sabato 11 marzo 2023
Il Narciso dei poeti.
Le piante di Narciso sono tra le bulbose più diffuse in coltivazione in Europa: tante le diverse specie e colori, tra cui quello bianco, il Narciso dei poeti, molto profumato, che fiorisce da marzo a maggio, con foglie lineari e fiori a sei petali bianchi. I petali si uniscono al centro ad una corona color giallo intenso. In natura, cresce spontaneamente in boschi e prati con una buona esposizione alla luce del sole
Maria Pia Calapà
Amministratore
Esperto del gruppo
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3 h
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Il Narciso dei poeti.
Le piante di Narciso sono tra le bulbose più diffuse in coltivazione in Europa: tante le diverse specie e colori, tra cui quello bianco, il Narciso dei poeti, molto profumato, che fiorisce da marzo a maggio, con foglie lineari e fiori a sei petali bianchi. I petali si uniscono al centro ad una corona color giallo intenso. In natura, cresce spontaneamente in boschi e prati con una buona esposizione alla luce del sole
Maria Pia Calapà
Amministratore
Esperto del gruppo
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Il Leucojum vernum è una pianta con fiori a campanella bianchi che molto assomiglia al bucaneve. Fiorisce a fine inverno inizio primavera, ma alcune specie di Leucojum vernum fioriscono in estate o autunno. La pianta è una bulbosa rustica e resistente che cresce bene anche al freddo in terra e in vaso, facile da coltivare e per questo non è difficile trovarla nei giardini pubblici e nelle aiuole.
Maria Pia Calapà
Amministratore
Esperto del gruppo
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LA CAMPAGNA APPENA IERI
19 aprile 2018
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" Rispunterà tra i rovi il tenero giaggiolo?" ( Arturo Graf )
Gli iris, o anche giaggioli, sono per me tra i fiori più belli del creato... Nel linguaggio flore… Altro...
Maria Pia Calapà
Amministratore
Esperto del gruppo
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Parkinsonia aculeata, palo verde, arbusto spinoso o un piccolo albero con foglie pinnate, fiori gialli, appiattita rachide, phyllode
Piscine geotermiche di Vulcano.
Maria Pia Calapà
Amministratore
Esperto del gruppo
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Walking Eolie&Sicily
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Filicudi walks: Mycenaean altar, a place of ancient magic energy that opens your soul. Walk it with me.
Percorsi a Filicudi: altare Miceneo, un luogo di antica… Altro...
Maria Pia Calapà
Amministratore
Esperto del gruppo
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Senza spine e dalle foglie scure e glabre, la Capparis Spinosa Inermis è una specie che viene coltivata sia in giardino che nelle colture industriali. Fiorisce da maggio a giugno e cresce spontaneamente sui muri e sulle rupi marine.
Maria Pia Calapà
Amministratore
Esperto del gruppo
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26 febbraio alle ore 16:34
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LE ISOLE EOLIE.
26 febbraio alle ore 16:15
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Da Stromboli a Vulcano.
Stromboli fa parte dell'arco delle Isole Eolie,un tipico arco vulcanico dovuto alla subduzione della placca africana sotto la Calabria,c… Altro...
Maria Lionetto
Esperto del gruppo
Bellissima immagine grazie
Potrebbe essere un'immagine raffigurante il seguente testo "Con un domani più sereno... Buonanotte PerlaBianca"
RispondiCondividi1 sett
Carlo Pistolesi
Semplice ma chiara spiegazione, me la copio
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Maria Pia Calapà
Amministratore
Esperto del gruppo
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2 marzo alle ore 19:00
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FAMIGLIA: Araceae
GENERE: Arum L.
SPECIE: Arum italicum Miller (una variabile)… Altro...
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Benvenuti in questa pagina riguardante… Altro...
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venerdì 10 marzo 2023
Roberto Farinacci
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Roberto Farinacci
Roberto Farinacci nel 1940 con l'uniforme da Luogotenente Generale della MVSN
Deputato del Regno d'Italia
In carica
Legislatura XXVI-XXVII-XXVIII-XXIX-XXX del Regno d'Italia
Sito istituzionale
Consigliere nazionale del Regno d'Italia
In carica
Legislatura XXX
Gruppo
parlamentare Membri del Gran Consiglio del Fascismo
Segretario del Partito Nazionale Fascista
Durata mandato 15 febbraio 1925 –
30 marzo 1926
Predecessore Alessandro Melchiori
Successore Augusto Turati
Dati generali
Partito politico Partito Socialista Italiano
(fino al 1919)
Fasci Italiani di Combattimento
(1919-1921)
Partito Nazionale Fascista
(1921-1943)
Partito Fascista Repubblicano
(1943-1945)
Titolo di studio laurea in giurisprudenza (acquistata)
Università Università di Modena
Professione giornalista
Roberto Farinacci
Roberto Farinacci nel 1930 a Cremona con l'uniforme del PNF
Nascita Isernia, 16 ottobre 1892
Morte Vimercate, 28 aprile 1945 (52 anni)
Cause della morte fucilazione
Religione Nessuna (ateo)[1]
Dati militari
Paese servito Italia Italia
Italia Repubblica Sociale Italiana
Forza armata Regio Esercito
MVSN
Regia Aeronautica
Unità 3º Reggimento telegrafisti
Anni di servizio 1916 - 1917/1936
Grado Tenente
Caporale
Luogotenente generale
Guerre Prima guerra mondiale
Guerra d'Etiopia
Seconda guerra mondiale
Campagne Fronte italiano
Campagna d'Italia
Altre cariche Politico
voci di militari presenti su Wikipedia
Manuale
Roberto Farinacci (Isernia, 16 ottobre 1892 – Vimercate, 28 aprile 1945) è stato un politico, giornalista e generale italiano. È stato segretario del Partito Nazionale Fascista.
Indice
1 Biografia
1.1 La giovinezza socialista e l'interventismo
1.2 L'adesione ai Fasci
1.3 La breve stagione parlamentare
1.4 Il Ras di Cremona
1.4.1 La lotta contro le leghe
1.4.2 Lo scontro con le amministrazioni socialiste
1.4.3 La presa di Cremona
1.5 La segreteria nazionale
1.6 Il ritorno a Cremona
1.6.1 Lo scandalo Belloni
1.7 Il ritorno in politica
1.7.1 L'antisemitismo di Farinacci
1.8 La guerra
1.9 La Repubblica Sociale
1.9.1 La fucilazione
2 Onorificenze
2.1 Onorificenze italiane
2.2 Onorificenze straniere
3 Opere
4 Note
5 Bibliografia
6 Voci correlate
7 Altri progetti
8 Collegamenti esterni
Biografia
La giovinezza socialista e l'interventismo
Figlio di un commissario di pubblica sicurezza, a otto anni seguì la famiglia al nord, prima a Tortona, in Piemonte, poi a Cremona. Lasciò presto la scuola per cercarsi un lavoro, che trovò all'età di 17 anni alle ferrovie di Cremona[2]; restò ferroviere per dodici anni. Si avvicinò giovanissimo alla politica e si occupò della riorganizzazione del sindacato agrario socialista, di cui divenne molto esperto[2]. Iniziò a scrivere sul giornale locale L'Eco del Popolo e nel 1913 fondò un circolo giovanile dedicato a Roberto Ardigò[2].
In questo periodo militò nella corrente riformista di Leonida Bissolati[2]. Nel 1914 passò al settimanale socialista La Squilla, che si caratterizzava per la battaglia a favore dell'interventismo[2][3]: l'eloquenza di Farinacci era caratterizzata dal cipiglio aggressivo, dalle peculiari imperfezioni (i fogli satirici lo chiamavano "l'antigrammatico"), e affascinava soprattutto gli incolti, con cui il futuro gerarca condivideva le umili origini[4].
La battaglia interventista nel cremonese, sostenuta unicamente da una parte dei socialisti riformisti, ebbe scarsa eco e il 24 novembre 1914 un comizio interventista fu disperso dai neutralisti guidati dai cattolici e dagli stessi socialisti[5]. Analogo risultato si ebbe il 14 maggio 1915, quando un corteo interventista venne nuovamente disperso dai socialisti[6]. Dal settimanale La Squilla Farinacci accusò di "connubio" i socialisti e i cattolici di Guido Miglioli[6]: quest'ultimo, che all'epoca guidava le leghe bianche della provincia, divenne in breve tempo uno dei suoi principali avversari[3][4][7] e nel 1919 aderì poi Partito Popolare Italiano.
Il 6 dicembre 1915 Farinacci fu iniziato alla massoneria nella loggia Quinto Curzio di Cremona, aderente all'obbedienza del Grande Oriente d'Italia di Palazzo Giustiniani (matricola n. 48.057)[8][9][10], dopo che l'accettazione della sua domanda aveva portato ad una piccola scissione interna[11]. Espulso per indegnità, aderì all'obbedienza della Gran Loggia di Piazza del Gesù[12][13], dalla quale fu espulso nel 1916 per indegnità, "in seguito ad un poco elegante tentativo di esonero dal servizio di leva"[14].
Allo scoppio della guerra fu esonerato dal servizio militare poiché le ferrovie non intendevano sguarnire il personale e anche le sue continue richieste di partire volontario per il fronte furono respinte[4][15][16][17]. Le difficoltà ad arruolarsi gli attirarono l'ilarità degli avversari politici come il Becco giallo, che in una vignetta satirica lo salutò come il "pluridecorato di guerra". Solo nel 1916 riuscì a farsi assegnare come volontario[7][18][19] al fronte, nel 3º Reggimento Genio Telegrafisti[20] dove restò un anno, venendo decorato con una croce di guerra e ottenendo la promozione sul campo a caporale[4][20]. Nel marzo 1917, a causa di una legge che richiamava in servizio il personale delle Ferrovie, tornò a fare il capostazione a Cremona.[4][21]
Intanto i circoli socialisti autonomi cui Farinacci aveva aderito, caratterizzatisi per le posizioni interventiste e creati dalla precedente dirigenza socialista composta dal professore Alessandro Groppali e dal pastore metodista Paolo Pantaleo, e che nel cremonese erano stati soppiantati dalla corrente rivoluzionaria[22], erano diventati diciassette in tutta la provincia, rimanendo largamente minoritari[23]. Alla fine della guerra iniziò a collaborare con Il Popolo d'Italia di Benito Mussolini come corrispondente da Cremona. Successivamente abbandonò il gruppo socialista di Bissolati, figura di politico che ancora anni dopo Farinacci definirà "anima nobile di apostolo, non di politico"[24].
L'adesione ai Fasci
Roberto Farinacci con Mussolini a un convegno agrario a Cremona
Vicino a Mussolini, come esponente dell'"Unione socialista italiana"[25], nel marzo 1919 prese parte alla riunione di piazza san Sepolcro[3][7][26] e l'11 aprile 1919, con un gruppo di arditi, fondò il Fascio di Combattimento di Cremona[27].
Il 5 gennaio 1920, il vecchio battagliero foglio socialista La Squilla, di cui nel frattempo Farinacci era divenuto direttore, cambiò nome in La Voce del Popolo Sovrano e cambiò area di riferimento rivolgendosi alle "forze della nazione equilibrate e sane"[27] e il neocostituito sindacato fascista dei ferrovieri di Cremona, controllato da Farinacci, ottenne alte adesioni tanto che già nel gennaio 1920 fu in grado di far fallire i primi scioperi nella provincia[27]. Il 5 settembre 1920 al teatro Politeama Verdi di Cremona Mussolini indisse il congresso regionale dei Fasci di combattimento come segno di apprezzamento per l'attività svolta da Farinacci[28][29].
Alla manifestazione partecipò lo stesso Mussolini che giunse in città dopo un viaggio avventuroso dovendo eludere i picchetti degli scioperanti[27]. Sempre il 5 settembre a Cremona, vi fu una manifestazione pro-Russia con tremila socialisti[30] e una contromanifestazione con 800 fascisti[31] che giunsero allo scontro. La sera del giorno seguente in piazza Roma, si verificò uno scontro armato dove si registrarono due morti, il fascista Vittorio Podestà e il reduce Luciano Priori (cinque i feriti). Secondo la Questura l'aggressione "era da imputare agli affiliati del Psi"[32] e Farinacci avrebbe dovuto essere il bersaglio[32]. Farinacci e Sigfrido Priori, fratello dell'ucciso furono trattenuti in stato di arresto per alcuni giorni[33] e ad essi si aggiunsero altri socialisti i giorni seguenti[32]. Ai funerali di Podestà e Priori parteciparono circa 10.000 persone[34].
La breve stagione parlamentare
Alle elezioni politiche italiane del 1921 fu eletto alla Camera dei deputati nei Blocchi Nazionali insieme ad altri trentaquattro fascisti[27]. La stampa satirica lo definì "Onorevole tettoia" perché nel 1917 venne esonerato dal Regio Esercito e rimandato al suo posto di lavoro (come gli altri ferrovieri). Grazie ai suoi ottimi rapporti con gli industriali e gli agrari, Farinacci non ebbe più bisogno di riscuotere lo stipendio di ferroviere e presentò così nel 1921 le proprie dimissioni. Intanto riprese gli studi e riuscì a conseguire in breve tempo la licenza liceale grazie a sessioni di esami apposite per reduci di guerra[16][27] e si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza di Modena[16]. Accantonata, per opportunità politica, la tesi di laurea che aveva scritto[35], si laureò in Giurisprudenza il 28 dicembre 1923 con una tesi titolata "Le obbligazioni naturali dal punto di vista della filosofia del diritto e del diritto civile", acquistata da un altro studente[36].
Alla prima seduta della Camera il 13 giugno Farinacci prese parte all'aggressione contro il deputato comunista Francesco Misiano, particolarmente inviso ai fascisti per aver disertato la chiamata alle armi ed essere fuggito all'estero. Farinacci gli strappò la pistola che portava sotto la giacca e la consegnò a Giovanni Giolitti il quale però argomentò: "Non posso prenderla, non ho il porto d'armi"[27]. Operò, insieme ad Achille Starace per una massiccia campagna di propaganda nel Trentino-Alto Adige. L'anno seguente però la sua elezione fu invalidata, insieme a quella di Grandi e Bottai, poiché al momento dell'elezione essi erano sotto l'età minima di trent'anni[27][37]. Dal suo giornale Cremona Nuova, fondato proprio nel 1922, minacciò gli avversari politici che ne avevano provocato l'allontanamento dal Parlamento: "Voi mi cacciate da quest'aula, ma io vi caccerò dalle piazze d'Italia!"[27].
Il Ras di Cremona
La lotta contro le leghe
Squadra d'azione di Cremona, Farinacci al centro
Nonostante l'interesse che i Fasci riscossero presso le organizzazioni agrarie, Farinacci operò in modo che lo squadrismo almeno inizialmente non ne apparisse mai come il braccio armato[38] criticando invece il Fascio di Padova troppo vicino alle posizioni agrarie[39]. Pur perdurando l'ostilità nei confronti di Guido Miglioli che guidava le leghe bianche, almeno per tutta la prima metà del 1921, le squadre d'azione non parteciparono agli scontri con i leghisti cattolici che erano concentrati presso Soresina[39]. Farinacci infatti preferì occuparsi principalmente della diffusione capillare dei Fasci in tutti i centri[39]. Al 31 maggio 1921 risultavano attivi 16 Fasci con circa cinquemila iscritti[39].
Secondo Farinacci, la "caratteristica predominante" delle azioni squadriste era la rappresaglia, secondo il seguente schema tipico: "uccisione proditoria di un fascista, rappresaglia dei fascisti, funerali solenni del caduto, conflitto durante i funerali, nuove rappresaglie"[40]. In realtà, il più delle volte la pretesa provocazione che gli squadristi adducevano a motivo delle loro violenze era un mero pretesto, e appariva chiaro che la reazione squadrista non era affatto proporzionata all'offesa[41].
Per esempio a Rivarolo l'8 aprile 1921 membri delle leghe rosse distrussero i vigneti (tagliandone le viti) dei proprietari simpatizzanti del movimento fascista; la notte stessa le squadre d'azione occuparono la sede della cooperativa rossa, la incendiarono, sequestrarono un impiegato della cooperativa e (utilizzando le liste degli iscritti colà rinvenute) lo costrinsero a guidarli nelle abitazioni dei dirigenti; poi devastarono tali abitazioni e percossero tutte le persone che vi trovarono[40]. Lo stesso Farinacci riconobbe che la denuncia delle violenze squadriste da parte socialista era giustificata: "Certo, gli eccessi dei fascisti furono molti e molto dolorosi; e noi possiamo accettare per vera anche la fosca amplificazione che delle spedizioni punitive fu fatta dai capi del partito socialista ufficiale"[42].
Gli agguerriti leghisti bianchi di Miglioli che avevano il proprio feudo a Soresina il 10 marzo 1922 stipularono un'intesa con i ben più tiepidi massimalisti socialisti della provincia[43] con l'obiettivo di "difendere e riconquistare i diritti dei lavoratori organizzati"[44]. Una delle prime azioni della nuova intesa fu quella di celebrare la festività del 1º maggio. Farinacci, conosciuto a questo punto anche come il ras di Cremona ne impedì lo svolgimento in diverse località e a Cremona pretese di poter parlare dal palco organizzato dalle due leghe unite così le forze dell'ordine per evitare disordini preferirono spostare la manifestazione al 7 maggio[45]. La celebrazione riuscì soltanto a Soresina e a Crema, in quest'ultima località il corteo si snodò fin davanti alla chiesa nello sventolio di bandiere rosse associate a quelle bianche[44]. La fusione tra le due leghe rimase un fatto isolato e fu vista però con molto disagio dal Partito Popolare e dal Partito Socialista Italiano[46].
Farinacci nello scontro con le leghe fu facilitato anche dalle imposte fiscali che molte amministrazioni socialiste introducevano in modo spesso vessatorio nei confronti del contado[47]. Contro queste, nella primavera 1922, indisse uno sciopero che secondo le relazioni di Pubblica Sicurezza ottenne un certo successo[46]. Le squadre d'azione, che nel 1922 si erano nel frattempo alleate con gli agrari, dato anche l'alto numero di adesioni, erano avvantaggiate nel favorire i propri tesserati. Infatti, fortemente indebolite le altre organizzazioni sindacali, solo i sindacati fascisti erano in grado di garantire la pace sociale[46]. Nel frattempo al maggio 1922 il numero dei Fasci era salito a 107, mentre i tesserati erano oltre trentunomila[46].
Secondo una relazione dell'Ispettore Generale di Pubblica Sicurezza Paolo Di Tarsia, datata 28 maggio 1922, sotto la guida di Farinacci il fascio della provincia di Cremona, "organizzazione che ora sta trasmodando per la sua violenza", era divenuto "espressione e difensore" della locale Associazione dei datori di lavoro (l'associazione degli agrari e dei proprietari fondiari, che aveva preso il posto della disciolta Federazione agraria); secondo voci, riportate come affidabili da Di Tarsia, in quel periodo l'on. Farinacci (eletto deputato) riceveva finanziamenti dagli agrari; comunque, per la direzione e la redazione del periodico "Cremona Nuova", Farinacci riscuoteva dall'Associazione dei datori di lavoro un compenso di 15.000 lire annue; nel suo rapporto, l'ispettore Di Tarsia conclude al riguardo che "il fascio è, se non perfettamente al servizio dei proprietari, certamente da essi sostenuto"[48].
Lo scontro con le amministrazioni socialiste
Ottenuto il controllo delle campagne Farinacci si rivolse alle città e il primo obiettivo divennero le amministrazioni socialiste, in particolare Cremona dove i socialisti avevano un'ampia maggioranza. L'attacco all'amministrazione socialista di Cremona fu preceduto da intimidazioni ai rappresentanti politici i quali erano così impossibilitati a svolgere le proprie funzioni e disertavano quindi l'aula[49]. Il 3 luglio 1922, constatata l'assenza del pro-sindaco Giuseppe Gandolfi che l'anno precedente, dopo le dimissioni di Tarquinio Pozzoli aveva rifiutato di ricoprire la carica[50] Farinacci richiese al prefetto di rimuoverlo[49].
Non avendo ottenuto risposta, il 6 luglio 1922 le squadre d'azione, composte da circa un migliaio di squadristi[49], occuparono la città: le forze dell'ordine, che pur avevano ordine di reprimere i moti altresì avevano esplicito divieto di ricorrere alle armi da fuoco e furono impossibilitate a reagire[49]. La camera del lavoro fu facilmente occupata, così come il Municipio e alcune abitazioni private come quella di Guido Miglioli che fu distrutta[49]. Farinacci si autoproclamò sindaco[16] facendo issare sul balcone il gagliardetto fascista[45]. L'occupazione della città durò fino al 18 luglio quando gli squadristi, dietro un espresso ordine di Mussolini, si ritirarono[51]. L'amministrazione comunale fu commissariata dal prefetto[7][51]. Nel giro di una settimana tutti gli amministratori pubblici della provincia di Cremona, sia socialisti, sia popolari decisero di dimettersi[51][52]. Questa scelta dei socialisti e dei popolari nella provincia di Cremona fece guadagnare consensi al fascismo e fece poi fallire lo sciopero legalitario proclamato alcuni mesi dopo[53].
Sempre alla guida delle squadre d'azione[16], il 3 e il 4 agosto 1922 le squadre di Farinacci presero parte a Milano all'occupazione di Palazzo Marino da cui fu cacciata l'amministrazione socialista e poi alla fallita azione a Parma[45]. Intanto il patto di pacificazione a Roma, sottoscritto da fascisti e socialisti ai primi di agosto fu contestato da Farinacci che lo definì "un oltraggio alla memoria dei nostri morti" e dal quel momento assunse la leadership dello squadrismo più intransigente[16][45] e dal vecchio settimanale fondò un nuovo quotidiano "Cremona nuova"[16]. Gli assalti contro le cooperative rosse, nonostante che Mussolini ricercasse più moderazione, continuarono[54] e le stesse forze dell'ordine in data 16 settembre lo avessero ufficialmente diffidato dal contestare i deputati Garibotti e Miglioli[55].
Il 3 ottobre 1922 Farinacci, con le proprie squadre si spostò a Trento dove assunse il comando di tutti gli squadristi che erano confluiti laggiù per pretendere le dimissioni del commissario civile Luigi Credaro che era accusato di scarso impegno nella difesa della minoranza italiana in Alto Adige[56]. Credaro, anche su consiglio delle autorità militari, si dimise il 5 ottobre[57]. Il 17 ottobre 1922 il governo italiano soppresse la figura del commissario civile e al suo posto fu nominato un prefetto con giurisdizione anche sull'Alto Adige[58]
La presa di Cremona
La notte tra il 27 ottobre e 28 ottobre 1922, ancora prima che iniziasse ufficialmente la Marcia su Roma, le squadre cremonesi di Farinacci si mossero per occupare i punti strategici della città[3][7][59]. Davanti alla Prefettura, durante l'assalto gli squadristi furono accolti a fucilate dal palazzo ma Farinacci ordinò di non retrocedere e di non rispondere al fuoco: "Fermi, non sparate, sono colpi a salve"[60] ma lo squadrista Antonio Vicini, fondatore del Fascio di Vicomoscano (Casalmaggiore), che era al suo fianco cadde colpito a morte[59][61][62]. Vi fu una decina di caduti tra gli squadristi[7][60].
L'assalto fu rinnovato il giorno seguente e gli squadristi penetrarono nella Prefettura. Farinacci raggiunse l'ufficio del colonnello Petrini, comandante del locale presidio, che gli comunicò l'intenzione di rassegnare le dimissioni. Dal balcone del palazzo Farinacci proclamò la vittoria[59][63] e il colonnello Petrini, gli consegnò ufficialmente la città[59].
Nelle giornate tra il 27 e il 31 ottobre in tutt'Italia i fascisti caduti furono complessivamente trenta di cui 10 nella provincia di Cremona[64][65]. Lo squadrismo, del resto, ben si addiceva al carattere sanguigno di Farinacci, che pur essendo indubbiamente portato per la politica, la interpretava con accenti di fisicità che sollecitavano il lato violento del regime. Non soddisfatto del fascismo al potere, numerosi furono i suoi richiami ad una "seconda ondata" rivoluzionaria[59][66] che avrebbe dovuto spazzare immediatamente i residui dello Stato liberale[67]. Questo atteggiamento lo portò alla critica degli stessi personaggi simbolo del partito come Gabriele D'Annunzio che a suo avviso avevano imborghesito il regime fascista..Il poeta gli rispose dandogli del "goffo turiferario"[59]. Le prese di posizione di Farinacci, che marcavano una netta distanza da Mussolini[67], lo resero inviso al Duce che lo allontanò dal Gran Consiglio del Fascismo e Farinacci si dimise da console generale della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale[68].
In effetti, con l'intento di istituzionalizzarle e di porle sotto stretto controllo dal 1º febbraio 1923 nella Milizia erano confluite tutte le squadre d'azione. Farinacci aveva iniziato a guidare la corrente più intransigente chiamata anche dei "terribilisti"[59]. Il quadrumviro Emilio De Bono e il podestà di Casalmaggiore, Giancarlo Lanciani Rocca, lo avvertirono che rischiava l'accusa di "ammutinamento" e il deferimento al tribunale[59][68].
Lo storico Giordano Bruno Guerri distingue le due anime del fascismo, quella di sinistra che solitamente faceva capo ai leader dello squadrismo, che voleva portare a termine la "Rivoluzione fascista"[66] e l'anima di destra che invece puntava ad un ristabilimento dell'ordine secondo i dettami conservatori[66].
La segreteria nazionale
Farinacci fu eletto nuovamente il 6 aprile 1924 nelle elezioni politiche italiane del 1924 nella Lista Nazionale[69]. Il 30 maggio, all'apertura della Camera, fu tra i parlamentari che più volte interruppero il discorso di Giacomo Matteotti[70] nel corso del quale accusò i fascisti di aver vinto le elezioni con brogli elettorali. Nel periodo in cui Matteotti sparì e ancora nulla si sapeva sulla sua reale fine fu tra coloro che maggiormente sostennero Mussolini[68][70]. Farinacci, nel momento in cui Mussolini si sentiva perso passò al contrattacco contro l'opposizione[69] che ne richiedeva le dimissioni come più tardi rievocò:
«Solo, dico, ti ripeto, solo, ero al tuo fianco in quelle indimenticabili giornate di palazzo Chigi, quando io, per alleviare la pressione avversaria su di te, incominciai a strepitare contro tutto e contro tutti, sì da riuscire nell'intento: quello di attirare su di me tutti gli odi e tutte le minacce. I pavidi, i senza fede e gli opportunisti del fascismo si schierarono contro di me; essi furono allora vinti .»
(Roberto Farinacci in una lettera inviata a Mussolini dell'8 luglio 1926[70])
Quando verso settembre la situazione iniziò a stabilizzarsi e Mussolini sentì di aver ripreso le redini invitò Farinacci a moderare i discorsi: "Devi agitare non un ulivo, ma un'intera foresta di ulivi"[70]. Per Farinacci, auspicante una nuova ondata rivoluzionaria[69], però la sfida con le opposizioni aventiniane andava chiusa "se non è sufficiente la scopa, si adoperi la mitragliatrice"[67] e appoggiò il 31 dicembre i trentatré consoli della MVSN che incontrarono Mussolini garantendo la propria fedeltà ma reclamando una svolta politica. Fu la vittoria dell'estremismo farinacciano, infatti il 3 gennaio 1925 Mussolini in Parlamento si assunse la responsabilità morale dell'omicidio Matteotti e varò le cosiddette leggi fascistissime con cui avviò il nuovo Regime.
Il 12 gennaio Farinacci fu nominato segretario nazionale del Partito Nazionale Fascista e la scelta, soddisfacendo gli estremisti[67], pose un freno all'assalto alle cariche che era avvenuto negli anni precedenti[71]: «non la “seconda ondata” era andata al potere con Farinacci, quanto l’avversione alla “seconda ondata” aveva indotto Mussolini a designare Farinacci, cui i provinciali imputarono la colpa d’aver fatto il gioco del “Duce”»[72].
Intransigenza e rassismo
Farinacci, prototipo del ras provinciale sostenitore della seconda ondata, divenne la figura di riferimento del fascismo "intransigente" e, dopo la sua segreteria del PNF, venne ad assumere in qualche modo un ruolo di opposizione interna al regime, ruolo che riuscì negli anni a mantenere (grazie al suo prestigio personale), nonostante i ripetuti tentativi da parte di Mussolini di liquidarlo politicamente e anche di ottenere la sua espulsione dal partito[73]. Tuttavia, né Farinacci né l'intransigentismo fascista tentarono mai di portare la loro opposizione alle sue logiche conseguenze, vale a dire mai cercarono di impossessarsi del potere scalzandone Mussolini.
Ciò avvenne per vari motivi: perché l'intransigentismo fascista riscuoteva scarso consenso nel paese (scarsissimo nell'esercito); perché si trattava di una componente poco coesa, che Mussolini riuscì sempre a dividere, cooptando nel regime individui e gruppi; perché gli "intransigenti" erano dotati perlopiù di scarso carattere, avevano idee politicamente piuttosto confuse e, al dunque, posti di fronte al rischio di perdere quel poco di potere che il regime comunque assicurava loro (soprattutto a livello locale), si tiravano indietro[74]. Tutto ciò permise al Duce, dopo il 1925, di estromettere Farinacci dalla segreteria del partito e di procedere inoltre, negli anni successivi, ad una graduale epurazione, emarginando ed espellendo dal partito i più vivaci fra i quadri e gli iscritti "intransigenti"[75].
Nel frattempo il suo giornale Cremona Oggi cambiò nome diventando Il Regime Fascista, l'unico giornale fascista insieme a Il Popolo d'Italia, e spesso in dissenso, a raggiungere la tiratura nazionale[69][71]. Ebbe inoltre la direzione della Cassa di Risparmio Lombarda; in un affare di concessioni pubbliche riguardante le terme di Salsomaggiore favorì una cordata di suoi amici, ottenendone in cambio sostanziosi emolumenti[69].Sul giornale Il Regime Fascista Farinacci e il suo clan criticavano Turati raccogliendo una serie di testimonianze scritte di uomini e donne prezzolati, che denunciavano presunti vizi e stravaganze sessuali dell'ormai ex segretario numero uno de La Stampa.[76].
La strategia di Mussolini dopo la marcia su Roma prevedeva, fra l'altro, l'eliminazione di ogni margine di autonomia politica del Partito Nazionale Fascista, vale a dire che Mussolini intendeva sottoporre totalmente alle sue direttive il PNF[77]. Su questo punto si ebbe, durante la segreteria di Farinacci, il principale motivo di contrasto fra lui e Mussolini; Farinacci avrebbe voluto, infatti, porre la figura del segretario del partito sullo stesso livello d'importanza politica del capo del governo, mantenendo il partito autonomo rispetto al governo e alimentando così una situazione di dualismo di potere tra Farinacci e Mussolini, situazione che era ovviamente inammissibile per quest'ultimo[78].
Il 30 agosto 1925, Farinacci, accompagnato da Italo Balbo, si recò a Forlì per compiere un gesto di grande importanza propagandistica: la fondazione di Predappio Nuova, allo scopo di celebrare il luogo natale di Benito Mussolini. Tutto questo non sanava una contrapposizione che sempre avrebbe diviso Farinacci dal suo Duce, che egli riconosceva come capo, stimava e amava, ma cui rimproverava (anche pubblicamente, e non solo per propaganda) di essere eccessivamente liberale e morbido, costantemente ponendoglisi in controscena nel produrre proposte "più decise" ogni volta che Mussolini gli pareva poco incisivo.
Roberto Farinacci alla cerimonia di fondazione di Predappio Nuova
L'inizio dell'irreversibile declino politico di Farinacci si ebbe all'indomani dell'eccidio di antifascisti che fu perpetrato in Toscana dagli squadristi nei giorni fra il 3 e il 5 ottobre 1925, espressione di ciò che Renzo de Felice definì "bestiale violenza del fascismo toscano (che confermò il suo triste primato di più feroce tra quelli della penisola)"[79]. Preoccupato per l'eco negativa che questi tragici fatti stavano suscitando nell'opinione pubblica italiana e internazionale, Mussolini, nella riunione del Gran Consiglio del fascismo del 5 ottobre 1925, fece approvare un ordine del giorno riservato, che disponeva fra l'altro "lo scioglimento immediato di qualsiasi formazione squadristica" e l'espulsione dal partito di chiunque non ottemperasse a tale ordine[80]. Di fronte alla riluttanza di Farinacci a far applicare questo ordine del giorno (che segnava per lui una grave sconfitta politica), Mussolini inviò a Farinacci stesso, il 13 ottobre 1925, un durissimo telegramma, nel quale, dopo aver riaffermato il proprio potere assoluto e la natura autocratica del suo regime, Mussolini accusava tra le righe Farinacci di proteggere dei criminali in seno al partito:
«Non ammetto squadre di nessuna specie e non ammetto che si revochi in dubbio esistenza ordine giorno Gran Consiglio che non fu votato perché i miei ordini non si votano, si accettano e si eseguiscono senza chiacchiere aut riserve perché Gran Consiglio non è parlamentino e nel Gran Consiglio non si è mai - dico mai - proceduto a votazioni di sorta. [...] Mio ordine è preciso tutte le formazioni squadristiche a cominciare dai corsari neri del troppo loquace Castelli saranno sciolte a qualunque costo dico a qualunque costo. È gran tempo di fare la separazione necessaria: i fascisti coi fascisti; i delinquenti coi delinquenti; i profittatori coi profittatori e soprattutto bisogna praticare intransigenza morale dico morale.»
(Benito Mussolini[81])
Nel marzo 1926, dopo l'arresto degli assassini di Matteotti, nonostante Mussolini non volesse che al processo di Chieti venisse dato ampio risalto[71], Farinacci assunse la difesa del famigerato Amerigo Dumini[82]. Il ras di Cremona, volendo rendere "politico"[83]. il caso giudiziario, dichiarò: "Il processo non si farà al regime, si farà alle opposizioni"[84]. Gli assassini di Matteotti furono condannati a pene lievi ma già il 30 marzo 1926 - prima che si arrivasse alla sentenza - Farinacci era stato costretto a rassegnare le dimissioni[84].
Il ritorno a Cremona
Dopo le dimissioni da segretario ritornò a Cremona dove svolse l'attività di avvocato ottenendo notevoli guadagni[85] grazie probabilmente anche alla posizione che ricopriva[86], e scrivendo numerose lettere a Mussolini dove lanciava critiche ai più svariati aspetti del regime[85][87], cui Mussolini solitamente o non rispose o rispose con poche righe[85]. Intanto Il Regime Fascista cui si dedicò attivamente arrivò a vendere 150 000 copie[84] e le posizioni intransigenti espresse coagularono intorno a Farinacci le simpatie dei fascisti più intransigenti che sognavano un ritorno al fascismo delle origini[84].
Nacque anche la tentazione di fare di Farinacci una sorta di "antiduce" da contrapporre al moderato Mussolini[68][84], tanto che quando il 31 ottobre 1926 Mussolini subì a Bologna un attentato dall'anarchico Anteo Zamboni si diffuse la notizia che Farinacci potesse esserne stato l'ispiratore[84]. L'ipotesi del complotto farinacciano all'origine del caso Zamboni ha tuttora diversi sostenitori.[88] Le critiche che Farinacci riportava sul giornale nei confronti di numerosi gerarchi gli valsero il nomignolo di "suocera del regime"[85].
Farinacci in visita all'omonima colonia fluviale (oggi Parco al Po "Colonie Padane")
Gli articoli sul giornale gli alienarono le simpatie degli altri gerarchi e provocarono non poche tensioni[85]. Le sue posizioni anticlericali[84] crearono anche alcuni intoppi nel lavoro diplomatico che il regime andava intessendo con la Chiesa cattolica per l'elaborazione del Concordato che sarebbe stato poi sottoscritto nel 1929. Il suo giornale fu successivamente di tanto in tanto oggetto di censure, sequestri, ammonimenti. E forse anche per gli attacchi ad Arnaldo Mussolini, fratello del Duce, del quale insinuò senza prove che avesse ottenuto finanziamenti occulti per Il Popolo d'Italia.
Lo scandalo Belloni
Lo stesso argomento in dettaglio: Scandalo Belloni.
Nel 1928, dalle colonne de Il Regime Fascista, dopo aver acquisito un memoriale scritto da Carlo Maria Maggi, precedente federale di Milano, accusò Ernesto Belloni, podestà di Milano, come responsabile di pubbliche malversazioni. Insieme al podestà fu accusato anche il federale fascista Mario Giampaoli, la cui vita di lussi era ulteriormente impreziosita dalla passione per il gioco d'azzardo. Secondo le accuse Belloni aveva costruito una fitta rete di rapporti "privilegiati" con industriali e affaristi sino al punto di essersi garantito una maxi-tangente ritagliata da un colossale prestito erogato al comune di Milano (circa 30 milioni di dollari degli anni venti).
La vicenda suscitò immediatamente un certo nervosismo da parte di Mussolini, che la seguiva attentamente: conscio della potenziale grave lesione all'immagine del nuovo stato fascista, inviò Achille Starace per condurre le indagini e risolvere la situazione. La pubblicazione delle notizie aveva destato anche l'attenzione della magistratura che aprì nel settembre 1930 un pubblico processo (che avrebbe confermato le accuse). Mussolini nel frattempo destituì Giampaoli prima del processo, ma anche Maggi fu allontanato.[89]
Il ritorno in politica
Rappresentanza PNF capodanno 1935, Farinacci sulla destra
Con la nomina a segretario nazionale del PNF di Achille Starace Farinacci terminò la propria opposizione a Mussolini dedicandosi esclusivamente all'attività forense e allo sport come la scherma e le Mille Miglia[84]. Con la battaglia del grano Cremona fu una delle province italiane ad ottenere i migliori risultati[84]. Curiosamente in questo periodo Farinacci si caratterizzò per la propria opposizione al Nazionalsocialismo di Adolf Hitler che di lì a poco assunse in Germania il potere[84]. Nel gennaio 1935 Mussolini decise di riportare Farinacci nella politica e lo reintegrò nel Gran Consiglio del Fascismo[84].
Il tenente Roberto Farinacci in Africa Orientale
Con la guerra d'Etiopia, "il selvaggio Farinacci" (com'era affettuosamente chiamato dai suoi fedelissimi) il 7 febbraio 1936 partì volontario come tenente dell'aviazione[90] con la 15ª Squadriglia da bombardamento Caproni "La Disperata" di Galeazzo Ciano. Durante un volo aereo perse la rotta e dovette atterrare in territorio nemico, restandovi finché non fu recuperato da Bruno Mussolini[84]. Come aviatore fu decorato con la medaglia d'argento al valor militare[84], citando le "32 missioni di guerra" e le "112 ore di volo"[91].
Il 4 maggio, un giorno prima della fine della guerra, perse la mano destra durante il lancio di una bomba a mano che esplose in anticipo: si pensò inizialmente che il fatto fosse accaduto durante una esercitazione bellica, ma poi si seppe che in realtà fu per un incidente, occorsogli mentre con le bombe a mano pescava in un laghetto presso Dessiè[84][91]. La mutilazione fu comunque considerata come ferita bellica e ne ottenne un vitalizio: quando però Mussolini scoprì come erano andate le cose, lo costrinse a devolvere tale pensione d'invalidità in beneficenza[92]. Rientrato in Italia la sua fama ne fu accresciuta[91], ma da Ettore Muti venne comunque sarcasticamente soprannominato "Martin pescatore"[84][93].
Nel 1937 fu inviato presso Francisco Franco direttamente dal Capo del Governo come osservatore militare in Spagna durante la guerra civile: le sue relazioni furono tecnicamente assai lucide, delineando un quadro prospettico alquanto critico[94].
L'antisemitismo di Farinacci
Durante la guerra di Spagna, dove aveva avuto un confronto diretto con i tedeschi e l'ideologia nazionalsocialista, aderì in parte alle teorie razziste tanto che rientrato in Italia entrò in contatto con Giovanni Preziosi e la sua rivista La vita italiana[94] con la quale a breve, con l'articolo "Matrimonio d'amore", formalizzò un'unione con Il Regime Fascista[95]. Farinacci rilevò come le battaglie sostenute dai due fogli fossero sempre state le stesse e nelle sue intenzioni il giornale di Preziosi si sarebbe trasformato in una rivista esclusivamente politica di approfondimento destinata ad un ristretto numero di lettori[96]. Posizioni antisemite si erano già rilevate su Il Regime Fascista a partire dal 1934, per la prima volta su un importante quotidiano nazionale[97]. L'arresto avvenuto l'11 marzo 1934 di alcuni ebrei italiani che dalla Svizzera stavano rientrando in Italia con "stampati e libelli antifascisti" provocò, a partire dal 30 marzo[98], una dura campagna stampa che presentò tutti gli ebrei come elementi "non nazionali"[99].
L'evento creò una frattura fra gli stessi cittadini ebrei italiani dei quali alcuni, come il presidente della comunità milanese, presero posizione contro gli arrestati ribadendo la propria fedeltà all'Italia[100]. Negli anni successivi in Italia la polemica antiebraica si attenuò[101] per ritornare sporadicamente come il 12 settembre 1936 quando un corsivista anonimo del quotidiano di Farinacci fece proprie le teorie antisemite di Joseph Goebbels esposte al congresso nazista di Norimberga in cui indicava trecento esponenti dell'Unione Sovietica come di origine ebraica[102]. Nel 1938 su Il Regime Fascista ricominciò una intensa campagna antisemita e Farinacci stesso prese posizione contro la situazione politica di Trieste, città in cui i cittadini di religione ebraica erano numerosi e spesso ricoprivano incarichi di potere[103].
Il Piccolo di Trieste, diretto da Rino Alessi, prese le difese degli ebrei sostenendo che la città rappresentava un caso speciale in cui costoro avevano sempre ricoperto posizioni di prestigio[104]. L'adesione alle teorie razziali tedesche da parte di Farinacci inizialmente non fu totale, nei tedeschi lui vide principalmente gli apportatori di una nuova ideologia più pura da contrapporre al fascismo italiano ormai imborghesito[105][106] e il razzismo fosse il pegno da pagare[107]. Ciononostante continuò a tenere al proprio fianco la sua segretaria Jole Foà che era ebrea[85][108]; successivamente, però, la donna venne licenziata proprio in quanto ebrea e, nel dicembre del 1943, arrestata; detenuta in varie località, nell’aprile del 1944 venne deportata ad Auschwitz; morì prigioniera dei nazisti il 21 gennaio 1945[109].
La sottoscrizione del Patto d'Acciaio nel maggio 1939 rappresentò una vittoria per la corrente farinacciana, il cui leader era ormai soprannominato "Il tedesco"[108].
L'introduzione delle leggi razziali fasciste nel 1938 fu seguita con interesse dal "Regime fascista"[110] e nel novembre dello stesso anno, presso l'Istituto di Cultura fascista di Milano, Farinacci prese parte ad una conferenza relativa ai rapporti tra Chiesa cattolica ed ebrei tenuta insieme all'arcivescovo Schuster. L'alto prelato, trattando della tradizione cattolica e rifacendosi all'apostolo Paolo, aveva sottolineato che tutti i popoli discendenti dallo stesso Dio avrebbero dovuto riconoscersi come fratelli[111]. Farinacci, prendendo spunto dalle parole dell'arcivescovo, sostenne che erano stati proprio gli ebrei a volersi sottrarre dalla comune fratellanza e li definì quindi come una razza "inconfondibile e inassimilabile"[111].
Nei mesi successivi Farinacci assunse un atteggiamento fortemente polemico nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche, richiamandosi all'antisemitismo storico della Chiesa per sottolineare come la politica razzista del Fascismo non facesse altro che proseguire nella stessa tradizione e soprattutto ammonendo la Chiesa a non interferire in questioni politiche, in relazione al progressivo avvicinamento del Partito Fascista alla Germania hitleriana[112]. Secondo alcuni, Mussolini avrebbe deciso di sfruttare queste aperture di Farinacci per affidargli i ruoli impopolari dell'introduzione delle leggi razziali fasciste nel 1938. Secondo altri Farinacci, che era stato tra i firmatari del Manifesto della razza, avrebbe premuto per potersene occupare, convinto della loro opportunità politica.
La guerra
«Io ho la sensazione che la Germania in brevissimo tempo metterà in ginocchio la Polonia e procederà contro la linea Maginot che, sotto l'urto di mezzi ultrapotenti, cederà, lasciando ai tedeschi di arrivare in brevissimo tempo a Parigi. La Germania deve vincere in pochissimi mesi, altrimenti, se la guerra dovesse durare qualche anno, la vittoria arriderebbe sicuramente, sebbene dopo sacrifici enormi, all'Inghilterra e alla Francia, a cui gli Stati Uniti non negheranno in seguito il loro appoggio»
(Roberto Farinacci allo scoppio della seconda guerra mondiale[113])
Farinacci a fine anni Trenta: si nota in primo piano il braccio sostituito con un moncherino di cuoio
Quando le armate germaniche cominciarono l'invasione della Polonia, Farinacci fu un convinto sostenitore della necessità di entrare in guerra[85][108] e sostenne questa tesi anche il 7 dicembre 1939 nella penultima riunione del Gran Consiglio del Fascismo, attirandosi l'inimicizia di Balbo, Grandi, Ciano e Badoglio[108]. Dopo il 10 giugno 1940, ad ostilità ormai aperte, Farinacci prese parte agli ultimi scampoli della campagna di Francia.
Il 22 febbraio 1941 fu inviato in Albania, come Ispettore generale della Milizia: qui, appoggiato anche da Ugo Cavallero, accusò Pietro Badoglio di essere il principale responsabile della pessima campagna bellica in Grecia[108][114], risultando determinante nel fargli perdere il ruolo di Capo di Stato Maggiore[114]. Caduto nuovamente in disgrazia, anche perché non rinunciava mai ad eccedere nei giudizi, fece ritorno a Cremona, dove dal suo giornale ricominciò a lanciare critiche alla gestione della guerra e a Mussolini, provocando così ripetuti sequestri del quotidiano[108]. Passò gran parte del periodo bellico a Cremona, muovendosi poi per recarsi a Roma al Gran Consiglio del Fascismo del 24 luglio 1943.
Venuto in giugno a conoscenza di un complotto ordito da ambienti filo-monarchici per sostituire Mussolini, avvertì il Duce che essi intendevano arrestarlo a villa Savoia al termine di un incontro con il Re.[115]
La mancanza di reazione di Mussolini lo convinse che fosse necessario provvederne alla sostituzione, opinione che confermò lo stesso 16 luglio ad altri gerarchi[116]. Il 21 luglio mostrò a Mussolini un ulteriore foglietto in cui il generale Ugo Cavallero gli confermava le manovre dei congiurati: "Caro Farinacci, fai sempre maggiore attenzione. Grandi e C. congiurano per scalzare Mussolini ma il loro gioco sarà in qualche modo vano, perché la Real Casa, con Acquarone, conduce la lotta per conto proprio e li giocherà tutti"[116].
Il 25 luglio 1943, nel corso della riunione del Gran Consiglio del Fascismo si oppose all'ordine del giorno Grandi e presentò una propria mozione in cui sostanzialmente proponeva le medesime cose contenute nella mozione Grandi, ma con l'obiettivo, invece di consegnare il comando delle forze armate al Re, di formare "un'unione materiale di Comando con i tedeschi"[116][117]. Pronunciò quindi il proprio discorso in cui riaffermava la propria fedeltà a Mussolini e al fascismo[116] e respinse anche la proposta di Ciano di unificare le due mozioni[116]. La vittoria con ampia maggioranza della mozione Grandi rese inutile la proposta di Farinacci in quanto ormai superata[116]. La stessa sera, venuto a conoscenza dell'arresto di Mussolini, si rifugiò nell'ambasciata tedesca e il giorno successivo fu trasferito a Monaco di Baviera.
La Repubblica Sociale
Novembre 1943: Farinacci in visita al distretto militare di Cremona
Probabilmente i tedeschi, prima di insediare Mussolini alla guida della Repubblica Sociale Italiana, pensarono a Farinacci come capo dello Stato fantoccio di Salò, salvo poi scartarlo[118]; Farinacci non ricoprì alcun incarico all'interno della RSI[85][114], e ritornò al proprio giornale a Cremona, dove riprese ad attaccare i propri avversari[116] e a difendere senza esitazione[119] la causa della Germania nazista[113]. Confidando quasi fino all'ultimo nella vittoria finale, sulla sua testata diede ampio spazio a teorie relative ad una rimonta militare tedesca attraverso il ricorso alle armi segrete[120].
Il 29 settembre 1943, con l'articolo Eccomi di ritorno pubblicato sul Regime fascista, si ripresentò nelle consuete vesti di esponente dell'estremismo fascista in cui accusò l'antifascismo di persecuzioni "inumane verso i fascisti" e denunciando l'omicidio di Ettore Muti[121]. In previsione del congresso di Verona il suo programma politico si ispirò ad un ritorno al fascismo delle origini[122]. Nel corso della fase istruttoria del processo di Verona Farinacci fu indicato da Galeazzo Ciano come testimone a favore della difesa, ma la sua testimonianza non fu ammessa[123].
Per tutta la durata della Repubblica Sociale la situazione a Cremona rimase tranquilla[124] e Farinacci non subì alcun attentato partigiano, anche se dagli stessi fu spesso additato come un nemico da colpire[125], essendo chiaro che, pur non avendo alcuna influenza sul governo di Mussolini, non avrebbe mai rinnegato il fascismo[125]. Esperto giornalista, favorì la nascita del giornale Crociata Italica di don Tullio Calcagno, che fu stampato nella stessa tipografia del Regime Fascista[126][127] ed arrivò alla tiratura record di centocinquantamila copie[127].
Già nell'agosto 1943, dopo la caduta del fascismo nel centro-sud, il nuovo governo Badoglio lo pose sotto inchiesta con l'accusa di "illeciti arricchimenti"[128], accusa che lo seguì anche dopo l'insediamento della Repubblica Sociale e per il qual fatto fu insediata una commissione apposita presieduta dal ministro della Giustizia Piero Pisenti che era un suo vecchio avversario[128]: la questione si concluse nel settembre 1944 con una serie di proscioglimenti[129]. Dopo l'ottobre del 1943, contro quegli italiani che nascondevano in casa propria connazionali ebrei affinché sfuggissero alla persecuzione nazifascista, vennero diffusi in radio più volte discorsi di Farinacci caratterizzati da acceso antisemitismo, in cui fra l'altro venivano minacciati di fucilazione tutti coloro che avessero aiutato gli ebrei[130].
La fucilazione
Il 25 aprile 1945 il vecchio avversario Guido Miglioli volle incontrarlo per convincerlo ad arrendersi[131], ma Farinacci si rifiutò: "Non siamo ancora alla fine"[132]. In seguito allo sfaldarsi della RSI per l'avanzata degli Alleati, e quando già gruppi di insorti muovevano alla liberazione di Cremona, Farinacci lasciò la città il mattino del 26 aprile diretto in Valtellina[132][133][134][135] insieme a un manipolo di fedeli, ma giunto nei pressi di Bergamo decise di staccarsi dalla colonna per recarsi a Oreno, insieme alla marchesa Maria Carolina Vidoni Soranzo in Medici del Vascello[132], segretaria dei Fasci femminili[113]. Il cambio di percorso fu fatale, poiché a Beverate la macchina fu investita dal fuoco di una pattuglia partigiana e Farinacci fu catturato[136][137], ai partigiani che lo arrestavano chiese: "Quanti milioni volete?" "Vogliamo la tua pelle", fu la risposta.[138]
L'autista rimase ucciso sul colpo mentre la marchesa morì alcuni giorni dopo, a causa delle ferite riportate[132].
Foto falsa. Farinacci non portava la barba, come risulta da altre foto nitide pochi minuti prima della fucilazione con il prete accanto
Fucilazione di Roberto Farinacci il 28 aprile 1945 a Vimercate.
Il gerarca fu trovato in possesso di dodici valigie, quasi tutte piene di gioielli e di denaro.[139] Il giorno dopo, il 28 aprile, Farinacci fu sommariamente processato in una sala del Comune di Vimercate[136][140][141], in cui anche alcuni colpi di fucile furono esplosi in aria[132]. Farinacci tentò una difesa: "Portatemi a Cremona. Là vi diranno che ho fatto del bene e che bisogna liberarmi"[132] e contestò ogni singola accusa[113]. I giudici esitarono nel pronunciare la condanna a morte[132]; infatti i rappresentanti della Democrazia Cristiana e del Partito Liberale Italiano propendevano per consegnarlo agli Alleati[142][143], mentre ebbero un peso decisivo i rappresentanti del Partito Comunista Italiano e del Partito Socialista Italiano[144].
Portato nella piazza principale di Vimercate[143], rifiutò di farsi bendare[145] e pretese di essere fucilato al petto come i militari[113], ma ciò non gli venne concesso. Nonostante fosse stato posto fronte al muro Farinacci riuscì a divincolarsi e a girarsi, così i partigiani spararono in aria[132]; alla seconda scarica riuscì nuovamente a girarsi, venendo colpito al petto[146]: prima di morire le sue ultime parole furono "Viva l'Italia"[133][136][147].
Farinacci fu sepolto inizialmente a Vimercate e solo nel 1956 la famiglia ottenne di farne trasferire le spoglie nella tomba di famiglia a Cremona, nel Cimitero Civico. Il 10 maggio 2011 sulla sua tomba si suicida suo nipote Pietro Ercole Mola[148][149][150] molto noto in città per il suo lavoro al pronto soccorso dell'ospedale civile di Cremona.
Onorificenze
Onorificenze italiane
Membro del Gran Consiglio del P.N.F. - nastrino per uniforme ordinaria Membro del Gran Consiglio del P.N.F.
Medaglia d'argento al valore militare - nastrino per uniforme ordinaria Medaglia d'argento al valore militare
Medaglia di Bronzo al Valor Militare - nastrino per uniforme ordinaria Medaglia di Bronzo al Valor Militare
Ordine Civile di Savoia - nastrino per uniforme ordinaria Ordine Civile di Savoia
Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro - nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro
Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine della Corona d'Italia - nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine della Corona d'Italia
Cavaliere di gran croce dell'Ordine coloniale della Stella d'Italia - nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di gran croce dell'Ordine coloniale della Stella d'Italia
Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine di Skanderbeg - nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine di Skanderbeg
2 Croci al Merito di Guerra - Concessione per Valore Militare - nastrino per uniforme ordinaria 2 Croci al Merito di Guerra - Concessione per Valore Militare
Croce al merito di guerra - nastrino per uniforme ordinaria Croce al merito di guerra
Medaglia commemorativa delle operazioni militari in Africa orientale (ruoli combattenti) - nastrino per uniforme ordinaria Medaglia commemorativa delle operazioni militari in Africa orientale (ruoli combattenti)
Medaglia di benemerenza per i volontari della Campagna in Africa Orientale (1935–1936) - nastrino per uniforme ordinaria Medaglia di benemerenza per i volontari della Campagna in Africa Orientale (1935–1936)
Medaglia commemorativa nazionale della Guerra (1915-1918) - nastrino per uniforme ordinaria Medaglia commemorativa nazionale della Guerra (1915-1918)
Medaglia commemorativa dell'Unità d'Italia - nastrino per uniforme ordinaria Medaglia commemorativa dell'Unità d'Italia
Medaglia Commemorativa Italiana della Vittoria - nastrino per uniforme ordinaria Medaglia Commemorativa Italiana della Vittoria
Medaglia di Benemerenza per i Volontari della Guerra Italo-Austriaca (1915-1918) - nastrino per uniforme ordinaria Medaglia di Benemerenza per i Volontari della Guerra Italo-Austriaca (1915-1918)
Croce di anzianità (10 anni) nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale - nastrino per uniforme ordinaria Croce di anzianità (10 anni) nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale
Medaglia commemorativa della Marcia su Roma - nastrino per uniforme ordinaria Medaglia commemorativa della Marcia su Roma
Medaglia Commemorativa della Guerra di Spagna (1936-1939) - nastrino per uniforme ordinaria Medaglia Commemorativa della Guerra di Spagna (1936-1939)
Medaglia Commemorativa della Spedizione in Albania - nastrino per uniforme ordinaria Medaglia Commemorativa della Spedizione in Albania
Medaglia ai Benemeriti delle Arti - nastrino per uniforme ordinaria Medaglia ai Benemeriti delle Arti
Onorificenze straniere
Cavaliere di Gran Croce Ordine dell'Aquila Tedesca - nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di Gran Croce Ordine dell'Aquila Tedesca
Gran Ufficiale dell'Ordine del Gran Duca Gediminas (Lituania) - nastrino per uniforme ordinaria Gran Ufficiale dell'Ordine del Gran Duca Gediminas (Lituania)
Opere
Il processo Matteotti alle Assise di Chieti. L'arringa di Roberto Farinacci, Cremona, Cremona nuova, 1926.
Un periodo aureo del partito nazionale fascista, Foligno, Campitelli, 1927.
Redenzione. Episodio cremonese della rivoluzione fascista. Dramma in 3 atti, Cremona, Cremona nuova, 1927; 1932.
Andante mosso. 1924-25, Milano, A. Mondadori, 1929.
Da Vittorio Veneto a Piazza San Sepolcro, Milano, A. Mondadori, 1933.
Squadrismo. Dal mio diario della vigilia. 1919-1922, Roma, Ardita, 1933.
In difesa dell'Ing. Bruno Venturi. Capitano Aldo Carraresi. Arringa pronunciata il 23 giugno 1934 dinanzi al Tribunale di Napoli, Cremona, Cremona Nuova, 1934.
Storia della rivoluzione fascista, 3 voll., Cremona, Cremona nuova, 1937.
La beffa del destino. Dramma in tre atti, Cremona, Cremona nuova, 1937.
In difesa del dott. Riccardo Gamberini. Resoconto stenografico. Tribunale di Roma, 12 gennaio 1937, Cremona, Cremona nuova, 1937.
Contro Ida Stucchi e Prof. Carlo Girola, Cremona, Cremona nuova, 1938.
La Chiesa e gli Ebrei. Conferenza d'inaugurazione tenuta all'Istituto di cultura fascista di Milano il 7 novembre 1938, Cremona, Cremona nuova, 1938.
In difesa del Gr. Uff. Dott. Giovanni Misco, con Paolo Paternostro, Palermo, IRES, 1939.
Italia e Francia. Discorso tenuto da Roberto Farinacci al teatro Petruzzelli di Bari il 14 aprile 1939-XVII, Roma, Europa, 1939.
Realtà storiche, Cremona, Cremona nuova, 1939.
Costanzo Ciano, Bologna, Cappelli, 1940.
Storia del Fascismo, Cremona, Cremona nuova, 1940.
Donne d'Italia. Caterina da Siena, Cremona, Cremona nuova, 1940.
Diario 1943, Milano, Rizzoli, 1947.
Note
^ Renzo De Felice, Mussolini, il fascista , Einaudi, 1965, vol. II, p. 543
Guido Gerosa, p. 46.
Silvio Bertoldi, p. 44.
Guido Gerosa, p. 48.
^ Giuseppe Pardini, p. 16.
Giuseppe Pardini, p. 17.
Franzinelli, p. 214.
^ Rosario F. Esposito, La Massoneria e l'Italia. Dal 1800 ai nostri giorni, Edizioni Paoline, Roma, 1976, pag. 386
^ Aldo Alessandro Mola, Storia della Massoneria in Italia dal 1717 al 2018, Firenze-Milano, Bompiani-Giunti, 2018, p. 486.
^ Luca Irwin Fragale, La Massoneria nel Parlamento. Primo novecento e Fascismo, Morlacchi Editore, 2021, pp. 441.
^ Giuseppe Pardini, p. 10:"dopo non pochi contrasti all'interno della "Quinto Curzio", che portarono anche ad una piccola scissione".
^ Peter Tompkins, Dalle carte segrete del Duce, Marco Tropea, Milano, 2001, pag. 51.
^ Luca Irwin Fragale, La Massoneria nel Parlamento. Primo novecento e Fascismo, Morlacchi Editore, 2021, pp. 442.
^ Luca Irwin Fragale, La Massoneria nel Parlamento. Primo novecento e Fascismo, Morlacchi Editore, 2021, pp. 443.
^ Giuseppe Pardini, p. 18:..aveva cercato sin dall'inizio di arruolarsi, ma ne venne impedito dal decreto ministeriale che vietava agli impiegati dello Stato (in quanto già in congedo illimitato) il volontario arruolamento.
Giordano Bruno Guerri, p. 112.
^ Silvio Bertoldi, p. 41:Farinacci presentò la domanda di volontario, questa domanda non fu accettata perché come ferroviere egli venne ritenuto indispensabile al servizio che svolgeva.
^ Silvio Bertoldi, pp. 41-42: Riuscì ad andare al fronte, venne smobilitato nel 1917 per rimandarlo ai suoi treni.
^ Roberto Festorazzi, Farinacci. L'antiduce, Roma, Il Minotauro, 2004
Giuseppe Pardini, p. 18.
^ Giuseppe Pardini, p. 18: Le ferrovie, non potendo rischiare problemi alle linee, richiamarono l'anno successivo i dipendenti, sì che anche Farinacci lasciò il reparto e tornò al lavoro a Cremona.
^ Giuseppe Pardini, p. 10.
^ Giuseppe Pardini, p. 19.
^ Silvio Bertoldi, p. 41:"Il suo ispiratore ideale, il suo modello, era Leonida Bissolati, che Mussolini aveva fatto espellere dal partito [socialista], un mite, un idealista. Farinacci non lo rinnegherà nemmeno quando giungerà ai fastigi della carriera fascista".
^ Giordano Bruno Guerri, p. 68.
^ Guido Gerosa, pp. 48–49.
Guido Gerosa, p. 49.
^ Guido Gerosa, p. 49: Gerosa riporta correttamente i fatti ma erroneamente indica come data il 5 dicembre.
^ Roberto Vivarelli vol III, pp. 88–89.
^ Giuseppe Pardini, p. 39: Già domenica 5 settembre, durante il comizio socialista pro-Russia (erano presenti in città almeno 3mila manifestanti, e Lazzari aveva tenuto il comizio di chiusura, esortando "il proletariato a tenersi pronto per l'imminente cozzo finale")...
^ Giuseppe Pardini, p. 39: secondo la Prefettutura alla manifestazione fascista presero parte circa 800 persone.
Giuseppe Pardini, p. 39.
^ Giorgio Alberto Chiurco, Storia della rivoluzione fascista 1919.1920, volume II Anno 1920, Vallecchi Editore, Firenze, 1929, pag 115
^ Giuseppe Pardini, p. 40.
^ Franzinelli, pp. 214–215.
^ Silvio Bertoldi, p. 42: "Presentò la tesi all'Università di Modena, discutendo "Le obbligazioni naturali dal punto di vista della filosofia del diritto e del diritto civile". Si scoprì nel 1930 che aveva comprato tale lavoro da un tale Stefano Marenghi, di Cremona, il quale se ne era servito a sua volta per laurearsi a Torino nel 1921".
^ Giordano Bruno Guerri, p. 85.
^ Roberto Vivarelli vol III, p. 156: se anche gli agrari avevano seguito con ovvia simpatia lo sviluppo dei Fasci, Farinacci non aveva permesso che questi si presentassero come il braccio armato delle associazioni agrarie.
Roberto Vivarelli vol III, p. 156.
Franzinelli, p. 76.
^ Franzinelli, p. 75: "La violenza si scatenava immancabilmente dopo una provocazione: percosse a un fascista isolato, fischi al passaggio delle camicie nere, sventolio di vessilli rossi, canti proletari... Se in talune situazioni, effettivamente, militanti della sinistra trascesero contro avversari politici in condizione di minorità, nella maggioranza dei casi il comportamento degli squadristi attualizzava l'apologo del lupo e dell'agnello, oltre a prevedere un'evidente sproporzione tra azione e reazione: gli insulti attiravano le revolverate, un'aggressione isolata determinava la distruzione della Camera del lavoro e il sequestro dei capilega".
^ Franzinelli, p. 77.
^ Roberto Vivarelli vol III, pp. 404–405.
Roberto Vivarelli vol III, p. 405.
Guido Gerosa, p. 50.
Roberto Vivarelli vol III, p. 406.
^ Roberto Vivarelli vol III, p. 406:Nel contado il piano fascista fu facilitato dal modo spesso arbitrario e intenzionalmente persecutorio, con il quale molte amministrazioni comunali applicavano le imposte.
^ La relazione di Di Tarsia è citata in Renzo De Felice, Mussolini il fascista. I. La conquista del potere 1921-1925, Einaudi, Torino 1966, pag. 252.
Roberto Vivarelli vol III, p. 407.
^ Welfare Cremona, su welfarecremona.it. URL consultato il 16 marzo 2013 (archiviato dall'url originale il 19 dicembre 2013).
Roberto Vivarelli vol III, p. 408.
^ Giuseppe Pardini, p. 85: ""In seguito ai fatti di Cremona, la federazione del Psi decise le dimissioni di massa di tutte le amministrazioni socialiste ancora in carica (35, ma pure le amministrazioni popolari avrebbero fatto altrettanto), paralizzando di fatto la vita politica locale.
^ Giuseppe Pardini, p. 85: In tale situazione lo sciopero generale legalitario indetto dall'Alleanza del Lavoro non trovò possibilità alcuna di riuscita, anzi il solo annuncio servì ancor più a guadagnare al fascismo settori sociali che non ritenevano più i partiti costituzionali idonei a garantire la governabilità del paese.
^ Giordano Bruno Guerri, pp. 112–113.
^ Giorgio Alberto Chiurco, Storia della Rivoluzione Fascista 1919-1922 Volume IV Anno 1922 parte I pag 327
^ Roberto Vivarelli vol III, p. 456.
^ Roberto Vivarelli vol III, pp. 456–457.
^ Roberto Vivarelli vol III, p. 458.
Guido Gerosa, p. 51.
Luigi Cazzadori, p. 29.
^ I caduti dimenticati 1919-1924, Novantico Editore Ritter, pag 69 per i dati biografici di Antonio Vicini
^ Luigi Cazzadori, p. 29: "Noi dobbiamo conquistare la Prefettura. I fascisti urtano contro la forza pubblica, tentano di salire via Bissolati con una lunga scala a pioli, invano. Dall'interno del Palazzo viene gettata dai nostri una corda in via Bissolati. Cattadori vi si arrampica per primo. Improvvisamente due squilli di tromba e una scarica di moschetteria. Silenzio ansioso e sinistro! Mi getto in avanti, grido: Fermi, non sparate, sono colpi a salve! E Vicino, colpito a morte, mi afferra una gamba cadendo e mormora: "No onorevole, tirano a palla e diritto"".
^ Luigi Cazzadori, p. 33.
^ Roberto Vivarelli vol III, p. 475.
^ I caduti dimenticati 1919-1924, Novantico Editore Ritter, pagg 65-70, Abele Casnici, Andrea Bassi, nella frazione di S. Giovanni in Croce e Pietro Terreni, Ferdinando Cattadori, Rinaldo Fedeli, Giuseppe Maddidini, Giuseppe Bongiovanni, Antonio Vicini, Giovanni Fantarelli, Pietro Garevini nell'assalto alla prefettura di Cremona
Giordano Bruno Guerri, p. 101.
Giordano Bruno Guerri, p. 113.
Silvio Bertoldi, p. 45.
Franzinelli, p. 215.
Guido Gerosa, p. 52.
Guido Gerosa, p. 53.
^ PAOLO NELLO, Il Pnf e i gerarchi nell’analisi di De Felice, in RENZO DE FELICE. LA STORIA COME RICERCA. ATTI DEL CONVEGNO, Firenze, 25 maggio 2016.
^ Renzo De Felice, Mussolini il fascista. II. L'organizzazione dello Stato fascista 1925-1929, Einaudi, Torino 1968, pag. 65.
^ Renzo De Felice, Mussolini il fascista. II. L'organizzazione dello Stato fascista 1925-1929, Einaudi, Torino 1968, pagg. 67-8.
^ Renzo De Felice, Mussolini il fascista. II. L'organizzazione dello Stato fascista 1925-1929, Einaudi, Torino 1968, pagg. 68-9.
^ Mario Guarino, I Soldi dei Vinti, Luigi Pellegrini Editore, pag. 143.
^ Emilio Gentile, Fascismo. Storia e interpretazione, Laterza, Roma-Bari 2011 (sesta edizione), pag. 18.
^ Emilio Gentile, Fascismo. Storia e interpretazione, Laterza, Roma-Bari 2011 (sesta edizione), pag. 19.
^ Renzo De Felice, Mussolini il fascista. II. L'organizzazione dello Stato fascista 1925-1929, Einaudi, Torino 1968, pagg. 130.
^ Renzo De Felice, Mussolini il fascista. II. L'organizzazione dello Stato fascista 1925-1929, Einaudi, Torino 1968, pagg.133-4.
^ Il testo del telegramma di Mussolini è riportato in: Renzo De Felice, Mussolini il fascista. II. L'organizzazione dello Stato fascista 1925-1929, Einaudi, Torino 1968, pag. 65.
^ Piero Gobetti, Matteotti - Roberto Farinacci in difesa di Dumini, preface by Ruggero Jacobbi, Libreria dell'800, Roma, 1944.
^ "Roberto Farinacci, il Robespierre del fascismo, l’antiduce amico dei nazisti. Farinacci perseguita Mussolini su due fronti: i report dettagliati sulle malversazioni della cricca meneghina e il misterioso contenuto della borsa di Matteotti, che costituisce la terza e ultima parte di Tangentopoli Nera. Gli autori ricostruiscono le peripezie di Amerigo Dumini, l’assassino che trafugò le carte del deputato socialista, e il suo legame con Farinacci, che lo difese nel processo farsa messo in scena dal regime. Le carte giacciono ancora, insabbiate, negli archivi inglesi e americani: Fascismo ladrone: la guerra dei gerarchi per le mazzette, Il Fatto Quotidiano, 18 ottobre 2016.
Guido Gerosa, p. 54.
Giordano Bruno Guerri, p. 114.
^ Silvio Bertoldi, p. 42.
^ v., su larchivio.com. URL consultato il 21 dicembre 2018 (archiviato dall'url originale il 22 maggio 2011).
^ Brunella Dalla Casa, Attentato al Duce. Le molte storie del caso Zamboni, Bologna, Il Mulino, 2000.
^ Quel piano per uccidere il gerarca farinacci, Repubblica, 13 agosto 2004.
^ Giuseppe Pardini, p. 373.
Giuseppe Pardini, p. 375.
^ A. Battista, Io sono la guerra, Rizzoli, Milano, 2012
^ Arrigo Petacco, L'archivio segreto di Mussolini, Oscar storia Mondadori, p. 19
Guido Gerosa, p. 55.
^ Romano Canosa, p. 144.
^ Romano Canosa, pp. 144–145.
^ Romano Canosa, p. 150.
^ Romano Canosa, p. 151.
^ Gallina Fanny Levin, «L’antisémitisme dans la presse italienne à l’époque du fascisme. Étude comparée du Popolo d’Italia, du Corriere della Sera et de L’Italia», Revue d’Histoire de la Shoah, 2016/1 (N° 204), pp. 85-103 e nota 11.
^ Romano Canosa, pp. 152–153.
^ Romano Canosa, p. 157.
^ Romano Canosa, p. 158.
^ Romano Canosa, pp. 196–197.
^ Romano Canosa, p. 197.
^ Giordano Bruno Guerri, p. 114:Diventò poi il gerarca più filonazista e razzista (continuando a tenersi una fedelissima segretaria ebrea), quello che vedeva in Hitler un modello che Mussolini non avrebbe mai potuto raggiungere.
^ Silvio Bertoldi, p. 48:Forse, pensava che Hitler possedesse tutto ciò che mancava al suo collega italiano.
^ Guido Gerosa, p. 55: Quello farinacciano diventa il solo fascismo italiano che si tinga di hitlerismo: logica esasperazione, fino agli ultimi corollari, della sua antitesi ventennale a Mussolini.
Guido Gerosa, p. 56.
^ Cfr. la scheda sul sito del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea: Foa, Jole, su digital-library.cdec.it. URL consultato il 15 ottobre 2019 (archiviato dall'url originale il 15 ottobre 2019).
^ Guido Gerosa, pp. 213–214.
Romano Canosa, p. 215.
^ Enzo Collotti, pp. 98–99.
Silvio Bertoldi, p. 48.
Silvio Bertoldi, p. 47.
^ Antonio Spinosa, Mussolini, il fascino di un dittatore..
Guido Gerosa, p. 57.
^ Giuseppe Pardini, p. 436.
^ Guido Gerosa, p. 58.
^ Luigi Ganapini, p. 106.
^ Giuseppe Pardini, p. 455.
^ Luigi Ganapini, pp. 191–192.
^ Luigi Ganapini, p. 192.
^ Metello Casati, p. 48.
^ Giuseppe Pardini, p. 456.
Luigi Cazzadori, p. 71.
^ Luigi Ganapini, p. 213.
Giuseppe Pardini, p. 453.
Luigi Ganapini, p. 133.
^ Luigi Ganapini, p. 133: ...si chiude a metà settembre 1944 con la pronuncia di una serie di proscioglimenti (tra cui quello, appunto, di Farinacci) e con il rinvio sine die degli ulteriori lavori....
^ Alessandro Portelli, L'ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria, Feltrinelli, Milano 2012, pag. 133.
^ Giuseppe Pardini, p. 458.
Guido Gerosa, p. 59.
Giordano Bruno Guerri, p. 115.
^ Luigi Cazzadori, p. 71: "Ubbidendo agli ordini ricevuti dal governo di Mussolini di ritirarsi a Como e poi in Valtellina, egli uscì da Cremona con una colonna".
^ Silvio Bertoldi, p. 48: Voleva dirigersi verso il fantomatico "ridotto della Valtellina".
Guido Gerosa, p. 59: "Il suo ultimo grido fu Viva l'Italia".
^ Silvio Bertoldi, p. 48: "Viaggiarono abbastanza tranquilli fin quasi Bergamo, poi Farinacci ordinò di staccarsi dalla colonna e di dirigersi a Oreno, dove aveva una villa la sorella della marchesa, sposata a un Gallarati Scotti. È difficile dirsi se avesse intenzione di nascondersi, oppure se avesse in mente di mostrarsi gentile con la signora, a costo di gravi rischi. La diversione gli fu fatale. A Beverate un partigiano sparò sulla vettura che non si era fermata all'alt. La macchina si schiantò contro un albero".
^ Scanzi: "Raduno fascista a Cremona, una baracconata", La Provincia Cremona, 8 maggio 2021.
^ Mario Guarino, p. 145: I Soldi Dei Vinti.".
^ Giuseppe Pardini, p. 459: basandosi su alquanto generiche imputazioni (persino di complicità nel delitto Matteotti...), condannò Farinacci, in appena un'ora di dibattimento e in un clima di feroce ostilità.
^ Silvio Bertoldi, p. 48: Lo processarono nella sala del Consiglio comunale. L'atto d'accusa era giuridicamente approssimativo, umanamente irreprensibile.".
^ Silvio Bertoldi, p. 48:.
Luigi Cazzadori, p. 72.
^ Silvio Bertoldi, p. 48: "I socialisti e i comunisti spingevano per la fucilazione".
^ http://www.casadellaculturamelzo.it/storiainmartesana/pdf/numero11/Perego,%20Giorgio%20[Le%20ultime%20ore%20di%20Farinacci].pdf
^ Silvio Bertoldi, p. 48: Non volle essere bendato e chiese di che gli sparassero al petto, secondo la tradizione militare. Glielo rifiutarono, facendolo voltare di spalle a furia di schiaffi. Lui tentò di girarsi e i partigiani allora tirarono in aria, dandogli così l'agghiacciante prodromo dell'esecuzione vera. Alla seconda scarica, lo colpirono: eppure Farinacci era riuscito a torcersi e prese i colpi nel torace. C'è chi assicura che abbia gridato :"Viva l'Italia".".
^ Giuseppe Pardini, p. 459: Soltanto un guizzo, pochi secondi prima della scarica dei fucili partigiani, gli permise di tentare di voltarsi di petto, alzare il saluto romano e inneggiare all'Italia.
^ [1] Il nipote di Farinacci suicida sulla tomba del nonno gerarca fascista
^ Cremona, si toglie la vita il nipote di Farinacci Si è suicidato sopra la tomba del nonno - IlGiornale.it
^ Suicida sulla tomba del nonno gerarca fascista: muore il nipote di Farinacci | Fanpage, su fanpage.it. URL consultato l'11 maggio 2011 (archiviato dall'url originale il 13 maggio 2011).
Bibliografia
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Silvio Bertoldi, Farinacci più fascista del Duce - in Storia Illustrata n° 188, luglio 1973
Romano Canosa, A caccia di ebrei, Mondadori, Milano, 2007 (1 ed. 2006)
Metello Casati, "1944: il processo di Verona", in I documenti terribili, Mondadori, Milano, 1973
Luigi Cazzadori, Roberto Farinacci, dallo squadrismo alla RSI, Novantico, Pinerolo, 1999
Enzo Collotti, Il fascismo e gli ebrei, Laterza, Bari, 2003
Matteo Di Figlia, Farinacci. Il radicalismo fascista al potere, Donzelli, Roma, 2007
Roberto Festorazzi, Farinacci. L'antiduce, Il Minotauro, Roma, 2004
Harry Fornari, La suocera del regime. Vita di Roberto Farinacci, Mondadori, Milano, 1972
Mimmo Franzinelli, Squadristi, Mondadori, Milano, 2009
Luigi Ganapini, La repubblica delle camicie nere, Garzanti, Milano, 2010 (1 ed. 1999)
Guido Gerosa, Capitolo "Roberto Farinacci" su "I gerarchi di Mussolini", Istituto Geografico De Agostini, Novara, 1973
Giordano Bruno Guerri, Fascisti. Gli italiani di Mussolini il regime degli italiani, Mondadori, Milano, 1995
Giuseppe Pardini, Roberto Farinacci. Ovvero della rivoluzione fascista, Le Lettere, Firenze, 2007
Lorenzo Santoro, Roberto Farinacci e il Partito nazionale fascista, 1923-1926, Rubettino, Soveria Mannelli, 2007
Sergio Vicini, Paolo A. Dossena, Lupo vigliacco. Vita di Roberto Farinacci, Hobby & Work, Milano, 2006
Roberto Vivarelli, Storia delle origini del fascismo, volume III, Il Mulino, Bologna, 2012
Renzo Santinon, Roberto Farinacci, l'uomo del tormento e della battaglia, PubMe, Roma, 2017
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FARINACCI, Roberto, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1932. Modifica su Wikidata
Giacomo Perticone, FARINACCI, Roberto, in Enciclopedia Italiana, II Appendice, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1948. Modifica su Wikidata
Farinacci, Roberto, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010. Modifica su Wikidata
Farinacci, Robèrto, su sapere.it, De Agostini. Modifica su Wikidata
(EN) Roberto Farinacci, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata
Giuseppe Sircana, FARINACCI, Roberto, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 45, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1995. Modifica su Wikidata
(EN) Opere di Roberto Farinacci, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata
Roberto Farinacci, su storia.camera.it, Camera dei deputati. Modifica su Wikidata
Corrispondenza Farinacci-Mussolini, su larchivio.com. URL consultato il 21 dicembre 2018 (archiviato dall'url originale il 22 maggio 2011).
Predecessore Presidente della Provincia di Cremona Successore
Antonio Martani (Commissario) 1923 - 1929 nessuno; nel 1929 il consiglio provinciale viene sciolto.
Predecessore Segretario del PNF Successore
Alessandro Melchiori 15 febbraio 1925 - 30 marzo 1926 Augusto Turati
V · D · M
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V · D · M
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giovedì 9 marzo 2023
Corso di Laurea magistrale (ordinamento ex
D.M. 270/2004)
in Scienze dell’antichità: letterature, storia e
archeologia
Tesi di Laurea
La Sicilia nella Geografia di
Strabone
Relatore
Ch. Prof. ssa Stefania De Vido
Laureando
Ester Ragazzo
Matricola 824414
Anno Accademico
2014 / 2015
................................................................................................................................1
..........................................................................................................9
.................................9
....................................................14
.........................................................................................................16
...............................................................................................................17
................................................................................................................22
……..............................................22
...............................................................................34
.....................................................................42
................................................................46
....................................................56
............................................................58
...................................................67
........................................85
.....................................................................94
............................................................104
................................................................................................................................115
................................................................................................................................119
INDICE:
Introduzione
I. Strabone e la sua opera
1.1 Elementi della vita e aspetti importanti della biografia di Strabone
1.2 Le opere: cos’è conservato e struttura della Geografia
1.3 La fortuna dell’opera
1.4 Storia degli studi
II. Elementi di metodo
2.1 Rapporto fra storia e geografia nell’opera di Strabone
2.2 Elementi di filosofia nella Geografia
2.3 Strabone e il suo tempo: un greco a Roma
2.4 Le fonti della Geografia: un opera di bilancio
III. La Sicilia di Strabone: dalla teoria alla prassi testuale
3.1 Motivi della scelta: un suggerimento dell’autore
3.2 Rapporto fra storia e geografia nella sezione siciliana
3.3 Elementi di filosofia nel capitolo siciliano: la difesa omerica
3.4 Politica augustea nelle pagine sulla Sicilia
3.5 Le fonti di Strabone nella geografia della Sicilia
Conclusioni
Bibliografia
1
Introduzione
L’argomento di questo studio è una riflessione storica sulla percezione dello spazio geografico
nell’antichità e, in particolare, nell’opera di Strabone. Considerando la vastità di tale opera da
molteplici punti di vista, ho ritenuto preferibile e più vantaggioso concentrare la mia attenzione al
capitolo sulla Sicilia, regione geografica circoscritta che nondimeno offre numerose opportunità di
riflessione. Vorrei, dunque, cercare risposte ad alcune domande rivolgendole in modo minuzioso e
diretto al testo straboniano. Al fine di non fornire soluzioni superficialmente inquinate da opinioni
personali e moderne e nella convinzione che questo sia l’unico procedimento efficace, mi
riprometto di applicare un metodo di costante e fedele riferimento alle parole della fonte.
Innanzitutto, ormai a distanza di un ventennio, vorrei raccogliere e fare tesoro della provocazione
lanciata da Salvatore Settis, di guardare agli antichi con occhio fresco e attento alla diversità1
.
Denunciava lo studioso, nell’introduzione all’opera di carattere generale sui Greci, una tendenza
della cultura corrente a strumentalizzare la grecità, avanzando pretese di identità con essa;
biasimava l’idea di una «classicità ‘rotonda’, di γνῶμαι pronunciate una volta per tutte»2 e di «un
paesaggio popolato di modelli e di archetipi»3
. Riassumeva tutto ciò nel concetto di ‘miracolo
greco’, che mira ad esibire una grecità ‘rotondamente’ classica, priva di imperfezioni e incertezze.
La proposta era quella di tornare a guardare ai Greci con uno sguardo nuovo, lo stimolo a fare
‘scienze dell’antichità’, percorrendo strade differenti: sfruttando gli strumenti della comparazione e
dell’antropologia storica, impegnandosi a costruire uno studio dei ‘Greci senza miracolo’4
. Settis
osservava, infatti, come questi ultimi conoscessero bene l’incertezza e, tutt’altro che perennemente
indaffarati a inventare nuove discipline e a fondare la coscienza dell’Europa moderna, si mossero
anzi, nel loro mondo, con curiosità e ansia di scoperta: «li troviamo sulle coste del Mar Nero o della
Spagna, in Sicilia o in India, a costruire un’infinita varietà di culture locali o a immaginare viaggi
dei loro eroi oltre le Colonne d’Ercole; sempre curiosi di vedere e conoscere»5
. Suscitava così un
interesse per dei Greci meno classici, pronti alla sfida di incominciare strade che poi
interromperanno, fondare colonie che vivranno solo pochi anni e sperimentare; aperti e desiderosi di
confrontarsi, disposti ad ibridizzarsi con le genti che incontravano, ponendo e ricevendo domande.
In accordo con Settis, questi antichi appaiono molto più interessanti e un simile studio, che
presupponga cioè tali premesse tanto pertinenti al tema geografico, potrà risultare ancora più
1 SETTIS 1996, pp. XXVIII-XXX. 2 SETTIS 1996, p. XXIX.
3 Id.
4 L’espressione si può ricondurre a GERNET 1984 che introdusse e approfondì il concetto poi ripreso e utilizzato da
numerosi studiosi fra cui, appunto SETTIS 1996; cfr. anche DESIDERI 1996, p. 961. 5 SETTIS 1996, p. XXX.
2
stimolante e ricco. In accordo con Nicolet, riguardo allo studio sul territorio, ritengo che: «per
capire tante cose altrimenti incomprensibili, dobbiamo fare uno sforzo di dimenticare la nostra
visione del mondo fisico (esatta e ormai incontrovertibile), per tentare di ricostruire la visione
storica degli antichi e impossessarcene»6
. Ciò che vorrei intraprendere, dunque, è uno studio che
non riduca il passato ad un’eco delle istanze del presente, impegnandomi a non fornire soluzioni
contaminate da opinioni personali e moderne.
In questa fase iniziale, di inquadramento generale dei problemi relativi alla percezione dello spazio
nell’antichità, vorrei individuare alcune domande che tengano conto, da un lato di questo aspetto di
incertezza e attitudine degli antichi alla ricerca assidua; ma anche della loro reale e innegabile
capacità di costruire modelli di duratura validità, che non possono esserci indifferenti e, in ogni
caso, ci obbligano al confronto. Sono consapevole riguardo alla complessità di questi presupposti,
nondimeno aspiro ad intraprendere il mio lavoro poiché in accordo con Strabone: «πρὸς οἷς ἂν καὶ
μικρὸν προσλαβεῖν δυνηθῶμεν, ἱκανὴν δεῖ τίθεσθαι πρόφασιν τῆς ἐπιχειρήσεως»7
.
Per quanto riguarda lo studio dello spazio geografico nell’antichità, si può riscontrare una certa
confusione e ambiguità di definizione della materia di studio: il primo problema riguarda l’uso dello
stesso termine ‘geografia’, per cui ci si domanda se possa avere un fondamento parlarne o se non
valga, altrimenti, la pena di interrogarsi sulla pluralità dei discorsi e dei saperi che si accumulano al
di sotto di questa generica denominazione8
. Il significato della parola ‘geografia’ non proietta sui
saperi dell’antichità una uniformità e coerenza proprie della disciplina contemporanea? Un
problema quindi, in primo luogo, di definizione e di classificazione all’interno delle suddivisioni del
sapere attuale. Ma, è pur vero che, può rivelarsi essenziale comprendere e prendere atto dei debiti
della geografia moderna e dei motivi di identificazione con la sua antenata. Sarebbe veramente così
illusorio pensare a un’unica disciplina che, costituitasi progressivamente, abbia per questo
conosciuto incertezze, cambiamenti, trasformazioni, rotture e crisi d’identità9
? Come Jacob e
Mangani fanno ben notare, nel pensare ad una storia della geografia, noi moderni non possiamo fare
in alcun modo a meno di trasferire la nozione scientifica attuale, scegliendo di studiare, fra i discorsi
antichi, quelli che appaiono maggiormente passibili di rientrare nella nostra idea di geografia,
6 NICOLET 1989, intro.
7 Strab. I 2,1: «anche se è piccolo il contributo che noi possiamo portare in questa materia, deve essere ragione
sufficiente dell’impresa».
8 Prezioso in questa fase del lavoro è stata l’attenta lettura del contributo di JACOB-MANGANI 1985, pp. 36-76;
queste pagine rappresentano l’elaborazione della comunicazione tenuta dai due autori in occasione di un seminario
internazionale riguardante i problemi storiografici dello studio della geografia antica, svoltosi presso l’Istituto di
Filologia Classica dell’Università di Macerata, a cura di Pietro Janni. Al seminario avevano partecipato tra gli altri
anche G. Aujac, A. Peretti e F. Prontera ed esso fu occasione di riflessione approfondita e discussione sui problemi e le
nuove metodologie di analisi della scienza geografica e cartografica antica, ebbe, inoltre, il merito di esprimere un
sensibile interesse emergente nella ricerca storica italiana per un’analisi più articolata delle fonti e della tradizione,
ispirandosi al quale si intraprende questo lavoro.
9 Cfr. JACOB-MANGANI 1985, pp.38-39, che fanno a loro volta riferimento a FIERRO 1983.
3
cosicché il criterio di selezione proceda sulla base di fondamenta generiche di intuizione10. Una
prima considerazione, dunque, potrà essere quella sulla necessità di prestare attenzione a non
rendere universale la suddivisione contemporanea del sapere e di non fermarsi ad individuare solo
gli aspetti di conformità e somiglianza dell’oggetto della riflessione; cercare di valorizzare, quindi,
anche i tratti di tangenza più o meno marginali. Si può facilmente capire quanto l’oggetto della
geografia moderna non possa in alcun modo essere il medesimo di ciò che si poteva prendere in
considerazione nell’antichità. Ѐ possibile, oggi, avere una conoscenza dello spazio che fino a pochi
secoli fa non si poteva nemmeno lontanamente immaginare11. Su cosa, allora, si deve volgere
l’attenzione? Sempre Jacob e Mangani forniscono un validissimo suggerimento a riguardo:
«studiare la geografia degli antichi significa prima di tutto, scegliere un “corpo” di testi»12.
Studiare, cioè, l’insieme dei discorsi e dei saperi che possano mostrare e spiegare, per una data
epoca, quale fosse la visione, la conoscenza, la diffusione e la circolazione delle rappresentazioni
dello spazio. Mostrare, grazie ad una vasta indagine, quali fossero le condizioni ambientali, sociali e
culturali che favorivano lo sviluppo di ricerche sul territorio e in quali generi discorsivi; se vi fosse
sincronia fra le scoperte scientifiche e la divulgazione dei loro risultati e se mai si sia sviluppato un
genere volto a queste finalità. In questa ottica, lo studio della percezione dello spazio geografico
nell’antichità risulta strettamente legato e indissociabile dallo studio dei testi e della loro ricezione.
Il rapporto che gli antichi ebbero con lo spazio che li circondava si tradusse in orientamenti
metodologici molto diversi fra loro. Alla nozione di geografia antica si connette, abitualmente, un
vasto complesso di ricerche e di studi che vanno dall’astronomia, alla geodesia, alla cartografia,
dalla geografia fisica all’etnografia, dalle esplorazioni e dai racconti di viaggio alla geografia
descrittiva; senza contare altri nuclei di interesse, cui potremmo consegnare qualcuna delle etichette
che costituiscono la nomenclatura della attuale classificazione del sapere13. Un trattato di geografia
antica conteneva al suo interno tutti i temi elencati. Accanto ad una produzione scientifica, tecnica e
specializzata, i geografi antichi, con una consapevolezza più o meno esplicita, a poco a poco
diedero vita a un genere letterario. Non si può, dunque, dire che i geografi antichi non ebbero una
sensibilità teorica e storica riguardo le peculiarità della loro materia ma solo in età ellenistica,
attraverso tali molteplici direzioni di indagine ed in modo graduale, si articolò un sapere codificato
come propriamente geografico. Nell’ambito di una attuale tensione alla classificazione e
sistemazione istituzionale del sapere in materie di studio ben definite, la vastità di interessi di
10 JACOB-MANGANI 1985, pp. 38-39. 11 JACOB 1983, pp. 60-64; oltre all’impossibilità di immaginare il mondo a tre dimensioni come noi siamo abituati a
fare grazie all’evoluzione di mezzi tecnici che ce lo rendono possibile, anche solo pensare ad una cartografia in grado di
visualizzare la terra dall’alto, punto di vista degli dei, costituiva per gli antichi un atto di hýbris; lo dimostra attraverso
la ripresa di alcuni testi letterari.
12 Id. 13 PRONTERA 1983, p. X-XI.
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ricerca rivolti dagli antichi in direzione dello spazio geografico costituisce una questione di grande
problematicità. Ciò che potrebbe apparire come un ritardo di codificazione del sapere geografico
nell’ambito della letteratura antica e nel confronto con altri generi è probabilmente frutto di tale
situazione di complessità. A partire dall’età ellenistica, tutti gli storici che ancora proponevano la
rituale apologia del proprio mestiere intellettuale erano ben consapevoli di muoversi all’interno di
uno spazio letterario ben definito nella sua natura grazie ad una lunga tradizione: essi si sentivano,
parte di una catena storiografica14. Lo storico sapeva di far parte di una particolare tradizione
letteraria e non sentiva il bisogno di tracciare proemi e quadri consuntivi del genere da lui praticato.
Per la geografia le cose stanno diversamente: il ‘geografo’ antico deve costruirsi una tradizione in
cui siano compresi i generi più disparati (epos, filosofia, storia, fisica, astronomia)15. D’altra parte,
gli studi moderni, fra i quali soprattutto gli studi di Van Paassen, hanno avuto il merito di
sottolineare quanto sia fuorviante accostarsi alla geografia antica commisurandola ad alcune nostre
nette distinzioni, per esempio, fra storia e geografia o tentare di sistemare dal nostro punto di vista
tale vasto campo di conoscenze16.
Ancora, le difficoltà cui si è accennato sono relative all’impossibilità da parte di noi moderni di
concepire una conoscenza dello spazio geografico che prescinda da alcune nozioni, più o meno
recentemente acquisite, che ci offrono di tale oggetto di studio una padronanza notevolmente
amplificata. A quest’irrimediabile elemento di incomprensione si aggiungono una certa scarsità di
fonti scritte relative all’argomento e la quasi totale assenza di fonti non scritte, che ci
immagineremmo di dover trovare in connessione a ciò che di scritto abbiamo.
Intendo procedere, dunque, ad una analisi del testo, chiedendomi se, in accordo con la critica
moderna, sia possibile riconoscere in Strabone uno dei protagonisti della prima fase di codificazione
del ‘genere’17. Egli sarebbe stato il primo a impegnarsi a un’opera di sistematica organizzazione del
materiale esistente. Secondo le parole di Prontera, la prefazione di Strabone alla sua monumentale
opera sarebbe: «la più lunga ed articolata riflessione della letteratura antica sulla natura, l’oggetto, i
fini, i destinatari e il pubblico della geografia: mai si era tanto indugiato a giustificare il lavoro
intrapreso a e a cercarsi esplicitamente dei lettori»18.
L’analisi del testo straboniano sarà suddivisa in due parti: in una prima parte prenderò in
considerazione quanto Strabone afferma nei Prolegomena in relazione alla sua opera, individuando
quattro nuclei tematici che reputo di particolare interesse; nella seconda parte, intendo analizzare il
14 CANFORA 1971, pp. 653-670. 15 Per il tema della collocazione della geografia all’interno di una tradizione letteraria vd. PRONTERA 1984. 16 VAN PASSEN 1957; FEBVRE 1980. 17 Si fa riferimento in particolar modo a PRONTERA 1983; CORDANO 1992; BIANCHETTI 2008; Per tutto ciò che
riguarda, in generale, la definizione e gli ambiti di studio della geografia antica si fa riferimento a FEBVRE 1980;
PRONTERA 1983, intro.
18 PRONTERA 1983, p. XVII.
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testo del capitolo sicilian
mercoledì 8 marzo 2023
Da quell'era i nostri progenitori - siano sicani o altro - riuscirono a sormontare gli sconvolgimenti epocali dell'età del Bronzo e di quella del Ferro in condizioni di relativo benessere, piuttosto pacifici ed alquanto prolifici, come il diffondersi delle tombe per tutto il crinale collinare sta a testimoniare. Caccia e risorse minerarie, ma soprattutto cerealicultura e pastorizia consentirono sopravvivenza ed anche sviluppo. Ad un certo punto si ebbe, però, una crisi per ragioni che ci sfuggono: forse per le razzie dei Siculi. Successivamente, quando, per l'aridità della loro terra, i greci sciamarono per il Mediterraneo e le genti di Rodi e di Creta, via Gela, si insediarono nella valle agrigentina, per i radi indigeni di Racalmuto fu il definitivo sconquasso. I moderni storici si accapigliano per stabilire tempi, modalità e drammi di quell'esodo geco cui non si attaglierebbe neppure il termine di colonizzazione, trattandosi di un'espulsione senza ritorno. Sono però propensi a ritenere che quei greci subirono la violenza della scacciata dalle loro famiglie contadine e, mancando di mogli, la scaricarono sulle donne indigene di Sicilia, violandole con nozze coatte. Un doppio dramma - si dice - che, ci pare, Racalmuto non subì né nella prima ondata di immigrazione greca, né in quella della seconda generazione. Racalmuto era lungi dal mare e lungi dalle rive sabbiose, preferite dai greci per trarre in secco le loro imbarcazioni, magari come semplice auspicio per un (improbabile) ritorno in patria. I rodiesi ed i cretesi di Gela fondarono, accrebbero e consolidarono la città akragantina. Per qualche secolo ancora Racalmuto poté restare libero territorio anellenico. Ma giunti i tempi della famigerata tirannide di Falaride, nel sesto secolo a.C., per le popolazioni di Racalmuto fu l'inizio di una devastante denominazione greca. I cadetti greci di Agrigento, privi di terra e di beni per il costume del maggiorascato del loro popolo, cercarono, forse, fortuna e dominio nei dintorni e così anche Racalmuto cadde nelle loro mani. Si attestarono certo nelle feraci contrade tra Grotticelle e Casalvecchio. I radi reperti numismatici con la riconoscibile effigie del granchio akragantino non attestano solo l'inclusione di quel territorio nella circolazione monetaria delle varie tirannidi dell'antica Agrigento, ma soprattutto l'insediamento dei nuovi padroni. Da quell'epoca la civiltà sicana indigena non è più testimoniata in alcun modo. I nuovi padroni venuti da Agrigento presero certo la più gagliarda gioventù per trasferirla, schiava, nella titanica costruzione del tempio a Zeus che si attribuisce a Falaride. La gran parte, se non resa schiava, fu senz'altro assoggettata ad una sorta di servitù della gleba. Taluni, scacciati o fuggitivi, si ritirano con i loro sparuti armenti negli inospitali valloni siti a tramontana. E divennero pastori randagi e rudi, feroci ma liberi, anarchici e misantropi ma irriducibili ed incoercibili, simili a quei pastori che ancor oggi sembrano mantenere le prische connotazioni di uomini fieri e liberi. In tutto ciò sono da rinvenire le radici della storia sociale racalmutese. La classe agro-pastorale nasce e si evolve lungo millenni con rimarchevole continuità e peculiarmente autoctona. Sono i vertici ed i dominatori che vengono da fuori, arroganti ed estranei. Si pensi che un ricambio in senso classista Racalmuto l'ha potuto registrare solo ai nostri giorni. Soltanto gli anni ottanta del XX secolo sono propizi ad un rivoluzionario avvento di amministratori con genuine ascendenze locali e d'autentica estrazione popolare. IL PERIODO GRECO Tra il 570 ed il 555 a. C. Racalmuto diviene pertinenza rurale della polis di Akragas, sotto la tirannide di Falaride: costui assurge al potere cavalcando la tigre dei ribellismi sociali e plebei dell'Agrigento di allora. Fu questo fenomeno tipico dei silicioti greci di quel periodo. Racalmuto vi fu travolto di riflesso, per via dei greci nobili che poterono appropriarsi delle terre del nostro altopiano. Frattanto nelle nostre plaghe ebbero a moltiplicarsi i kyllyrioi, i semi schiavi di cui parla Erodoto: gente che doveva lavorare per la vicina polisdi Akragas, senza libertà di movimento, senza diritti civili se non quelli di non potere essere venduti o allontanati dalla terra che lavoravano, potendo conservare la propria famiglia e la propria vita comunitaria. I reperti numismatici che talora si sono rinvenuti a Racalmuto sono i soli indici della loro presenza. E' certo che sino a quando non vi saranno sul nostro territorio scavi come quelli che gli Adamesteanu e gli Orlandini ebbero a condurre sul circondario di Gela attorno agli anni cinquanta, a noi non resta che avventurarci in malcerte congetture. Solo 'MALGRADO TUTTO' nell'ottobre del 1990 riporta il pensiero di Rosalba Panvini che reputa la scoperta archeologica degli operai dell'ENEL in contrada Grotticelle 'molto interessante' e pensa che «siamo in presenza di due strati archeologici che coprono un arco di tempo che va dal III secolo avanti Cristo al II dopo Cristo». Nell'accennata campagna di scavi del 1960, le importanti scoperte presso Vassallaggi, in S. Cataldo, portavano a attribuire a quella località la nota cittadina di Motyon della Biblioteca di Diodoro Siculo (Kokalos, VIII 1962 ). Tramontava definitivamente il sogno accarezzato da Serafino Messana nel secolo diciannovesimo di assegnare quel nome greco al nostro paese. La sua teoria della 'metatesi' di Motyon che diventa «Casalmotyo e perciò Casalvecchio» - e dire che Serafino Messana ignorava le teorie linguistiche del Ciaceri che vuole Mothion una grecizzazione del preesistente 'Mutuum' - sfiorisce in un patetico dilettantismo. Tinebra Martorana già rifiutava quella teoria con l'elegante 'non liquet' (non risulta) di Filippo Cluverio. Oggi, liquet (risulta) l'inattribuibilità di Motyon a Racalmuto e dintorni: la località è dagli studiosi concordemente ubicata attorno a S. Cataldo. Quando vi fu dunque l'attacco di Ducezio all'avamposto di Akragas, Motyon, nel 451 o o nel 450 a.C., l'onta dell'invasione non riguardò il territorio dell'attuale Racalmuto: per quei tempi, S. Cataldo era a distanza considerevole: quei nostri antenati dovettero però fornire grano e vettovaglie e vite umane in quella guerra tra Akragas, sostenuta dai siracusani, e l'esercito di Ducezio, il siculo-ellenizzato di Mineo. Per Racalmuto passavano di sicuro gli opliti agrigentini. La rete viaria di allora non doveva essere granché diversa da quella della fine del secolo scorso. Frattanto Racalmuto, territorio rurale di Akragas, perdeva usi e costumi sicani, dimenticava la madre lingua per storpiare una aliena lingua dorica, e si dedicava alla coltivazione dell'ulivo, alle vigne, alla vinificazione per i padroni di Agrigento. Insieme naturalmente al grano, merce di scambio per i traffici agrigentini con la madre patria greca o con i vicini cartaginesi. La continuità degli autoctoni - pastori e contadini - persisteva certo, ma in via sotterranea e ovviamente subalterna, priva di ogni esteriorità e senza lasciare alcuna testimonianza per i posteri. 03/04/18, 12:46 Rosa Grazie Lillo,dopo pranzo leggero' con grande attenzione 🙂 Rosa Rosa Casano Del Puglia e ti rispondo 🙂 03/04/18, 13:49 Hai inviato buon pranzo, Per il momento non occorrono risposte. Forse dopo confabuleremo per qualche progetto archeologico.
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