«Le elezioni ebbero il risultato
che dovevano avere. L’onorevole Angelo Abisso conseguì dei grandi meriti in
quest’occasione. Il 31 gennaio 1926 Curatola infatti deliberò la spesa di L. 50
di contributo ad una medaglia d’oro, che la Sicilia aveva deciso di offrire a
questo deputato in segno di gratitudine per aver fatto le ossa al fascismo
nella regione. Più avanti lo stesso commissario deliberò ancora L. 200 di
contributo alla federazione dei fasci di Girgenti. Inoltre diede l’incarico
all’ingegnere Giammusso di Girgenti per redigere il progetto particolareggiato
di una rete fognante generale da costruire a Racalmuto e arrivò a deliberare L.
300 di acconto per tali lavori.
«La mascherata elettorale del 1925
si organizzò pure a Racalmuto in occasione delle ultime elezioni
amministrative, prima della costituzione della dittatura, o meglio durante le
more per la sua solidificazione. L’assassinio dell’onorevole Giacomo Matteotti,
capo dell’opposizione, aveva scosso la nazione. Il fascismo era lì per cadere e
sarebbe caduto se fosse intervenuto il re in difesa dei diritti statutari del
regno e contro la violenza, la criminalità e l’assassinio e se l’opposizione
non comunista avesse fatto appello alle masse, invece di ritirarsi
sull’Aventino in inutili discussioni. Mussolini allora diede la parvenza di
rientrare nella legalità convocando alle urne il popolo, prima per le votazioni
politiche, poi per le amministrative. Si trattò di sola parvenza, sia per la
legge Acerbo che truffò la maggioranza in pro del partito di governo, sia
perché le elezioni avvennero sotto il controllo bieco delle squadracce e dei
manutengoli assoldati dal fascio. Le persecuzioni, gli arresti, le violenze, le
intimidazioni avevano, fin dalla conquista del potere operata da Mussolini, in
combutta con Vittorio Emanuele III di Savoia, costretto al ritiro dall’agone politico
le forze più genuine del pensiero italiano e siciliano. La repressione della
delinquenza era servita come pretesto per reprimere gli esponenti dei vari
partiti, coinvolgendoli nelle inchieste e nei processi o a diritto o a torto. (9)
«Ad Agrigento il prefetto Mori
aveva di già fatto sentire di che erba si fa la scopa a tutti i liberi
pensatori della provincia. Fingendo di lottare la mafia, che invece eludeva,
com’è suo costume i processi e passava dalla presenza palese alla presenza
nascosta nella vita pubblica, Mori era finito con l’abbattere il prestigio di
vari uomini politici e disperdere i seguiti elettorali. In questo clima nel
1926 si votò a Racalmuto, ma per chi?
«Per i fascisti che, dopo essersi
fusi coi nazionalisti locali, come avvenne in parecchie parti del regno, fecero
un’unica lista. Si presentò una sola lista, la fascista. Gli altri si
ritirarono e si misero in posizione di attesa. Non ci fu da preoccuparsi o
affaticarsi. Essendo una lista la vittoria era sicura, di campagna elettorale
democratica non ce n’era di bisogno. Bastava che si votasse, tanto il voto,
andava sempre a loro. I democratici del paese risero di sdegno allorchè si
accorsero che si doveva votare solo per una concentrazione di candidati, quella
ad ispirazione e composizione fascista. Il listone aggiusta tutto, fu definito.
«Il 18 luglio 1926, alle ore 12 si
insediò il consiglio eletto da questa pseudo votazione. Risultarono consiglieri
il dottor Enrico Macaluso, il dottor Achille Vinci, Oreste Cavallaro, Carmelo
Rosina, l’avv. Baldassare Cavallaro, Luca Giuseppe Brucculeri, l’ins. Giuseppe
Mattina, Giuseppe Tulumello, l’avv. Camillo Vinci, Antonino Restivo Ardilla,
Salvatore Sbalanca, Carmelo Romano, Calogero Scimè Giancani, Giovanni Salvo,
Giovanni Farrauto, Cav, Alfredo Falletti, Giuseppe Cinquemani, Giuseppe Sardo,
Calogero Burruano, Luigi Casuccio, Pietro Buscarino, Luigi Nalbone, Andrea
Petrone, l’avv. Salvatore Picone, l’ins. Antonio Muratori, Alfonso Puma, il
dottor Calogero Burruano. Sindaco fu eletto, con 18 voti su 29 presenti, il
dottor Enrico Macaluso. La giunta fu così composta: Baldassare Cavallaro,
Giuseppe Mattina, Salvatore Picone, il dottor Achille Vinci, Giovanni Farrauto
ed Antonino Restivo Ardilla. Il dottor Enrico Macaluso in tale data iniziò la sua
epoca nella vita pubblica ed amministrativa di Racalmuto. Dico epoca perché
tutto il periodo fascista, da allora in poi e fino al’arrivo degli alleati,
porta la sua impronta.
«Chi era Enrico Macaluso lo
sappiamo da quando al seguito di Marchesano abbiamo visto muovere la politica
in questa famiglia ed eleggero suo fratello Vincenzo, il farmacista vecchio,
consigliere comunale. [...]
«Gli antifascisti o i discendenti
dei vecchi esponenti della politica paesana che, o per dignità propria, o per
semplice disavvedutezza non prestarono l’omaggio deferente a lui, mentre
imperò, la pagarono cara. I Greco, cordai, dovettero trasferirsi altrove, non
poterono facilmente ambientarsi commercialmente, fallirono e si ridussero
all’elemosina. Salvatore Greco inteso Cinniredda dovette fuggire. Riparò in
America, precisamente nella Virginia. Là organizzò il partito comunista e gli
operai nel sindacato rosso. Si fece un nome dirigendo lotte terribili contro il
padronato. Subì un attentato e rimase ferito alla testa. Si salvò la vita per
miracolo. I Figliola si sparsero per la provincia perché per loro non ci fu più
pace a Racalmuto.
«Luigi Scimè, figlio del dottor
Nicolò, per aver dato la famosa lira per la corona a Matteotti, mentre
sosteneva un concorso, al secondo scritto, venne invitato a lasciare la sede di
esami e tornarsene a casa. Coloro chelo privarono di un diritto, non più tale
sotto il tallone fascista, risposero al giovane che chiedeva perché lo
mandavano via, di andarlo a domandare al suo paese. Eloquentissima allocuzione.
Un Cavallaro vinse il concorso di Commissario di pubblica sicurezza ma non potè
essere nominato per cattive informazioni date dal paese. Don Michele Di Naro,
il vecchio socialista, accerchiato dalle persecuzioni, in un momento di
scoraggiamento si suicidò, buttandosi sotto il treno. Era costui una persona
intelligentissima, poeta felice in vernacolo, lasciò la moglie e l’unico figlio
nella miseria. Vincenzo Vella fece una colletta e comprò alla vedova una macchina per fare
calze.
«Gli arresti e le condanne per gli
indizi fondati più sui rapporti personali con lui che sulla probalilità o
capacità di reato riempirebbero pagine e pagine se si dovessero riportare e
ridesterebbero rancori ormai sopiti dal tempo. Basti pensare che era pericoloso
andare a comprare medicine in altre farmacie, significava ripercussioni nel
lavoro o nella vita privata; non salutarlo incontrandolo valeva dar conto di sè
alla milizia o ai carabinieri, sotto forma di sovversivismo o altro aggeggio
del genere. Quando decise, per esempio, di ordinare ai contadini di non
rientrare più con l’aratro legato alla mula e l’asta che strisciava per terra,
perché il rumore lo disturbava, Nicolò Schillaci, ogni sera, cominciò a
rientrare in paese con l’asta dell’aratro alzata e la portava a mano fino a
quando arrivava a casa., tanto erano grandi il rigorismo e la paura che
incombeva don Enrico sulla popolazione. Trovò qualcuno però che gli diede filo
da torcere, anche se pagò bene le sue bravate. Una mattina, il lucchetto del
negozio Macaluso si trovò unto di sterco umano e con una scritta attaccata, ove
si leggeva:
«Qua la faccio/ qua la lascio/
merda al duce/ merda al fascio.
«Il grave oltraggio impose la
mobilitazione di tutte le forze per esperire le indagini. Risultò colpevole
Giuseppe Collura, lu casinieri, e fu arrestato. Quando lo stavano portando ad
Agrigento a San Vito, don Enrico, volle far mostra di un generoso perdono e gli
porse una moneta da L. 10, per comprarsi il tabacco in carcere. Il Collura di
rimando gliela buttò in faccia. Fu condannato, espiò la pena e tornò in paese.
Venne ad essere sospettato di un omicidio, che poi si venne a sapere che non
commise per avvenuta spontanea confessione del colpevole a letto di morte, e fu
condannato all’ergastolo. Durante il processo andò a testimoniare contro
l’imputato don Enrico. L’imputato vedendolo, dalla gabbia gli mollò uno sputo e
lo colpì sulla guancia. Allorchè, risultato innocente, il Collura fu scarcerato
e tornò in paese, Don Enrico ebbe paura perché il fascio era già caduto e si
lasciò assoggettare maledettamente. Collura diceva ‘ma parrinu’ e gli scroccava
soldi per vivere, fino a quando trovò una sistemazione decente e cambiò vita.
Aveva degli amici don Enrico che gli facevano corona la sera nel negozio
all’angolo del corso Garibaldi, e standogli da presso godevano di una
illuminata sicurtà, si rischiaravano della sua luce e brillavano di prestigio
ed autorità nel paese. Abbiamo presente quel negozio e quelle persone che la
sera stavano con un certo occhio a guardare i passanti della piazza con
superiorità regale e con l’altra a spiare glu umori del comandante per
assuefarsi al discorso ed all’espressione della sua faccia.
«I passanti vedevano quel gruppo
con distacco, il distacco della paura per le mezze figure, il distacco dello
sdegno per coloro che avevano saputo conservare gelosamente personalità e
dignità anche sotto il fascismo. Erano amici di Macaluso gli impiegati del
municipio dei tempi, l’ufficiale postale, un falegname, un muratore, Oreste
Cavallaro, Luigi Marchese, Giuseppe Mattina, Giuseppe Sicurella, Calogero Rizzo
e qualche altro il cui nome ci sfugge. Don Enrico atterrì la popolazione con la
sua azione intransigente tanto da fare di Racalmuto un paese senza volto e
senza prospettiva, addormentato nella crisi economica, morale e di valori
spirituali, rassegnato ad un amaro destino, separato dalla classe dirigente,
incline alla soggezione ed all’ipocrita acquiescenza esteriore alla volontà dei
tenutari del potere del paese.
«I difetti che produsse il Macaluso
nella società racalmutese furono i difetti necessari per potere subire con
serenità l’oppressione di una dittatura, quale la fascista, che tendeva a
spegnere le volontà agli uomini ai fini di una sola volontà, quella del capo a
Roma, come ad Agrigento ed in ogni recondito angolo d’Italia. L’opposizione al
regime a poco a poco si affievolì fino a ridursi ai frequentatori di una
bottega di merceria, gestita dal sig. Salvatore Giudice in via Matrona, case
Tulumello, e gli amici di un barbiere, Calogero Bellavia, inteso Nasone, che
aveva il salone in corso Garibaldi, accanto l’odierno negozio di generi
alimentari di Carmelo Brucculeri. La merceraia non vendette più perché nessuno
vi andava a comprare per paura di essere visto dal podestà. Il salone ridusse i
clienti, ma resistette perché divenne il salone dei soli nemici del fascismo.
La merceria era chiamata dai fascisti ‘La cucina del demonio’. Don Liddu Nasone
fu e rimase indicato come il sovversivo. Il Circolo degli Amici si chiuse in
quel periodo perché i suoi soci in maggioranza non si tesserarono al fascio.
Nuovi soci non ne entrarono più per paura del libro nero e si esaurì
lentamente. Macaluso fu infatti l’uomo del libro nero, lo diceva sempre di
annotarsi il nome di chi gli faceva sgarbo, per saperlo colpire al momento
opportuno. E siccome faceva sul serio seccava ai più di finire scritto là e si
preferiva ingoiare e stare alla larga, quando non si riusciva o non si sentiva
di fare il codino come gli altri. Non mancarono i ricorsi contro don Enrico,
spesso anonimi, avevano paura di farsi conoscere gli autori, anche se, a dire
della gente, si lasciavano individuare e risultavano buoni professionisti con
un decoroso passato politico alle spalle. Si attribuì all’avv. Carmelo Burruano
un ricorso, l’altro al farmacista Argento.
«Sindaco Don Enrico lo fu poco,
perché nel marzo del 1927 si sciolsero tutti i consigli comunali d’Italia ed i
comuni furono affidati ai podestà di nomina governativa, che si riduceva a
nomina del capo del fascio della provincia. Il podestà doveva rinnovarsi ogni quattro anni e doveva
essere collaborato dalla consulta podestarile nei centri grossi, nominata da
lui stesso, a cui venivano conferite le funzioni della giunta comunale. Nei
piccoli comuni il podestà aveva facoltà di delegare alla firma un cittadino di
sua fiducia per la continuità della vita amministrativa in caso di sua assenza.
La prima deliberazione podestarile di Racalmuto, come si rileva dagli atti
d’archivio del municipio, porta la data del 9 aprile 1927. Enrico Macaluso fu sindaco
per meno di nove mesi, poi diventò podestà per intrigo e raccomandazione di
Abisso. Alla firma delegò l’ins. Giuseppe Mattina fu Gaetano il 5 novembre
dello stesso anno. Da podestà diede meglio sfogo al suo carattere singolare, incline al ripicco ed alla
vendetta, pronto al pettegolezzo ed implacabile nell’odio e nell’amore,
pretenziodo di continue umiliazioni e di sciocche e melliflue deferenze,
fanatico e puerilmente capriccioso.
«Se ebbe dei difetti gravi ed
incancellabili, ebbe anche dei pregi encomiabilissimi. Fu onesto fino allo
scrupolo. Non rubò nè permise che si rubasse. Ebbe sacro rispetto per l’erario
e per tutto ciò che fosse patrimonio del pubblico. Non trasse profitto alcuno
dalla carica di podestà e di altre che ne ebbe. Fu infatti presidente del
Consorzio delle ‘tre sorgenti’ per molti anni, consigliere del Banco di
Sicilia, sciarpa littorio del partito nazionale fascista e console del Touring
Club italiano. Ebbe amicizia con tutte le autorità del suo tempo, sia civili,
sia militari, sia religiose, relazioni che seppe cattivarsi con la sua
straordinaria generosità nel donare. Non calcolò interesse pur di emergere e di
acquistare rispetti. In questo campo fu tale la sua prodigalità che può dirsi
di aver diviso il suo patrimonio, ed era considerevole, alla gente. Nessun
racalmutese può vantarsi di non essere stato un suo debitore. A chi andava a
comprare medicinali o radio, o, più tardi elettrodomestici, prima cucine, sedie
ed altro, quando chiedeva il conto lui rispondeva ‘Po si nni parla’. Il cliente
in altra occasione si dichiarava pronto a pagare e lui ancora rifiutava. Guai
ad insistere. Cambiava espressione e grave diveca: ‘I conti a casa mia li debbo
fare io’. Era la premessa di una rottura. La gente così facendo, volente o
nolente, gli restava vincolata, anche se non mancavano persone che si urtavano
di questo vincolo a cui venivano costrette senza la loro volontà. Lui però era
felice di poter dire che tutti gli dovevano o, nominando qualche persona che
gli mancava di rispetto, dire in farmacia davanti al pubblico, ‘perché nun mmi
veni a pagari primu’, quando non la mandava a chiamare e gli intimava
l’immediata soluzione del credito. Questa prodigalità sui generis finì col
ridurlo in cattive condizioni economiche e sarebbe morto all’elemosina se non
avesse posto riparo una ragazza, che a tarda età rese sua figlia adottiva e
salvò il salvabile. Il grosso però fu tutto venduto e i soldi divisi ai clienti
del suo esercizio e della sua farmacia.
«Nell’attività amministrativa don
Enrico pensò prima di portare a conclusione le opere avviate dai suoi
predecessori, ma con scarso risultato, perché, non ammettendo interferenze nell
sua volontà, finiva col provocare passiva reazione negli uffici o fra coloro
che dovevano necessariamente portare avanti le cose, quando non incontrava
opposizione dura, da cui scaturivano lunghi processi civili. Il progetto per le
fognature, per l’ammontare di L. 900.000 lo approvò il 19 marzo del 1927, ma le
fognature si fecero nel 1956, quando il fascismo era morto e sepolto e lui
relegato alla sola attività professionale. Collaudò l’esecuzione del contratto
con l’impresa elettrica Siculo Lombarda, redatto l’11 febbraio 1925, secondo il
quale si costruì in paese la centrale elettrica, nei pressi della stazione, con
motore generatore di corrente. Tale motore sfruttava l’acqua della Fontana a
mezzo di una pompa aspirante, che in fase eduttiva provocava una cascata
sufficiente alla generazione dell’elettricità necessaria a fornire luce agli
abitanti ed alimentare 384 lampade ad incandescenza sparse nelle vie
dell’abitato, di cui 14 nel corso Garibaldi. Tentò di realizzare il vecchio
progetto dell’edificio scolastico, redatto nel 1913 dall’ingegnere Stefano
Bianco per una spesa di L. 335.000, aggiornata nel 1919 e portata a L. 735.000,
nel 1922 ad 1.300.000, ma non vi riuscì perché provocò un giudizio civile col
proprietario del fondo ove doveva essere ubicato, nello spiazzale Palma.
L’edificio infatti potè sorgere solo nel 1936, dopo la sua caduta.
«Subito dopo la prima guerra
mondiale in Racalmuto si era costituito il comitato pro monumento ai Caduti,
stabilendo a presidente il sindaco pro tempore. Si erano raccolte selle somme
sufficienti alla costruzione mediante sottoscrizioni civiche ed offerte degli
emigrati di America. L’opera era in corso di realizzazione quando subentrò
Macaluso a presidente del Comitato. Egli cominciò a rivoluzionare il programma
precedente e si venne ad una clamorosa divisione fra i componenti in merito
alla forma ed all’ubicazione dell’opera. Questa divisione durò per sempre. Don
Enrico non mollava e quelli intralciavano il suo operato. Gli anni passavano ed
il paese era rimasto uno dei pochissimi d’Italia a non avere un ricordo degli
infelici giovani morti sul campo di battaglia.
«Intanto il 10 settembre del 1929
il podestà deliberava l’offerta di L. 100 del comune per contributo alla
lampada votiva per i caduti in guerra di Agrigento, non potendolo fare per i
racalmutesi sprovvisti di monumento.
«Quando si fece la nuova strada di
circonvallazione, oggi Filippo Villa, Macaluso comprò con i solde del comitato
e per conto del comitato un po’ di suolo edificabile di proprietà dei Baiamonte
a San Gregorio, prima adibito a mulino per l’epurazione della feccia di mosto.
Nel punto d’incontro fra la strada di circonvallazione ed il cosro Garibaldi
fece fare un recinto in filo spinato, che sarebbe dovuto diventare, ma non lo
fu mai, un’aiuola spartitraffico. Nel mezzo di questo recento vi fece piantare
un albero di pino, dedicato ad Arnaldo Mussolini, ma non crebbe e fu estirpato
secco nel 1950. Contava di costruire, ove oggi è l’Esso, sul suolo edificabile
dell’ex mulino, la casa del fascio ed il monumento ai Caduti. Gli anni
passarono e non sorse mai niente. Negli ultimi tempi della dittatura soltanto
le basi di un edificio. [...]
«Durante il podesterato del
Macaluso, i lavori pubblici furono curati dal di lui fratello Cesare, dottore
in agraria, addetto ai sindacati fascisti. Don Cesare era stato in Tripolitania
ed aveva visto le strade di là com’erano fatte, le famose strade a mac adam con
sottofondo in breccia aggregata con polvere di cava. Pensò d’introdurre questo
sistema a Racalmuto, furono divelti quasi tutti i selciati a ciottolato delle
strade e cambiate in mac-adam. La riforma ben presto risultò inidonea. La
friabilità delle pietre sabbiose ed il clima dell’Africa agevola la durata
delle vie fatte con questo sistema. Le rocce di Racalmuto non essendo nè
sabbiose nè friabili, non resistettero all’uso, si frantumarono e si cambiarono
in polvere di estate ed in fanfo d’inverno. In via R. Margherita e in Via Asaro
d’inverno era un problema passarvi. Se si andava su si dava un passo in avanti
e tre all’indietro con i piedi affondati nella mota. Se si andava giù si
rischiava di finire a terra con qualche scivolone. Meno male che macchine non
ce n’erano tante, se no gli sbandamenti sarebbero stati frequenti e disastrosi.
Le macchine allora erano rarissime, le prime Balilla e le Ardita le ebbero
Giuseppe Mattina, l’avv. Carmelo Burruano e l’avvocato Luigi Cavallaro, che era
funzionario del Banco di Sicilia. Poi si fornirono di macchina i Nalbone e si
fecero i primi autisti di piazza, Di Marco e Don Pietro Sedita.
«Macalus ebbe il culto degli alberi
e si devono a lui gli alberi che costeggiano la strada che va al padre Eterno e
la via Filippo Villa. Altri alberi costeggiano la via Macaluso e Ferdinando
Martini, fino al ponte Carmelo e fino alla Stazione ferroviaria. Ne restano
pochi perché sono stati, purtroppo, distrutti dai frontisti della strada,
dimostrando scarso senso civico. Lo spiazzale Canalotto, oggi occupato dalle
case degli zolfatai, sotto Macaluso fu attivato a Palco della Rimembranza e vi
sorsero tanti alberi dedicati ai Caduti. Durante l’estate vi si eseguiva ogni
Domenica sera un concerto bandistico e spesso proiezione cinematografica muta
delle pellicole in voga. La musica non suonò più al Canalotto, che cessò di
essere meta e ritrovo delle passeggiate estive, verso il 1935, in seguito ad un
fatto di sangue avvenuto proprio ai piedi dell’icona attaccata al muro di
fronte, lato Ovest. Vi fu assassinato il procuratore del registro Sciascia ed
il delitto rimase impunito, perché non si individuarono i colpevoli.
«Don Enrico fece restaurare il
teatro riportandolo alla primiera sontuosità, ma non riuscì ad evitare che
fosse adibito a sala di proiezione cinematografica. Dapprima era il comune a
gestirlo direttamente, poi si diede in appalto, sotto Mattina, a Parisi, indi a
Collura e a Bordonaro. Con gli appalti cominciò a rovinarsi il locale. I
gestori non avevano interesse a custodire l’iimobile, il quotidiano uso e la
vetustà a poco a poco lo resero inagibile.
«Curò il riattamento del municipio,
disimpegnando tutti gli ambienti a mezzo del corridoio che collega al salone
del lato sud, rimettendoci soldi di tasca propria ed impegnando architetti ed
artisti di vaglia. Dopo i patti lateranensi, nella consegna della congrua parte
alla chiesa, riuscì a tacitare l’arciprete di allora, Giovanni Casuccio, con la
restituzione dell’intero locale di S. Giovanni di Dio a soluzione dei diritti
su altri edifici del comune. Tale atto fu abbastanza lodevole perché servì a
conservare integra la proprietà al comune del municipio, del cimitero e della
chiesa di S. Maria e dell’ex orto delle clarisse, area oggi occupata dal teatro.
[...]
« Fra le opere meritorie della sua
amministrazione va ricordato l’acquisto dei locali dell’ex Castello del Conte,
Lu Cannuni, o palazzo Chiaramontano. Questo edificio era finito in mano ai
privati. Alla famiglia Presti la parte di sud est e di sud ovest; l’ingresso,
la porta centrale, il salone delle adunanze della Signoria, tutto il versante
di nord e le due torri in mano di Padre Cipolla. Ciò dopo che non fu più
adibito a carcere. Padre Cipolla ne voleva fare un educandato femminile
affidato alle suore domenicane, ma quando nel 1930 fallì, l’immobile, venduto
all’asta per L. 2000 (duemila), l’acquistò il Comune.
«Con gli impiegati non fu mai in
confidenza. Mantenne il distacco, ma ebbe garbo nei rapporti personali. Tutte
le mattine arrivava il primo al Municipio, entrava nel suo abinetto, lasciava
la porta aperta e così impegnava i dipendenti ad essere scrupolosi
nell’osservanza dell’orario. Col pubblico non fu mai tenero. Usò il confine e
l’isola, le vili armi della dittatura fascista, a discrezione [...]
«Un bel giorno .. dovette ingoiare
un rospo: venne privato della segreteria
politica e fu nominato in sua vece Tito Tinebra. Mobilitò le sue forze ed
ingaggiò battaglia. Cadde Tinebra e fu nominato il suo amico Giuseppe Mattina.
Si sentì appagato e riprese fiato ad esercitare le sue funzioni di tirannello
paesano.
«Il fascismo intanto si realizzava
con la sua pesante struttura anche nel paese. Nata l’opera Nazionale Balilla,
don Enrico si affrettò ad iscrivere socio perpetuo il comune l’8 gennaio 1928.
Nel 1930 l’iscrizione all’opera Nazionale Balilla diventò obbligatoria per
tutti i fanciulli e le fanciulle che dovevano frequentare le pubbliche scuole
elementari e per gli studenti di ogni ordine e grado. Cominciarono le
fastodiose adunate del Sabato e della Domenica, le sfilate estenuanti e le
parate stupide fra le vie imbandierate fitte e le bestemmie degli anziani. Le
donne scesero pure a sfilare, le maestre e le giovani. A Racalmuto la dirigenza
dei fasci femminili la ebbe sempre, nella qualità di fiduciaria, collaborata
dalle figlie del farmacista Argento, la maestra Piera Taibi. Le divise
omogeneizzarono apertamente i cittadini. L’opposizione però continuava nel
segreto a vivere, pur se divenne presto innocua all’arbitrio fascista. Il giornale
‘L’Unità’ arrivava da parigi in un pacchetto con la scritta profumi. Il
fattorino postale Salvatore Morreale lo sapeva e portava il pacco a Giovanni
Facciponti, in un salone sopra l’attuale negozio di Falco. L’Unità si vendeva
una lira la copia, prezzo iperbolico per i tempi e la comprava Vincenzo Vella,
Eduardo Romano, Vincenzo Macaluso, Giuseppe Cutaia e qualche altro di nascosto,
sapendo che se fossero stati scoperti il confine non glielo avrebbe tolto
nessuno.
«Durante tutto il periodo fascista
continuarono ad essere comunisti, subire discriminazioni violente e non
piegarsi, affrontando fame e disagi, ma rimanendo a Racalmuto Vincenzo Macaluso
fu Stefano falegname, Salvatore Jacono calzolaio, Salvatore Dell’Aira muratore,
Eduardo Romano, muratore, Giovanni Lo Forte, Di Liberto Carlo, Luigi Leone,
Leonardo Abramo Vizzini, Alfonso Tirone Tiberio e qualche altro. Mantenersi
iscritto clandestinamente al partito comunista durante il fascismo era una
impresa non facile, si trattava rischiare la galera ad ogni istante e la rovina
della propria famiglia. Loro furono in continuo contatto con Cesare Sessa a
Raffadali. Per lo più vi si recava Eduardo Romano, col pretesto che andava a
badare alla campagna dell’avv. Vincenzo Campo, cognato del Sessa. Solo Sessa rimase
nell’Agrigentino a reggere le fila del partito comunista. Il dirigente
Scarfidi, in seguito ad un’aggressione subita a casa dalle squadre fasciste,
dalla quale scampò mediante l’intervento di un alto magistrato, al quale era
amico, che, quel giornoper caso, era andato a fargli visita e fu presente, era
fuggito e si era rifugiato in un convento. I comunisti di Racalmuto, spesso
Romano ed una volta anche Abramo, durante la dittatura andavano anche a
presenziare riunioni segrete a Palermo. Avvenivano in una casa in via
Albergheria ed erano presiedute dall’onorevole Pilato.
«Ad Eduardo Romano infine è da
attribuirsi il merito di avere salvato il grosso del partito, che poi furono
quelli che in maggioranza fecero l’abiura a don Enrico, dalle persecuzioni.
Infatti, allorchè alla caserma gli chiesero l’elenco dei tesserati, egli fornì
un elenco in cui comparvero i notabili e tutti i morti e gli emigrati. Un
plauso solenne vada pertanto a costoro vivi e defunti, che ebbero il coraggio
di professare le proprie idee affrontando ogni rischio. E ben ha fatto il
partito comunista nel 1961 ad offrire una medaglia di bronzo ed il diploma
degli otto lustri di fedeltà ai superstit, perché le nuove generazioni
potessero conoscere ed ammirare gli uomini tenaci e fermi nel loro credo anche
in clima di difficoltà e divieto. Da Racalmuto poterono avere quest’attestato
di riconoscenza, Salvatore Dell’Aira, Di Liberto Carlo e Vincenzo Macaluso.
Quest’ultimo alla memoria, per essere deceduto giorni prima. Don Enrico non
seppe mai queste cose e dire che aveva sempre fra i piedi Carmelo Romano, il
fratello di Eduardo che gli faceva l’amico e badava a tener lungi i sospetti
dalla sua casa.
«Lui seppe solo il borbottio della
bottega Giudice e del salone Bellavia, ma non potè mai eccpire alcunchè per
colpire con carcere e confine il titolare ed i frequentatori. [..]
«Il giovane che sin qua ci ha
seguiti ci darà, credo, dell’esagerato, ma prima di giudicare si informi e
saprà che il fascismo aveva un decalogo, i cui primi articoli o comandamenti
così dicevano - 1) Mussolini ha sempre ragione; 2) le punizioni sono sempre
meritate; 3) la Patria si serve anche facendo da guardia ad un bidone di
benzina, ecc. ecc.
«Quando vedrà che il governo
fascista imponeva il domma dell’infallibilità del suo capo, costringeva la
supina accettazione di ogni pena e poneva tutte le attività lavorative al
servizio della Patria, per attribuire il delitto di attentato alla sicurezza
dello Stato contro ogni inadempienza, si accorgerà che non siamo esagerati e si
meravigliera che un popolo di circa 45 milioni di componenti ha sopportato per
venti anni tanto obbrobrioso sistema. Coloro che avevano assaporato la libertà
democratica mal sopportavano tanta opprimente vuotaggine, ma guai a manifestare
la loro avversione, si rischiava il confine o la galera, il domicilio coatto o
una serie di legnate e sevizie nelle caserme. Ebbe considerevoli guai Edoardo
Romano, per esempio, perché a Giovanni Agrò che gli ingiunse un giorno al campo
sportivo di credere, obbedire e combattere, rispose: - Combattere sì, perché se
mi chiamano alle armi non mi posso rifiutare, obbedire altrettanto perché se
non ubbidisco mi costringono a farlo, ma credere no, perché nessuno può impormi
una fede. [...]
«Si nasceva figli della lupa e si
aveva una divisa da portare ed un moschetto. Si diventava balilla e la stessa
cosa, poi avanguardista, giovane fascista, camicia nera ecc. L’opera nazionale
Balilla era stata sostituita dalla Gil, gioventù italiana del littorio, che
inquadrava tutta la gioventù della nazione in un casermone rigurgitante odio ed
abuso, soverchieria e sbronzerie dei tanti megalomani dell’epoca. Per andare a
scuola si doveva presentare la tessera Gil, sia per le elementari che per le
medie o superiori, comprese le università, dove oltre al diploma di maturità si
doveva esibire il certificato di iscrizione al G.U.F., gioventù universitaria
fascista, e l’attestato di avere superato il brevetto sportivo. Senza la
tessera Gil non si poteva nemmeno lavorare. A Racalmuto potè rifiutarla un solo
giovane, Calogero Macaluso, figlio di un cugino di don Enrico, il quale da
solo, o per contatti con Eduardo Romano, diventò comunista. Costui fu raggiunto
dai tentacoli della piovra nera del fascismo e fu chiamato in caserma dai
carabinieri. Il maresciallo gli disse, fra l’altro, che lo avrebbe arrestato se
non prendeva la tessera. Lui ebbe il coraggio di ripondere: - mi arresti pure,
è necessario che i nostri compagni in galera ricevino il conforto delle nuove
generazioni. - Non fu arrestato perché don Enrico non volle subire l’affronto
di far sapere ovunque che un suo omonimo parente non era fascista.
«Nelle scuole si studiava dottrina
fascista e cultura militare fino alla università dove pure era la materia
obbligatoria di mistica fascista. Prima di andare soldati c’era il premilitare
obbligatorio, e qui a suon di nerbo i giovani diciottonni, ogni Sabato
pomeriggio, per ore ed ore dovevano stare a fare marce ed istruzioni. A
Racalmuto il premilitare si faceva al campo sportivo, lo faceva fare il geometra
Luigi Falletti, coadiuvato dal cadetto della milizia Luigi Di Marco e qualche
altro. Non so altrove, ma a Racalmuto la borghesia aveva un privilegio, non
faceva le istruzioni. Noi studenti facevamo gli elenchi al geometra Falletti e
stavamo ogni sabato a guardare. Ricordiamo la nausea e la ribellione che
provavamo quando vedevamo schiaffeggiare sonoramente i poveri giovani contadini
ed a volte anche bastonare, perché si muovevano sull’attenti o per altro. La
nausea ci veniva perché già ai nostri diciotto anni eravamo organizzati da
circa due anni nelle file clandestine antifasciste. Alla formazione del nostro
pensiero politico, impreciso partiticamente, ma decisamente ugualitario, di
sinistra e di pronta opposizione al fascismo, contribuì, oltre la famiglia
sempre antifascista alla quale apparteniamo, il nostro insegnante di filosofia
Ettore Centineo, che ci schiuse la mente alla democrazia ed alla critica. Siamo
entrati nelle organizzazioni allora operanti in Italia per mezzo di Leonardo
Sciascia [..] A lui si deve la formazione di un gruppo di studenti antifascisti
in Racalmuto e la coscienza della brutalità di quel partito, nonchè della sua
carenza ideologica fra gli studenti di ieri e professionisti di oggi in questo
paese. Leonardo Sciascia, convinto comunista nel 1938 e 39, quando aveva 17 e
18 anni, riuscì a fare preziose cellule nel paese, si ricordano Angelo Picone,
Diego Paradiso e Salvatore Cavallaro, oltre noi e qualche altro fra coloro che
collaborarono nei limiti delle loro capacità, compromettendosi magari, a
prepare la resistenza contro il fascismo ed a sabotare le organizzazioni della
dittatura. [...]
«Feste nazionali sotto il fascismo
erano: il 23 marzo, anniversario della fondazione del fascio, il 21 aprile,
natale di Roma, l’11 febbraio anniversario del Concordato con la Chiesa, il 24
maggio, entrata in guerra, il 28 ottobre anniversario della marcia su Roma ed
il 4 novembre festa della vittoria. [..] Una mattina di festa nazionale il
dottor Giuseppe Cavallaro ebbe inferto dai fascisti racalmutesi un colpo
terribile, tale che tarò per sempre la sua salute. Il dottor Cavallaro era un
vecchietto senza figli, che ogni giorno con la moglie andava a trovare il
suocere e i cognati. Un giorno fu fermato in Via R. Margherita, davanti di
Pavia dai militi. Gli chiesero perché non portava la camicia nera quantunque
festa nazionale. Il povero dottore rispose di averlo dimenticato, essendo
uscito di premura per fare una visita di urgenza. I militi fecero l’addebito e
riferirono al segretario politico. Il dottor Cavallaro ebbe ritirata la tessera
d’iscrizione al partito nazionale fascista. Tale provvedimento significava la
rovina, infatti senza tessera non si poteva esercitare la professione
sanitaria, perché l’ordine dei medici lo vietava. Il dottor Cavallaro, sospeso
dall’esercizio professionale, si dispiacque tanto, anche se stava
economicamente bene, che si ammalò. Non si guarì più e morì alcuni anni dopo.
[...]
«La delinquenza però è bene che si
dica non finì proprio sotto il fascismo, e la stessa mafia non fu eliminata,
infatti ad essa, strumento di repressione contadina, si sostituì lo stato
autoriatario fascista, cioè non ve ne fu più bisogno e sembrò essere stata
debellata, ma debellata non fu tanto che rinacque così rigogliosa alla caduta
del regime, cessarono soltanto le efferatezze del dopo prima guerra mondiale
non la criminalità vera e propria. Al fascismo si diede a torto quel merito. Si
dimenticò che Sciascia, il ricevitore del registro fu assassinato nel 1935 e
c’era il fascismo, Federico Giancani ammazzato barbaramente nel maggio del 1937
e c’era il fascismo, il latitante Ciciruneddu, Rizzo, non potè mai essere preso
dalle forze dell’ordine e fu ucciso da uno per la regola del tagione che
gravava sulla sua morte ed erano gli anni dal 1936 al 1939 e c’era il fascismo,
l’orificeria di don Carmelo Rosina fu scassinata, una prostituta fu trovata con
la gola recisa da un rasoio nella sua casa in Via Madonna della Rocca, l’altra
fatta a pezzi alla Acqua Amara presso la Torre di Baeri in pieno fascismo.
Abbiamo voluto citare i misfatti più eclatanti del periodo fascista, sorvolando
i minori, per dimostrare l’infondatezza di quest’affermazione, che, purtroppo,
si sente ancora ripetere nelle discussioni di piazza. Il fascismo usò metodi
repressivi atroci e questo è vero, mise la pena di morte e la esercitò e questo
è pure vero, ma l’una e l’altra non gli fanno onore. Non si scherza con la vita
degli uomini, ed essa è sacra e nessuno può toglierla per nessuna ragione. La
società può relegare fuori del proprio consorzio il tarato, il reo, ma non
sopprimerlo, non ne ha nessun diritto. La repressione poliziesca del fascismo
poi era peggio della fucilazione, si trattava delle torture di medievale
memoria, praticate nelle caserme dei carabinieri: nerbate fino al sangue,
scosse elettriche, fare ingerire acqua satura di sale, legare alla cassetta e
tante e tante altre barbarie. Basta dire che l’omicidio di Federico Giancani se
lo accollarono parecchie persone incapaci ed innocenti pur di non patire più le
torture e poi si vennero a trovare i colpevoli fuori dell’Italia, in Africa
dove erano riusciti ad imboscarsi.» (10)
La traballante prosa del Messana traccia un quadro della situazione
politica a Racalmuto duntante il fascismo che va preso - lo ripetiamo - con le molle.
Ma qualche elemento di prima mano ce lo fornisce. Sappiamo solo così di
antifascisti operanti a Racalmuto. Le loro vicende sono palesemente enfiate. Un
riscontro possiamo coglierlo dale schedature della polizia, oggi consultabili
presso l’Archivio Centrale dello Stato in Roma.
Secondo il Messana, il maggiore esponente comunista dell’epoca fu Edoardo
Roma. Abbiamo visto che la locale caserma dei carabinieri già nel 1925 lo
definisce un “pericoloso comunista”, portando acqua al mulino dellenfasi antifascista
del nostro storico racalmutese. Pericoloso lo fu, però, non a lungo, se lo
schedario puntuale e puntiglioso del capo della polizia Arturo Bocchini (11) lo ignora del tutto. Forse a motivo
delle influenti protezioni fasciste che al Romano venivano dalle sue parentele
bene inserite nel regime. Vi sarà pure un motivo se la famosa medaglia di
fedelta quarantennale al PCI non fu conferita nel 1961 ad Edoardo Romano
(vedansi le precedenti annotazioni del Messana).
Nelle nostre ricerche a Roma, di racalmutesi finiti negli schedari di
polizia durante il fascismo troviamo:
1) Vella Vincenzo;
2) Vella Diego;
3) Picone Chiodo Calogero;
4) Sacerdoti Edmondo;
5) Messana Everardo.
Ma dei cinque sudetti nominativi i veri racalmutesti sono tre (Vella
Vincenzo, Picone Chiodo Calogero e Messana Everardo), nessuno viene schedato in
quanto comunista, e i due schedati (Picone Chiodo Calogero e Messana Everardo)
hanno poco di politico.
Vella Vincenzo, è personaggio di risalto durante i Fasci
siciliani, è attivo nell’era prefascista e rientra nei ranghi durante il
fascismo. Schedato già dalla questura di Girgenti sin dal primo settembre del
1896, ne è “radiato” l’8 aprile 1936 «tenuto conto della buona condotta e delle
prove di ravvedimento» ed essendosi «espresso in senso favorevole al Governo
nazionale.»
Nel 1893 si era lanciato nell’agone politico a capo del movimento
contadino e zolfataio del luogo, con cipiglio e furore. Agì anche fuori di
Racalmuto: lo troviamo impigliato nella repressione dei moti rivoluzionari dei
Fasci in quel di Milena. Ecco quel che ci racconta Arturo Petix: «Nel
pomeriggio del 27 luglio del 1893, a Milocca, in casa del contadino Luigi
Schillaci, posta nella robba Valenti (oggi via Gioberti) si riuniva un gruppo
di contadini con lo scopo di costituirsi in fascio dei lavoratori. [...] A
quella riunione furono presenti l’Avvocato Vincenzo Vella, presidente del
fascio dei lavoratori di Racalmuto e l’insegnante Rinaldo Di Napoli, presidente
di quello di Grotte (ASCL, Carp. n. 9, Pubbl. Sicur., lettera del 2 agosto
1893).»( 12). Abbiamo sopra fornito alcuni dati
del fascicolo sul Vella dell’Archivio Centrale dello Stato. Li integriamo qui
trascrivendo quant’altro vi è annotato.
«N.° 16434 - Prefettura di
Girgenti, comune di Racalmuto - Vella Vincenzo fu Giuseppe e della Vincenza
Tinebra nato in Racalmuto il 17 ottobre 1868, residente a Racalmuto mandamento
della Provincia di Girgenti.- Laureato in giurisprudenza - celibe - Socialista
rivoluzionario - statura 1,58 - corporatura robusta, capelli castano scuri,
viso oblungo, fronte alta, occhi castani, naso giusto, barba alla mefistofele e
di colore castana scura, mento tondo, bocca regolare, espressione fisionomica
satirica, abigliamento (sic) abituale, veste decente in nero.
«Riscuote nell’opinione pubblica fama
di fanatico stravagante. Di carattere volubile. Di educazione limitata, in
quanto che si appartiene a famiglia di esercenti miniere. Di corta
intelligenza. Di coltura scarsissima. Ha compiuto gli studi nel liceo ed il
corso di università in legge. Non possiede titoli accademici. E’ lavoratore
fiacco. Ritrae i mezzi di sostentamento dalla poca proprietà lasciata alla
famiglia dall’Avv. Tinebra Vincenzo. Frequenta la compagnia dei pochi affiliati
al partito socialista di questo Comune e
dei Comuni di Grotte ed Aragona. Mal si comporta nei suoi doveri con la
famiglia, di cui dovrebbe essere il sostegno, causa la morte del padre,
trascurandola completamente. Non gli sono state affidate cariche amministrative
e politiche. E’ iscritto al partito socialista rivoluzionario. Non ha
precedentemente appartenuto ad altro partito.
«Ha molta influenza nel partito
socialista locale, di cui è il capo e di cui fa il promotore. La sua influenza
è circoscritta al luogo dove risiede. E’ stato in corrispondenza epistolare con
i componenti il comitato centrale socialista di Palermo, con l’avv. Maniscalco
direttore della Giustizia Sociale, coi nominativi Rao Gaetano, Presidente del
disciolto fascio dei lavoratori di Canicattì, Di Napoli Rinaldo Presidente del
disciolto fascio di Grotte, coll’onorevole Colajanni e col presidente della
Federazione Regionale Socialista Lombarda. Non è stato, nè è in relazione
epistolare con individui del partito all’Estero. Presentemente è in relazione
epistolare col Direttore del periodico ‘La Riscossa’ di Palermo, il presidente
del Comitato Regionale della Federazione Socialista Ligure, coi sudetti Di
Napoli e Rao, col Direttore del periodico ‘La Lotta di classe’, e dicesi in
relazione epistolare con Bosco Garibaldi e l’on. De Felice.
«Non ha dimorato all’estero, nè vi
riportò condanne, e non ne fu esplulso. - Ha appertunuto al disciolto fascio
dei lavoratori di Racalmuto, con la carica di Presidente. Presentemente non
appartiene ad alcuna associazione sovversiva di mutuo soccorso o di altro genere.
Durante il 1893 ha collaborato ai periodici sovversivi ‘La Lotta di Classe’ e
‘La Giustizia Sociale’. Di tanto in tanto spedisce corrispondenze alla
‘Riscossa’, ed alla ‘Lotta di Classe’.
-------------
«Riceve i periodici ‘La lotta di
classe’ e ‘la Riscossa’ ed opuscoli editi a cura del Comitato Regionale della
Federazione socialista Ligure. Fa propaganda fra gli esercenti arti e mestieri,
con poco profitto. E’ capace tenere conferenze. Ne ha tenute nel 1893, nel
locale di questo disciolto fascio dei lavoratori, e nel domicilio di qualche
socialista di qui. - Verso le autorità tiene un contegno sprezzante. Non ha
preso parte a manifestazioni del partito cui è ascritto a mezzo della stampa
firmando cioè manifesti, programmetti. Ma ha preso parte in occasione della
dimostrazione organizzata in questa Stazione ferroviaria il 2 Novembre 1893, al
passaggio dell’on. Colajanni, nella quale circostanza il fanatismo dei
dimostranti raggiunse il colmo, intervenne la forza pubblica, fu percosso il
Deputato di P.S. del tempo, malmenati il Maresciallo ed i militi.
«Nelle elezioni ammimistrative di
Racalmuto del 1905 è stato eletto consigliere comunale. »
[Aggiunta in calce la posteriore data: Girgenti 14 gennaio 1908 - il
prefetto Mario Rebucci].
«Prefettura di Girgenti - Cenno
biografico del 20 ottobre 1913 - Andatura attempata. - Gode nell’opinione
pubblica fama di uomo di poco carattere e di nessuna serietà. D’intelligenza ed
educazione medie, è mordace ed aggressivo, quando scrive per i giornali, tanto
che ha un frasario tutto suo speciale, fatto di volgare turpiloquio, appunto
perché nelle lotte sia politiche che amministrative non sa fare a meno di
attaccare in modo triviale le persone degli avversari, invece di combattere le
idee. E’ laureato in legge, ma la sua cultura non va oltre gli studi fatti e le
molte pubblicazioni socialiste lette e ben poco ben assimilate. Di natura
fiacca, lavora lo stretto necessario, approfittando di quello che ricava dalla
poca proprietà immobiliare a lui lasciata da un suo avo. Tenace nelle lotte, ma
non nel carattere, egli varia di continuo e con molta leggerezza di relazioni
politiche e di amicizie personali, a seconda della convenienza e
dell’opportunità del momento, non si può dire quindi egli abbia in ciò una
direttiva sicura, per quanto inclini nella scelta verso gli elementi sovversivi
o politicamente esaltati. Si deve a tale sua malleabilità di carattere ed
azione se egli sia stato consigliere comunale ed anche assessore supplente.
Nella presente lotta politica, egli, transigendo con la sua condotta passata,
ha stretto relazione con persone, altra volta attaccate fino all’insulto, per
appoggiare la candidatura socialista dell’Avv. Marchesano. Nel biennio
1893-1894 - egli dette pensiero ed azione ai moti convulsionarii dei ‘fasci’ ed
ebbe perciò il suo quarto d’ora di influenza e di popolarità, fra gli elementi
sovversivi di allora; ma sopravvenuta la repressione egli ritornò quello di
prima, anzi fu lì lì per essere inviato a domicilio coatto, a termini dell’art.
3 della legge 19 luglio 1894. [..]
Successivamente egli si occupò dei suoi affari privati per cui fece dimora a
Delia ed a Casteltermini. Nel presente fa qualche pubblicazione sui giornali
della provincia a carattere sovversivo; fa come può, ma con scarso profitto,
propaganda fra gli operai ed è presidente della lega di miglioramento tra gli
zolfatai di Racalmuto.
«E’ capace di parlare al pubblico,
ma non di tenere conferenze vere e proprie, ciò quindi ha fatto sempre che se
ne sia presentata l’occasione; in lui però più che la facilità di parola è
comune il turpiloquio, che, in fondo, tradisce la sua origine volgare. Però nel
passato tenne verso l’autorità un contegno altero e sprezzante; ora però si
mostra remissivo e rispettoso. Ma ha preso parte a vere e proprie pubbliche
manifestazioni di carattere del partito. Nel 1893 intervenne in manifestazioni
più o meno violente e, successivamente, in un pubblico spettacolo si lasciò
andare a qualche atto inconsulto. Mai fu sottoposto alla pregiudiziale
ammonizione e fu solo proposto, ma non assegnato, a domicilio coatto. Non ha
subito condanne, ma ha i seguenti precedenti penali. Il 1° settembre 1893 fu
arrestato in Milocca per istigazione a delinquere; a 7 maggio 1894 fu assolto
dal Tribunale di Girgenti dall’imputazione di violenza e resistenza ad agenti
della forza pubblica; a 19 maggio 1894 la camera di consiglio di Girgenti disse
non luogo per l’imputazione di tentativo di fare insorgere gli abitanti del
regno contro i poteri dello stato. Nello assieme il Vella, per quanto sempre
relativamente temibile, non è più il sovversivo di una volta e non è più da
ritenersi un socialista veramente combattivo, perché, in fondo, non riesce a
farsi pigliare sul serio da alcuno. L’età, il male cronico di cui è affetto e
qualche debito hanno fiaccato e piegato il suo carattere, naturalmente a ciò
disposto, ed oggi si aggioga al carro di taluni conservatori, liberali
d’occasione, con la stessa facilità con la quale si metterebbe loro contro, se
gli tornasse opportuno, data anche la sua venalità.»
-----
«Relazione Prefettura: Dall’elenco
allegato al n.° 16085 del 3.7.1911 risulta pericoloso. - Girgenti 1912: N.°
1128 del 23.4.1912 - E’ stato rieletto Consigliere Comunale di Racalmuto e
poscia nominato assessore. Non tiene più contegno sprezzante con le autorità e
si è mostrato favorevole al Governo per la guerra in Libia - Professa sempre
idee socialiste e viene pertanto vigilato.»
------
«Prefettura: 27 11.1925 - Professa
tuttora principi socialisti e non tralascia occasione per fare propaganda antifascista.
E’ attentamente sorvegliato. - Prefettura: 21.1.1929. - In data 2.12.1926 venne
diffidato ai sensi dell’art. 166 legge P.S. In atto serba regolare condotta
morale e politica mantenendosi estraneo ad ogni manifestazione contraria
all’attuale Regime. Prefettura: 3.7.1931 - .. socialista rivoluzionario.
Continua a tenere buona condotta politica, dedicandosi esclusivamente alla sua
professione di avvocato. I suoi atteggiamenti nei riguardi del Regime sono
favorevoli e mostra in apparenza di essersi ravveduto. Però non si ritiene
opportuno, almeno per ora, di proporlo per la radiazione dallo schedario dei
sovversivi, e si continua a esercitare su di lui assidua vigilanza. -
Prefettura: 21.2.1933 - Risiede a Racalmuto, dove esercita la professione di procuratore
legale presso quella pretura. Non spiega alcuna attività politica e tiene
atteggiamento favorevole al Regime. Viene sempre sorvegliato non avendo dato
prove sicure di ravvedimento. - Prefettura: 22.12.1934 - Non ha dato luogo a
rilievi in linea politica, e nei riguardi del Regime si mostra apparentemente
favorevole. Viene vigilato. - Prefettura: 25.9.1935 - Durante il terzo
trimestre del corrente anno non ha dato luogo a rilievi con la sua condotta
politica. Viene vigilato.» (13)
* * *
Quanto a Vella Dante Nunziato fu Giuseppe, nato a Racalmuto il 3 marzo
1908, abbiamo fornito in precedenza i dati dello schedario centrale che lo
riguardano. Appartenente ad una famiglia
di anarchici di Grotte, i suoi legami con Racalmuto sono del tutto accidentali
e di mera anagrafe. La madre era una Pedalino Di Rosa, sorella di quello che è
stato un affermato notaio di Milano, e discreto verseggiatore in dialetto. Il
Pedalino, come si è detto, brigò tanto nel 1930 per farsi riconoscere i meriti
di essere stato tra i sansepolcristi del 1919. Il 27 dicembre 1937, il suo nome
però viene associato sia pure molto casualmente con quello dell’anarchico Dante
Nunziato Vella di cui è zio materno. Il prefetto G. Marzano esclude ogni
favoreggiamento, ma si dà il caso che da allora il Pedalino ha qualche screzio
col fascismo. Oggi, la figlia tiene a rivendicare un passato (inesistente)
antifascista del padre. Ciò ha sorpreso i redattori del locale foglio di
Racalmuto Malgrado tutto, che avevano
- ed a ragione - visto il Pedalino come un antesignano del fascismo.
* * *
La schedatura di Picone Chiodo Calogero (14)
fa emergere una figura che comunque la si giri difficilmente può venire
riportata nell’ambito dell’antifascismo. Trattasi, piuttosto, di un
avventuriero che opera ai margini della truffa. Certo, siamo in pieno contrasto
con la idealizzazione che la lettura locale (il citato libro del Messana e Malgrado tutto) hanno di recente
sfornato. Latrscrizione dei dati d’archivio chiarisce meglio l’assunto.
«Picone Chiodo Calogero fu Giuseppe
e fu Munisteri Pinò Ignazia, nato a Racalmuto il 17 aprile 1884, qui abitante
(Milano), avvocato - 1,68 circa. - Avuta da Agrigento il 14/7/1932 n.° 33032 -
1° gennaio 1930: Cartolina postale di Picone
Chiodo all’avv. Sincero Rugarli, corso Umbero I°, 26 Roma. Si parla di libri e
di abbonamenti a riviste. La questura di Roma definisce il Rugarli ‘noto
socialista schedato’. Non sa nulla sul Picone Chiodo. - 27 febbraio 1930 -
Consolato generale di Nizza - Riceve una lettera dall’avv. C. Picone Chiodo Via
Tritone 201: Roma 24 febbraio 1930: ‘Ricevo il suo pregiato invito a
presentarmi nella Regia Cancelleria per comunicazione che mi riguarda. Trovomi
in Italia nostra da circa 15 giorni. Sarei grato a V.S. se volesse farmi
conoscere l’oggetto dell’invito, non dovendo più venire a Nizza ..’
«Questura di Roma n. 023885 del 2 aprile 1930: C. Calogero Picone Chiodo
.. con recapito presso il notaio Schillaci Guido. - Regia Questura di Roma da
quella di Agrigento: Il 16.3.1904 dall’Amministrazione Comunale di Racalmuto il
Picone venne incaricato dello insegnamento nella quinta classe elementare e
tale incarico tenne sino alla fine del 1907. Laureatosi in legge, nell’ottobre
1907 si recò a New York per accompagnarvi una sorella, e a mezzo di un suo
parente, che colà risiedeva da parecchi anni, cercò fortuna facendo il
pubblicista, ma non ebbe successo, e l’anno successivo ritornò in patria
riprendendo, nel luglio del 1908, l’insegnamento elementare, che tenne sino al
febbraio del 1912. Durante la sua permanenza a Racalmuto, esercitò,
saltuariamente, anche la professione di avvocato. Nel 1912 si trasferì a
Milano, dove, il 26.2.1914, sposò certa Matilde Margherita Ochert da Monaco.
«In seguito a tale matrimonio, e
dopo breve permanenza a Monaco, ottenne la rappresentanza di alcune fabbriche
tedesche di colori. Durante la guerra fu prima soldato di artiglieria a
Messina, e poi Ufficiale presso il distretto militare di Agrigento, ove
disimpegnò la carica di aiutante maggiore. Ultimati gli obblighi militari
ritornò con la famiglia a Milano, occupandosi nuovamente di colori. Nei primi
del 1922, si trasferì a Rovato (Brescia) e nel novembre dello stesso anno
ritornò stabilmente a Milano, dove aprì uno studio legale in Via Col di Lana 3,
recandosi ad abitare al Viale Ticinese n.° 3.
«Nei primi del 1929 si recò a
Parigi allo scopo, come si disse, di pubblicare alcuni libri e di occuparsi di
studi spiritici. Già in Italia il Picone aveva pubblicato un libro di
sociologia criminale, un altro sul bolscevismo, un opuscoletto della biblioteca
Vallardi sulla cambiale, ed un libro di spiritismo intitolato ‘La verità
spiritualistica’.
«Ultimamente, da Roma, ha inviato
ai conoscenti un biglietto di partecipazione dell’apertura di uno studio
legale. Durante la sua permanenza a Racalmuto professò teorie socialiste, ma
senza accanimento. Si vuole che a Milano contasse numerose relazioni
nell’ambiente socialista. Il predetto risulta di temperamento nervoso,
eccitabile, ma oltremodo pavido.
«La Questura di Milano ha comunicato
che il Picone ha risieduto in quella città dal 1913 al 1928, epoca in cui si
recò all’estero, senza dar luogo a rilievi in linea politica e mantenendo
contegno indifferente nei riguardi del Regime.
«Questura di Roma: 8 luglio 1930 -
L’avv. Picone Chiodo Calogero è pertito ieri per Monaco di Baviera accompagnato
dalla moglie Ockert Matilde fu Adolfo e dai figli Giuseppe, Ignazio ed
Isabella.
«27.5.1932- Viene riferito da fonte
fiduciaria che il segnalato Picone Chiodo Calogero, avvocato, residente a Parigi
al n.° 203 Bld. Voltaire, continua a svolgere attiva propaganda contro il
Regime, trattando e criticando violentemente questioni relative al Regime.
Benchè apparentemente voglia far credere di non interessarsi di politica, la
sua azione è notoriamente dannosa, perché svolta fra elementi intellettuali.
«1° luglio 1932 Prefetto di
Agrigento: Risulta di buona condotta morale ed a suo carico non risultano
precedenti e pendenze morali. Egli non ha in questi atti precedenti politici,
ma è notorio che nel suo Comune di origine professava idee socialiste. Il
Picone si allontanò da Racalmuto una prima volta nel 1914, e in un secondo
tempo nel 1923. Il 14.2.1914 contrasse matrimonio con certa Occhert Matilde.
«N.° 16434 - Prefettura di
Girgenti, comune di Racalmuto - Vella Vincenzo fu Giuseppe e della Vincenza
Tinebra nato in Racalmuto il 17 ottobre 1868, residente a Racalmuto mandamento
della Provincia di Girgenti.- Laureato in giurisprudenza - celibe - Socialista
rivoluzionario - statura 1,58 - corporatura robusta, capelli castano scuri,
viso oblungo, fronte alta, occhi castani, naso giusto, barba alla mefistofele e
di colore castana scura, mento tondo, bocca regolare, espressione fisionomica
satirica, abigliamento (sic) abituale, veste decente in nero.
«Riscuote nell’opinione pubblica
fama di fanatico stravagante. Di carattere volubile. Di educazione limitata, in
quanto che si appartiene a famiglia di esercenti miniere. Di corta
intelligenza. Di coltura scarsissima. Ha compiuto gli studi nel liceo ed il
corso di università in legge. Non possiede titoli accademici. E’ lavoratore
fiacco. Ritrae i mezzi di sostentamento dalla poca proprietà lasciata alla
famiglia dall’Avv. Tinebra Vincenzo. Frequenta la compagnia dei pochi affiliati
al partito socialista di questo Comune e
dei Comuni di Grotte ed Aragona. Mal si comporta nei suoi doveri con la
famiglia, di cui dovrebbe essere il sostegno, causa la morte del padre,
trascurandola completamente. Non gli sono state affidate cariche amministrative
e politiche. E’ iscritto al partito socialista rivoluzionario. Non ha
precedentemente appartenuto ad altro partito.
«Ha molta influenza nel partito
socialista locale, di cui è il capo e di cui fa il promotore. La sua influenza
è circoscritta al luogo dove risiede. E’ stato in corrispondenza epistolare con
i componenti il comitato centrale socialista di Palermo, con l’avv. Maniscalco
direttore della Giustizia Sociale, coi nominativi Rao Gaetano, Presidente del
disciolto fascio dei lavoratori di Canicattì, Di Napoli Rinaldo Presidente del
disciolto fascio di Grotte, coll’onorevole Colajanni e col presidente della
Federazione Regionale Socialista Lombarda. Non è stato, nè è in relazione
epistolare con individui del partito all’Estero. Presentemente è in relazione
epistolare col Direttore del periodico ‘La Riscossa’ di Palermo, il presidente
del Comitato Regionale della Federazione Socialista Ligure, coi sudetti Di
Napoli e Rao, col Direttore del periodico ‘La Lotta di classe’, e dicesi in
relazione epistolare con Bosco Garibaldi e l’on. De Felice.
«Non ha dimorato all’estero, nè vi
riportò condanne, e non ne fu esplulso. - Ha appertunuto al disciolto fascio
dei lavoratori di Racalmuto, con la carica di Presidente. Presentemente non
appartiene ad alcuna associazione sovversiva di mutuo soccorso o di altro
genere. Durante il 1893 ha collaborato ai periodici sovversivi ‘La Lotta di
Classe’ e ‘La Giustizia Sociale’. Di tanto in tanto spedisce corrispondenze
alla ‘Riscossa’, ed alla ‘Lotta di Classe’.
-------------
«Riceve i periodici ‘La lotta di
classe’ e ‘la Riscossa’ ed opuscoli editi a cura del Comitato Regionale della
Federazione socialista Ligure. Fa propaganda fra gli esercenti arti e mestieri,
con poco profitto. E’ capace tenere conferenze. Ne ha tenute nel 1893, nel
locale di questo disciolto fascio dei lavoratori, e nel domicilio di qualche
socialista di qui. - Verso le autorità tiene un contegno sprezzante. Non ha
preso parte a manifestazioni del partito cui è ascritto a mezzo della stampa
firmando cioè manifesti, programmetti. Ma ha preso parte in occasione della
dimostrazione organizzata in questa Stazione ferroviaria il 2 Novembre 1893, al
passaggio dell’on. Colajanni, nella quale circostanza il fanatismo dei
dimostranti raggiunse il colmo, intervenne la forza pubblica, fu percosso il
Deputato di P.S. del tempo, malmenati il Maresciallo ed i militi.
«Nelle elezioni ammimistrative di
Racalmuto del 1905 è stato eletto consigliere comunale. »
[Aggiunta in calce la posteriore data: Girgenti 14 gennaio 1908 - il
prefetto Mario Rebucci].
«Prefettura di Girgenti - Cenno
biografico del 20 ottobre 1913 - Andatura attempata. - Gode nell’opinione
pubblica fama di uomodi poco carattere e di nessuna serietà. D’intelligenza ed
educazione medie, è mordace ed aggressivo, quando scrive per i giornali, tanto
che ha un frasario tutto suo speciale, fatto di volgare turpiloquio, appunto
perché nelle lotte sia politiche che amministrative non sa fare a meno di
attaccare in modo triviale le persone degli avversari, invece di combattere le
idee. E’ laureato in legge, ma la sua cultura non va oltre gli studi fatti e le
molte pubblicazioni socialiste lette e ben poco ben assimilate. Di natura
fiacca, lavora lo stretto necessario, approfittando di quello che ricava dalla
poca proprietà immobiliare a lui lasciata da un suo avo. Tenace nelle lotte, ma
non nel carattere, egli varia di continuo e con molta leggerezza di relazioni
politiche e di amicizie personali, a seconda della convenienza e
dell’opportunità del momento, non si può dire quindi egli abbia in ciò una
direttiva sicura, per quanto inclini nella scelta verso gli elementi sovversivi
o politicamente esaltati. Si deve a tale sua malleabilità di carattere ed
azione se egli sia stato consigliere comunale ed anche assessore supplente.
Nella presente lotta politica, egli, transigendo con la sua condotta passata,
ha stretto relazione con persone, altra volta attaccate fino all’insulto, per
appoggiare la candidatura socialista dell’Avv. Marchesano. Nel biennio
1893-1894 - egli dette pensiero ed azione ai moti convulsionarii dei ‘fasci’ ed
ebbe perciò il suo quarto d’ora di influenza e di popolarità, fra gli elementi
sovversivi di allora; ma sopravvenuta la repressione egli ritornò quello di
prima, anzi fu lì lì per essere inviato a domicilio coatto, a termini dell’art.
3 della legge 19 luglio 1894. [..]
Successivamente egli si occupò dei suoi affari privati per cui fece dimora a
Delia ed a Casteltermini. Nel presente fa qualche pubblicazione sui giornali
della provincia a carattere sovversivo; fa come può, ma con scarso profitto,
propaganda fra gli operai ed è presidente della lega di miglioramento tra gli
zolfatai di Racalmuto.
«E’ capace di parlare al pubblico,
ma non di tenere conferenze vere e proprie, ciò quindi ha fatto sempre che se
ne sia presentata l’occasione; in lui però più che la facilità di parola è
comune il turpiloquio, che, in fondo, tradisce la sua origine volgare. Peò
passato tenne verso l’autorità un contegno altero e sprezzante; ora però si
mostra remissivo e rispettoso. Ma ha preso parte a vere e proprie pubbliche
manifestazioni di carattere del partito. Nel 1893 intervenne in manifestazioni
più o meno violente e, successivamente, in un pubblico spettacolo si lasciò
andare a qualche atto inconsulto. Mai fu sottoposto alla pregiudiziale ammonizione
e fu solo proposto, ma non assegnato, a domicilio coatto. Non ha subito
condanne, ma ha i seguenti precedenti penali. Il 1° settembre 1893 fu arrestato
in Milocca per istigazione a delinquere; a 7 maggio 1894 fu assolto dal
Tribunale di Girgenti dall’imputazione di violenza e resistenza ad agenti della
forza pubblica; a 19 maggio 1894 la camera di consiglio di Girgenti disse non
luogo per l’imputazione di tentativo di fare insorgere gli abitanti del regno
contro i poteri dello stato. Nello assieme il Vella, per quanto sempre
relativamente temibile, non è più il sovversivo di una volta e non è più da
ritenersi un socialista veramente combattivo, perché, in fondo, non riesce a
farsi pigliare sul serio da alcuno. L’età, il male cronico di cui è affetto e qualche
debito hanno fiaccato e piegato il suo carattere, naturalmente a ciò disposto,
ed oggi si aggioga al carro di taluni conservatori, liberali d’occasione, con
la stessa facilità con la quale si metterebbe loro contro, se gli tornasse
opportuno, data anche la sua venalità.»
-----
«Relazione Prefettura: Dall’elenco
allegato al n.° 16085 del 3.7.1911 risulta pericoloso. - Girgenti 1912: N.°
1128 del 23.4.1912 - E’ stato rieletto Consigliere Comunale di Racalmuto e
poscia nominato assessore. Non tiene più contegno sprezzante con le autorità e
si è mostrato favorevole al Governo per la guerra in Libia - Professa sempre
idee socialiste e viene pertanto vigilato.»
------
«Prefettura: 27 11.1925 - Professa
tuttora principi socialisti e non tralascia occasione per fare propaganda
antifascista. E’ attentamente sorvegliato. - Prefettura: 21.1.1929. - In data
2.12.1926 venne diffidato ai sensi dell’art. 166 legge P.S. In atto serba
regolare condotta morale e politica mantenendosi estraneo ad ogni
manifestazione contraria all’attuale Regime. Prefettura: 3.7.1931 - ..
socialista rivoluzionario. Continua a tenere buona condotta politica,
dedicandosi esclusivamente alla sua professione di avvocato. I suoi
atteggiamenti nei riguardi del Regime sono favorevoli e mostra in apparenza di
essersi ravveduto. Però non si ritiene opportuno, almeno per ora, di proporlo
per la radiazione dallo schedario dei sovversivi, e si continua a esercitare su
di lui assidua vigilanza. - Prefettura: 21.2.1933 - Risiede a Racalmuto, dove
esercita la professione di procuratore legale presso quella pretura. Non spiega
alcuna attività politica e tiene atteggiamento favorevole al Regime. Viene
sempre sorvegliato non avendo dato prove sicure di ravvedimento. - Prefettura:
22.12.1934 - Non ha dato luogo a rilievi in linea politica, e nei riguardi del
Regime si mostra apparentemente favorevole. Viene vigilato. - Prefettura:
25.9.1935 - Durante il terzo trimestre del corrente anno non ha dato luogo a
rilievi con la sua condotta politica. Viene vigilato.» (13)
* * *
Quanto a Vella Dante Nunziato fu Giuseppe, nato a Racalmuto il 3 marzo
1908, abbiamo fornito in precedenza i dati dello schedario centrale che lo
riguardano. Appartenente ad una famiglia
di anarchici di Grotte, i suoi legami con Racalmuto sono del tutto accidentali
e di mera anagrafe. La madre era una Pedalino Di Rosa, sorella di quello che è
stato un affermato notaio di Milano, e discreto verseggiatore in dialetto. Il
Pedalino, come si è detto, brigò tanto nel 1930 per farsi riconoscere i meriti
di essere stato tra i sansepolcristi del 1919. Il 27 dicembre 1937, il suo nome
però viene associato sia pure molto casualmente con quello dell’anarchico Dante
Nunziato Vella di cui è zio materno. Il prefetto G. Marzano esclude ogni
favoreggiamento, ma si dà il caso che da allora il Pedalino ha qualche screzio
col fascismo. Oggi, la figlia tiene a rivendicare un passato (inesistente)
antifascista del padre. Ciò ha sorpreso i redattori del locale foglio di
Racalmuto Malgrado tutto, che avevano
- ed a ragione - visto il Pedalino come un antesignano del fascismo.
* * *
La schedatura di Picone Chiodo Calogero (14)
fa emergere una figura che comunque la si giri difficilmente può venire
riportata nell’ambito dell’antifascismo. Trattasi, piuttosto, di un avventuriero
che opera ai margini della truffa. Certo, siamo in pieno contrasto con la
idealizzazione che la lettura locale (il citato libro del Messana e Malgrado tutto) hanno di recente
sfornato. Latrscrizione dei dati d’archivio chiarisce meglio l’assunto.
«Picone Chiodo Calogero fu Giuseppe
e fu Munisteri Pinò Ignazia, nato a Racalmuto il 17 aprile 1884, qui abitante
(Milano), avvocato - 1,68 circa. - Avuta da Agrigento il 14/7/1932 n.° 33032 -
1° gennaio 1930: Cartolina postale di
Picone Chiodo all’avv. Sincero Rugarli, corso Umbero I°, 26 Roma. Si parla di
libri e di abbonamenti a riviste. La questura di Roma definisce il Rugarli
‘noto socialista schedato’. Non sa nulla sul Picone Chiodo. - 27 febbraio 1930
- Consolato generale di Nizza - Riceve una lettera dall’avv. C. Picone Chiodo
Via Tritone 201: Roma 24 febbraio 1930: ‘Ricevo il suo pregiato invito a
presentarmi nella Regia Cancelleria per comunicazione che mi riguarda. Trovomi
in Italia nostra da circa 15 giorni. Sarei grato a V.S. se volesse farmi
conoscere l’oggetto dell’invito, non dovendo più venire a Nizza ..’
«Questura di Roma n. 023885 del 2 aprile 1930: C. Calogero Picone Chiodo
.. con recapito presso il notaio Schillaci Guido. - Regia Questura di Roma da
quella di Agrigento: Il 16.3.1904 dall’Amministrazione Comunale di Racalmuto il
Picone venne incaricato dello insegnamento nella quinta classe elementare e
tale incarico tenne sino alla fine del 1907. Laureatosi in legge, nell’ottobre
1907 si recò a New York per accompagnarvi una sorella, e a mezzo di un suo
parente, che colà risiedeva da parecchi anni, cercò fortuna facendo il
pubblicista, ma non ebbe successo, e l’anno successivo ritornò in patria
riprendendo, nel luglio del 1908, l’insegnamento elementare, che tenne sino al
febbraio del 1912. Durante la sua permanenza a Racalmuto, esercitò,
saltuariamente, anche la professione di avvocato. Nel 1912 si trasferì a
Milano, dove, il 26.2.1914, sposò certa Matilde Margherita Ochert da Monaco.
«In seguito a tale matrimonio, e
dopo breve permanenza a Monaco, ottenne la rappresentanza di alcune fabbriche
tedesche di colori. Durante la guerra fu prima soldato di artiglieria a
Messina, e poi Ufficiale presso il distretto militare di Agrigento, ove
disimpegnò la carica di aiutante maggiore. Ultimati gli obblighi militari
ritornò con la famiglia a Milano, occupandosi nuovamente di colori. Nei primi
del 1922, si trasferì a Rovato (Brescia) e nel novembre dello stesso anno
ritornò stabilmente a Milano, dove aprì uno studio legale in Via Col di Lana 3,
recandosi ad abitare al Viale Ticinese n.° 3.
«Nei primi del 1929 si recò a
Parigi allo scopo, come si disse, di pubblicare alcuni libri e di occuparsi di
studi spiritici. Già in Italia il Picone aveva pubblicato un libro di
sociologia criminale, un altro sul bolscevismo, un opuscoletto della biblioteca
Vallardi sulla cambiale, ed un libro di spiritismo intitolato ‘La verità
spiritualistica’.
«Ultimamente, da Roma, ha inviato
ai conoscenti un biglietto di partecipazione dell’apertura di uno studio
legale. Durante la sua permanenza a Racalmuto professò teorie socialiste, ma
senza accanimento. Si vuole che a Milano contasse numerose relazioni
nell’ambiente socialista. Il predetto risulta di temperamento nervoso,
eccitabile, ma oltremodo pavido.
«La Questura di Milano ha
comunicato che il Picone ha risieduto in quella città dal 1913 al 1928, epoca
in cui si recò all’estero, senza dar luogo a rilievi in linea politica e
mantenendo contegno indifferente nei riguardi del Regime.
«Questura di Roma: 8 luglio 1930 - L’avv.
Picone Chiodo Calogero è pertito ieri per Monaco di Baviera accompagnato dalla
moglie Ockert Matilde fu Adolfo e dai figli Giuseppe, Ignazio ed Isabella.
«27.5.1932- Viene riferito da fonte
fiduciaria che il segnalato Picone Chiodo Calogero, avvocato, residente a
Parigi al n.° 203 Bld. Voltaire, continua a svolgere attiva propaganda contro
il Regime, trattando e criticando violentemente questioni relative al Regime.
Benchè apparentemente voglia far credere di non interessarsi di politica, la
sua azione è notoriamente dannosa, perché svolta fra elementi intellettuali.
«1° luglio 1932 Prefetto di
Agrigento: Risulta di buona condotta morale ed a suo carico non risultano
precedenti e pendenze morali. Egli non ha in questi atti precedenti politici,
ma è notorio che nel suo Comune di origine professava idee socialiste. Il
Picone si allontanò da Racalmuto una prima volta nel 1914, e in un secondo
tempo nel 1923. Il 14.2.1914 contrasse matrimonio con certa Occhert Matilde.
«Ambasciata Parigi del 26.9.1932:
Si riscontra la nota di codesto Ministero, nella quale l’avv. Picone Chiodo è
qualificato ‘antifascista’. Tale appellativo non sembra in armonia con le
informazioni fornite dalla stessa Prefettura. L’attività svolta a Parigi per la
costituzione di una ‘Association Internationale pour la lutte contre le crîme’
lo ha portato a contatto di elementi francesi che nutrono sentimenti massonici
ed ostili al Regime, ma non avrebbe avuto, per quanto risulta, alcuna attività
antifascista.
«26.9.1932 minuta del Ministero
Interno: Il Picone, pertanto, è per lo meno politicamente sospetto, provenendo
le informazioni fiduciarie da fonti attendibili, e pertanto egli rimane
iscritto nel Casellario politico per quei provvedimenti che questo Ministero
crederà di adottare sia per la vigilanza all’estero, sia in caso di un suo
eventuale rientro nel Regno.
«13 ottobre 1932 Affari Esteri
all’Ambasciata a Parigi: Sono evidenti i suoi legami con noti esponenti della
massoneria. Provvedimento. ‘da perquisire, segnalare e vigilare’. 3 dicembre
1932: Detto socialista è scomparso da Parigi e sconoscesi dove possa trovarsi.
28 gennaio 1933 Prefettura di Agrigento: L’Ufficio di P.S. di frontiera di
Ventimiglia informa che il 26 gennaio ore 22 è entrato di transito nel Regno,
diretto a Monaco di Baviera. Avv. Picone Chiodo, iscritto nella rubrica di
frontiera, schedina n.° 35132, e
perquisizione ha avuto esito negativo. Idem 2.2.1933: Connazionale avv.
Picone Chiodo Calogero, munito passaporto n.° 053285 reg. 1385 rilasciato
Questura di Bolzano il 6.8.1928, accompagnato consorte ... è stato perquisito
con esito negativo.
«17.3.1933 Affari Esteri, Consolato
di Monaco: Ha chiamato il Ciodo per soddisfare il suo debito verso l’editore
Schmidt.. Rilascia una lettera a sua difesa [ove si parla di ‘compensazione
occulta’ fra debiti e crediti].
«Monaco 8.3.1933 lettera Picone: E’
tuttora pendente un conto che avrebbe dovuto essere definito negli anni
1927-28. Il Drenler .. si vanterà mio ceditore della somma di lire 2.000 ... mi
vanto ancora creditore di tutte le provvigioni sugli affari conclusi
direttamente dalla ditta con i clienti italiani durante circa sei anni (1920-26
=1927). Non ricordo esattamente Il signor Drenler .. non volle adempiere ..
complessivamente non volle liquidare circa lire 4.000 per gli affari da me
conclusi.
«23.3.1933 Consolato Monaco di
Baviera: L’avv. Picone si è sempre dimostrato un entusiasta del Regime e non ha
qui dato motivo a sospetti di antifascismo. Ha fatto anzi domanda per essere
iscritto al Fascio di Grasse di recente istituzione. Sarei grato a codesto R.
Ministero se volesse comunicarmi in base a quali elementi sono stati formulati
i sospetti di antifascismo.
«Minuta M.I. del 4.8.1933: [Accenno
ai fatti di Parigi, ma dopo:] ‘questo Ministero prende atto delle favorevoli
informazioni fornite dal N.R. Console di Nizza e con provvedimento di pari data
dispone la di lui radiazione dal casellario di frontiera e dal novero dei
sovversivi.
«8.4.1939: Revoca iscrizione.
«21.12.1940: Picone Chiodo qui
domiciliato [Roma] da molti anni in via Compagnoni, 10 non dà luogo a rilievi e
nei confronti del Regime mantiene atteggiamento indifferente. Risulta di
regolare condotta morale. Esercita la professione di avvocato penale, versa in
discrete condizioni economiche.
«28.8.1942: Non dà luogo a
rilievi.»
* * *
Lo schedato Edmondo Sacrdoti è un avvocato romano, palesemente ebreo, che
con Racalmuto ha in comune solo il fatto di esservi casualmente nato. Il padre
- ignoriamo il perché - era astretto alle locali carceri e la moglie, che lo
aveva seguito in questa sperduta cittadina dell’agrigentino diede alla luce
proprio qui a Racalmuto il piccolo Edmondo il 27 aprile 1888: questo dicono gli
atti dello stato civile che siamo andati a rintracciare. Il Sacerdoti non fu
poi un grosso antifascista: passa una notte in gattabuia, pensiamo per svista
della polizia. Lo stesso Mussolini si premura il giorno dopo di farlo mettere
in libertà. Ecco quanto annotato nello schedario (15):
«10 dicembre 1929 - Ministero
Interno - Polizia Politica: L’avv. Edmondo Sacerdoti, già iscritto nel partito
socialista e noto per le cariche che occupò nel partito stesso nella Capitale,
si è allontanato da qualsiasi movimento politico. [Scheda intestata a:]
Sacerdoti Edmondo di Cesare e fu Fogger Isabella, nato a Racalmuto (Agrigento)
il 27.4.1888. Avvocato residente a Roma - Socialista.»
__-__________
*
* *
L’ultimo inquisito - anche in ordine di
tempo - dalla polizia fascista ha poco a che fare con
l’antifascismo: sembra un piccolo Sindona
anzitempo che cerca di truffare ebrei romani con
promesse di trasferimenti all’estero di
capitali per il tramite delle organizzazioni finanziarie
del Vaticano. In combutta con un console
della M.V.S.N., il racalmutese Everardo Messana,
trasferitosi a Roma nel 1928, dopo essere
messo in congedo dall’Arma dei Carabinieri Reali,
incappa in due ordini di confino politico
per tre anni ciascuno nel 1934 e nel 1939 (16).
Questo il profilo ricavabile dai vari
rapporti di polizia. Ecco quello che
scrive la Regia
Questura di Roma in data 10 febbraio 1934:«Messana Everardo fu
Angelo e di Marchioni
[rectius: Mantione] Vincenza, nato a
Racalmuto (Agrigento) il 16.9.1902, abitante in Roma
Via Principe Eugenio n. 22 - Denunzia per il
confino di Polizia.«Questo Ufficio si è testè
interessato [...] della losca attività
affaristica svolta da alcuni individui nelle varie ambigue
categorie di tenutari di case di
prostituzione, di biscazzieri e di venditori di fumo. Tra questi è
emersa, in pieno, la figura del nominato
MESSANA Everardo. Prospettatasi la bbraio
1934:«Messana Everardo fu Angelo e di
Marchioni [rectius: Mantione] Vincenza, nato a
Racalmuto (Agrigento) il 16.9.1902, abitante
in Roma Via Principe Eugenio n. 22 - Denunzia
per il confino di Polizia.«Questo Ufficio si
è testè interessato [...] della losca attività affaristica
svolta da alcuni individui nelle varie
ambigue categorie di tenutari di case di prostituzione, di
biscazzieri e di venditori di fumo. Tra
questi è emersa, in pieno, la figura del nominato
MESSANA Everardo. Prospettatasi la
possibilità di giocare d’azzardo al noto circolo
Casanova della Capitale, il Messana si
assunse la garanzia del pacifico esercizio del giuoco,
a condizione che si fosse versato un premio
‘ai suoi amici della Direzione Generale di P.S.’
di L. 200.000 ridotte poi a 150.000. Tale
riduzione, però, com’egli fece comprendere
costituiva per lui un grande sacrificio, in
quanto ben poco avrebbe avuto di tale somma. Nel
settembre scorso, essendogli stato parlato
dell’eventualità dell’istituzione in Acqui di una
casa dell’Interno. Esso Messana ne parlò al
dott. Guido Albergo, già confinato da codesta
On. Commissione, che gli aveva detto di far
parte dell’O.V.R.A. e di avere forti addentellati
presso la Direzione Generale della P.S.
[..]«E’ agevole rilevare quanta speciosità vi sia nelle
dichiarazioni del Messana i cui rapporti
coll’Albergo costituiscono una riprova della sua
attività millantatrice, diffamando le
Utorità Statali e la Polizia in ispecie, con l’insinuare la
possibilità, se non la certezza, di poter corrompere
funzionari di ogni grado. [..]»Abbiamo,
poi, da un rapporto informativo della
Legione Territoriale de Carabinieri di Roma del 3 luglio
1939:«Messana Everardo fu Calogero e fu
Mantione Vincenza, nato a Racalmuto (Agrigento)
il 6 settembre 1902, vedovo senza prole. Dal
18 aprile [1939] è associato alle locali carceri
giudiziarie. E’ di razza ariana e professa
la religione cattolica. Ha prestato servizio militare
nell’Arma dei CC.RR. dal 24 gennaio 1922 al
23 gennaio 1928, data sotto la quale fu inviato
in congedo dalla legione territoriale di
Roma, col grado di brigadiere. Il 12 febbraio 1934,
dalla commissione provinciale di Roma, fu
assegnato al confino politico, per la durata di anni
3, per avere in Acqui promesso di far
ottenere licenza per casa da giuoco, vantando
inesistenti aderenze ed assicurando di
essere in grado di corrompere funzionari. Il 10
gennaio 1937, dopo aver scontata la pena,
rientrò dal confino. In conseguenza di tale
precedente, con Decreto del Ministero della
Guerra n. 21 in data 5 giugno 1935, venne
radiato dai ruoli dell’Arma ed assegnato
come soldato di fanteria in congedo del Distretto
Militare di Roma 1°. Il 19 agosto 1938, fu
denunziato
________________
dal Commissariato di P.S. Celio,
per tentata truffa in danno di varie persone, per aver assicurato loro di
essere in grado inviarli in A.O.I. in qualità di autisti mediante compenso, ma
il relativo processo non è stato ancora discusso. [...] Recentemente ha svolto
illecita attività in materia valutaria ed infatti il comando del Nucleo di
Polizia Tributaria Investigativa di Milano, in seguito ad indagini eseguite in
quella sede, venne a conoscenza che sulla piazza di Roma, venivano offerti
ingenti quantitativi di valuta estera provenienti dallo Stato Città del
Vaticano, contro versamenti in lire italiane ad un cambio molto superiore a
quello ufficiale. [...]
«Sangalli Massimo dichiarò di aver
conosciuto casualmente verso la fine dell’anno scorso, certo Angeli Giulio, il
quale gli aveva comunicato che lo Stato Vaticano era in possesso di forte
quantitativo di divisa estera appartenente all’obolo di S. Pietro, che
desiderva convertire in lire italiane, ad un cambio maggiorato di circa 70%
rispetto a quello ufficiale. L’operazione di cambio in argomento era, secondo
l’affermazione dell’Angeli, completamente legale, perché il cambio veniva
eseguito non in Italia ma nello Stato Vaticano, mentre il passaggio della
valuta tra il Vaticano e l’Italia era perfettamente libero. Secondo l’Angeli le
lire italiane ricevute dal Vaticano in dipendenza di tale attività, sarebbero
state versate, sempre da tale Stato a quello italiano, in conto spese di Spagna
ed altro. [...]
«Il Sangalli stava quindi, per
porre in relazione il supposto procuratore della ditta ‘Lagomarsino’ (che altro
non era che il sottoufficiale del Nucleo di P.T.I. di Milano) con certo Messana
Everardo, giunto in quel momento accompagnato dall’Angeli, il quale avrebbe
dovuto procurare la divisa estera, costituita da sterline per un controvalore
di un milione di lire al cambio di 160. [...]
«Successivamente interrogato, il
Messana confermò la dichiarazione del Carrara ma precisò che non intendeva
eseguire alcuna illecita operazione valutaria in quanto agiva per conto del
console della M.V.S.N. sig. Panphili Entico. [...]
«Da quanto sopra è esposto, risulta
provato che il Messana Everardo ha esplicato una attività rilevante, diretta a
concludere operazioni valutarie per l’importo di un milione di lire italiane,
dichiarando ai contraenti cio quali era entrato in rapporto, che la divisa
estera doveva essergli fornita dallo Stato Città Vaticano. [..]»
* * *
Le farragini della letteratura locale e le nostre ricerche
negli archivi (specie in quelli romani) forniscono un quadro che crediamo
interessante sullo squarcio di vita racalmutese agli esordi dell’avvento del
Regime: negare che almeno inizialmente vi sia stato qualche focolaio
antifascista evidentemente non si può. Ma esso fu pochissima cosa, riducibile
agli strascichi dell’attivismo di alcuni dirigenti locali del socialismo rivoluzionario.
Col 1926, però, tali rimasugli si dissolsero completamente. La statura morale
ed ideologica degli uomini del socialismo racalmutese non svetta di certo.
Qualche legame con il movimento comunista sembra esservi stato. Il Messana vi
si diffonde, ma con evidente enfasi di parte. Racalmuto, ancor prima degli anni
del consenso che secondo il De Felice abbracciano il periodo 1929-1936, fu
fascista in modo entusiastico e radicale, Dal 1927 senza dubbio. Sciascia
ironizza sulla frase ‘fascista sino al midollo’: ma nel nostro caso una qualche
rispondenza al vero quel motto di Mussolini ce l’ha. Grande merito di ciò è da
attribuire alla figura del primo podestà Enrico Macaluso, esaltato persino
dallo stesso Sciascia, bistrattato dal Messana che, però, alquanto
contraddittoriamente, finisce col fornire un quadro di positività, almeno per
quanto attiene alle doti di onestà amministrativa del Macaluso. E non è poco,
come l’attuale rivolta morale contro tangentopoli ampiamente dimostra.
Prodromi, avvento ed affermazione
del fascismo a Racalmuto.
Risulta alquanto singolare che il primo momento d’interesse per il
fascismo si consumi, a Racalmuto, nell’esclusivo e nobiliare circolo Unione.
Era il sedici gennaio 1921. Nel sodalizio reso celebre da Sciascia nelle sue
Parrocchie di Regalpetra si volle l’abbonamento al giornale di Mussolini
“Popolo d’Italia”. Quali movivi vi sottendessero non è dato di sapere. Il
verbale n. 4 recita testulamente:
«Abbonamento al giornale Popolo
d’Italia: Indi [il 16.1.1921] postoa in discussione l’abbonamento al giornale
“Popolo d’Italia”, esperitasi la votazione, riesce approvato a maggioranza di
voti. Previa lettura e conferma il verbale si sottoscrive. Il presidente:
Bartolotta; I soci: G. Grillo e S.Messana - Il Segretario: Sciascia.»
Non si raggiunge l’unanimità, come di solito. Si fa firmare il verbale,
inconsuetamente a due soci. Il presidente è Bartolotta, all’epoca potente
vicesindaco e notabile del luogo che l’opinione pubblica accreditava come
referente della mafia del territorio.
La verbalizzazione del Circolo Unione - diversamente, ad esempio, da
quella del Muotuo Soccorso - è estrememante succinta ed è del tutto rituale:
ciò conferisce maggior risalto a questa nota sull’abbonamento al giornale di
Mussolini agli albori del fascismo. Pensiamo che quell’atto da parte dei
‘galantuomini’ racalmutesi si debba alla svolta, notatasi anche in paese,
dell’opinione pubblica, in accentuata fase di disaffezione verso il movimento
socialista, in auge nel biennio precedente. Un riscontro lo troviamo nella
verbalizzazione del cennato Mutuo Soccorso di Racalmuto. Citiamo da un lavoro
dattiloscritto disponibile presso quel circolo (17
:
« Il 18 aprile 1920, il Mutuo
Soccorso aveva avuto anche un momento di
simpatie socialiste. Ciò, per merito del Vice Presidente Giuseppe SCIASCIA. In
una seduta consiliare,
sovraccarica di lavoro ed alquanto disordinata, inopinatamente il sig.
Sciascia Giuseppe di Giuseppe propone di abbonare il circolo all'«AVANTI!». Il Presidente
(ricopriva allora quella carica
il sig. Restivo Pantalone Salvatore, un benpensante con nessuna simpatia
socialista) «propone di respingere la
proposta avendo scopo di sovvertimento della Società». Le votazioni dànno, però, torto al
Restivo Pantalone: «su nove aventi diritto al voto, viene approvato
l'abbonamento con voti sei contro tre».
Non è comunque nelle intenzioni dello Sciascia stravincere o dare troppo peso
politico all'episodio. Questi fa verbalizzare che «tiene a dichiarare che, contrariamente all'allusione fatta dal
Presidente nel ritenere che
l'abbonamento al giornale Avanti sia fatto nell'esclusivo interesse di
sovvertimento della nostra società, ha creduto <invece> sottoporre
all'approvazione del Consiglio l'abbonamento in parola per scopo soltanto istruttivo e per allargare le cognizioni culturali
della società.» Ancor più contrario a quel vezzo socialista il controllo Vincenzo Tinebra. Ma questi non
può votare. Si attacca allora all'espediente di rimettere la decisione all'assemblea
«trattandosi di un giornale con scopi rivoluzionari e sovversivi». Ma il V.
Presidente si oppone perché «ciò non è
competenza dell'assemblea». Il consiglio è d'accordo col V. Presidente.
La faccenda ha un seguito: il Presidente Restivo Pantalone è uomo d'onore e,
quindi, si dimette dalla carica. Porta a scusa
di essere stato trattato «con poca cordialità dall'amministrazione». Tante
insistenze e la smentita per il tramite di una commissione non valsero a farlo
desistere da quelle dimissioni. Ciò agevola il Vice Giuseppe SCIASCIA, che
finisce col diventare il numero uno del
circolo. Segue il Restivo Pantalone nelle dimissioni anche il controllo
Vincenzo Tinebra, che peraltro gli era
'congiunto'. La vicepresidenza SCIASCIA dura, ad ogni buon conto, lo spazio di
un mattino. Non ci vien detto neppure perché: le sue dimissioni vengono
approvate all'unanimità il giorno 27 maggio 1920. In seconda convocazione,
annota il segretario Giuseppe Collura. Subentra nella presidenza Giovanni
FANTAUZZO. [...]
« L'anno 1921 si apre con una nuova
amministrazione, stavolta tutta conservatrice ed antisocialista. Vi sono tagli
persino dittatoriali. Ne è alfiere un personaggio insospettabile sotto tale
veste: IGNAZIO INFANTINO. Viene
strappata mezza pagina del libro dei verbali. La calligrafia si fa
rototondeggiante, linda, precisa. Lo stile è
curato. Col 31 gennaio 1921, inizia una nuova epoca al circolo. Contrassegna la restaurazione il
nuovo presidente Ignazio Infantino. La sua amministrazione era stata eletta sulla base di una lista che, per la prima
volta, viene propagandata su fogli
dattiloscritti. Il Vice Presidente è la
notoria figura di Baldassare Tinebra. Il vecchio e antisocialista presidente dimissionario
Salvatore Restivo Pantalone accetta, ora, di retrocedere al grado di
cassiere, pur di essere presente
nell'opera di recupero conservatore del Mutuo Soccorso. Tra i consiglieri
notiamo personalità come Casuccio Salvatore di Calogero o Rosina Salvatore. Calogero
Volpe e Vincenzo Tinebra gradiscono la carica di 'controlli'. A portabandiera
vengono chiamati Giuseppe Fantauzzo ed Angelo Collura. La
verbalizzazione della prima seduta del nuovo corso val la pena di riportarla pressoché integralmente.
«Il presidente, visto il numero legale degli intervenuti, dichiara aperta la
seduta e delibera quanto appresso:
«1° La Presidenza con l'accordo unanime degli intervenuti, ritenuto che
il voto a Vice Segretario era attribuito al
signor Scimè Chiodo Giuseppe di Carmelo, perché egli era il candidato
proposto dalla lista di opposizione a quella
ufficiale, lo proclama a Vice Segretario di questo Sodalizio ad
unanimità. - 2° Il consiglio Direttivo ad unanimità, compresi i controlli
aventi diritto di voto, ritenuto che il giornale L'AVANTI non risponde alle esigenze delle istituzioni
costituzionali, che reggono il nostro Sodalizio, propone la soppressione di
detto giornale L'AVANTI, ed ad unanimità si delibera la soppressione, dando
mandato al Presidente di sopprimere detto giornale, scrivendo al Direttore di
detto giornale, di non più spedire il detto giornale ad onta di essere
pagato anticipatamente.
[..]»
« Nei primi anni del fascismo, la
vita del circolo scorre tranquilla e piuttosto anonima. [..] Qualche segno dell'avvento del regime fascista
si ha nel 1926. Il giorno 11 dicembre si verbalizza l'approvazione dell'abbonamento al giornale IL POPOLO
D'ITALIA dismettendo la compera del giornale SICILIA NUOVA. Durante la
discussione il Consigliere Luigi VELLA si allontana, intuibilmente per dissenso. [...] Si ha la forza per rifiutare
l'abbonamento al giornale
L'Aquila, nonostante la richiesta promani dalla casa dei Balilla di
Agrigento (5 novembre 1929). Ma per il matrimonio del principe di Piemonte, «ad unanimità il
consiglio stanzia la somma di lire trecento» (2 gennaio 1930). Il 10 maggio
1930 (anno VIII) «il presidente mette a voti segreti col sistema delle fagiole,
per il prelevamento della somma per pagare le tessere agli iscritti del circolo
all'O.N.D. oppure pagare personalmente l'iscritto. Visto il risultato ad
unanimità di voti, approva il prelevamento della somma dal fondo di cassa e
l'iscrizione a corpo.» L'omologazione fascista si è dunque consumata.
Presidente è Salvatore Mattina fu
Gaetano. Segretario: Collura Alfonso. Era
arrivata una circolare mandata dal Podestà, con cui si esigeva
l'iscrizione del circolo all'Opera nazionale Dopolavoro. I tempi della libertà di associazione erano
definitivamente tramontati. L'assenso era d'obbligo. [..] Le cariche sociali cessano
di essere affidate a libere elezioni. «Ritenuto che la nuova amministrazione -
viene verbalizzato, con contorta prosa, il 9 dicembre 1932 - sarà approvata prima della fine del c.m. per
ordine del Commissario Comunale ddel'O.N.D. sig. Mattina prof. Giuseppe, ed in
esito alla circolare n. 8 dell'8 c.m.» al consiglio non rimane altro che procedere ad una commissione consultiva,
incaricata di segnalare nominativi graditi.»
Per avere un’altra testimonianza della propensione del Circolo Unione
verso il fascismo dobbiamo, invece, attendere (18)
il 1932. E’ di risalto per la nostra ricerca questo verbale:
«Nomina a Soci Onorari: L’anno
millenovecentotrentadue il giorno 26 del mese di giugno alle ore 20,30 nella
solita sala delle adunanze si è riunita l’assemblea generale straordinaria dei
Signori Soci per discutere e deliberare sul seguente:/ Ordine del giorno/ Nomina
a Soci Onorari./ Il Presidente/
constatato il numero legale dei Soci presenti in n. 35 dichiara aperta la
seduta ed invita l’assemblea a procedere alla nomina a Socio Onorario del
concittadino Sansepolcrista Comm. avv. Giuseppe Pedalino.
«Il Socio Rag. Sciascia Vincenzo a
questo punto domanda la parola, ed avutone l’assenso dal Presidente dichiara
non solo di aderire toto corde alla proposta per la nomina del Comm. Pedalino a
Socio onorario di questo Sodalizio, ma di nominare anche, con lui, gli altri
nostri illustri concittadini, Generale Egidio Macaluso, il gesuita Padre
Francesco Paolo Nalbone, e il gesuita oratore insigne, Padre Antonio Parisi.
«L’assemblea per acclamazione
approva la proposta del Presidente e del Rag. Vincenzo Sciascia e dà incarico
al Presidente di comunicare tale deliberato agli illustri nuovi Soci onorari.
Dopo di che l’Assemblea si scioglie. Previa lettura e conferma il verbale è
approvato e sottoscritto. Il Segretario: Vinci. - Il Presidente: Mendola».
Il Pedalino aveva nel 1930 brigato per farsi riconoscere
‘Sansepolcrista’. Nel 1929 v’era stata la celebrazione del decennale
dell’adunata del 23 marzo 1919 di piazza S. Sepolcro. I giornali avevano
pubblicato l’elenco dei sansepolcristi desunto dal numero del “Popolo d’Italia”
del 24 marzo 1919” ed il Pedalino non c’era. (Cfr., ad esempio, L’Impero -
quotidiano fascista della sera, Sabato 23 marzo 1929 - VII). (19 ) L’anno successivo, 56 milanesi - tra
i quali il nostro Giuseppe Pedalino - mostravano di avere vinto la loro piccola
battaglia per il riconoscimento ufficiale si sansepolcristi, come attesta
questo telegramma:
«A S.E. Mussolini roma - ricevuto
il 23 marzo 1930 ore 19,18 da Milano 89399 - Presenti alla seduta del 21 marzo
partecipanti all’adunata gloriosa del 23 marzo 1919 stop Esprimiamo cordiale
devoto ringraziamento pel Vostro pensiero benevolo verso di noi stop Avere
posto la vecchia guardia accanto autorità ci commuove ed esalta stop Noi
chiediamo di servirVi in ogni ora come nella primissima col giuramento con la
fede con l’opera con tutto noi stessi stop Pronti alla buona causa[seguono
firme: Giuseppe Pedalino è al quindicesimo posto].»
La retorica dei firmatari non era valsa ad impedire una poliziesca
attenzione sul loro conto. Viene annotato
con matita rossa:”tenere in evidenza tutti nomi”, e con matita nera:
“Fatte copie per i fasc. rispettivi di tutti i firmatari dell’accluso telegr.
- 27.3.1930 VIII”.
* * *
Un episodio del ocale consiglio comunale desta l’ilare ironia di Leonardo
Sciascia e la corrusca pedanteria di Eugenio Napoleone Messana: l’attribuzione
della cittadinanza onoraria nel 1923 a S. E. Benito Mussolini. Annotata
Sciasca: (20 )
«Dopo il declino dei Lascuda [vale
a dire dei Tulumello, n.d.r.] si formarono due fazioni guidate da
professionisti, dominavano i medici, ché allora diversa era la professione del
medico, a Regalpetra [alias Racalmuto, n.d.r.] dico; [...] Le due fazioni elettorali
non si distinguevano tra loro né per colore politico né per programmi; l’unica
distinzione stava nel fatto che una fazione lottava senza la mafia el’altra
alla mafia si appoggiava, le possibilità di vittoria stavano dalla parte dei
mafiosi, ma un risultato imprevisto poteva avvenire che scattasse, sicché i
mafiosi non giuocavano aperto pur gettando tutto il loro peso su una parte. I
socialisti, come si dice delle puntate a cavallo nel baccarà, quando il banco né tira né paga, non facevano giouco;
l’avvocato [Vincenzo Vella, n.d.r] che al tempo dei Fasci Siciliani aveva
coraggio e speranza, mugugnava amarezza e delusione.
«Questa arcadia da cui ogni tanto
scappava fuori l’ammazzato prosperò fino al 1923, degnamente chiuse la sua vita
con questa deliberazione del Consiglio Cominale:
«”L’anno millenoventoventitre nel
giorno quattordici del mese di dicembre alle ore diciotto. Il Consiglio
Comunale di Regalpetra [Racalmuto, n.d.r.] in seguito ad avvisi di seconda
convocazione, diramati e consegnati ai sensi degli articoli 119, 120 e 125
della legge, si è riunito in adunanza straordinaria nella solita sala
municipale con l’intervento dei signori ..., ed all’appello nominale risultarono assenti gli altri diciannove
consiglieri di cui uno morto, ed essendo in numero legale per validità della
deliberazione ... PROPOSTA -
Conferimento della cittadinanza onoraria a S.E. Benito Mussolini - Il
presidente rammenta all’onorevole consesso la viva lotta che molti Comuni
Siciliani, compreso il nostro, hanno sostenuto presso i passati governi per la
soluzione dell’annoso problema idrico. Finalmente, soggiunge, solo il Governo
Fascista ha saputo sollecitamente e pienamente accontentare i voti di quanti di
quel dono della natura vanno privi. Di fronte a sì alto beneficio, questo
Consiglio Comunale, interprete dei sentimenti di tutto il popolo di Regalpetra,
non potrà diversamente esprimere la sua riconoscenza e devozione al Governo
Fascista che conferendo la cittadinanza onoraria al suo Capo Supremo S.E.
Benito Mussolini - IL CONSIGLIO - a voti unanimie con entusiastiche
acclamazioni, ripetute dal pubblico assistente, ha conferito la cittadinanza
onoraria a S.E. Benito Mussolini.”
«Così sollecitamente e pienamente
il governo fascista risolse il problema idrico che i tubi che dovevano portare
l’acqua a Regalpetra giunsero a questo scalo ferroviario nel 1938, furono
ammucchiati dietro i magazzini, da principio se ne interessarono i ragazzi, per
giuoco vi si inconigliavano dentro, poi l’erba li coprì, restarono dimenticati
nell’erba alta. L’acqua arrivò nel 1950, fu festa grande per il paese. In
quanto agli undici consiglieri che avevano deliberato per la cittadinanza a
Mussolini, un paio restarono nella rete di Mori, gli altri non si iscrissero
mai al fascio, masticarono amaro per vent’anni. In compenso furono fascisti
quei diciotto (facevano diciannove col morto) che risultarono assenti, e si
erano evidentemente assentati per protesta, il giorno della deliberazione.
«Il sindaco quella proposta aveva
fatto per guardarsi le spalle, così si illudeva; dopo il telegramma che
annunciava a Mussolini la deliberata cittadinanza onoraria, un altro ne fece
che denunciava il prefetto come protettore della delinquenza, voleva dire della
delinquenza dei fascisti non di quella della mafia: come un fulmine giunse
l’ordine di scioglimento del Consiglio comunale, fu nominato commissario il
capo dei fascisti regalpetresi. [...]
«Dopo il 23, il diagramma degli
omicidi si avalla; poi Mori, con metodi già noti, ramazzò mafiosi e
favoreggiatori, ma non si creda riuscisse ad estirparli definitivamente,
soltanto nella nostalgia per il fascismo si può credere una simile cosa. Per
quel che io ricorso, e più indietro i miei ricordi non vanno, negli anni più
euforici del fascismo c’era a Regalpetra, nelle campagne intorno, un latitante
cui per comodo tutti i furti e gli incendi di case di campagna, che in quel
tempo furono numerosissimi, venivano attribuiti. Fu messa una taglia sul bandito
(che era un proveruomo che doveva
scontare una condanna per furto, e a costituirsi non si decideva; viveva con le
magre tassazioniche ai galantuomini imponeva); e per la taglia lo ammazzarono,
gli diedero alloggio e poi l’ammazzarono: e il fratello del bandito sparò poi, in piazza e a mezzogiorno,
all’uomo che quel servigio aveva reso alla società, nell’opinione dei
regalpetresi fece giusta vendetta. »
Il Messana (21)
spoglia del velo della fantasia l’episodio ed il contesto storico della pagina
sciasciana, e con il suo solito approccio politicamente fin troppo scoperto,
così ricostruisce la vicenda:
«Il Commendatore Bartolotta, ad un
certo punto, cominciò a sentirsi in pericolo personale e sentì bisogno di
difesa. Era lui il capo gruppo di maggioranza, l’uomo che aveva da tempo un
seguito nel paese e che era riuscito a conquistare il comune nel 1920. I
capipopolo erano il bersaglio preferito dei gregari del fascismo. Da ciò la
persecuzione a Racalmuto e lo sgomento del commendatore. C’era da cercare un
pretesto per allontanare l’occhio grifagno dei fascisti dalla compagine consiliare
del paese. L’occasione sembrò trovarsi allorchè Mussolini, già nelle sue
qualità di capo del Governo del regno d’Italia, s’interessò del problema idrico
della Sicilia. Prima del fascismo erano nati, noi l’abbiamo già visto per il
paese che trattiamo, molti consorzi fra comuni per l’approvvigionamento idrico
delle popolazioni. Tali consorzi però non avevano potuto iniziare la
costruzione degli acquedotti, se non tutti, parte di essi, per mancanza di
anticipazione di fondi della cassa Depositi e prestiti e per le remore
burocratiche nella approvazione dei progetti. A un certo punto Mussolini
promosse una legge che snelliva l’iter per lo sviluppo dei consorzi e ne
semplificava le operazioni di finanziamento e quindi di realizzazione delle
opere. Siccome Racalmuto era un paese già consorziato nelle ‘Tre Sorgenti’,
venne ad essere beneficiato da tale provvedimento legislativo. Il commendatore
Bartolotta, prese la palla al balzo e chiese al sindaco Scimè di conferire la
cittadinanza onoraria del paese a Benito Mussolini. Egli pensava che ciò
avrebbe fatto desistere il prefetto dal perseguitare il consiglio ed avrebbe
anche allontanato le insidie che si tendevano contro la sua persona. Il sindaco
Scimè convocò il consiglio per il 13 dicembre 1923 alle ore 18 con un solo
argomento all’ordine del giorno: Conferimento della cittadinanza onoraria a
S.E. Benito Mussolini per avere risolto l’annoso problema idrico della Sicilia.
«Malgrado le pressioni e le
preghiere di Bartolotta, il 13 dicembre di quell’anno la seduta rimase deserta.
non si potè in modo assoluto raggiungere il numero legale di consiglieri
presente. Il 14 dicembre alla stessa ora ebbe luogo la seconda convocazione.
Non c’era più bisogno delle presenze della metà più uno dei consiglieri in
carica per essere valida l’adunanza, per cui ai sensi degli articoli 119,120,
125 della legge comunale allora vigente, essa ebbe luogo. Il commendatore
Bartolotta aveva personalmente pregato tutti i consiglieri di essere presenti,
molti avevano promesso di accontentarlo, ma all’appello risultarono presenti
solo dieci e precisamente, lui, che venne il primo, il sindaco Nicolò Scimè,
Giovanni Macaluso, Nestore Falletti, Salvatore Falcone, Carmelo Licata, Enrico
Grisafi, Calogero Scimè, Calogero Bellavia e Luigi Messana. Nelle more per
l’inizio della discussione si sguinzagliarono alla caccia di consiglieri tutti
gli amici di Bartolotta, non trovarono nessuno, solo Messana Pio, che faceva la
siesta a casa nella sua poltrona. Invano tentò di evitare con pretesti di
recarsi al consiglio, l’insistenza fi tale che dovette andarci. Quando giunse
in aula la votazione era già avvenuta, ma invitato dal Sindaco dovette
associarsi, sicché Mussolini diventò cittadino onorario di Racalmuto con undici
voti su undici consiglieri presenti e contro diciannove assenti. Le cose sono
andate poi in modo alquanto strano: gli undici che votarono sì per la
cittadinanza onoraria a Mussolini non divennero mai fascisti, anzi molti di
essi rimasero i depositari dell’antifascismo locale, i protestatari, i nostalgici
della libertà e furono definiti borbonici, si estraniarono completamente dalla
vita pubblica, rimasero a maledire e ad attendere la caduta dell’avventuriero,
rinunziando a possibili sistemazioni, non pochi dei diciannove assenti invece
si accodarono e scesero in piazza in “giummo” e stivali.
«Il problema idrico Mussolini lo
risolvette solo a parole, l’acqua delle Tre Sorgenti, ripetiamo, giunse in
paese ben sette anni dopo la caduta del suo governo e cinque anni dopo la sua
fucilazione. Non avrebbe potuto impiegare certamente di più se il suo avvento
al potere non ci fosse mai stato. Egli si limitò a mandare a Sciacca a spese
dei vari comuni S.E. Teruzzi, ministro del suo governo, nel 1925, per mettere
la prima pietra dei costruendi acquedotti, in parata tanto solenne che solo a
Racalmuto costò L. 1000 di allora. Dopo, vennero le lungaggini, le difficoltà
senza possibilità di ricorrere o di parlare.
«Il commendatore Bartolotta,
rassicurato dagli applausi dei fascisti presenti in aula allorchè si proclamò
in consiglio l’esito della votazione per il conferimento della cittadinanza a
Mussolini, tentò anche di costituire lui un fascio di combattimento, sperando
di abbattere i fascisti locali.
«Nello stesso tempo indusse il
Sindaco Scimè a ricorrere al Ministero contro il prefetto per certe
irregolarità commesse in provincia. L’esito di tale azione fu drastico. Il
consiglio comunale fu sciolto appena tre settimane dopo il conferimento della
cittadinanza al Capo del Governo. Il 7 gennaio si insediò il commissario
prefettizio ragionere [sic] Angelo Zambuto. Il commendatore finì in carcere la
sua attività politica.»
Tra la versione dei fatti dello Sciascia e quella del Messana vi sono
piccole divergenze: certo Messana è più informato, ma la sua prosa e troppo
barcollante per effere più efficace. La realtà storica appare, però, più intricante di quella resa dai due
intellettuali antifascisti di Racalmuto. Gli archivi di Stato forniscono ai
volenterosi fonti informative puntuali e oltremodo precise. Le carte dell’archivio
centrale romano (22) , da
noi consultate, consentono questa ricostruzione:
«R. Prefettura di Girgenti -
Gabinetto n.° 1266 del 19. 12. 1923. -
L’amministrazione comunale di Racalmuto sorta dalle elezioni generali del 1920
con carattere prettamente demosociale, per mancanza di una vigile ed attiva
opposizione, si abbandonò ben presto alla inerzia più assoluta, sicura di poter
vivere tranquillamente per le condizioni della politica locale e per la
protezione che alla stessa veniva accordata dagli esponenti della democrazia in
Provincia. Sindaco del Comune fu eletto il Dr. Scimè, ma anima
dell’Amministrazione è stato sempre il Dr. Bartolotta Giuseppe, che ha assunto
la carica di assessore anziano, e che rappresenta in Provincia uno dei campioni
più forti e fedeli della democrazia sociale.
«Con l’avvento del Fascismo al
potere cominciarono a muoversi delle timidi e lievi lagnanze contro la detta
amministrazione, ma finora ho creduto opportuno di soprassedere dall’adottare
alcun provvedimento, stimando doveroso procedere prima alla liquidazione delle
amministrazioni a carattere socialista ed anticostituzionale, che non
funzionavano o funzionavano male. Esaurito questo compito, credetti di
rivolgere il mio pensiero al Comune di Racalmuto e disposi un’inchiesta a
carico [.... E’ emerso:]
«- Scarsissima attività del
Consiglio: 15 sedute nel 1921; 10 nel 1922 e 7 nell’anno in cors;
«Quasi abbandonato l’ufficio di
polizia rurale, lasciando piena libertà alla maffia di scorazzare ed agire
impunemente per le campagne, perché le guardie rurali sono adibite ad altro.
[...]
«A tutto questo è da aggiungere che
la parte migliore della cittadinanza ed il Fascio locale ha sempre
intensificato la campagna contro l’attuale Amministrazione della quale sono
pure noti i rapporti sia pure indiretti con la maffia, la quale viene se non
protetta apertamente, certo lasciata indisturbata a compiere le sue gesta.
Tant’è vero che le guardie campestri, anzichè prestare servizio in campagna
come dovrebbero, vengono adibite a servizi interni. Trattandosi di un
importante comune, sarebbe opportuno che venisse designata come R. Commissario
persona capace ed energica, estranea all’ambiente locale [..] Il Prefetto:
Reale.
«10 gennaio 1924: Appunto per S.E.
il Ministro: Comune di Racalmuto.- Proposta scioglimento Consiglio comunale;
popolazione 15.000 - motivi della proposta: ragioni d’ordine pubblico per il
pericoloso malcontento della popolazione contro gli amministratori. Numerose
irregolarità e deficienze accertate da una recente inchiesta. Non risultano
interessamentei.
«Il Prefetto della Provincia di
Girgenti, veduto il R.D. 24 gennaio 1924 col quale venne sciolto il Consiglio
Comunale di Racalmuto [...] Ritenuto che il Commissario non ha potuto
completare la sistemazione della Finanza comunale e dei pubblici servizi e che
la situazione dei partiti locali non consente d’altro lato, d’indire subito le
elezioni [..] decreta: il termine per la ricostituzione del Consiglio Comunale
di Racalmuto è prorogato di tre mesi. Girgenti 16 maggio 1924. Per il Prefetto:
F.to Giordano.
« 19 marzo 1924: Indennità al Commissario straordinario: L. 50 - Il Cav.
Enrico Sindico, ex colonnello nel R. Esercito, si è appositamente trasferito da
Spezia a Racalmuto [...]
«Gazzetta Ufficiale del Regno
d’Italia n. 73 del 26 marzo 1924.
«”Relazione di S.E. il Ministro
Segretario di Stato per gli affari dell’Interno, Presidente del Consiglio dei
Ministri, a S.M. il Re, in udienza del 24 gennaio 1924, sul decreto che
scioglie il Consiglio comunale di Racalmuto, in provincia di Girgenti, MAESTA’,
sul funzionamento dell’amministrazione comunale di Racalmuto, sorta dalle
elezioni generali del 1920, è stata recentemente eseguita un’inchiesta che ha
accertato numerose irregolarità. L’Ufficio comunale è disorganizzato, privo
d’inventario e con scritture contabili deficienti, la situazione finanziaria
non è esattamente accertabile, per la trascurata esecuzione delle verifiche di
cassa, e per il mancato esame dei conti, non è stato effettuato il passaggio
dei fondi dal cessato al nuovo tesoriere. Le tasse, applicate con criteri
partigiani, danno un gettito notevolmente inferiore alle previsioni del
bilancio, mentre le spese vengono erogate in eccedenza agli stanziamenti e
talora senz’alcuna autorizzazione; il dazio è concesso in appalto a condizioni
onerose, è stato omesso il reimpiego di somme provenienti da alienazione di
patrimonio; lavori e forniture sono state eseguite irregolarmente in economia
ed in esse hanno spesso avuto interesse gli stessi amministratori.
«Tra i pubblici servizi sono assai
trascurati la nettezza urbana, la pubblica illuminazione, la vigilanza
annonaria e la polizia rurale. La disordinata gestione della civica azienda ha
provocato nella popolazione un vivissimo malcontento e l’eccitazione degli
animi è tale da far temere turbamenti per la pubblica quiete.
«Anche ragioni di ordine pubblico,
oltre che la necessità di provvedere senza indugio al riordinamento
amministrativo e finanziario della civica azienda, rendono quindi
indispensabile lo scioglimento del Consiglio comunale con la conseguente nomina
di un Regio commissario, ed a ciò provvede lo schema di decreto che ho l’onore
di sottoporre all’Augusta firma della Maestà Vostra.
«Vitt. Emanuele III [..] visti gli
articoli 323 e 324 del t.u. della legge comunale e provinciale, approvato con
R. d. 4.2.1915 n. 148, nonchè il R.d. 24.9.1923, n. 2074: il consiglio è
sciolto [...] il sig. cav. Enrico Sindico è nominato Commissario straordinario
con i poteri del R. d. 24.9.1923, n. 2074. Dato a Roma il 24.3.1924. V.E. III
re d’Italia- Mussoluni.»
Il
colonnello Sindico non diede buona prova: nel dicembre di quell’anno veniva
destituito:
«26.12.1924, risposta a 26.11.1924.
- Prefettura diGirgenti n. 600 Gab. - [...] dimissioni presentate dal
Colonnello Enrico Sindico [..] la relazione non rappresenta nulla di notevole,
anzi [..] non ha provveduto alla formazione del bilancio [..] Giudizio:
mediocre.»
9
) La ricostruzione storica del periodo, farraginosa quanto zeppa di ingenuità
polemiche e di palesi sviste, non è in alcun modo accettabile, come abbiamo
puntualizzato in precedenza. Valga solo come testimonianza del becero
antifascismo dell’immediato dopoguerra a Racalmuto.
10 ) Eugenio Napoleone Messana - Racalmuto nella storia della
Sicilia - Canicattì 1969, pag. 368 e segg.
11
) Sulla figura di Arturo Bocchini, obiettivo ci appare il giudizio che risulta
dalle pagine di Renzo De Felice - Mussolini il fascista, l’organizzazione
dello Stato fascista (1925-1929) - Einaudi Tascabili 1995, pag. 464
e segg.
12
) Arturo Petix - Da Milocca a Milena - Milena 1984, pag. 101
13
) Archivio Centrale dello Stato - C.P.C. (Casellario Politico Centrale) - Busta 5344, n.° 016202
14 ) Archivio Centrale dello Stato - C.P.C. (Casellario Politico Centrale) - Busta 3951.
13
) Archivio Centrale dello Stato - C.P.C. (Casellario Politico Centrale) - Busta 5344, n.° 016202
14 ) Archivio Centrale dello Stato - C.P.C. (Casellario Politico Centrale) - Busta 3951.
15 ) Archivio Centrale dello Stato - C.P.C. (Casellario Politico Centrale) - Busta 4521.
16)
17 ) Cfr.:
Calogero Taverna - Il ‘Mutuo Soccorso’
fra storia e cronaca di Racalmuto - ds 1990.
18 ) Il Circolo Unione di Racalmuto ed i
suoi folkloristici soci del primo dopo-guerra passano alla storia (letteraria)
per l’ironica attenzione che vi rivolse Leonardo Sciascia. Abbiamo citato già
le Parrocchie di Regalpetra. Lo scrittore racalmutese non si limitò però a
quelle note. “Galleria” - la rivista di Caltanissetta che dirigeva - ospitò Paese con figure (Galleria, I -
1949, 1, pp. 21-24) e Arrivano i nostri
(Galleria, anno XIII, n.° 1 - gennaio-febbraio 1963, pag. 8 e segg.: “don Giuseppe Savatteri .. imbecille
detestabile”; “don Ignazio Grillo .. col
suo bastone .. vibrante come una bacchetta di rabdomante ad ogni sotterranea
malignità”; il signor Munisteri con una voce “che la mancanza di denti rende
come ovattata”; il barone Trupia che “muove le mani leggere come farfalle, a
foggiare nell’aria un gran corpo di donna”, sono i galantuomini del Circolo
Unione, appena appena velati da nomi di fantasia, ma non tali da non consentire
ai più anziani del paese di fornirne ancor oggi i veri dati anagrafici. La
beffa di Arrivano i nostri - una
manipolazione radiofonica per una falsa notia sulla conquista dell’Italia da
parte dei bolscevichi a fine anni ‘50 - è una vicenda realmente accaduta sempre
al Circolo dei galantuomini. Il Circolo Unione ha una storia di quasi due
secoli. Il suo statutorisale al 1839 come può leggersi nel Notamento dei Così detti Caffè e luoghi di riunione esistente nei vari
Comuni di questa Provincia .., Girgenti, 26 agosto 1839, in Archivio di
Stato di Palermo, Segreteria di Stato presso il Luogotenente generale, Polizia,
vol. 412 (Cfr. Carmelo Vetro - L’associazionismo borghese dell’800: le
case di compagnie, in Il Risorgimento
- rivista di storia del Risorgimento e di
storia contemporanea - Anno XLVI n. 2-3 - Milano 1994 - pag. 301)
19 ) Archivio Centrale dello Stato -
Segreteria particolare del Duce “Carteggio Riservato” - Busta n.° 36 -
fascicolo 242/r
20 ) Leonardo Sciascia - Le parrocchie di Regapetra - in Opere vol I Bompiani Editore, Milano, IV Edizione giugno 1990, pag. 29 e segg.
21 ) Eugenio Napoleone Messana - Racalmuto nella storia della
Sicilia - Canicattì 1969, pag. 364 e segg.
22 ) Archivio Centrale dello Stato -
Ministero Interno - Amministrazione Civile - Comuni - - Busta n.° 2069.
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