a Racalmuto, l’antifascismo nel periodo che
c’interessa (1926-1931) fu ben poca cosa: può dirsi inesistente. La letteratura
ci fornisce qualche lume. Il solito grande Sciascia ha nelle sue “Parrocchie di
Regalpetra” questi deliziosi aneddoti:
«Mio padre si era iscritto al
fascio per lavorare: 3 ma credeva in Mussolini anche se non
credeva nel fascismo. Un fratello di mio padre non si preoccupava di queste
cose; faceva il sarto e aveva per la caccia una passionecosì totale da
trascurare qualsiasi altra cosa. [...] Le poche volte che nelle riunioni della
sartoria cadeva su Mussolini mio zio diceva - è un diavolo - per dire che si
sapeva fare; oppure per dire che era un delinquente - è un gran cornuta - ma
sempre senza passione. Una volta aveva un lavorante milite, voleva andarsene a
non so che campeggio, mio zio non voleva perché si era sotto le feste e c’era
molto lavoro. Quello andò a dirlo al centurione, il centurione fece chiamare
mio zio, gli disse che doveva lasciar
libero il lavorante e poi riprenderlo. se no erano guai. Forse da allora
mio zio ebbe sul fascismo più appassionata opinione.
«Qualche volta veniva un altro
cugino di mio padre. Era ricco. Aveva una voce che faceva tremare i vetri. Oggi
è fascista. Allora gridava - ve lo dico io, questo cornuto ci porterà alla
rovina. Pensava alle tasse che pagava e diceva - vedrete che ci lascerà nudi,
finirà che ci resteranno solo le mani per coprirci il culo. Raccontava poi una
storia che solo più tardi sono riuscito a ricostruire. Aveva dato la lira per
il monumento a Matteotti e quando più tardi aveva fatto domanda per essere
ammesso al fascio, il segretario politico gli aveva detto che il partito non
voleva carogne, che gli elenchi di coloro che avevano dato la lira erano nelle
sue mani. La cosa colpì; ci si arrovellava. Finché trovò una soluzione: c’era
un suo parente povero che aveva cognome e nome uguale al suo; grazie a qualche
centinaio di lire gli fece dichiarare, per iscritto e in presenza del
segretario politico, che era stato lui, il povero, a dare la lira per
Matteotti. Il povero non aveva niente da perdere, magari ad andare in galera
gli pareva forse uno scialo in confronto alla vita che faceva.
«Tranne che per qualche piccola
invettiva, del fascismo e di Mussolini non sentivo parlare che bene [..] Sapevo
che c’erano dei sovversivi, gente che non lovoleva: sentivo parlare di un
muratore e di un sellaio, erano socialisti, li mettevano dentro per due o tre
giorni e poi li rilasciavano. Passò Farinacci, e il muratore e il sellaio se ne
stettero un paio di giorni in camera di sicurezza. Re Boris venne per sposare
Giovanna, avevo una cartolina con i due ritratti uniti da un nodo, e i due
furono rinchiusi di nuovo. Una volta sentii che avevano messo una bomba al
passaggio del re. Poi avevano preso un tale che aveva intenzione di ammazzare
Mussolini. Erano cose che mi scuotevano. Odiavo la gente che metteva bombe per
il passaggio del re, l’uomo che si portava dietro le bombe per ammazzare
Mussolini. E mi pareva strano che non cacciassero per sempre in galera un tipo
che sapevo diceva male di Mussolini. Si chiamava Celestino. Dicevano che era
stato un debosciato, che non aveva mai lavorato. Era poverissimo, dormiva in
uno di quei casottiche un tempo servivano da posti di dazio; sulla paglia, e
con la porta sempre aperta. Non aveva camicia, portava solo un vecchio
fazzoletto di seta sotto la giacca. Magrissimo, d’inverno vedevi le sue gambe
fragili tremare di freddo dentro i leggeri calzoni a tubo. Sempre strozzato
dalla voglia di fumare, andava in cerca di cicche più che di pane. Nella banda
municipale, un tempo suonava il clarino: e sempre aveva dentro musica, andava
fischiettando e agitava a ritmo una bacchetta che non lasciava mai. Lo vedevo
scendere ogni mattina, sapevo quale sarebbe stata la sua prima sosta. Era come
un rito. C’era nella strada dove io abitavo, un negoziante di stoffe che teneva
appesi sugli scaffali ritratti del re, della regina e del duce. C’era anche un
Cuore di Gesù col lumino sempre acceso. Il negoziante non amava il fascismo,
diceva che Mussolini faceva danno come un porco in una vigna; perciò tollerava
la quotidiana visita di Celestino. Il quale si fermava sulla soglia, salutava -
bacio le mani, don Cosimo - e poi, guardando il ritratto di Mussolini, diceva -
sì, corri pure; ma verrà il giorno che ti vedrò attavvato alla coda di un
cavallo. Guardava il re - e tu, cornuto...; e sputava. Dopo una irripetibile
attenzione al Cuore di Gesù riprendeva la sua strada fischiettando.
«Non lo mandavano in galera perché
sapevano gli avrebbero fatto piacere. Ma una volta un fascista tentò di
convincerlo. Parlava e gli dava da fumare. Celestino succhiava avido la
sigaretta, e aveva una faccia così intensa e seria che quello credette di aver
fatto colpo. Finì il discorso e - sei convinto? Celestino consumò la sigaretta
fino a bruciarsi le labbra; e poi - convinto sono, ma il fatto è che se non lo
ammazzano non riusciremo a vedere un po’ di luce.
«Si fece il referendum per vedere,
dicevano, chi voleva il fascismo e chi no. Si votava nelle scuole. Nel paese
non ci fu un solo no. Del resto, l’ultima amministrazione comunale democratica
aveva deliberato di dare a Mussolini la cittadinanza onoraria: non sarebbe
stato bello dire no a un concittadino tanto grande. Così tutti trovarono il
veterinario comunale che dal seggio graziosamente porgeva la scheda con un sì
in calligrafia. Non restava che da leccare la colla, chiudere la scheda e
ridarla al veterinario. Uno solo, un ex maresciallo delle guardie regie, guastò
la giornata al veterinario: sbirciando la scheda con quel sì gliela lasciò in
mano, disse - prego, ci sputi lei. E se ne andò tranquillamente. Volevano poi
farlo mandare al confino. La frase restò proverbiale in paese, si dice - ci
sputi lei - per dire di una cosa che, dichiarata facoltativa, è di fatto
obbligatoria.»(4)
«L’ex podestà di Regalpetra [..]
godeva di una effettiva popolarità, era stato generoso ed onesto, amministrando
il Comune ci aveva rimesso del suo; in tempi di proverbiale rapacità,
quest’uomo metteva mano ai suoi soldi per le pubbliche spese, forse nemmeno
Mussolini lo avrebbe creduto.» (5)
Oltre a Sciascia, Racalmuto vanta un altro romanziere. E’ per la verità
un italo-americano. In un romanzo del 1973 (pubblicato in Italia nel 1976 da
Mursia) fa la parodia ad un libro autobiografico (invero illeggibile) di un
prete racalmutese, morto a Palermo il 17 gennaio del 1974 (P. Arrigo Giovanni:
Svolta pericolosa, Messina 1969) e vi ingurgita una sua dileggiante raffigurazione dello scrittore Sciascia. Il
libro s’intitola “Uomini d’onore - li curnuti”. In un certo senso, si scorre la
lettura deformante della vita racalmutese dal fascismo alla democrazia
cristiana degli anni ‘60. La vicenda fascista racalmutese viene abbozzata, sia
pure con la lente deformante dell’albagia siculo-americano, in termini che
vanno qui richiamati, magari per provare quello che sicuramente il fascismo non
fu.
«Giufà provò un senso di sollievo e
di orgoglio durante il regime del Duce, che diede una nuova realtà alla legge e
all’ordine. Le case di campagna erano sicure, ora, e le liti venivano composte
in tribunale. Si poteva rimanere in campagna durante la notte e se gli
agricoltori tornavano ancora ogni sera nella cittadina, ciò accadeva perché
erano soliti fare così, diceva Giufà. Se furti, rapimenti assassinii avvenivano
come in passato, essi erano posti a carico, ora, di un misterioso bandito che
si celava nelle numerose basse gallerie delle miniere già fallite e inattive.
Ciò nonostante, si riteneva che il regime del Duce avesse estirpato dal suolo
siciliano le radici di quel cancro ‘che definiva se stesso onorata società’; se
ne era così certi come si era certi che esso avrebbe recato onore, potenza e
gloria a tutta l’Italia, e fose anche alla Sicilia. [...]
«Ma non ci volle molto perché gran
parte di quei giovani fossero levati dalle strade e arruolati nell’esercito, a
causa dell’andamento della guerra. Anche Giufà fu arruolato nella milizia,
inizialmente come cappellano, per diventare poi centurione dei cappellani; ed
ebbe una bella uniforme, con tre galloni dorati, e un berretto ricamato d’oro e
d’argento, alto dieci centimetri, con un’aquila romana che stringeva tra gli
artigli - se la siguardava attentamente - una croce. Era stato lui a chiede di
esservi arruolato . Aveva previsto, come avrebbe poi scritto, ‘la grande
trasformazione che si sarebbe verificata nella nostra piccola dimenticata città
e che il sangue dell’antica stirpe di Roma si sarebbe fatto sentire ancora una
volta’. Gli scolaretti, in camicia nera e berretto con nappina, erano arruolati
in eserciti da burla, e armati di un fucile di legno facevano, ogni Giovedì,
sotto la guida di un insegnante di nuova nomina venuto dagli Abruzzi, delle
marce in campagna. Qui tagliavano foglie di cacto in lunghe strisce che
legavano insieme con piccole cinghie di cuoio, poi vi mettevano sopra, alta in
mezzo, la testa di un’ascia per indicare l’unità, la legge e l’ordine: la
severa umanità di coloro che indossavano la camicia nera. Tornavano poi nel tardo pomeriggio, cantando lodi alla
giovinezza e al Duce, il cui viso era dipinto ora sui muri delle case del paese
con il detto: ‘Meglio vivere un giorno da leone che cento anni da pecora’.
«In quegli anni egli [il sacerdote
cui Ben Morreale dà l’improbabile nome di Giufà, n.d.r.] si rallegrò dell’aria
festosa assunta dal paese. Tutti indossavano splendide uniformi e il
capostazione aveva ricevuto l’ordine d’indossare sempre la sua, che aveva
quattro o cinque galloni sul braccio. Il postino, il personale delle ferrovie,
il caposquadra delle miniere, gli impiegati, gli amministratori, tutti
possedevano l’uniforme ed erano istruiti dal capo centurione, un uomo grande e
grosso che diceva loro con voce severa, mentre stringeva le mascelle e li
guardava con occhio truce: - Dobbiamo salutarci reciprocamente, ovunque l’uno
veda l’altro. Capito?
«Il capostazione sogghignava ogni
volta che salutava Giufà e quando era al circolo dei nobili alzava il braccio
per salutare e poi lo ripiegava di colpo sull’altro emettendo con la bocca un
suono osceno: era un residuo del principio a cui si ispiravano gli uomi
d’onore: qualsiasi autorità, che non fosse la propria, doveva essere messa in
ridicolo.» (6)
Senza veli e con pretese di resoconto storico, si dilunga sul periodo
fascista l’altro autore racalmutese: Eugenio Napoleone Messana. Stralciamo vari
pasi passi dal suo lavoro: «Racalmuto nella storia della Sicilia».
«Nel 1925 si fece la mascherata
delle elezioni politiche italiane (6 bis) messa in scena dal duce. Malgrado il clima
terroristco in cui si svolse la campagna elettorale e la precisa sensazione che
le cose potevano solo mutare in meglio per il fascismo, Eduardo Romano ed i compagni
comunisti di Racalmuto ebbero l’abilità di raccogliere circa quattrocento voti.
Questo fatto impressionò i dirigenti del fascio locale e contribuì ad evitare
persecuzioni feroci, per tema di generare vittime, che poi avrebbero potuto
essere causa di disordini gravi. Non osarono nemmeno, infatti, provvedere con
mezzi palesi contro Edoardo Romano, per quanto avvenuto in teatro giorni dopo,
durante la serata inaugurale del Mortorio, eseguito quell’anno da una
filodrammatica locale, nella quale primeggiava Giovanni Agrò. (7 ) In quella serata era andato a teatro pure Edoardo Romano, perché la
sorella signorina, con la quale conviveva, era stata invitata dalle sorelle di
Leonardo Abramo ad andarci ed aveva accettato. Edoardo Romano non aveva trovato
posto nel palco ov’era la sorella con le Abramo e si era seduto in platea.
Prima di cominciare lo spettacolo l’orchestra suonò ‘Giovinezza’, l’inno
fascista. Tutti i presenti scattarono in piedi e si tolsero il cappello.
Edoardo Romano rimase seduto col capo coperto ed il sigaro in bocca.
L’insegnante Emanuele Cavallaro, don Niniddu, gli si avvicinò e con tono
categorico gli ordinò - Alzatevi, toglietevi il berretto e smettete di
fumare! Il Romano a voce altissima
rispose - Non mi alzo, non mi tolgo il cappello e non smetto di fumare! A
questa risposta don Cesare Macaluso gridò da un palco - Arrestatelo,
arrestatelo! I carabinieri in servizio si erano mossi, ma il popolo scattò a
gridare - No, No! L’avv. Carmelo Burruano intervenne e frenò i carabinieri,
dicendo di lasciare perdere se non non si sarebbe potuta più fare la recita.
Non passò molto tempo però e Romano ebbe perquisita la casa. Non trovarono
niente, solo dei proiettili da caccia ed un fucile. Lo denunziarono per
detenzione non autorizzata di armi e munizioni, subì un processo, lo difesero
Cesare Sessa, Vincenzo Campo e Cigna, in pretura fu condannato a due mesi e
quindici giorni, in appello assolto per insufficienza di prove. (8 )
[1])
Archivio Centrale di Stato - M.I. - P.S. 1925 - Busta n.° 121.)
[2]) Storia d’Italia -
Einaudi Torino 1976 - volume quarto - dall’Unità ad oggi - pag. 2145.
[3]) Ernst Nolte - I tre volti del
fascismo - Oscar Mondadori 1978 - p. 316.
[4]) Si
sogliono chiamare leggi fascistissime i tre seguenti gruppi di legge: a) «le
leggi di difesa»; b) «le leggi di riforma costituzionale» e c) «le leggi di riforma sociale». Con le prime
leggi s’introducono i tribunali speciali; con le leggi di riforma il capo del
governo è anche capo dei ministri ed il parlamento si trasforma in un’assemblea
di partito; con le leggi di riforma sociale si istituisce lo “stato corporativo”.
[5]) Francesco Renda - Storia
della Sicilia dal 1860 al 1970 - vol. II - Palermo 1990, pag. 372 e
segg.
[6])
Archivio Centrale dello Stato - Ministero degli Interni - Comuni - busta n.°
2069.
[7]) Dalle
citate carte dell’Archivio Centrale dello Stato emerge che il Galatioto fu poi
cacciato dal Partito Fascista. Galatioto era accusato - a dire del solito
prefetto Rivelli - di ostacolare “l’opera di risanamento intrapresa dall’on. Starace”. Il 10 dicembre
1925 il prefetto telegrafa che «Tale
atteggiamento indusse questi [Starace] a decretare l’espulsione dal partito,
per gravi atti di indisciplina, del predetto segretario provinciale cav. Galatioto, e del sindaco di Ravanusa
signor Calogero Vizzini.»
[8]) Archivio Centrale dello
Stato - Ministero degli Interni - P.S. 1925 - busta n.° 110.
[9]) Archivio Centrale dello
Stato - Ministero degli Interni - P. S. 1925 - busta n.° 107.
[10]) Archivio Centrale dello
Stato - Ministero degli Interni - P.S. 1925 - busta n.° 113.
[11]) Archivio Centrale dello
Stato - Ministero degli Interni - P.S. 1925 - busta n.° 103.
[12]) Eugenio Napoleone Messana - Racalmuto
nella storia della Sicilia - Canicattì 1969 - pag.358 e segg.
[13]) Archivio Centrale dello
Stato - Ministero degli Interni - P.S. 1920 - busta n.° 89.
1) Alberto Moravia - Il conformista - I Grandi Tascabili - Bompiani - gennaio 1994. Pag.
69 e seg.
3 ) Nelle scartoffie ammucciate al
Castello è reperibile un foglio dattiloscritto, liso e consunto, ove figrano i
dato dell’iscrione al fascio, nel 1926, del padre di Leonardo Sciascia. Non
saremmo tanto sicuri che vi si sia iscritto “per lavorare”. Quei tempi non
erano ancora giunti. La presentezione da parte del cognato, il prof. Farrauto,
neo-gerarca locale, la dice lunga sull’accondiscenza dello Sciascia padre ai
fervori organizzativi “segretario politico” del P.N.F. racalmutese, il prof.
Farauto, appunto.
4 ) Leonardo
Sciascia - Le parrocchie di Regapetra
- in Opere vol I Bompiani Editore,
Milano, IV Edizione giugno 1990, pag. 35
e segg.
5 )
Ibidem, pag. 70.
6 )
Ben Morreale - Uomini d’onore (Li cornuti) - Mursia Milano 1976 - pag
56 e segg.
6 bis ) Evidente la topica di far
ricadere nel 1925 le elezioni che si erano invece svolte il 16 aprile 1924.
7 ) Qui lo
storico locale - che evidentemente si basa solo sulla ingannevole tradizione
orale - è poco convincente. Giovanni Agrò non poteva essere l’ispiratore della
filodrammatica locale di quei tempi (prima del 1926), per questioni a dir poco
anagrafiche. Quanto al “mortorio”, quella rappresentazione sacra
si è svolta a Racalmuto nel 1923 (tempo in cui di “Giovinezza” non se ne
suonava l’inno) e nel 1946 e 1950 (quando il fascismo era morto e sepolto).
Ciò, almeno stando all’informatissimo Salvatore Restivo che ricostruisce la
stora delle recite al teatro comunale di Racalmuto nel n.° 3 di Malgrado tutto del settembre 1994, pag.
6.
8 ) Le annotazioni sono qui alquanto
agiografiche. In sacchi dell’immondizia
stanno custoditi, presso il castello di Racalmuto, atti delicatissimi tra i quali i processi
verbali della locale caserma dei carabinieri. In quelli relativi al 1925
abbiamo trovato il seguente processo che riguarda appunto il Romano: « n.° 207 - processo verbale di denuncia di
Edoardo Romano quale responsabile di omessa denuncia di armi e munizioni -
L’anno 1925 - addì 31 ottobre - [viene fatta perquisizione domiciliare]
...avendo avuto fondati sospetti .. che [fossero detenute armi] nell’abitazione
del nominato Romano Edoardo fu Calogero e di Restivo Maria nato a Racalmuto il
12-11-1892 ed ivi residente in via Duilio 2, capo mastro muri fabbro.. pericoloso comunista.
»
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