*
* *
Il sindaco “garibaldino” don Gaetano Savatteri viene
in malo modo invitato a dimettersi: l’ondata epurativa del ’62 lo coglie e lo
travolge in pieno. Ma più che altro, il Savatteri resta annientato dalla morte
della moglie. Una lapide a Santa Maria recitava:
Qui Dorme
nella pace del Signore
Donna Maria Grillo in Savatteri fù
Francesco Paolo nata a Racalmuto e quivi morì di anni 52 l’alba del 20 Marzo
1862, col maledetto aneurisma.
Pietosa, caritatevole, devota assai
prudente.
Obbediente figlia, consorte fedele,
amorosa madre.
Della famiglia l’angelo, la pace
l’allegria
Chè sua scomparsa eternamente cancellò:
allo sposo ai figli.
Deh! Adorabile madre accogliete questo
duraturo monumento che vostro figlio Calogero vi eregge di lagrime bagnato.
In segno di sentita devozione
Beneditelo.
Si dice che il Savatteri, preso da sconforto
esistenziale, finì in uno stato di misticismo misantropo: si ritirò nel
convento di Santa Maria per stare vico alla consorte ivi sepolta, e lì visse
come fratello laico, alla stregua di un monaco.
Tra i diversi figli andavano emergendo don Calogero
Savatteri, il notaio, e don Gioacchino il futuro sindaco.
Don Calogero Savatteri ebbe sempre manie mazziniane:
quando, nel 1873 - verso maggio - il neo Mutuo Soccorso si rivoltava contro i
fondatori, i Matrona, per subire l’ascendenza dei Tulumello, il Savatteri -
ormai in rotta con il fratello e con la consorteria del fratello che faceva
capo agli stessi Matrona - si butta a capofitto nella vita di quel circolo e
periodicamente vi legge sue dissertazioni che oggi destano semplicemente un
moto d’ironico compatimento. Ai malcapitati zolfatai toccava sorbirsi tutto
quell’eloquio pretenzioso ed incomprensibile. Quando il discorso scendeva a
terra, era davvero un’orgia d’ovvietà: «Non siate timidi e pigri - dovevano
sentirsi dire gli “egregi operai” [1] - a
lavarvi spesso tutto il coprpo. L’acqua è gran preservativo e tante volte
impedisce che malattie di pelle o diversamente invadino il corpo, specialmente
il corpo dell’operaio che deve sostenere il lavoro, bisogna tenerlo netto e
pulito più di ogni altro.» Già, perché «oggi è invece bello il vedere camminare
l’Uomo e la donna ritti, colla testa alta e con sobrietà.» «A tenere il corpo
robusto, sano ed anche agili e gagliarde le membra, influisce molto la nettezza
e pulitezza del corpo, lavandolo di tanto in tanto.» Ma a pag. 57 aveva
raggiunte vette speculative affermando: «l’istinto della propria conservazione
fa sentire all’uomo il bisogno, l’obbligo ed il dovere di cambiare spesso le
mutande.» Ed il Savatteri era davvero originale ribadendo l’opinione di
Melchiorre Gioia sull’igiene, giacché «tenendo nette e pulite le mutande, oltre
ad arrecare sollevamento all’anima dell’uomo, si concorre a dare vigore, forza
e salute al corpo e s’impedisce la spontanea generazione d’insetti nocivi alla
salute, togliendo il puzzo ed il fetore spiacevoli che tramandano gli abiti e
le mutande quando sono sporchi.»
C’è un punto del suo che ci aveva fatto pensare ad una
fede socialista del giovane virgulto della grande famiglia dei Savatteri: ed è
quando si sofferma sull’eguaglianza. Ma a pag. 66, alla fine, fuga ogni
malinteso: «L’eguaglianza politica e civile non dovete credere, egregi Operai,
che consista nella ripartizione eguale dei terreni, delle case e del denaro,
per come predicano certi utopisti dottrinarii sovvertitori dell’ordine sociale,
e nemici del progresso, che si vogliono dare il tuono d’innovatori; no affatto:
sono sicuro che simili fandonie e falsità non allignano nelle vostre menti.»
Gratta gratta, l’uguaglianza era un problema di ... vestiario. «Oggi nessuna
legge vi obbliga - si legge a pag. 58 - a conservare ancora che il civile deve vestire diverso dal mastro, il mastro differente dallo zolfataio,
e questo diverso dal contadino.
Continuando in tal guisa, malgrado i nostri sforzi ed i vostri lavori di emancipazione, e di
rialzamento, mantenete sempre vivo il germe della divisione delle classe e la
disuguaglianza tra gli uomini. ... Persuadetevi, egregi operai, che la foggia
del vestire influisce assai ad essere l’uomo avvicinato e rispettato. ... vi
esorto di abbandonare il taglio degli abiti a costume che l’odierna civiltà a [sic] sfatato e che
ancora si conserva nei nostri comuni... Incominciate per Dio! Forse v’incresce
o avete paura al pensare che i signoroni rideranno alle vostre spalle?
Lasciateli ridere e verrà tempo che vi seguiranno. » Mutande e scazzetta erano questi i corni del
dilemma savatteriano nelle affabulazioni al Mutuo Soccorso.
Quest’anno (1998) i padroni di quel sodalizio hanno
ritenuto di affiggere una lapide funerea nella sala d’aspetto. Disponiamo di
questi riferimenti giornalistici:
Trafiletto
del Giornale di Sicilia del gennaio
1998. Firmato Sapi cioè Salvatore Petrotto - l’attuale sindaco di Racalmuto.
Racalmuto, “Mutuo Soccorso” festeggia i suoi
primi 25 (sic) anni.
RACALMUTO. (sapi) Il sei gennaio nei locali
del circolo “Mutuo soccorso” di Racalmuto è stata inaugurata una lapide in
ricordo dei 125 anni dalla nascita della società. Dopo il saluto del vice
sindaco Pippo Di Falco e del presidente
Stefano Matteliano, è intervenuto Gigi Restivo, che ha letto alcuni passi dello
statuto ed ha illustrato la storia del circolo fondato da Giuseppe Romano,
Vincenzo Tinebra, Natale Viola, Federico Campanella, Calogero Savatteri e
Lorenzo Viviani nel 1873.
Niente di più falso. Avevamo cercato di mettere
sull’avviso con questo fax:
Racalmuto 5 gennaio 1998
Alla Presidenza del Mutuo
soccorso di Racalmuto
Nella nostra qualità, rispettivamente, di ex presidente del sodalizio e
socio esperto in microstoria del circolo, diffidiamo codesta Presidenza
dall’affiggere la fantasiosa lapide commemorativa nelle sale del Mutuo Soccorso
di Racalmuto, in quanto lesiva della verità storica già sunteggiata nella
conferenza del dott. Calogero Taverna del 5 luglio 1993 (pag. 1 e segg.) agli
atti della società, nonché dispregiativa dei nomi, fatti ed eventi di cui alla
copiosa documentazione dell’Archivio di Stato di Agrigento che l’allora
presidente sig. Carmelo Gueli ebbe cura di acquisire e debitamente conservare.
Ci si riferisce in particolare all’inventario n.° 18, fascicolo n.° 42
della prefettura di Girgenti del 16 giugno 1873 ed alla nota n.° 419 Gabinetto
del 13 giugno 1876, ove emergono tra l’altro le figure di
) Scibetta Salvatore;
) Rossello Giovanni;
) Marchese Giuseppe Primo;
) Lumia Gaetano;
) Grillo Giuseppe;
) Farrauto Angelo;
) Giardina Pietro;
) Bellavia Elia;
) Licata Nicolò;
) Scimé Salvatore;
) Ferrauto Vincenzo;
) Giancani Luigi;
) Palumbo Angelo;
) Palumbo Antonino.
Con invito alla debita informazione ai soci.
..................................
( Carmelo Gueli, ex presidente)
...................................
(Calogero Taverna, socio del Mutuo Soccorso)
Ovviamente abbiamo ricevuto una beffarda
disattenzione. In cambio, anche di un sussidio straordinario, la presidenza del
Mutuo Soccorso poteva vantare un’encomiastica celebrazione su Malgrado Tutto. Ma la storia vera della
fondazione del Mutuo Soccorso resta incagliata nell’astioso rapporto di S.P.
(Pubblica Sicurezza), che abbiamo prima riportato e così rubricato: [2]
DELEGAZIONE DI PUBBLICA SICUREZZA IN RACALMUTO - N. 157 - Riscontro alla Nota N. 419 Gabinetto,
del 13 Giugno 1876 - OGGETTO: Intorno al reclamo della Società di mutuo
soccorso degli operai, in Racalmuto. - Ill.mo Signore Signor Prefetto della Provincia di Girgenti. Racalmuto
addì 14 giugno 1876.
La faccenda partiva da lontano, da un esposto del
Mutuo Soccorso che metteva in ambasce la prefettura:
R. PREFETTURA DI GIRGENTI
n. 419 sub 1\6\75
Esposto dei soci del Mutuo
Soccorso di Racalmuto, del 31 maggio 1875
Al Signor Prefetto della Provincia di
Girgenti
Signore
I sottoscritti
componenti il Consiglio direttivo della Società del Mutuo Soccorso degli Operai
di Racalmuto, rassegnano alla S.V. Ill.ma quanto siegue.
La detta Società
tende ad affratellare la classe lavoratrice pel miglioramento morale e materiale della classe stessa;
fondata sin dal Gennaro 1873 con l'ausilio dei Signori fratelli Gaspare e Napoleone Matrona, il primo
attualmente Sindaco di questa Comune, ed il secondo fu quegli che il giorno
dell'impianto della società pubblicò gli articolati dello statuto per
approvarsi, e diresse il tutto.
La Società, dopo
un poco elasso di tempo, eleggeva a socii onorari i predetti Signori Matrona, i
quali ne significarono con lettera la loro accettazione. Le relazioni tra il
Signor Sindaco e la Società divennero or mai più strette, tanto vero, che in
tutte le feste Nazionali e religiose, ove assisteva il Municipio, la Società
era sempre invitata per assistere parimenti a quelle solennità.
Lo mentre la
Società era ligia ai voleri del Sindaco e volentieri obbediva a tutti gli
inviti dello stesso; la Società era progressista e tendente all'ordine; onesti
e liberali erano tutti coloro che la componevano; se ne encomiava la condotta;
si plaudivano tutte le sue operazioni, tutto era armonia e serenità.. Quando,
giorni sono, l'inaspettato scoppio di un fulmine in ciel sereno, venne a
spezzare le relazioni tra il Sindaco e la Società, a disturbare l'armonia che
li univa e ad abbuiare lo splendore che rischiarava il tanto bene che si operava
dalla stessa. La si fu l'arrivo di un numero del Giornale intitolato Don Bucefalo, che conteneva un articolo
a carico del ridetto Sindaco, che la Società dietro di aver udito la lettura in
pubblica assemblea ( per come suole usarsi di tutti i giornali diretti alla
Società) l'assemblea medesima non sen incaricò e passò a trattare delle
faccende proprie.
Il Sindaco non
si acquetò a codesto diportamento indifferente della Società, volea tirare
bracia alla sua pasta con le mani attrici, e fece sentire a certi socii a lui
dipendenti, che proponessero ed invogliassero la Società a rispondere in
contrario a quanto diceva il giornale. I Socii che si ebbero questo incarico
fecero noto all'assemblea, che era piacere del Sindaco, che la Società si
incaricasse dell'articolo in di lui carico e che si accingesse a smentirlo; al
che la Società peritosa sul da fare, adottò la norma che la stessa siegue tutte
le volte che un socio viene accusato nella condotta; e cioè d'invitare il Socio
accusato per legitimarsi in faccia della Società infra un termine, sotto pena
di venire cancellato, e così fece. Deliberò che il Sig.r Gaspare Matrona come
socio venisse a legitimarsi infra sessanta giorni del carico che l'articolo gli
addebita.= Cotesto deliberato fece montare nelle furie il detto Signor Matrona,
e concepì in cuor suo il disegno di vendicarsi a qualunque costo e di fare
sciogliere la Società. Ed in effetti non indugiò tanto a far vedere i preludii;
la sera del 28 spirante Maggio, quando il consiglio era riunito, il Signor Napoleone
Matrona si portò nell'ufficio della Società, ed appena giunto si fece lecito
bistrattare con ingiuriose parole pronunziate con indicibile acrimonia contra
gli assembrati, tanto che quei buoni operai riuniti rimasero di sasso; chiese
conto dell'operato alla Società in riguardo all'articolo di cui è parola, e
letto una proposta fatta da un socio in proposito, che invitava l'assemblea a
prendere in considerazione quell'articolo a carico del Socio Gaspare Matrona,
disse altre obbrobriose parole per la società, ed invitando il consiglio a
cancellarlo di socio unitamente al di lui fratello Sig.r Gaspare, si appartò.=
Poco dopo di questa scena, si videro presentare il Delegato di sicurezza
pubblica accompagnato da due reali carabinieri, chiedendo la consegna del pezzo
di carta ove era scritta la predetta proposta. Gli assembrati gliela esibirono
immantinenti, ed il delegato se la portò con se.
Le diatribe e
garralità che si sparsero, l'indomani, contro la Società, sono indicibili
Onorevole Sig.r Prefetto. Essa viene dipinta come una associazione
d'internazionalisti, come una banda di briganti; composta da gente di galera e
simili, tanto che han messo in allarme le famiglie dei socii; ognuno crede
arrivata l'ora di venire arrestato; di essere mandato in esilio o a domicilio
coatto; insomma si crede essere in quei tempi del medio evo, che fece esclamare
dal divino Alighieri.
O
fortunati! E ciascuna era certa
della
sua sepoltura.
Ecco Signor
Prefetto, perché i supplicanti si rivolgono alla di Lei giustizia, onde non
dare credito a tutto quanto Le potranno esporre avverso detta Società; mentre
il fatto genuino è quanto si espone, e potrà informarsi da onesti cittadini del
Paese.
Racalmuto lì 31
maggio 1875.
Falletta
Calogero - Romano Calogero
Salvatore Scimè
- Lumia Gaetano
Agrò Rosario -
Rossello Giovanni
Giuseppe Romano.
E’ facile vedervi la prosa tra l’aulico e
l’incespicare del giovane barone Tulumello. Il prefetto aveva il suo bel da
fare (o da dire) per riportare entro limiti di normalità il contesto accusatorio.
Da Roma si esigevano spiegazioni ed era il ministro dell’interno a reclamare
informazioni e chiarimenti. C’era di mezzo nientemeno Garibaldi.
PREFETTURA DI GIRGENTI
REGNO D'ITALIA
MINISTERO dell'INTERNO
SEGRETARIATO
GENERALE
DIV. 2^ SEZ.
Gabinetto
N. 3296
oggetto:
Circolare della Società di mutuo soccorso di Racalmuto.
Signor Prefetto di Girgenti
/ n. 418 gab. 10/7/75 al Sig. Delegato S.P.
di Racalmuto/
Roma, addi 7
Luglio 1875
Dalla Società di
mutuo soccorso di Racalmuto è stata diramata la circolare di cui trasmetto
copia alla S.a V.a per le necessarie disposizioni di vigilanza, e per quei
provvedimenti che riterrete opportuno di
adottare.
p IL MINISTRO.
(firma
illeggibile)
/nella stessa lettera del Ministro, viene aggiunto di
pugno del prefetto per il delegato di S.P. di Racalmuto questo codicillo:
"Vorrà poi
manifestarmi il motivo per cui ha omesso di informarmi della diramazione di
tale circolare, e della trasmissione di una copia della medesima"./
In allegato la
copia che così recita:
Società Mutuo soccorso degli Operai di
Racalmuto - provincia di Girgenti.
CIRCOLARE
Soci Onorari
Maurizio Quadrio
SAFFI Aurelio
Campanella Federico
Presidente Onorario
GARIBALDI
----------------
RECALMUTO
PREFETTURA DI GIRGENTI - N. 419 LUGLIO -
Girgenti 13\5\76 - riservata minuta Oggetto: Reclamo della Società degli Operai di
Racalmuto.
Girgenti 13
maggio 1876
Signor
Delegato di P.S.
Racalmuto.
La Presidenza
della Società di mutuo soccorso degli Operai di Racalmuto ha diretto a S.E. il
Ministro dello Interno l'unito memoriale contenente addebiti contro codesto
Municipio e specialmente contro il Sindaco il quale, si dice, osteggi ed
attraversi in tutti i modi quella Società.
Io trasmetto il
reclamo a V. S. affinché assuma le più accurate informazioni sulla verità dei
fatti esposti e me ne riferisca categoricamente e imparzialmente il risultato
insieme alla restituzione del comunicato dovendo farlo obietto di un rapporto
al Ministro.
IL PREFETTO
(firma
illeggibile)
R. PREFETTURA DI GIRGENTI - Div.
Gabinetto - n. 419 - Urgente - Oggetto:
Sollecitazioni per affari in ritardo - Al Signor Delegato P.S. di RACALMUTO
Girgenti 9
giugno 1876
Prego la S.V.
trasmettere con tutta sollecitudine al mio foglio del 13 n. ° 1° maggio numero
pari alla presente insieme al quale trasmettere un ricorso del Presidente di
codesta Società di mutuo soccorso rivolto al Ministero Interni. IL PREFETTO.
DELEGAZIONE DI PUBBLICA SICUREZZA IN
RACALMUTO - N. 157 - Riscontro alla
Nota N. 419 Gabinetto, del 9 Giugno 1876 - OGGETTO: Intorno al ricorso della
Società di mutuo soccorso degli operai, in Racalmuto.
Ill.mo Signore
Signor Prefetto della Provincia di Girgenti.
Racalmuto addì
11 giugno 1876.
In riscontro
alla riverita nota a margine citata, colla quale mi si sollecitano le
informazioni sul ricorso in oggetto indicato, mi faccio un dovere significare
alla S.V. Ill.ma, che non più tardi di giovedì prossimo, 15 corrente mese, Le
farò pervenire le suddette informazioni col ritorno del ricorso di cui si
tratta, non potendolo far prima mancandomi ancora qualche notizia. - IL
DELEGATO (A. COPPETELLI).
A S. E. il Ministro dell'interno Roma
OGGETTO:
Ricorso della Societa' Operaja di Racalmuto contro quel Municipio.
Anche a questa
Prefettura la Società Operaja di Racalmuto fece pervenire in addietro vari
ricorsi contro quel Municipio lagnandosi di essere da esso osteggiata.
Però non si è
potuto prendere dei provvedimenti perché le querimonie furono sempre generiche
non imputando ai reggitori di quel comune fatti pei quali potesse l'Autorità
legittimamente intervenire.
E' una verità
che il Sindaco Cav. Gaspare Matrona, la sua famiglia influentissima e i suoi
amici e partitanti vedano di cattivo occhio quella Società, mentre nel 1873
contribuirono invece a darle vita e sostegno; ma la ragione non istà
minimamente nel proposito di osteggiare le idee liberali né precludere la via
alle libere associazioni, ma sibbene trova la sua spiegazione naturale nel
fatto che la Società stessa ha disertato dal partito dei Matrona per militare
sotto le bandiere del loro antagonista Barone Luigi Tulumello il quale se ne
vale come di strumento per creare imbarazzo all'attuale Amministrazione alla
quale vorrebbe subentrare.
Messi così in
chiaro i rapporti esistenti fra la Società ed il Comune si ha la spiegazione
del movente del generico ricorso che si restituisce.
IL PREFETTO.
*
* *
Se si è prestato anche un minimo di attenzione alle
carte che abbiamo riportato, non si può restare colpiti dalla figura di questo
gesuita racalmutese - zio del celebra papa nero - dal prestigioso nome (è un
Nalbone), che viene a trescare politicamente contro i Matrona.
Sulla figura di codesto gesuita si è soffermato il
compaesano padre Angelo Sferrazza Papa, S.J. trattandolo - ovviamente - con i
guanti gialli. [3] Per converso, il Messana - che con i Nalbone
ha anche motivi di astio familiare - infieririsce, impietosamente, con
sarcasmo. Noi abbiamo legami di stima e di deferenza verso il padre Angelo
Sferrazza Papa da un lato, e consuetudini di amicizia e di passioni storiche
per la nostra Racalmuto con il discendente prof. Giuseppe Nalbone, dall’altro
per poterci avventurare in una rigorosa ricostruzione di un siffatto
personaggio che ad dir poco la tempra del martire non ce l’ha: notare quel
sussiegoso rimettersi alla volontà del prefetto per poi sobillare i clericali
locali in una improba compezione elettorale contro i Matrona.
Vi è poi un fatto ancora più clamoroso. I clericali
locali, sobillati dal gesuita Nalbone e dai non meno nostalgici preti
racalmutesi alla Giudice, furro molto agguerriti contro il clan Matrona. Nel
pieno della lotta ricorsero a tutti i mezzi anche a quelle laide delle lettere
anonime. Una di queste fu certamente concepita e redatta dal gesuita Nalbone.
Riportiamola; è uno spaccato della Racalmuto di allora: [4]
«Signori Presidenti e componenti la
Commissione d'inchiesta - Canicattì.
«Uno solo è il tema del giorno, il
sindaco di Racalmuto. E' una anomalia quello, un anacronismo , un controsenso
che per adempiere ad un'opera eminentemente patriottica, bisogna ad ogni costo
scalzare. Avanti adunque, dietro vi sta l'abisso.
«Avvezzo l'integerrimo ad un
arbitrio il più sconfinato ed a vederci tacere e soffrire non comprendeva che
quando si è all'orlo del precipizio ed una calamità ci minaccia; quando le
prepotenze, gli arbitrii, le vendette ed i balzelli han raggiunto il
favoloso e l'ingiusto; quando il denaro del popolo trovasi impudicamente scialacquato e le
centinaia di migliaia spariscono come lampi; quando un comune floridissimo
batte alle porte della bancarotta; quando la libertà è un mito e le votazioni
avvengono nel modo, simile alla fiera proposta dell'assassino, il quale
appuntando il coltello alla gola ti dice o la borsa o la vita, l'uomo libero,
indipendente ed onesto non deve restarsene indifferente, né temere le basse
calunnie. I nemici dell'ordine gridano e s'impongono, quando gli onesti
tacciono e tremano; quindi è che generosi cittadini sorsero per protestare ed
opporsi a che le iniquità finiscano, ed il denaro del pubblico cessi una volta
di essere il patrimonio di una .. casta.
«Alcuni lodarono l'attuale stendardo
tenutosi da undici anni dall'integerrimo Sindaco Matrona triste avanzo
della più efferata tirannide, ma quello è lo stendardo che si è imposto con la
minaccia, colle violenze e colle vendette. E' lo stendardo che ha partorito il
medio Evo in permanenza, prepotenze, vessazioni ed angherie di ogni sorta con
una franchezza tale da mostrare che giustizia non esiste, e si vive senza
governo. E' lo stendardo che pospone la pubblica istruzione allo spirito di
parte, si rimossero abilissimi professori Farrauto, Capitano, Chiodo, Zambuto,
perchè ebbero il coraggio di seguire
l'impulso della propria coscienza, e
negare il voto ai suoi affiliati; fu l'ill.mo che al professore
provetto e direttore di quelle scuole Sig. Cappadoro in un giorno di Venerdì
Santo ed innanzi ad un pubblico ebbe l'ardire d'insultarlo ed opprimerlo
dicendo che non lo schiaffeggiava per
non lordarsi le mani. Imbecille di professore! dovevi conoscere che il
funzionario, il quale si fa superiore alla legge e la calpesta è un ingiusto
aggressore. E' lo stendardo sotto il quale i delitti si sono aumentati e di
giorno in giorno aumentano; pascoli abusivi, furti campestri, grassazioni dentro
e fuori dell'abitato, omicidi anche nella pubblica piazza. Signori dello
stendardo siate sinceri e veridici, per come ogni cittadino deve esserlo, e
diteci: a chi il popolo ne addebita la colpa? quali cause ne adduce? quali
rimedii propone? E' lo stendardo che di precipizio in precipizio ha rovinato la
ricchezza pubblica e la privata ancora.
E' lo stendardo che ha oberato di pesi civici un comune di speciale
floridezza, sino a condurlo alla disperazione, dando tasse esorbitantemente
aumentate che di anno in anno si aumentano e sempre insufficienti. E' lo
stendardo che ha imposto un'imposizione grave, insostenibile, estrema.
«Ma vorrà porsi un argine a tanto
torrente? Non lo sperammo quando 22 civili notabili tutti presentatisi in massa
a reclamare, nulla ottennero sin'ora. Quando una dimostrazione seria,
preconcetta, imponente, feroce di diciotto ammoniti, chiamati uno per uno e
guidati dalla guardia campestre Vinci e fratello, servitore del Sindaco ed ai
quali si fan passeggiare e fermare, dinanzi il nuovo casino, strisciando i
piedi e provocando ad una guerra civile, si vela sotto l'aspetto d'ubriachezza.
«Quando, mentre i Racalmutesi lavorano
pesantemente, come una mandria d'Iloti, o pagano una enorme tassa di sangue per
la strada da giorni aperta Racalmuto-Montedoro, un'altra se ne intende aprire,
Racalmuto-Favara, capricciosa, vessatoria ed ingiusta, e tuttoché legalmente
dichiarata non necessaria, né di pubblica utilità, come dall'Ufficio
prefettizio 30 aprile 1870, si ritorna su di essa e si approva, favorendo
l'interesse dell'Ill.mo alla di cui casa di campagna trovasi
esclusivamente destinata. Quando, tuttoché si è giustificato che il Consiglio
Comunale in Racalmuto non si radunava che sempre in seconda convocazione, ed i
tre fratelli Matrona dispongono di vistoso patrimonio di quel Comune, pure non
si è riparato. Quando nella relazione del valente professor Ragusa, il quale palesa che in
Racalmuto non osservò che scuro , non si vuol vedere una dimostrazione
di popolo tutto ufficialmente invitato che non prese parte in odio al Sindaco.
Quando .... basta, l'animo si commuove, e minaccia di trasmodare la lingua:
infreniamola per ora a prudenza.
«Or allora che questi, quando ci parlano
tutti nell'anima, si ha mille ragioni di credere che quel Sindaco sarà
confermato. Ebbene Sigg.ri della Commissione in questo caso altro non resterà
all' Ill.mo che sulle orme dell'amabil suo fratel cugino Giuseppe Geraci
Matrona Sindaco di Castrofilippo, il quale si suicidò in prigione, chiamarci
uno per uno in segreteria e trucidarci.
«Persuadetevi, Signori, finché
l'ammonizione ed il domicilio coatto non saranno a lui applicati, Racalmuto
avvilito e depauperato non avrà pace giammai.»
Chi fosse quel Francesco Nalbone non è dato sapere.
Non si può escludere un errore di trascrizione. Di certo non era un parente
stretto de gesuita, stando almeno alle accurate ricerche genealogiche del prof.
Giuseppe Nalbone. Il gesuita era nato a Racalmuto nel 1818 da Angelo Benedetto
Giovanni Nalbone e da Stefania Salvo: aveva quattro sorelle ed un fratello,
Luigi (1812-1883), sposato con Raffaella Mattina, da cui il filone dei notabili
in atto rappresentati in modo egregio dal medico Giuseppe.
Noi restiamo convinti che quella tremenda missiva sia
stata concepita dal gesuita ed il fatto che si sia nascosto dietro le brume
della firma ambigua non depone a favore del primo dei due gesuiti di casa
Nalbone. Quella lettera ci torna comunque a fagiolo perché ci dà una
testimonianza preziosissima sugli sviluppi del circolo unione. Siamo nel 1875;
infuria lo scontro tra il clan del giovane barone Luigi Tulumello e quello,
saldissimo, dei Matrona. I Matrona sono davvero arroganti, sperperatori del
pubblico denaro delle casse comunali per faraoniche opere pubbliche, vessatori
e tassaioli, mafiosi e massonicamente
corazzati. Si beffano di tutti gli avversari: professori e preti,
gesuiti e notabili avversari. Sia chiaro: il Nalbone anche allora era
espressione di un casato racalmutese potente. Quello che certi denigratori
dell’attuali circolo unione vanno dicendo è falso. Con il sacerdote Benedetto
Nalbone (1709-1793) un ramo di quella famiglia risalente agli albori anagrafici
della nostra Racalmuto del 1554 aveva fatto un salto sociale cospicuo,
inarrestabile. Il prete (figlio di Giuseppe - 1671-1736 - e di Anna Maria
Vassallo e nipote di tal Benedetto) aveva raggiunto una cospicua posizione
economica, consentendo al fratello Giovanni Vito (1710-1755) di sposare una
Baeri, Vincenza. Il nipote Francesco Paolo (1758-1833) diviene notaio e sposa
la potentissima Gesuela Busuito. Alle fortune di famiglia si associano ora
quelle del ricco prete don Francesco Busuito
[5], ultimo
officiale del Santo Officio di Racalmuto. Siamo al pronipote, anche lui notaio,
don Angelo Benedetto Giovanni che muore giovane ed è solo per questo che il
ramo dei Nalbone flette un po’ nella gerarchia dei valori nobiliari
racalmutesi. Ma il figlio Luigi è già in ripresa; nient’affatto codino, se ne
impipa delle scomuniche e vince l’asta per l’acquisto di “2 seminativi” in
contrada Sacramento espoliati alla chiesa e cioè alla compagnia Renda di
Grotte. [6] t. Vanta
il fratello gesuita che abbiamo detto. Sarà comunque il figlio Giuseppe -
fratello del papa nero il gesuita Francesco di Paola Nalbone - ad entrare
prepotentemente nell’alta burocrazia del comune e conseguire cospicue
possidenze immobiliari. Il figlio Luigi (1890-1950) può già considerarsi un
facoltosissimo erede che si afferma a Palermo.
La famiglia Nalbone contrasta, dunque, i Matrona ed è
affiancata con il barone Luigi Tulumello. Questi ha una partita aperta con i
Matrona che s’accende di acrimonia ogni giorno di più. Un contorno di “civili”
il Tulumello ce l’ha: il barone stringe attorno a sé i fedelissimi di rango;
devono lasciare il circolo di conversazione che pur frequentavano dalla giovane
età e tutti insieme devono fondare e frequentare un nuovo circolo, un “nuovo
casino” come dice il gesuita.
I Matrona evidentemente dominavano il tradizionale
circolo dei galantuomini: considerarono la secessione un grave sgarbo personale
e se lo legarono a dito. Sappiamo dal gesuita Nalbone che i padroni di
Racalmuto - che se mafiosi se furono, contigui alla mafia lo furono di certo -
mandano «diciotto ammoniti, chiamati uno per uno e guidati dalla guardia
campestre Vinci e fratello, servitori del Sindaco» e costoro «si fan
passeggiare e fermare, dinanzi il nuovo casino, strisciando i piedi e
provocando ad una guerra civile». I galantuomini dissidenti restano sgomenti,
in 22 vanno dal sindaco Matrona, invocano giustizia. Raccomandano l’anima al
diavolo, si direbbe. Il sindaco don Gasparino finge indignazione, fa fare
accertamenti, ma alla fine conclude che si trattava di volgari ma innocui
ubriaconi: una bazzecola senza importanza, tutti innocenti, una chiassata di
ubriachi da non prendere neppure in considerazione. L’arroganza del potere nei
Matrona in generale e in don Gasparino in particolar modo. Avranno gioito i
soci del vecchio circolo unione, rimasti fedeli a don Gasparino.
* * *
Ma in fin dei
conti la strusciata dei piedi dinanzi a nuovo casino dei galantuomini
dissidenti è stata poca cosa: ben più gravi furono le conseguenze di quella
missiva del gesuita. Proprio nel 1875 vi fu una inchiesta parlamentare sulle
condizioni sociali ed economiche della Sicilia che è rimasta celebre negli
annali del nuovo Stato italiano. Da Racalmuto giungono echi allarmanti:
l’ordine pubblico è dubbio; le elezioni sono sospette; il sindaco è circondato
da bagarioti in odore di mafia, etc. Il gesuita Nalbone infiamma gli animino
dei codini e questi sono diventati tanti; si annidano persino in casa Matrona
con un prete don Calogero - un favorito del vescovo, un beneficiario delle
terre del Crocifisso ... per una simoniaca concessione - che se ne infischia
del liberalismo dei fratelli minori e milita tra i borbonici. Un guazzabuglio
che appare a Roma inestricabile. Una sezione della Giunta viene allora inviata
sul luogo, ad indagare. Abbiamo il resoconto che dovrebbe essere stenografico,
ma che sa di postuma e compiacente rielaborazione. Don Gasparino ed i suoi
hanno modo di fare una gran bella figura: gli avversari ridotti a voce
meschinella e patetica, in pratica floscia ed insignificante.
Di quella prolissa inchiesta sono stati pubblicati gli
atti; a dire il vero una sintesi poca esauriente. Sciascia la lesse: lì c’erano
elogi sperticati di don Gasparino Matrona e dei suoi fratelli; traspare una
sospetta intesa massonica; restano oscurati gli intrecci negativi che
coinvolgono la potente satrapia racalmutese. Sciascia non lesse la lettera che
abbiamo riportato e finisce con l’essere fazioso quando, nel 1982, si prese la
briga di prefazionare il libro del Tinebra. Lì [cfr. pag. 11] ebbe a dire: «A
loro, ai Matrona, si devono scuole, uffici comunali, strade selciate,
fognature, macello, fontanelle rionali, teatro. [...] E non solo i Matrona si
occuparono di sanare e abbellire urbanisticamente il paese, di dargli splendido
teatro e di farlo attivamente funzionare, ma anche della sicurezza sociale.
Dall’inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia, del
1875-76, citiamo i passi che, nella deposizione del prefetto di Girgenti Rossi,
riguardano Racalmuto ... e della
deposizione del colonnello comandante la zona militare di Girgenti ..» Il
prefetto, invero, si guarda bene dall’esaltare i Matrona; questi invece vengono
osannati da quel colonnello, che non ha davvero il senso della misura. «Ci sono
esempi - dichiara - che dove hanno voluto estirpare il malandrinaggio ci sono
riusciti, e ne abbiamo uno bello, lodevole, nel circondario di Girgenti. A
Racalmuto ci sono cinque fratelli di cognome Matrona, possidenti di una certa
istruzione. Racalmuto era un paese tristissimo dove tutti i giorni succedevano
reati di sangue, furti e grassazioni. Questi cinque fratelli si sono messi
d'ac’ordo e hanno detto - non vogliamo più questi delitti -; montavano a
cavallo armati sino ai denti ed in pochissimo tempo hanno reso quel paese il
modello non solo della Sicilia ma del continente. Sulla strada per andare a
Canicattì o a Caltanissetta troveranno un bel palazzo dove ci sono scuole,
locale per i carabinieri, telegrafo, teatro; insomma hanno fatto di quel paese
qualcosa di buono, e sono cinque fratelli che lo hanno voluto ...» Certo
Leonardo Sciascia - che delle cose di mafia se ne intendeva, avendo tra l’altro
scritto Il Giorno della civetta
- avrebbe dovuto diffidare delle parole
di quel colonnello che non trova nulla di male nel fatto di privati, armati
fino ai denti, che se ne vanno a cavallo a sterminare malviventi e malandrini,
come vigilantes all’americana. Le
carte ufficiali - quelli dell’archivio di Stato di Agrigento e quelle comunali
- testimoniano invero su tali arditezze dei Matrona; non c’è da rimanerne
ammirati. Tutt’altro!
Il 20 dicembre 1875 era partita da Racalmuto questa
lettera anonima:
«Racalmuto che in questi ultimi tempi dà lo spettacolo
di un anormale stato, stava ansante aspettando una visita dalle Signorie loro
ill.me per dare una forma di esistenza che fosse conforme a giustizia, alla
riparazione e alla concordia secondo le promesse potenti inaugurate dal nostro
Augusto Sovrano
«E’ però lo allarme si rincrudelisce nel venire a
conoscenza che le loro Signorie hanno preso altra rotta, lasciando Racalmuto.
[...] Sotto la vernice di un lusinghiero quadro, esistono piaghe cancerrose
(sic) per Racalmuto che solo la loro sennata Autorità potrebbe sanare. Si
chiede quindi che fossero chiamati cittadini di qualunque gradazione; meno
fratelli Matrona, Cammillo sic Picataggi, Alfonso Farrauto, Giuseppe Grillo
Cavallaro, Carlo Lupi, fratelli Salvatore e Michiele (sic) Mantia, Arciprete,
Michiele (sic) Alaimo , Gioacchino Savatteri, ed impiegati tutti comunali, i
quali hanno saputo collidersi e colludersi chi più chi meno; e formano i
gaudenti dell’azienda Comunale.»
Sappiamo così da chi era formato il clan dei Matrona.
Sorprende che anche l’arciprete Tirone si fosse accodato ai potenti cinque
fratelli; Gioacchino Savatteri lascia il fratello Calogero con le sue manie
mazziniane e si accoda ai liberal-massoni Matrona. Per ripicca il fratello
Calogero accetta la tessera del Mutuo Soccorso, omai in mano ai Tulumello, e
finge lì di essere un socialista ed un mazziniano, come abbiamo visto sopra. Un
anno dopo la morte, il Mutuo Soccorso ne commemora l’anniversario, in pompa
magna. Ora è divenuto sindaco Gioacchino Savatteri, ma questi rifiuta lo
stendardo comunale nelle celebrazioni del fratello: è scandalo. Il Tulumello
stila una lettera di fuoco. Sarebbe stato scandalo aggiunto a scandalo: chissà
chi riesce a bloccare quella rovente accusa. Oggi gli eredi di Calogero
Savatteri detengono quella lettera non firmata.
All’archivio
di stato di Agrigento permane il carteggio sull’eroicomico gesto dei Matrona su
cui in definitiva quel colonnello citato da Sciascia poggia i grandi meriti di
lotta alla mafia di quella celebrata famiglia. Siamo nel novembre del 1873.
L’intera corte familiari di quegli ottimati se ne sta ancora in “campagna”, in
quella villa cioè esaltata da Sciascia per almeno due volte: nella citata
prefazione al libro del Tinebra e nella recente pubblicazione - a spese della
comunità comunale provinciale e regionale - “gli amici della Noce”. Nella
prefazione (pag. 13) abbiamo questa ammaliata descrizione «Mentre scrivo, nella
mia casa di campagna di contrada Noce, ho di fronte - da una collina all’altra
- la settecentesca casa di villeggiatura dei Matrona, grande ed armoniosa .. E
ancora negli anni della mia infanzia era luogo di meraviglia, di delizia.
C’erano palme e magnolie, siepi di rose e d’oleandro, alberi qui rari come i
corbezzoli, i giuggioli; e giganteschi pini di fitta ombra e odorosi. C’era
pure una grotta che nelle pareti e nella volta era stata rivestita di
cristallini, splendenti schisti di zolfo e di salgemma, di stalattiti. C’erano
le due fontane: una rettangolare, ad abbeverarvi i cavalli; l’altra rotonda, grande, in mezzo
una colonna con sopra un vaso traboccante di capelvenere - e il fresco suono
dell’acqua.» E la suggestione si accende di erotismo - insolito in Sciascia -
ne “Gli amici della Noce” [pag. 7]: «E delle villeggiature di quella grande
famiglia è rimosto favoloso ricordo: delle feste; delle colazioni sull’erba in
cui tra i lini e gli argenti, nel profumo delle magnolie, e luminose e
profumate come magnolie, donne di mai più vista bellezza splendevano; delle
carrozze dorate e stemmate; dei cavalli, dei cavalieri, dei lacché, degli
stallieri, dei cuochi.» E l’Autore squarcia il suo usuale velo pudico [pag.
11]: «Dal punto in cui ho l’abitudine di sedere ogni sera, - confida - alla
stessa ora, vedo un paesaggio in tutto simile a quello che fa da sfondo
all’Amor sacro e all’Amor profano del Tiziano: e la sera trascorre in esso come
una delle tizianesche donne serene e opulente. Poi di colpo, come un ventaglio,
quella visione si chiude: ed è la notte col suo pergolato di stelle e con la
luna così vicina che sembra la si possa colpire e far vibrare come un gong.»
Ma una cronaca meno ammaliante, anzi prosaicamente
meschina, la possediamo e riguarda proprio quella grande famiglia. Citiamola,
senza orpelli: «!3 dicembre 1873. Sin dal giorno 23 novembre ultimo scorso, la
contrada della Noce veniva turbata dalla presenza di più malfattori. Il fatto
che quattro persone armate, eransi rivolte giorni prima per la casina dei
ricchi borgesi fratelli Brucculeri, che scamparono dalla rete dandosi alla
fuga, e ricoverandosi nella casina del nominato Rosina Francesco, erasi
pubblicato nel nostro comune, ed ogni cittadino si asteneva di portarsi in
quelle campagne.
« ... il giorno 4 Dicembre, sei persone armate si
presentarono nel fondo di proprietà dei sopradetti Sig.ri Matrona, e
stabilendosi alla distanza di 100 metri dalla casina inviarono il giovane Luigi
Mansella, uno dei famoli della casina Matrona a domandare il pane. Il sig.
Matrona Gaspare, ben comprende la sfida, conoscendo essere quella la formola
dei briganti che si presentano pel bottino. Comprese il pericolo nel quale si
trovava l’intiera famiglia, mentre d’unità allo stesso e sua moglie, trovavasi
anco il fratello Michele con una figlia a 13 anni, ed una bimba di anni 3, e
l’altro fratello scapolo Napoleone [...] Chiamati a sé i due fratelli, il
nominato Vinci Calogero suo affezionato sovraintendente, il castaldo Gagliardi
Nicolò, Denaro Giuseppe, e lo stesso Mansella Luigi, ed uniti partono dalla
casina, lasciando a guardia delle tremanti donne i tre contadini Mansella
Giovanni, Letterio Gagliardi e Casa Tommaso. [Viene descritta qui prolissamente la caccia ai briganti, n.d.r.] [E sia come sia, accorre in aiuto] il
comandante dei militi a cavallo sig. Leone Giuseppe. [In tal modo riescono ad arrestare 4 banditi: due però riescono a
scappare, ma non vanno lontano visto visto che il fratello Napoleone con
Tommasa Casa] valse a disarmarli ed arrestarli.
«E la giunta, compresa della valorosa azione, sul riguardo:
«1° che il sig. Matrona Gaspare di anni 34, ammogliato
senza prole, colla qualità di Sindaco, e in ottimo e sicuro stato di fortuna;
«2° che il sig. Michele Matrona di anni 36, ammogliato
e padre di sette figli nello stato di fortuna come sopra;
«3° che il sig. Napoleone Matrona, scapolo di 31 anni
...
«tutti figli di Pietro di Racalmuto, arrischiarono
evidentemente la propria vita, per arrestare n.° 6 malfattori, che infestarono
la contrada Noce [...] determina di venire accordata, a ciascuno degli stessi,
una medaglia d’oro del valore di L. 100; sopra un lato sarà effigiato lo stemma
di Racalmuto con intorno il motto AL VALORE CIVILE, e nell’altro lato scolpito
il nome del benemerito, col motto ARRESTO BANDA ARMATA 4 dicembre 1873.
CONTRADA NOCE.
« ... Questa Amministrazione accorda le seguenti
ricompense pecuniarie:
«1° L. 70 a Danaro Giuseppe da Bagaria, contadino:
«2° L. 70 a Casa Tommaso da Bagaria, contadino;
«3° L. 70 a Mansella Luigi da Racalmuto, contadino;
«4° L. 40 a Letterio Gagliardi da Bagaria, contadino;
«5° L. 40 a Mansella Giovanni da Racalmuto.»
Quella storiella che puzza di ipocrisia e di peculato
per retribuzioni improprie dei propri scherani a spese del Comune - altro che
un don Gasparino che ci rimetteva di tasca sua! - ha convinto solo il
colonnello di Sciascia, che ancora un paio d’anni dopo la ammanniva ai
commissari dell’inchiesta parlamentare. Già il prefetto si era proprio
indispettito per tutte quelle manfrine dei Matrona che cercavano di fare
apparire atti eroici mere espressioni della loro prepotenza, del loro contorno
di bagarioti, di quel sovrastante a nome Vinci che abbiamo visto ben
tratteggiato nella lettera anonima che
racconta della strusciata di piedi avverso il nuovo casino del barone
Tulumello. Va notato che il prefetto stizzosamente boccia quella impudente
delibera della giunta comunale di Racalmuto con queste eloquenti parole: «le
insegne e medaglie dei quali possono fregiarsi i cittadini sono quelle concesse
dal governo.» (nota del 25 marzo 1875). Più che un sindaco repressore della mafia,
don Gasparino emerge dai vecchi
documenti come un uomo al top della cupola cui non si può impunemente far torto
alcuno. Un incidente come quello del 1873 - in effetti dei poveracci affamati e
latitanti pietivano un po’ di pane e non c’era nessun messaggio occulto - si
ripeté qualche tempo dopo. Riferisce il procuratore del re [7] alla
Commissione d’inchiesta del 1875: «Quando poi ci inoltriamo verso Palma, naro,
Favara, Castrofilippo, Racalmuto questi reati pigliano proporzioni più serie.
Vi è la banda Sajeva, capitanata dal Sajeva, che va commettendo grassazioni in
un punto e in un altro. [....] Molte volte sono gli stessi contadini che noi
vediamo lavorando che hanno commesso delle grassazioni, come accadde a pochi
passi dal Comune di Grotte, dove si presentarono alla vettura pubblica dove vi
erano sei o sette signori fra cui il sindaco di Racalmuto, hanno intimato al
cocchiere di scendere, hanno fatto uscire tutti dalla vettura, li hanno fatto
mettere bocconi per terra, e li hanno depredati di 700 o 800 lire, e poi
tranquillamente hanno imposto di andare avanti. Fuvvi chi disse che erano quei
lavoranti delle campagne, accorse la forza pubblica ... si sono già fatti sette
arresti.» Noi siamo certi che quell’affronto do Gasparino non lo subì passivamente: poi gli amici degli
amici di Grotte furono sicuramente solerti nel recuperare il maltolto e nel
punire gli insolenti.
Eugenio Napoleone Messana ha pagine piene di spunti
storici pregevoli su questo periodo: egli tratteggia la figura di Gaspare
Matrona (pag. 265-273) con qualche faziosità plaudente - forse per compiacere
Sciascia, che però gli fu ingrato - ma tutto sommato con sufficiente
attendibilità e con dovizia di documenti inediti.
Un quadro disarmante viene però dal testo delle
deposizioni che don Gasparino Matrona ed altri furono costretti a fare al
distaccamento della giunta d’inchiesta. Le lettere anonime sortino il loro buon
effetto e così il 21 dicembre del 1875 un senatore, un consigliere di stato, un
deputato e tanto di segretario ufficiale si insediano nel comune per indagare
sui massimi esponenti della politica locale e della pubblica amministrazione
sedente in Racalmuto. Trascriviamo dal
fascicolo 11, sott. 8 [8]gli «Appunti degli interrogatori tenuti dalla
sottocommissione nella città di Racalmuto nel giorno 21 Dicembre 1875 - Sezione
della Giunta Comm. Verga Sen. ff. da presidente, Alasia, Consigliere di Stato,
Cav. Luigi Gravina Deputato - Testimoni uditi:
1) Gaspare
Matrona - Sindaco
2) Enrico
Micali-Freri Pretore
3) Delegato di
Pubblica Sicurezza
4) Bonfanti
Antonio Maresciallo Carab.
5) Dr. Diego
Scibetti Troise
6) Carlo Lupi
7) Giuseppe
Grillo.»
Il fascicolo n.° 66 contiene la seguente trascrizione
stenografica:
«Racalmuto 21
Dicembre 1875.
Comm. Verga
Comm. Alasia
Deputato Gravina
------
Gaspare
Matrona - Sindaco di Racalmuto.
= S.P.?
“Ottime le
condizioni di S.P. qui si è dato sempre il buon esempio a reprimere i birbanti.
Le autorità hanno coadiuvato.
= Ammonizioni?
“Molti e bene
ammonimenti. Si è visto tornare dal domicilio coatto Caloggero [sic] Morello di
Canicattì. E’ ritornato prima che finisse la pena. La voce pubblica dice che la
prefettura l’ha fatto tornare prima per servirsene.
= Sono
sorvegliati gli ammoniti?
“Non abbiamo che
i Carabinieri ed a questi è affidato il servizio.
= Le autorità
disimpegnano il loro ufficio?
“Sì, succede
qualche cosa ma non è scossa la S.P.
= Ma la S.P.
anche in campagna?
“ Parlare di
Racalmuto nelle campagne non ci può essere sicurezza. C’è ancora il Sajeva di
Favara, un altro di Girgenti e qualche altro. Per Racalmuto non c’è che la
classe dei solfatari che è a tenersi in guardia. Però la cittadinanza ha sempre
dato braccio forte alle Autorità.
= Attriti ce ne
sono?
“ Da qualche
tempo in qua c’èstato qualcosa, per quistione municipale. La reale causa è la
presenza di un Gesuita Padre Nalbone il quale ha suscitato degli attriti; si è
messo a capo di un partito elettorale.
= Ci è partito
clericale?
“E sì, ci è.
= Le Autorità si
sono immischiate?
“ No ... Io come
sindaco non mi sono immischiato, ma quando si è trattato di questione
elettorale ho dovuto prendere parte ... Qui i carabinieri hanno poco da fare,
qui li chiamano Canonici.
=
L’amministrazione comunale?
“E’ in buone
condizioni, debiti non ne abbiamo. Non abbiamo altra imposta che il dazio di
consumo.
= Scuole?
Le scuole
elementari, e le scuole facoltative le abbiamo avute nel passato e le scuole
serali.
= Asili?
“ Niente.
= La
sovrimposta?
“ La sovrimposta
l’abbiamo per la costruzione delle vie.
= Opere Pie?
“ L?antico monte
frumentario, oggi tradotto in Monte di pegnorazione. Vi sono poi le congreghe
che sono ricche, ho fatto di tutto per farle tradurre in opere di beneficenza,
ma non ci sono riuscito.
= Amm.ne
Giustizia?
“ Non ho che
osservare. E’ in regola mentreché è importantissima questa Pretura.
= E l’affare
fanciulli nelle zolfare?
“E’ questione
grave, ci è l’umanità da una parte e l’interesse economico dall’altro.
= Produce danni
fisici e morali?
“ Non quanto si
crede. Per le zolfare credo che ci vorrebbe una specie di consorzio. Qui la
proprietà è divisa. Tutti siamo nella commodità generale. Per togliere l’acqua
occorrerebbe potersi avvalere della costruzione di acquedotto dei terreni
sottostanti; una specie di servitù di acquedotto o meglio consorzio.
= Ferrovie?
“ Insiste per la
linea Caldaje dicendo essere utile all’industria per lo zolfo e le saline. Dice
che la strada di Racalmuto è stata dichiarata comunale. Si sono fatte due
strade intercomunali.
= Pel servizio
delle imposte?
Ci sono sempre
reclami, ci è deèerimento sempre e variazioni continuee nelle miniere.
= Ricchezza
Mobile, ci è vessazione?
“ Si lamenta la
lungheria nella via dei reclami, a me non consta che ci siano lagnanze per
arbitrio dell’Agente. Io credo che il lamento non è di pagare la tassa, è di
avere i vantaggi che ha il resto d’Italia, manchiamo di strade.
= Macinato?
“ Procede bene.
Racalmuto è molto ossequiente alla legge. Raccomanda la ferrovia e l’affare
della strada provinciale.
Pretore
Enrico Micali-Freni
= S.P.?
“ S.P. non
lascia nulla a desiderare. I cittadini si prestano grandemente in favore della
S.P. per la scoverta dei reati. Giorni addietro per uno scrocco mercè il
Sindaco si seppe tutto e si procedette all’arresto.
= Ammonizioni?
“ Ce ne sono
molte. Quelli per i quali finisce il biennio saranno rammoniti. In quanto a
sorveglianza è difficile perché il numero è esuberante.
=
Quell’individuo Caloggero Morelli ritornato dal domicilio coatto prima del
tempo?
“ Non lo so. In
quanto ad ammonizioni io credo che bisognerebbe amminire meno.
= Partiti?
“ Ci è un
partito che cerca spiantare l’attuale Amministrazione. Io credo che il partito
attuale stia bene al potere.
= Chi è capo del
partito contrario?
“ Il fratello
dell’attuale Sindaco il quale per non comparire mette avanti il barone
Tulumello.
= Altri servizi?
Imposte?
“ Procedono
regolarmente; le Autorità non sono ostacolate.
= Ma le campagne
sono sicure?
“ Ci sono
piccole grassazioni. Io feci fare degli arresti dei sospetti ed ora stiamo
bene. Sono giovanotti che lavorano molto, guadagnano, giocano e bevono. I
carabinieri sono ottimi.
Delegato di
S.P.
[E’ in missione
di delegato da due mesi. La S.P. è migliorata. Parla delle piccole grassazioni
e degli arresti fatti e dell’arresto fatto per lettera di scrocco di un tale di
Bagheria. La classe intelligente aiuta le autorità. E’ tornato qualcuno dal
domicilio coatto.]
= Se con
condotta regolare dal loro ritorno? E Calloggero Morelli?
“ L’adopero
qualche volta come confidente, perché mi fu raccomandato dal mio predeccesore.
Sino ad ora un bel servizio non l’ha ancora reso.
= Partiti?
“ Matrona
attuale sindaco e l’altro Tulumello.
= E lei cosa
crede?
“ Credo che se
trionfa l’altro il bene del paese non ci guadagnerebbe certo.
=
Amministrazione della giustizia?
“ Nessun
reclamo.
Bonfanti
Antonio - Maresciallo dei Carabinieri
= S.P.?
“ Non è cattiva.
Vi è stata qualche cosa perché ora giocano molto. Io credo che tra gli
arrestati vi siano i rei delle grassazioni. Io questi li ho visti sempre
giocare, con delle donne, anche nelle bettole.
= Ma non ci sono
ammoniti?
“ Come si può?
Gli ammoniti sono 61 e noi siamo pochi. Qui l’opera della forza pubblica è
facile, ci è un sindaco ottimo ed ha un partito di ottima gente.
Dott. Diego
Scibetti-Troise - Consigliere Comunale
“ Raccomando le
ferrovie delle Caldaje per Canicattì. Vorrebbero che più sorvegliata la classe
dei forestieri che vengono a lavorare in Racalmuto. Aumentare la forza per
sorvegliarli e mettere le librette.
= Crede nocivo
ai fanciulli il lavoro delle miniere?
“ Non soffrono
molto. Si sa che il peso che portano sempre loro nuoce. Il paese reclama che
non si pensi all’Amministrazione comunale, all’Istruzione Pubblica, non vi sono
che scuole elementari, il Comune ha invece voluto spendere a cose di lusso e
fare il palazzo.
= Ma le poteva
fare, non vi sono debiti?
“ Debiti non
appariscono ma ci sono. Di 100.000 lire che furono stanziate per spese se ne
sono spese 87.000 per la sola casa comunale, circa 40.000 per la casa dei
carabinieri; quindi i debiti ci sono. [Dice che sarebbe inutile la via di
Favara].
= Ma le elezioni
si fanno regolarmente, le liste sono ben fatte? Che cosa può fare in questo la
Commissione d’inchiesta? Si sa che il sindaco deve avere la maggioranza;
prendete voi il di sopra!
In fatti di S.P.
si aiuta l’Autorità?
“ Siamo tutti
uniti nell’ajutare l’Autorità, in quel caso termina ogni idea di partito. Ma
nel Consiglio ci vorrebbe altri.
= Che?
“ Io ritengo di
sì. La pretura, il delegato, i carabinieri fanno il loro dovere.
= Imposte?
“ Niente ...
Abbiamo ottimo esattore.
= Macinato?
“ Niente.
Carlo Lupi
=
L’Amministrazione comunale?
“ Va benissimo
l’amministrazione comunale perché il sindaco è ottimo.
= S.P.?
“ Nell’interno è
ottima ma nelle campagne ci è qualcosa.
= Le ammonizioni
procedono bene?
“ Sì.
= I carabinieri?
“ Ottimi.
= Elezioni,
imposte?
“ Niente
= A’ altro da
dire?
“ [Parla del
Matrona fratello del sindaco che è un clericale, nemico di ogni progresso.
= Ma per la casa
ci è debito?
“ No.
= E’ forte il
partito Matrona?
“ Non tanto ...
Il Matrona ed il gesuita che venne qui, hanno cercato minare il paese. Il
Matrona accusa il Municipio di aver fatta la strada comunale per andare
commodamente al suo podere.
= Ma si lagna il
partito contrario per la mancanza di scuola tecnica?
“ La scuola
tecnica non avrebbe che un solo allievo. L’avevamo e la togliemmo per mancanza
di allievi.
= La scuola
elementare quanti allivi ha?
“ Oggi sono
dodici.
Giuseppe
Grillo Cavallaro
S.P.?
“ Qualche cosa
succede raramente.
= Imposte?
“ Niente a
deplorare.
= Partiti?
“ Sì per
ambizione.»
Da annotare. Colpisce il fatto che proprio il fratello
del sindaco stia dalla parte avversa, con il gesuita Nalbone. Don Giuseppe
Matrona - su cui abbiamo dato prima ragguagli - quella faccendo di essere
finito in galera per la iattanza del prefetto Falconcini non ebbe mai a
digerirla. Rimase ostile ai savoiardi ed a quali li rappresentassero, fosse
anche il giovane e rampante fratello don Gasparino, che evidentemente per
bramosia di potere fu disposto a tenere in poco conto i torti subiti dalla sua
prestigiosa famiglia ed a dimenticare quegli abbracci umilianti in presenza del
sindaco Mirabile di Agrigento. Più indaghi e più la figura di don Gasparino si
deteriora, a scorno dell’esaltazione sciasciana.
Nelle poche battute riportate nel resoconto
stenografico della Commissione d’inchiesta, don Gasparino appare arrogante,
incolto, ma particolarmente cinico quando accenna alla sorte dei “carusi” delle
miniere di zolfo. Anche in questa occasione don Gasparino emerge come uomo che
domina la mafia: una lettera di scrocco? Arriva lui e tutto va a posto.
Vi è un codazzo di corifei attorno a don Gasparino:
pretore, maresciallo dei carabinieri, il lacchè Carlo Lupi, l’evanescente
Giuseppe Grillo Cavallaro, non hanno pudori, non hanno ritegno quando si tratta
di esaltare il loro protettore, il sindaco don Gasparino. Nelle brume della
memoria, dopo, quegli opportunismi divennero esaltante mito che perdura sino ai
nostri giorni, con il suggello di tanto nome: Leonardo Sciascia. Una sola voce
discorde: quella del dott. Diego Scibetti-Troise; ma ci pensano addirittura i
commissari a redarguirlo. E via l’obiettività di quell’organo inquirente.
L’Italietta sabauda scendeva a valle per difendere, massonicamente,
l’irrequieto giovanotto racalmutese di buona famiglia, don Gasparino Matrona.
Frattanto a Racalmuto abbiamo ben 61 ammoniti, un solo
allievo alle scuole tecniche - che il provvido don Gasparino si affretta a
chiudere per risparmiare e costruire la faraonica casa comunale - e solo 12
alunni alla scuole elementari, una popolazione scolastica inconsistente in un comune che quasi fiorava i venti mila
abitanti. E la tragica situazione del lavoro minorile nelle miniere, che
metteva in apprensione i galantuomini racalmutesi solo per il fatto che qualche
riflesso si aveva sulla pubblica sicurezza; per il resto c’era solo da storcere
il muso per i troppi soldi guadagnati da quei traviati minori, e per il loro
vezzo di spenderli al gioco e con le
donne. La cifra morale degli ottimati racalmutesi non è elevata. E don
Gasparino non fa eccezione, anzi!
Di fronte a Sciascia scrittore, noi restiamo
ammaliati; la sua prosa è musica, la sua visionarietà è sublime, il suo
moralismo sconcertante, la sua ironia corrosiva, il suo periodare pieno
d’inventiva inusitata ed avvolgente. Non era tenuto alla verità storica ed
infatti non l’amò. A noi - che molto più
sommessamente - andiamo in cerca del vero storico del locale arrovellarsi
umano, resta l’intralcio di un grande scrittore che ha voglia di stravolgere il
banale avvenimento, il prosaico ruolo degli ottimati racalmutesi,
l’affaccendarsi ingenuo, ma non perverso, di preti e frati del minuscolo
proscenio nostrano. Nella prefazione al libro del Tinebra, Sciascia si lascia
andare a tutta una serie di giudizi storici su figure ed avvenimenti della Racalmuto
dell’Ottocento: ebbene quelle valutazioni ci paiono decisamente cervellotiche.
Dice Sciascia: «La richiesta e la ricerca del libro [del Tinebra] divenne tanto
intensa quanto vana. E non la spense la pubblicazione .. della storia del paese di E.N. Messana,
voluminosa, fitta di notizie.» [pag. 8]; ma dopo, alla fine [pag. 15],
«limitato è il numero delle notizie che su Racalmuto si possono estrarre da
libri e da manoscritti, moltissime e di sottili e lunghi tentacoli sono quelle
che si possono estrarre dalla memoria. Dalla galassia della memoria.» Ci pare
uno Sciascia o in vena di contraddizioni o di sardoniche, eppure sotterranee,
stroncature degli insaccati cronachistici del Messana. In ogni caso della
“galassia della memoria” sciasciana, da punto di vista storico, c’è molto da
diffidare. I Matrona non possono davvero essere definiti: «una famiglia che per
amministrare il comune disamministrava il proprio patrimonio o, più
esattamente, andava travasando nel patrimonio pubblico.» Abbiamo visto invece come
quei matrona tendessero a farsi assegnare medaglie d’oro ultracostose e come
tendessero a dar dare soldi pubblici ai propri famigli bagarioti, e come
facessero finanziare strade comode che comodamente collegassero il paese ai
loro poderi, alla Noce, a pro’ di loro e dei soliti “amici della Noce”, allora
come adesso. Certo, se non si trattasse di Sciascia, sarebbe da sghignazzo
un’elucubrazione così ingenua come la seguente: «Naturalmente, - vedi pag. 12 -
i Matrona dei nemici: ma si scoprirono più tardi, aggregandosi alla famiglia
Tulumello. Intanto, nel 1875-76, si limitavano a denuncie [sic] anonime: e la
commissione d’inchiesta (si chiamava propriamente giunta), ne riceve tre:
contro l’amministrazione comunale, contro il sindaco Gaspare Matrona. Ma si
infrangevano contro l’evidenza di quel comune
amministrato con tanta dedizione, coraggio e generosità che il
colonnello propone a modello non solo della Sicilia ma dell’Italia intera. E si
capisce che nel giro di mezzo secolo i Matrona furono poveri, sicché fu facile
ai loro avversari batterli: col
conseguente effetto di un ritorno al malandrinaggio, della mafia, delle
usurpazioni e prevaricazioni. [Corsivo
ns.]» Spropositi del genere vanno solo negletti. A dire il vero i Tulumello
non abbatterono don Gasparino Matrona. Questi cedé la sindacatura al suo
correligionario don Gioacchino Savatteri, nel 1875 per le vicende che abbiamo
adombrato. Don Gioacchino Savatteri dovette abbandonare la sindacatura per un
sospetto peculato di L. 7.535. Le carte dell’archivio di stato di Agrigento del
1890 insolentiscono quella nefanda gestione: «Nel comune di Racalmuto -
sbraitano - l’inchiesta a carico della precedente amministrazione non è ancora
compiuta e già abbe a risultare un’appropriazione indebita di L. 7.535 a carico
dell’ex sindaco Savatteri che fu denunziato all’autorità giudiziaria.» Sciascia
aveva ataviche subalternità verso i Matrona. Confessa [pag. 13] «tutto sommato,
devo ai Matrona questo mio rifugio in campagna: perché mio nonno loro
fedelissimo elettore, volle anche lui, da capomastro di zolfara, avere un
pezzetto di terra nella stessa contrada, edificandovi una casetta: ora è un
secolo).» Noi non abbiamo di siffatte gratitudini: anzi ribolle la rivolta
ancestrale dei miei poveri antenati zolfatai, sfruttati da tali arroganti
“civili”, galantuomini, ottimati, signorotti o come diavolo si chiamano;
sfruttati anche per «non sapere scrivere né sottoscrivere per non averlo mai
appreso.»[9] E gli
zolfatai non sapevano leggere e scrivere perché facevano comodo da “carusi”
andare nelle miniere dei Matrona (e di altri ottimati), come arrogantemente don
Gasparino dichiara ai membri della Giunta. E si è visto come don Gasparino
risparmiasse sull’istruzione dei figli del popolo, avendo più a cuore gli
spettacoli lirici, propoziatrici di tresce con attrici, cantanti e ballerine.
Eh! Sciascia, Sciascia! Lascia perdere i Matrona tutti presi a far [pag. 11]
«scuole, uffici comunali, strade selciate, fognature, macello, fontanelle
rionali, teatro.» Ed in men di cinque anni (la sindatura di don Gasparino dura
secondo il Messana , appendice 29a, dal 1872 al 1876): non ci crede neppure il
prof. Salvatore restivo che pu sappiamo quanto sia devoto alla memoria di
Sciascia. Giustamente annota, ad esempio, che il teatro di Racalmuto fu
inaugurato il 9.11.1880, come dire quattro anni dopo la defenestrazione dei
matrona per un duello mancato. L’avversato Messana comprova che nel 1874, in
pieno regime di don Gasparino, 32 erano i racalmutesi “aderenti alla mafia”
secondo la segnalazione del delagato di P.S. Annibale Macaluso (cfr. appendice
XVII, pag. 493). Il sottotenente comandante la sezione dei carabinieri di
Racalmuto, G. Bianchi, ha un concetto tutto personale, ottocentesco, della
legge se scrive: «l’attuale sindaco di quel paese sig. Matrona Cav. Gaspare è
l’unico cittadino capace di mantenere obbedienti alle Leggi dello Stato una
massa di uomini oltremodo ignorante e proclivi a qualunque reato». [10] Oggi -
molto più civilmente - quel sindaco finirebbe nelle grinfie dell’Antimafia, proprio
quella che Sciascia non amò tanto.
[1] ) Calogero Savatteri.
Pensieri .. Favara 1879, pag. 63
[3] ) Angelo Sferrazza Papa, S.J. - Francesco di Paola Nalbone, S.J. - L’uomo -
il sacerdote - il gesuita - Istituto “Ignatianum” - Messina 1995 - passim,
ma in particolare pagg. 17-22.
[4] )
Archivio Centrale dello Stato - Giunta per l'inchiesta sulle condizioni sociali
ed economiche della Sicilia 1875, Scatola 7 fascicolo 5 - sf. 2 [sottofascicolo
2] lettera A n. 13 - "inchiesta - Lettera Anonima [n. 13]
1875 [Fascicolo 5- sf. 2- 13]. In effetti la lettera non era anonima: a
firmarla era stato tal Francesco Nalbone come emerge dal
Fascicolo 5 - sf. 3 lettera N - n. 1 ove si annota che una lettera di Nalbone Francesco di Racalmuto era stata rimessa al Prefetto di
Girgenti e quindi non figurava agli atti: la lettera era contro il Sindaco di
Racalmuto .
[5] ) In matrice il Busuito è
così segnato: «
Collegiale, Missionario, predicatore, quaresimalista, consultore del S.
Officio, Parroco di Comitini, Maestro di Spirito sotto Mons. Gioeni alla casa
degli oblati e sotto Mons. Lucchesi successivamente - M. di Lettere, di
teologia Morale, Prefetto di Studii, Direttore - Rettore del Seminario di Girgenti - Vicario Foraneo - Beneficiale
del SS. Crocifisso - Economo - Obiit 29 Januari
1802 - d’anni 74.
[6] ) Salvatore Cucinotta - Sicilia e siciliani, dalle riforme
borboniche al “rivolgimento” piemontese - Soppressioni - Ed. Siciliane
Messina, 1996 - pag. 483 n.° 441. Invero, quell’esimio studioso mal trascrive
vari dati: bisogna infatti leggere “L. Nabbone” per “L. Nalbone”, “c.
Bruscamente” per “contrada Sacramento”. Il Nalbone ebbe ad offrire L. 655
maggiorando sensibilmente il prezzo base dell’asta fissato in L. 423,
maggiorandolo del 54,85%: ovviamente vi teneva proprio: ma 655 lire di allora erano
davvero una bella sommetta. Si trattava di quattro ettari di terre seminativi
in una contrada che crediamo essere quella di Racalmuto: non ho conoscenze di
contrade con tal nome in quel di Grotte, come i dati riportati dal Cucinotta
potrebbero far credere. L’aggiudicazione di quei beni ecclesiastici - con
comminazione di scomunica ipso facto
- avvenne nel 1879. In quell’anno due gesuiti vantava proprio don Luigi Nalbone
nella sua famiglia: p. Giuseppe che doveva essere a Noto essendovi stato
chiamato nel 1878 da Mons. Giovanni Blandini come Rettore, Prefetto degli studi
e Amministratore del Seminario (cfr. P. Sferrazza, op. cit. pag. 33); ed il
futuro papa nero, anche se a quel tempo era solo sul punto di andare novizio
dai gesuiti. Non certo dal figlio che era solo un adolescente, ma
dall’intrigante fratello ebbe il benestare ad imbarcarsi in un’asta sacrilega?
[7] ) Archivio centrale di Stato
- Roma - resoconto stenografico degli interrogatori in Girgenti nella tornata
del 16-12-1875 pag. 123 e ss.
[8] )
Archivio centrale di Stato - Roma - Commissione Inchiesta Sicilia 1875-1876.
[9] ) da un
atto del notaio Grillo Borgese del 1860, rog.to un Racalmuto 18 ottobre 1860
li. 1 col. 19 f 98 n.° 1794 c.a 5,
ricevuti grana venti - D. 20. - Il ricevitore : P. Alfano.
[10]) Eugenio Napoleone Messana - Racalmuto
nella storia della Sicilia - Canicattì 1969 - pag. 492.
Nessun commento:
Posta un commento