Si tratta, però, anche qui, di un'azione di recupero delle tradizioni diretta alla riscoperta ed all'esaltazione delle istituzioni romane arcaiche. L'età augustea, come si è notato, commemora il passato di Roma e lo glorifica per nobilitare l'antichità e la ricchezza della storia della città. Questa testimonianza epigrafica va, quindi, inserita nel clima dell'epoca e pare che possa essere datata tra l'età augustea e la claudia (11).
In ogni caso l'opera di interazione tra vincitori e vinti proseguiva, che si trattasse di Equi o di altri popoli (12). Tra gli scrittori romani Tito Livio, nella sua monumentale storia di Roma, è colui che cita più spesso gli Equi poiché le ostilità con i Romani durarono per secoli. Solo intorno al 304 a.C., benché in seguito si siano verificati ulteriori tentativi di ribellione, Roma riesce ad includere definitivamente nei confini della res publica Romanorum tutto il territorio da essi abitato. E, come accadeva abitualmente, le città più importanti furono popolate da coloni inviati da Roma (13): Tito Livio ricorda Carsoli e Alba, che complessivamente contavano diecimila abitanti. Ambedue ben difese, erano disposte lungo la via Valeria, continuazione della Tiburtina, antica consolare di rilevanza strategica. La sistemazione delle zone conquistate, imposta dalla necessità di inquadrare istituzionalmente la popolazione, composta da indigeni e coloni romani, si concretò nell'assetto amministrativo fondato sull'urbanizzazione o, meglio, sulla riorganizzazione municipale. Tuttavia, la vasta area a nord della linea Carseolis-Alba, cioè il vero e proprio Ager Aequiculanus, il sito più interno e geograficamente appartato, solcato dal Turano e dal Salto nel cuore dell'Appennino centrale, sembrava meno suscettibile di interventi riorganizzativi. La culla del popolo degli Equi, con la sua ardua orografia, non si prestava né a grossi insediamenti urbani né a facili collegamenti viari, benché, in realtà, fosse abitata da tempi immemorabili e finanche costellata di villaggi.“La valle stessa del Salto ha una lunghezza di circa 36 miglia, e dal nono miglio in là, venendo da Rieti, si chiama ora il Cicolano: una delle più belle e romantiche valli alpestri per la magnificenza e l'amenità che gli diè a larghe mani la natura, la quale pare avere qui congiunte le bellezze proprie dell'Italia e della Svizzera. I suoi abitanti, distinti anche fra gli ospitali Abbruzzi, per antica semplicità ed ospitalità, sono sparsi per infiniti piccoli paesi, che in parte stanno nella più fertile campagna, in parte sopra orridi sassi o in mezzo a foreste di quercia”. Così scriveva il Bunsen (14) nel 1834, aggiungendo: “Sulla riva sinistra del fiume (Imelle), passando questo ponte si trova un sito ricco di ruderi, e precisamente vicino a Civitella, o Civitella di Nesce, così chiamata perché si trova in una pianura sotto un alto monte, in cima di cui sta il paese di Nesce. Martelli chiama questa stessa valle Valle Nersia. Questo scrittore nella storia de' Sicoli vuole riconoscere nel nome di Nesce una corruzione di quello di Nursae (o piuttosto Nersae), di cui parla Virgilio nel celebre passo dell'Eneide come città antichissima degli Equicoli “ (15).
È del tutto probabile che la Nersae cui si riferisce Virgilio, individuata da Martelli presso Civitella di Nesce, rappresentasse il centro principale di quella costellazione di vici abitati dagli Equicoli ancora in epoca augustea e detta res publica Aequiculorum (16). Nella zona non erano state dedotte colonie romane, ma ormai anche i piccoli municipi italici, inclusi definitivamente nell'orbe politico romano, si reggevano secondo le regole dell'ammnistrazione imposte dal vincitore. Esiste, in proposito, una ricca documentazione epigrafica ed archeologica che fornisce un quadro alquanto interessante della vita che si svolgeva nella cittadina di Nersae. Ed occorre rammentare che le prime indagini in tal senso risalgono già ai primordi dell'archeologia moderna; oltre il citato Martelli, sono da ricordare in particolare Raffaele Garrucci e Francesco Saverio Gualtieri (17). Il compito di tali pionieri non fu molto facile anche perché nella letteratura latina le menzioni di Nersae sicuramente non abbondano ed alla fine dell'Impero il Cicolano, come molte altre località, assistette ad una forte contrazione demografica con il conseguente abbandono di diversi centri abitati. Ma già in epoca classica sembra incerta la stessa grafia del nome della cittadina equa: ad esempio, Plinio il Vecchio, vissuto nel I secolo, nella “Storia Naturale” accenna ad un vicum Nervesiae, che dovrebbe riferirsi proprio a Nersae (18).
Nel secolo scorso un apporto decisivo venne, però, dal Lugini. “Domenico Lugini continua ad essere un riferimento unico per studiosi e ricercatori interessati al Cicolano e alla Valle del Salto, per aver dato un grande contributo alla conoscenza della storia della sua terra. A distanza di quasi un quarto di secolo dai capitoli LXXXVIII e LXXXIX del Corpus Inscriptionum Latinarum riservati da Theodor Mommsen all'edizione delle iscrizioni latine degli Aequiculi e di Cliternia, per cui si era giovato dell'autorevole autoscopia di Heinrich Dressel, Lugini volle nuovamente ripercorrere l'itinerario intrapreso dalla scuola tedesca, riconsiderando quanto era stato già trasmesso dalla scuola epigrafica berlinese e portando a conoscenza quei documenti iscritti che solo la sua conoscenza di quella zona era in grado di compiere “ scrive un noto studioso (19).
Nella prima parte del suo libro “Memorie storiche della regione equicola ora Cicolano”, infatti, il Lugini pubblicò i testi di molte epigrafi rinvenute nel territorio già degli Equicoli (o Cicoli o Cicolano), alcune delle quali pertinenti a Nersae ovvero Vicus Nervesiae (pagg. 20-78: XXXIV-LXIV). In precedenza, come si è accennato, altri appassionati ricercatori si erano prodigati, raccogliendo e studiando reperti in loco, come il Colucci, che aveva pubblicato anche il testo di una lapide in lingua osca trovata presso Nesce (20), segno della antichissima frequentazione della località.
In epoca repubblicana e imperiale il municipio di Nersae era amministrato, come d'altronde, il vicino abitato di Cliternia, dai duoviri, che, secondo alcuni studiosi, rappresenterebbero “la continuazione, con nome mutato, della coppia osca dei meddiss” (21); erano presenti, inoltre, tutti i vari magistrati, i decuriones, i quaestores, gli aediles, i praefecti e così via, incaricati di sovrintendere al disbrigo delle faccende riguardanti l'amministrazione cittadina. Risultano di particolare interesse, tuttavia, i resti e le iscrizioni concernenti gli aspetti religiosi della vita dell'antica cittadina. Tra i culti emergono quelli di Giove Ottimo Massimo, Giunone, Marte Ultore, Ercole e soprattutto quelli, diffusisi successivamente, legati alle divinità orientali quali Mitra o Iside e Serapide. Esisteva, infatti, un Mitreo. Ma soprattutto, verso gli anni 90, nei sotterranei della chiesa cimiteriale di S. Angelo di Nesce (Comune di Pescorocchiano) la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio ha rinvenuto i resti di un santuario italico contenente depositi votivi risalenti al periodo repubblicano. Nell'interno dell'edificio sono stati trovati molti oggetti: bronzetti, fibulae e monete. Attualmente è ben visibile, accanto al moderno cimitero, il recinto del tempio che insiste su un grosso muraglione in opera poligonale: secondo gli studiosi il santuario doveva essere legato ad un culto idrico ovvero ad una fonte dalla quale sarebbe stato possibile ottenere una guarigione miracolosa o l'agognata maternità. Purtroppo la grossa parete muraria, che nel punto più alto raggiunge i 5 metri dal suolo, è soggetta ad un progressivo deterioramento per l'azione delle cause naturali. Tra l'altro essa sostiene un terrapieno il cui volume diviene sempre più consistente e che potrebbe pertanto abbatterla, nel caso in cui non si intervenisse in tempo, decretandone la fine nel giro di pochi anni. Con l'ovvia conseguenza dell'ulteriore perdita di una memoria in un Paese che pare abbia imboccato la via dell'autodistruzione.
Le campagne di scavo, diligentemente curate dall'archeologa Giovanna Alvino, sono proseguite finché è esistita la possibilità di reperire i fondi pubblici necessari. È augurabile che in futuro siano completate, poiché le ricerche effettuate finora hanno fatto comprendere quale grandissimo patrimonio culturale possa venire alla luce. La storia degli Equicoli costituisce un'eredità che appartiene non solo ad una comunità locale ma all'intera umanità e la storia di Nersae è la storia di tutti. Di tale ricchezza ha assolutamente bisogno la nostra società, soprattutto in un momento in cui perfino gli autentici valori spirituali vengono sovvertiti e mercificati.
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