lunedì 19 novembre 2012

“Sindacato “Rosso” BANKITALIA


A richiesta avevo predisposto questo articolo per il sindacato “rosso” (ora a dire il vero impalliditosi sino quasi al giallo) della Banca d’Italia. Mi è stato rifiutato con qualche pretestuoso motivo. Peraltro pare che l’avere indicato “quella cosa lì” sia segno di maschilismo intollerabile in un numero che ben oltre l’8 marzo, si dedica tutto alla violenza sulle donne. Invero, ben altre sono le ragioni: 
Vi si esalta la vecchia dirigenza sindacale, oggi nell’azienda alla gogna perché ritenuta non solo colpevole ma addirittura artefice della cassazione di inverecondi privilegi retributivi: clausola oro, pensioni ultra baby, banchette di comodo, dopolavori gratificanti, assicurazioni sanitarie omnicomprensive, etc. etc.; 
fustigazione di sbragamenti in linea con le mode anticasta  artefici tra l’altro della giubilazione di un grandissimo governatore, FAZIO; 
accuse di accidie intellettuali che i novelli giovanissimi dirigenti sindacali non accettano; 
uno stile, un modus scribendi ostico a chi non sa neppure chi era Nietzsche.
Che fare? Aspetto l’esito definitivo di questa richiestami pubblicazione; quindi una plateale dimissione con il recupero del mio obolo mensile e quindi una sollecitazione di attenzione verso una dispersiva e costosa installazione di sedicenti sindacati nazionali in luoghi deputati alle pubbliche funzioni monetarie, creditizie e di indirizzo delle politiche economiche nazionali. Invito alla  alta dirigenza nazionale della BI a far tornare al lavoro neghittosi che non so più a che pro vengano distaccati per ragioni sedicenti “sindacali”.

Calogero Taverna

Rewind remèo ricordo

L’occaso della Banca d’Italia, che perdura da quasi un decennio, sembra avviarsi all’ottenebramento della notte senza alba.
Rimembro l’era gloriosa di Carli, di Occhiuto, di Ossola: i miei tempi cioè e mi accoro. Troppi errori da allora, troppi svisamenti, troppe inidoneità anche sindacali.
Se continua così questa grandissima istituzione che ancora alberga a Palazzo Kock volge al suo epilogo per divenire una semplice succursale della BCE, senza Vigilanza, senza prediche del mese mariano, senza fucina di grandi studi giuridici, economici, non più referente di alcuna Tesoreria nazionale.
A quasi ottant’anni che ho da temere? Forse ci rimetterò l’integrazione della pensione! Ma trattasi ormai di pensione senza clausola d’oro, senza rivalutazioni ad abundantiam della inesistente svalutazione, senza agganci alle prebende dispensate ai miei pari grado (ed io fino ad un certo punto di carriera ne avevo fatta sollecitamente, fino a scavalcare coloro che dopo furono direttori generali, capi servizio e se non ero persino un governatore). Buon per me che a forza di litigare venivo estromesso dai ranghi dirigenziali e pur di disfarsi di un valentissimo (uno dei tre soli validi diceva Sarcinelli, solo che per gli altri due si sbagliava) mi dirotta nell’istituendo SECIT di Reviglio e quindi mi fa locupletare, sia pure per via indiretta, qualche risparmio che mi dura ancora. E di che ti lamenti, allora? Già, Cerciello mi spingeva ad andarmene nell’interesse della Banca d’Italia e Ciancaglini la sera prima di passare a peggior vita mi flagella donandomi solo l’integrazione di stipendio perché non andavo via per destinazione BI ma per mio personale uzzolo. Figurarsi: ho sempre odiato il mondo delle tasse. Ma mi vendicai. Feci subito una verifica per una evasione di oltre 250 miliardi di vecchie lire. Perché? Perché la legge bancaria era stata amputata di un articolo per volere o interesse dell’ABI. Tutti quanti dichiararono desueta la norma (fascista a dire il vero) di discarico di tutte le spese di vigilanza sulle banche vigilate.
La legge bancaria? L’istituto di emissione ebbe gli esordi dalle macerie del secolo XIX. Chi si vuole davvero informare legga Pirandello: I Vecchi e Giovani. Crisi del ’29, in Italia quota ’90. Il fascismo sarà stato quel male che tutti diciamo ma aveva sale in zucca. Chiama i massoni, inventa l’IMI, pensa ad una vigilanza più efficiente. Chi meglio della Banca d’Italia per attività investigative di sostegno non di repressione o punitiva? Certo vigeva il ferreo principio “tutto nello Stato, nulla fuori dello Sato. E la Banca d’Italia non era Stato .. solo una specie di anonima con funzioni di pubblico interesse. Si inventa un pastrocchio giuspubblicistico per cui nessuno poteva eccepire avverso l’ “avvalimento” di un organo tecnico, ma rigidamente controllato dallo Stato, magari con la partecipazione di parapubbliche Corporazioni.
Siamo nel dopo guerra. Abolire la vecchia legge bancaria e farne una conforme alla neo costituzione repubblicana? Manco per sogno. Meglio lasciare il vecchio che nessun guaio aveva causato. Quindi una Consulenza legale, rifiorita con l’apporto dei più geniali licenziati delle nostre Facoltà di legge. Oggi se vogliamo capire qualcosa di diritto bancario pubblico, dobbiamo rivolgerci a Capriglione.
In vent’anni di attività ispettiva e di vigilanza ho sempre cercato di capirci qualcosa: confesso che giammai ci sono riuscito. Ad un certo punto, pur di salvare Sarcinelli (ma non ci sono riusciti) si sono inventati persino la rilevanza costituzionale della BI in forza della Costituzione Materiale: un obbrobrio giuridico in Italia.
Le traversie di questi ultimi vent’anni le conosciamo tutti, comunque siamo portate a valutarle.
Ma da un eccesso siamo finiti nell’esatto opposto. Tremonti annusa un punto debole:  il Consiglio Superiore: i vigilati non possono essere i padroni del Vigilante. Subito una legge per fare arraffare al Tesoro (e quindi al padrone pro-tempore) la diponibilità dell’ormai malconcio Istituto di Emissione con incarico della vigilanza bancaria. La legge però resta dormiente. Berlusconi non può insediare nello scranno massimo di Via Nazionale 91 la sua protetta. Visco in odore di vetero comunismo la spunta.
La protetta viene consolata con uno scranno in via Teulada.
Gioiosi diverticoli di questi tempi palangenetici.
Un mio veemente atto accusatorio. 

Il Sindacato

 Io lasciai una UNIONE guerresca, saggia, incisiva. Capace di spingere il pallido Berlinguer ad un grido di dolore in Piazza san Giovanni in difesa della Banca d’Italia. Rammento: tutti quei destrorsi di dirigenti subito accorsi in via Panisperna a prendersi la tessera del PCI. Era un sindacato non rivoluzionario, compiacente per quanto attiene alle provvidenze del personale. Ma Turchetti, De Mattia, Fulfaro, Petrone e Onelli (già ONELLI) e Rubens Ricci e Ciucci e Balla ed ALTRI SAPEVANO IMPORSI, COSTRINGERE PERSINO L’OSTICO Occhiuto a sagge decisioni. Furono gli anni d’oro per la compagine impiegatizia della Banca d’Italia. Oggi tanti sono smemorati, dileggiano e sono soltanto INGRATI.
Ma vice direttori acuti e avvinghianti, dopo che me ne sono andato, spappolarono il sindacato rosso e favorirono fino a farli divenire egemoni quelli gialli, giallognoli, giallastri. Ce n’era uno bianco fiore: faceva bene il suo mestiere. Mi dava ai nervi. Oggi non lo ritrovo più.
Sul che dire abbiamo detto anche troppo. Ora parliamo sul CHE FARE.
La vecchia Unione deve risorgere: è la sola salvezza che resta ad un personale destinato se no, ad essere opachi appartenenti ad una decentrata filiale della BCE, già pronta a dismettere persino l’americanino Draghi.
Aduniamo le forze: in primis le giovani leve che nulla sanno del passato per questioni anagrafiche, che il presente lo stanno vivendo nell’accidia istituzionale del momento, che il futuro difficilmente lo potranno forgiare senza radici senza forza politica senza esperienza; in secundis quelle generazioni di mezzo che mi paiono demotivate senza mordente senza ideali (impressione generica s’intende). Dato il mio vezzo di essere caustico, dadaista ma con lingua alla Zarathustra, vorrei offenderli per definirli PIPISTRELLI mezzi topo e mezzi uccelli. Ad ogni modo che abbandonino ogni sospetto roditorio e si librino in alto, che volino con le possenti ali che pur posseggono. Si sono forgiati alla scuola della Banca d’Italia che è una grande scuola, l’unica vera grande scuola del settore che esiste in Italia. Guardate quelli che magari eretici oggi stiamo altrove, dall’accademia dei lincei, alle presidenze delle banche, alla direzione di novelle agenzie di controllo pubblico e magari (con mio scorno) a presidio dei bilanci del più grande comune d’Italia, Roma Capitale.
Non mi dimentico il TERZO LUOGO: siamo noi vecchi, vecchissimi, alcuni saggi, altri iconoclasti; taluni onorati, gli altri come me del tutto dimenticati. Abbiamo tanto da dare e in cambio nulla chiediamo se non la resurrezione della nostra amata o odiata Banca d’Italia. Siamo vecchi il cui ruolo forse è solo quello degli anziani dell’Iliade quelli che Omero così tratteggiava:

sedevano – gli Anziani – presso le porte Scee:
per la vecchiaia avevano smesso la guerra, ma parlatori
nobili erano, simili alle cicale, che in mezzo al bosco
stando sopra una pianta mandano voce fiorita:
così sedevano i capi dei Troiani presso la torre.

Ma abbiamo una cosa che gli altri non hanno: una lunga esperienza nel settore. Siamo quelli che in ultima analisi diciamo ai sapientoni: sì voi sapete anche scrivere meglio degli altri il Kamasutra ma fate un errore credete che quella cosa lì sia orizzontale quando è verticale: i vostri algoritmi, i vostri modelli econometrici, le vostre Basilee, le vostre politiche monetarie hanno questo piede di Achille. Sbagliate perché? Quella cosa lì non l’avete mai vista.
Noi vecchi oltre che qualche bella parola, forse qualche provocazione costruttiva potremmo darvela: ma nel sindacato, che diventa fenice risorgente. E per me, che sia soprattutto un sindacato “ROSSO”.

Calogero Taverna