sabato 19 dicembre 2015

sabato 19 dicembre 2015

Racalmuto non è solo Sciascia


La camicia nera

Calogero Restivo


L’uomo uscì da dietro la scrivania per fare quattro passi e sgranchirsi le gambe.
Aveva lavorato tutta la mattinata senza fermarsi nemmeno per prendere una boccata d’aria. C’era stato un imprevisto andirivieni e, dopo che il movimento era cessato, aveva dovuto raccogliere e rimettere in ordine i fogli sparsi dappertutto sulla scrivania, sullo scaffale e sulla sedia vuota accanto alla sua. Era stata una mattinata pesante ma non straordinaria, una come se ne vedevano tante in quel periodo dell’anno.
Di nuovo, ora, c’era il caldo che non dava requie. Gli venne da ridere pensando al caldo di oggi che faceva una gara con il caldo di ieri.
“Vince quello di oggi” pensò sentendosi la camicia bagnata di sudore appiccicata alla pelle. Ora che tutto era stato messo in ordine ed ogni cosa al proprio posto, si guardò intorno soddisfatto constatando che l’ufficio aveva di nuovo le sembianze di un ufficio, non di quelli importanti, di quelli in cui gli operatori non si limitavano a guardare l’orologio ogni minuto in attesa di vedere scoccare l’ora di uscita come scolaretti in attesa della campanella di fine, dopo aver passato la mattinata in chiacchiere e far niente.

Arrivato davanti alla porta si fermò a guardare in alto il cielo, che stava sempre lì ed era sempre lo stesso, sempre di un azzurro terso e sempre uguale per tutti i giorni della lunga estate isolana. Guardò lungo la strada da cui arrivava qualche folata di vento misto a polvere ed infine rivolse lo sguardo verso il ponte che sempre lo inquietava da quando, una mattina di tanto tempo fa, aveva visto un morto appoggiato ai piloni del ponte vecchio, quello caduto una nottata di bufera che sembrava arrivata la fine del mondo.
Si era sparato per amore, si disse.
Accese una sigaretta e aspirò il fumo acre con visibile soddisfazione.
Il suo non era proprio un vizio, era solo un modo per scandire i ritmi della giornata: una la mattina appena alzato, una dopo pranzo ed una la sera dopo cena.
Quella di oggi, e mancava poco alle cinque di pomeriggio, era un’eccezione.
Rientrò subito dopo e si rimise al lavoro.
Prese dal cassetto della scrivania il registro dei “passaggi” in cui venivano segnate tutte le operazioni in entrata e uscita, che dovevano corrispondere con le bollette emesse e quindi quadrare con la somma incassata.

Questa operazione veniva fatta a fine giornata ma quel giorno di caldo, che toglieva il respiro, preferiva iniziare la chiusura di cassa prima possibile e andare a casa a mettersi in libertà e rinfrescarsi un poco.

L’ufficio daziale chiudeva alle cinque. Ormai mancava solo circa un quarto d’ora.
Era da anni che faceva quel lavoro, non gli piaceva ma lo faceva come meglio poteva e in ogni caso secondo le disposizioni di legge e nel rispetto dei regolamenti.
Puntuale e preciso. Il lavoro era una specie di premio per avere lasciato sul campo di battaglia gli anni migliori della gioventù e una parte non indifferente del corpo. Aveva appena iniziato a fare i conti per la chiusura di cassa, che un’ombra si profilò sulla porta. L’uomo staccò gli occhi dal lavoro e guardò il nuovo arrivato.
Aveva, costui, la barba, i capelli, il berretto, la camicia e i calzoni neri.
Era, come un tempo si diceva, a “lutto stretto” cioè con i segni del lutto come per la morte di un parente stretto; il padre, per esempio. Rassomigliava alla figura dell’uomo che portava sfortuna e disgrazia, lo iettatore, che aveva visto al cinema in un vecchio film comico tanti anni fa.

“Salutiamo, mastro” disse la figura in nero restando sulla porta in modo da dominare la stanza tutta, compreso l’uomo dietro la scrivania.

La pancia davanti al corpo, impettito che era l’unico modo che conosceva, forse, di rappresentare il potere: il tragico ed il ridicolo del potere di cui, certamente, non si rendeva conto. L’uomo del dazio si alzò in segno di rispetto mentre l’uomo in nero veniva avanti fermandosi davanti alla scrivania come un maestro che gira attraverso i banchi guardato con paura ed ammirazione dai bambini anche perché ha in mano una bacchetta robusta che ogni tanto batte contro il banco. L’ Autorità escluse subito di chiedere di vedere il libro dei conti perché avrebbe comportato di sedersi alla scrivania, rivedere le voci una ad una, compito questo che si addice ad un ispettore qualunque non all’Autorità con la A maiuscola, come dentro di sé si pensava, di quelli che si impongono con la solo presenza anche se non sono seguiti da una codazzo di gente servile e sorridente che gli tiene “bastone”. Comunque, risolse, che rivedere conti, cartelle e quant’altro non gli sembrava il caso e non l’avrebbe aiutato ad introdurre l’argomento del vero motivo di quella visita, la mancata presenza alle adunate settimanali che aveva notato da qualche tempo e che rischiava di contagiare anche altre persone e diventare una cosa importante tanto da minare la sua stessa autorità. Si sa come vanno queste cose, qualcuno dei suoi subordinati, così, come per caso, poteva far trapelare qualche parolina, per caso, parlando con i suoi superiori. Bisogna risolvere il caso.

Sempre fermo e in silenzio, perso in questi profondi pensamenti, si rese conto che doveva fare e dire qualche cosa subito oppure la sua autorità sarebbe andata a “scatafascio” senza rimedio, nonostante la divisa ed il berretto con il cordone bianco che lo faceva comandante di qualche cosa.

Non aveva la padronanza della parola di un oratore, né la cultura.
Era solo un prodotto del momento politico e del caso e, se si vuole, del trovarsi nel posto giusto al momento giusto come si soleva dire. Da questo e nient’altro, derivava il suo potere.
Deciso ad entrare subito in argomento “Mastro” disse strascicando quel “mastro” fino a farlo diventare quasi una parolaccia “non siete venuto alla riunione sabato né a sentire il discorso del capo”.
Si dondolò sul corpo passando il peso rimarchevole da una gamba all’altra come aveva visto fare al Capo.
Non era una domanda.
“Il sabato lavoro” rispose l’uomo delle bollette “e quando ho finito vado direttamente a casa” e dopo un po’ di silenzio “non ho tempo” aggiunse guardandolo dritto negli occhi.
Non c’era arroganza nella sua voce ma rispetto senza inutili genuflessioni e la tranquillità di chi è uso fare il proprio dovere, con rigore in primis verso se stessi.
“L’adunata ed il discorso agli operatori si fa la domenica” disse e la voce questa volta aveva perso il tono falsamente mellifluo e si era fatta arrogante ed il tono era quello che usava con chi lo temeva o per innata vigliaccheria o perché era ricattabile.
A questo punto sembrava che l’uomo delle bollette fosse stretto all’angolo come un pugile quasi vinto. “La domenica è per la famiglia …. la Messa…. ognuno di noi ha dei doveri, degli obblighi…” lasciò in sospeso la frase come se si aspettasse una certa comprensione.
“No” disse l’uomo in nero “non capisco… l’adunata… la presenza alle… sono cose importanti. Sono, oserei dire, più importanti del lavoro e della Messa, che Dio mi perdoni. In fondo perdere qualche bolletta non è una cosa tanto grave” disse volgendo uno sguardo tutto attorno e volendo sottintendere chissà che cosa.
“Conviene avere tutto a posto per un eventuale controllo, ma non essere presente all’adunata o quando parla…” e guardava in alto in atteggiamento di rispetto “è una cosa grave… grave assai… quasi… ma voi… la camicia!”

L’uomo del dazio lo guardava perplesso. Che c’entrava la camicia, ora?
“Ma voi… non portate la camicia nera come… ma… non vorrei… fatemi capire… non sarete per caso uno di quelli?…” disse l’autorità tra il sorpreso e l’esterrefatto.
“Quali quelli?” chiese l’uomo delle bollette ancora guardandolo negli occhi.
“Si… di quelli che remano contro, che non credono che…”
“No, non sono né di questi né di quelli, non mi interesso di certe cose, io”
“Voi da domani mattina indosserete la camicia nera per venire al lavoro e controllerò…” disse l’uomo in nero e questa volta era furente.
La sua voce aveva assunto un tono di comando venato d’ isterismo. Con calma, l’uomo delle bollette riprese a parlare dopo avere fatto un profondo respiro per ingoiare la rabbia e rappresentare un’apparente calma.

“Io non sono contro nessuno, anzi… vi dirò che ho tanto rispetto per…” e guardò in alto imitando l’altro “Quando è morto mio padre” continuò “ho portato la camicia nera per mesi ed anni e vi assicuro che… se Lui un domani… dovesse venire a mancare… mi vestirò a lutto, anche la fascia al braccio…”

Non aveva finito di parlare che l’uomo in nero batté un pugno sulla scrivania, quasi a sfondarla, uscì senza salutare, masticando parole incomprensibili e prima di svoltare l’angolo della strada, andava verso il Municipio, si voltò indietro e fece con la mano un gesto come per dire “hai finito… ci penso io a…”

L’uomo delle bollette capì che la giornata di lavoro era finita ed anche il lavoro era finito. Ormai non poteva più rimangiarsi le parole, ne voleva
.
Prese una scatola di cartone e incominciò a sistemarvi dentro le sue cose.
Quando finì diede uno sguardo circolare per assicurarsi che tutto era in ordine e che nell’ufficio non restava altro di suo. Mise in ordine le sedie, chiuse lo schedario e accese la quarta sigaretta della giornata. Guardò l’orologio, era ora di chiudere.

Con la scatola sotto il braccio si avviò verso casa.
Io ho sentito solo D'Alema fare una diagnosi seria e per me inconfutabile. Questa non è crisi di sistema, è crisi di liquidità del sistema.

Io sono convinto, nel mio piccolo (per non farmi dare del logorroico autoreferente), che una crisi di liquidità la ingegneria nazionale italiana (e nessuno può contestarmi se penso che Monti è uno se non il massimo di codesti ingegneri finanziari alla Guido Carli) è in grado di risolverla in un batter d'ali. Come? ripercorrendo le vie carliane dei "prestiti compensativi", e del conseguente "sconto sotto fascia" che produssero il miracolo economico  negli anni 'Sessanta.

Perché non avviene ciò? perché D'Alema è antipatico, Monti è Massone e soprattutto perché gira e rigira lo stravecchio Napolitano chi designa come primo ministro? Il fanciulletto rampante ( e pare chiavante) della florentiae tellus.

Certo che con le dissennate chiassate grillesche, la ministra dei boschi piagenti finisce in gloria.
Strano che il ragioniere generale dello Stato apri li casciuni per salvare un milione di "risparmiatori" furbetti, ivi compresa la Real Casa degli eredi  dei Medici di Firenze.

E pare che tanto stia avvenendo perché la Merkel ami assentarsi, e Draghi deve far finta di annuire temendo forse che saltin fuori i documenti dimenticati in via Nazionale c/o Gnudi.

Che tutto ciò sia un gioco, protagonista un'avvenente piagnona?


Nella settima potenza del mondo, con due millenni e mezzo di civiltà dietro le spalle davvero tanto può avvenire?

Non è una cosa seria. Solo: marionette che passione? (viva il mio superbo Pier Maria Rosso di San Secondo , nisseno anche se escluso dalla strada degli scrittori della CMC di Ravenna, quella che fa ponti che crollano alle prime acque autunnali, nella terra dei sicani).


Orsù via! Convenite con me: non è una cosa seria. Dura minga! Dura Minga!
sabato 19 dicembre 2015
Che comica la vita, pare che Renzi e Boschi faranno incriminare per poterlo defenestrare quel Visco che in definitiva è stato blando con la loro Etruria.
Ma già! la Boschi è nullatenente e Renzi non sa come i suoi parenti hanno potuto avere accesso a devastanti crediti etruriani giovandosi di una sorta di corsia preferenziale.
Ho scritto sopra quello che ho scritto per poi chiedere al grillino Di Battista a cosa alludeva con quel suo accusare BI coinvolgendola  in una operazione IMI (se non ho sentito male mi pare che abbia detto proprio IMI).
Mi vado sempre più interrogando: hanno fatto un cosiddetto provvedimento salva banche. Confesso che manco ho letto il titolo. Ne sento parlare e basta. La ministra dei boschi piangenti tra il pianto in onore del padre e la lagrimuccia per la perdita del mucchietto di azioni etruriani esultava: abbiamo salvato un milione di risparmiatori. Perché noi del governo siamo inflessibili: chi sbaglia paga. Una bella contraddizione in termini mi pare, Ma lasciamo perdere. Vorrei sapere dagli addetti ai lavori: la CE, la terribile Merkel ce lo permetterà? Non spinge il governo a fare retromarcia? al limite o non ci applicano sanzioni peggiori di quelle per le famigerate "quote latte" di Mannino? Boh!.
Ma dài non è questo il problema. I pannicelli caldi non servono a niente. Ben altro è lo tsunami che si sta abbattendo sull'Italia, verso la via greca. E la sinistra disfattista inventa falsi problemi per fornire come vie di scampo.


Date: Sat, 19 Dec 2015 08:44:40 +0000
From: mail@change.org
To: calogerotaverna@live.it
Subject: #SalvaBanche



Ciao Calogero,
Pier Luigi teme che gli amministratori degli istituti salvati dal cosiddetto decreto "Salva Banche" possano presto assumere nuovi incarichi analoghi. Per questo chiede che perdano immediatamente il requisito di onorabilità, condizione indispensabile per svolgere funzioni di amministrazione.

Togliere l'onorabilità agli amministratori delle                                                     

Novara, Piemonte
Il "Decreto SalvaBanche" è sbagliato anche perché non prevede che i componenti dei Consigli di Amministrazione delle quattro banche - portate al fallimento e salvate con il sacrificio di centinaia di migliaia di piccoli risparmiatori, che vedono azzerati i risparmi di una vita - perdano immediatamente il requisito di onorabilità richiesto dalla legge per gli amministratori delle banche.
Questo significa che presto potranno assumere altri ben pagati incarichi in banche, nonostante la cattiva gestione e le truffe messe in atto contro numerosi risparmiatori.
Si chiede che il Decreto venga emendato in sede parlamentare con l'inserimento di questa sanzione morale e politica contro comportamenti che stanno umiliando l'Italia e la sua immagine nel mondo.
Che comica la vita, pare che Renzi e Boschi faranno incrminre e poterlo defenestrare quel Visco che in definitiva è stato blando con la loro Etruria. Ma già la Boschi è nullatenente e Renzi non sa come i suoi parenti hanno potuto avere accesso a devastanti crediti etruriani giovandosi di corsia preferenziale. Ho scritto sopra quello che ho scritto per poi chiedere al grillino Di Battista a cosa alludeva con quel suo accurasre BI implicata in una operazione IMI (se non ho sentito male mi pare che abbia detto proprio IMI).

Rascino vi aspetta

Lillo Taverna ha pubblicato 2 aggiornamenti.
  • Commenti
    Lillo Taverna Andiamo tutti a Rascino sopra Fiamignano (RI) nell'alto Lazio, sopra Il Lago Salto, nel vero Cicolano. Montagna, pastoriazia, neve (a suo tempo), lago, Rocca e negletto sito preistorico (si dice della civiltà peasgica come certe masse litiche dei dintorni annunciano e denunciano9.Nei dintorni ho ereditato una villa rustica di antica concezione romana sencdo le teoriche del Lugini. Se venite e mi preavvertite vi poso ospitare gratis. In atto boschi e acque dilapidati da amministrazioni acquiescenti, Ma il prossimo sindaco Falsarone saprà ovviarvi. E qui sarà un paradiga di moderna attrazione turistica, di insediamenti manufatturieri in agricoltura, cesifiici all'avanguardia, opifici e zona termale con neve anche artificiale che fonti energetiche alternative sapranno realizzaer senza iquinare. Ciò se i sapienti fiamignanesi, negletti i paralizzanti campaniismi di microlatitudini vorranno sindaco Falsarone. Del che francamente non dubito. Dopo l'Italia assistenziale è alle porte l'Italia a economia mitteleuropea. Pochi capiscono, Carmine Falsarone, sì.
Lectio magistralis prima



 
Quelli dei tronfi e vocianti siti dell'incolta sinistra disfattista l'altro giorno si sono messi  fare la voce grossa credendo di colpire il sistema: “la Banca d'Italia è una normale società per azioni in mano a quattro o cinque banche manigolde: è una normale società privata i cui padroni azionisti sono ..” e giù elenchi specchietti  griglie e grafici.

 

E bravi lor signori! si sono però  accorti che facevano appunto il gioco dei loro odiati avversarsi? Quello di ridurre un "istituto di diritto pubblico" apicale, che una volta quando occorreva lo si voleva addirittura farlo assurgere a istituzione di rilevanza costituzionale, sia pure in forza di una inesistente ‘costituzione materiale' ora cambiando tendenza, lo si vorrebbe nient’altro che una privatissima società di capitali ripartiti tra le più chiacchierate grandi banche italiane (e non so perché escludono le Generali). 

 

Certo una mano di aiuto gliela dà il D.LGS. 1 settembre 1993, n.  385  ove, fingendosi sistemate tutte le leggi in materia bancaria e creditizia, incostituzionalmente si delegittima l'"ordinamento sezionale del credito" con radice o appiglio nell'art. 47 (se non 41) della Costituzione Repubblicana.

E in quell'ordinamento svettava la Banca d'Italia ai sensi e per gli effetti della legge bancaria del 1936 che cessava di essere "fascista" per il recepimento costituzionale voluto anche da Togliatti (che per me è molto importante).

E all'artico 20 di quella legge magari così come canonizzata dall'ABI  leggo: "La Banca d'Italia , creata con la l. 10 Agosto 1893, N. 449, è dichiarata Istituto di diritto pubblico.

Il capitale della Banca è di trecento milioni di lire ed è rappresentato da 300.000  quote di mille lire ciascuna, interamente versate.

Ai fini della tutela del pubblico credito e delle continuità di indirizzo dell'Istituto  di emissione, le quote di partecipazione  al capitale sono nominative e possono appartenere solamente a:

- a) Casse di risparmio;

- b) Istituti di credito di diritto pubblico e Banche di interesse nazionale;

- c) Istituti di previdenza;

- d) Istituti di assicuraziene".

 

Certo tutta una impostazione giuspubblicistica possibile in epoca fascista (tutto nello Stato niente fuori dallo Stato) ma di ardua acquisizione costituzionale e ancor peggio di recepimento nella moderna impostazione dei bilanci societari a partita doppia e figuriamoci ora, con l'abbandono del buon Luca Pacioli e l'incolto sobbarcarsi alle pragmatiche visioni contabili di stampo teutonico.

 

Comunque sino ai tempi di Ciampi e Fazio  noi assistevamo a un bilancio serioso della BI ove in classica partita doppia di privatistica concezione e come potete vedere dell'acclusa foto di una di codeste esilaranti pagine a firma Fazio, quelle metafisiche quote delle partecipazioni  in realtà giuspubblicistiche, talune persino entità desuete, ecco come si esplicano, quasi la banca d'Italia fosse l'azionarietta dello zio buon'anima che si era arricchito vendendo occhiali.

Sottesi problemi irrisolti giganteschi, come quelli del fatiscente e ambiguo "Consiglio superiore della Banca d'Italia", una comica scimmiottatura dei CDA delle civilistiche società di capitali, come il rito delle annuali assemblee dei partecipanti in cui il Governatore ancora ha il destro della andreottiana predica del mese mariano.

Invero il problema se lo pose Tremonti d'ordine e per conto di Berlusconi e cercò di requisire la Banca d'Italia facendola fagocitare dal TESORO, cosa in astrato persino  encomiabile, ma che dimostrò la sua caducità quando quei due signori, sospinti da Bertone, volevano nominare la Tarantola prima governatrice in gonnella. Gioco non riuscito: una furbata di Napolitano e massoneria bancaria dietro poté braccare il Tremonti tarantoliano; la legge c'era (mi pare un art. 19) ma il regolamento no e quindi si doveva tornare come prima se non peggio di prima, di talché alla sala del San Sebastianino poté farvi ingresso addirittura l'ex comunista del servizio studi Visco (oggi in gran tempesta).
Calogero TAVERNA ex ... tante cose
 

[continua]
Lectio magistralis prima



 
Quelli dei tronfi e vocianti siti dell'incolta sinistra disfattista l'altro giorno si sono messi  fare la voce grossa credendo di colpire il sistema: “la Banca d'Italia è una normale società per azioni in mano a quattro o cinque banche manigolde: è una normale società privata i cui padroni azionisti sono ..” e giù elenchi specchietti  griglie e grafici.

 

E bravi lor signori! si sono però  accorti che facevano appunto il gioco dei loro odiati avversarsi? Quello di ridurre un "istituto di diritto pubblico" apicale, che una volta quando occorreva lo si voleva addirittura farlo assurgere a istituzione di rilevanza costituzionale, sia pure in forza di una inesistente ‘costituzione materiale' ora cambiando tendenza, lo si vorrebbe nient’altro che una privatissima società di capitali ripartiti tra le più chiacchierate grandi banche italiane (e non so perché escludono le Generali). 

 

Certo una mano di aiuto gliela dà il D.LGS. 1 settembre 1993, n.  385  ove, fingendosi sistemate tutte le leggi in materia bancaria e creditizia, incostituzionalmente si delegittima l'"ordinamento sezionale del credito" con radice o appiglio nell'art. 47 (se non 41) della Costituzione Repubblicana.

E in quell'ordinamento svettava la Banca d'Italia ai sensi e per gli effetti della legge bancaria del 1936 che cessava di essere "fascista" per il recepimento costituzionale voluto anche da Togliatti (che per me è molto importante).

E all'artico 20 di quella legge magari così come canonizzata dall'ABI  leggo: "La Banca d'Italia , creata con la l. 10 Agosto 1893, N. 449, è dichiarata Istituto di diritto pubblico.

Il capitale della Banca è di trecento milioni di lire ed è rappresentato da 300.000  quote di mille lire ciascuna, interamente versate.

Ai fini della tutela del pubblico credito e delle continuità di indirizzo dell'Istituto  di emissione, le quote di partecipazione  al capitale sono nominative e possono appartenere solamente a:

- a) Casse di risparmio;

- b) Istituti di credito di diritto pubblico e Banche di interesse nazionale;

- c) Istituti di previdenza;

- d) Istituti di assicuraziene".

 

Certo tutta una impostazione giuspubblicistica possibile in epoca fascista (tutto nello Stato niente fuori dallo Stato) ma di ardua acquisizione costituzionale e ancor peggio di recepimento nella moderna impostazione dei bilanci societari a partita doppia e figuriamoci ora, con l'abbandono del buon Luca Pacioli e l'incolto sobbarcarsi alle pragmatiche visioni contabili di stampo teutonico.

 

Comunque sino ai tempi di Ciampi e Fazio  noi assistevamo a un bilancio serioso della BI ove in classica partita doppia di privatistica concezione e come potete vedere dell'acclusa foto di una di codeste esilaranti pagine a firma Fazio, quelle metafisiche quote delle partecipazioni  in realtà giuspubblicistiche, talune persino entità desuete, ecco come si esplicano, quasi la banca d'Italia fosse l'azionarietta dello zio buon'anima che si era arricchito vendendo occhiali.

Sottesi problemi irrisolti giganteschi, come quelli del fatiscente e ambiguo "Consiglio superiore della Banca d'Italia", una comica scimmiottatura dei CDA delle civilistiche società di capitali, come il rito delle annuali assemblee dei partecipanti in cui il Governatore ancora ha il destro della andreottiana predica del mese mariano.

Invero il problema se lo pose Tremonti d'ordine e per conto di Berlusconi e cercò di requisire la Banca d'Italia facendola fagocitare dal TESORO, cosa in astrato persino  encomiabile, ma che dimostrò la sua caducità quando quei due signori, sospinti da Bertone, volevano nominare la Tarantola prima governatrice in gonnella. Gioco non riuscito: una furbata di Napolitano e massoneria bancaria dietro poté braccare il Tremonti tarantoliano; la legge c'era (mi pare un art. 19) ma il regolamento no e quindi si doveva tornare come prima se non peggio di prima, di talché alla sala del San Sebastianino poté farvi ingresso addirittura l'ex comunista del servizio studi Visco (oggi in gran tempesta).
Calogero TAVERNA ex ... tante cose
 

[continua]

lunedì 18 novembre 2013

I proverbi del Circolo Unione

Ecco la raccolta di proverbi strambotti ed altro del CIRCOLO UNIONE. Vanno limati e corretti. Si gradiscono apporti. GrazieEee





Frammenti
1° gennaio 1974
zolfatai
1. E vannu a la matina e li viditi
parinu di li muorti accumpagnati
vistiti di scuru ca li cumpunniti
‘mmiezzu lu scuru di li vaddunati
scinninu a la pirrera e ‘mmanu
portano la so lumera pi la via
ca no’ pi iddi pi l’erbi di lu chianu
luci lu suli biunnu a la campia.
1. Lu munnu è tradituri e ‘nganna genti
prumitti cuntintizzi e duna chianti
1. Buttana di tò mà, ngalera sugnu
senza fari na macula di dannu
1. Sì comu lu cannuolu di la chiazza
cu arriva, arriva, la quartara appuzza.
1. Cu dici ca lu carzuru è galera
 a mia mi pari na villeggiatura
[zolfatai]
1. Mamma nun mi mannati a la pirrera
ca notti e jurnu mi pigliu turrura
scinnu na scala di cientu scaluna
cu scinni vuvu muortu s’innacchiana
1. Mamma nun mi mannati a l’acqua sula
lu vientu mi fa vulari la tuvagliola
e c’è un picciuttieddu ca mi vuliva
 e mi vinni appriessu a li cannola
1. Puttani quantu trappuli sa’ fari
mancu nna forgia fa tanti faiddi
1. Sutta lu to palazzu c’è un jardinu
ci su chiantati arangi e pumadoru
e ni lu miezzu c’è cunzatu un nidu
ancidduzzi ci sunnu a primu vuolu.
Cala Rusidda e s’inni piglia unu
 e si lu minti ‘nni la caggia d’oru.
La caggia siti vu timpa d’amuru
lu cardiddu sugnu iu ca canta e vuolu.
1. Dicci a to mamma ca nun si piglia pena
la robba ci ristà ‘nni li casciuna.
1. La donna c’avi lu maritu viecchiu
lu guarda e lu talia di maluocchiu
1. Di quinnici anni vi puozzu assicurari
un’ura di cuietu nun puozzu aviri
e m’haiu misu tuttu bieddu a cantari
darrieri la porta di l’amanti mia;
di ‘nna picciotta mi sientu chiamari:
trasi ca t’arrifriddi armuzza mia.
Iu ci lu dissi: nun vi stati a ‘ncumudari
lassatimi addivertiri cu l’amici mia.
1. Cartanissetta è’ncapu na rocca
chiunu di buttani e scarsu d’acqua.
1. E comu t’aiu a vidiri arridutta
a lu burdellu di Cartanissetta.

1. Primu tamava e ti tiniva stritta
Eratu lorda e mi parivatu netta
Ora ti vitti né ‘ncapu né sutta
 e sì na buttana netta netta
1. Quann’era picciliddu nicu, nicu,
l’amuri cu li donni iu faciva
tutti li schetti mi pigliavanu ‘mbrazza
e ‘nni li vradduzza so m’addummisciva
Ci nni fu una ca mi piglià mbrazza
e mi dissi: vo’ minna amrmuzza mia?
P’essiri ‘nnamuratu di li donni
ristavu curtu e mancu spuntu fici.
1. M’addisiddassi scursuni di chiusa
quantu m’inni issi ‘nni la tò casa
a to maritu lu mannassimu a fusa
 e n’antri du guardassimu la casa
 e ni mintissimu cu la porta chiusa
e a lu scuru cu si vasa, vasa.
Quannu vinissi lu crastu di fusa
la truvassi carricata la cirasa.
1. Arsira mi arricuglivu notti, notti;
mi misi a cuntrastari cu du schetti;
una mi li ittava li strammotti
l’antra m’arriscidiva li sacchetti.
Quannu mi vitti li sacchetti asciutti:
Vattinni picciuttieddu ca è notti!
Iu mi misi a gridari a vuci forti:
cu havi dinari è amatu di tutti!
1. L’omu ca è ‘ngalera è miezzu muotu
l’omu ca nun havi dinari è muortu tuttu.
1. L’amuri s’arridducu a malatia,
veni e finisci comu uogliu santu;
iu curuzzu pi amari a vui
sugnu ‘mmiezzu quattru miedici malatu;
unu di li quattru m’arrispusi:
vo’ stari bbuonu? Nun l’amari cchiuni!
Iu di lu liettu ci arrispusi:
l’amari di cori, o muoru o campu.
1. L’amuri è cu lu lassa e piglia
comu lu fierru ‘mpisu a la tinaglia.

1. M’addividdassi gaddu di innaru
quantu cantassi la notti a lu scuru
e mi mintissi supra un campanaru,
e mi mintissi a ricitari sulu:
Domanna la me amanti di luntanu:
Chi hai gadduzzu ca reciti sulu?
 Iu cci arrispunnivu di luntanu:
persi la puddastra e sugnu sulu!
1. Passu e spassu di la tò vanedda
‘nni la cammara tò luci ‘nna stidda
quantu po’ essiri currivusa e bedda
ca lu ma cori si fici pi idda
Oh Diu chi fussi cun na vannachedda
ca m’appinnissi a lu cudduzzu d’idda
quantu nni patu iu p’amari na bedda
idda mori pi mia ed iu pi idda.
1. Amuri, amuri pampina di canna
quantu sparaci fa la sparacogna
1. Arsira passavu di na banna
e vitti  la ma amanti ca durmiva
era curcata ‘ntru un liettu di Parma
pi capizzieddu la mani ci aviva
nun l’addivigliati ca si spagna
ca l’addivigliu cu li muodi mia;
ti fazzu li carizzi di tò mamma:
ddivigliati, ddivigliati, armuzza mia.
1. Cori di canna, cori di cannitu
truiazza ca lu cori canniatu
lu facisti ammazzari a to maritu
pi dari agustu a lu tò nnamuratu;
ora nun hai né garzu né maritu
sì comu un casalinu allavancatu;
lu va a truvari a tò marito
darrieri di San Giorgiu truvicatu.
1. Stritta la cigna e larga la cudera
l’omu ca è minchiuni pari allura.

1. Ti lu facisti lu ippuni russu
nun lu vidi ca to patri scarsu
ti lu facisti lu jppuni a la moda
ti lu facisti a la garibaldina
1. Cummari sugnu muortu di la pena
c’aiu un mulinieddu e nun macina
mprustatimi lu vuostru pe na simana
vi lu martieddu e vi lu mintu ‘n farina
Aiu lu mulinieddu a la rumana
lu tiegnu ni li canzi di la tila
aiu un mulinieddu a la rumana
pi sta picciotta ca si chiama Nina.
1. O Mariuzza chiàmati sti cani
nun li teniri cchiù mmiezzu la via
ca mi strazzaru un paru di stivali
lu miegliu vistitieddu ca tiniva
e lu purtavu a lu mastru a cunzari
e lu pagavu di sacchetta mia;
mariuzza si mi vo’ pagari
spogliati e curcati cu mia.
1. Si Diu voli la mula camina
ci ammu arrivari a la missa a Ragona.
1. Carzaru a Vicaria quantu si duci
ca cu ti fabbricà beddu ti fici.

1. Amaru ca m’avera a maritari
presti lu siminavu lu lavuri
quannu fu ura di zappuliari
l’erba mi cummiglia lu zappidduni
poi vinni lu metiri e lu pisari
e mancu potti pagari lu patruni;
ora curuzzu si mi vo aspittari
d’auannu nun si po’, l’antra stagiuni.
1. Primu t’amava e ti tiniva stritta
eratu lorda e mi parivatu netta._
Ora nun ti vitti né ncapu né sutta
e si na liccatura netta netta
‘m Palermu ti sunaru la trummetta
cu si piglia a tia gran chiantu scutta.
Un jurnu t’aiu a vidiri arridutta
 né maritata, né zita, né schetta
un jornu t’aiu a vidiri arridutta
 a lu burdellu di Cartanissetta
1. Travagliu e nun travagliu, nun aiu casa
megliu ca quannu stancu m’arripuosu.
1. Lu sa chi dissi lu dutturi Vespa
cu havi lu chiuritu si lu raspa.
1. Lu puddicinu dissi ni la nassa
quannu maggiuri c’è minuri cessa.
1. Lu maritu ci dissi a la muglieri
la vesta cu la fa, l’av’a pagari.
1. La muglieri ci dissi a lu maritu
ad Agustu pari cu va carzaratu.
1. Lu suli si nni va dumani veni
si mi nni vaiu iu nun torna cchiuni.
1. Chiddu chi voli Diu la notti a gregni
lu jurnu a racinidda ni li vigni
1. Chiddu chi voli Diu dissi Guaglianu
la notti chiovi e lu juornu fa bbuonu
1.  Vitti lu mari, vitti la marina
vitti l’amanti mia ca navicava
1. Comu aiu a fari cu sta ma vicina
c’avi lu meli mpiettu e nun mi nni duna.
1. M’aiu a maritari nun passa ouannu
pi campari muglieri nun mi cumpunnu
1. M’avera a maritari senza doti
chi sugnu foddi ca fazzu sta cosa
1. Dicci a tò mamma ca nun si piglia pena
la robba ci ristà ni li casciuna.
1. Si piccilidda e vatinni a la scola
ca quannu ti crisci m’è pigliari a tia.
1. Si piccilidda e ha lu cori ngratu,
mi vidi muortu e nun mi duni aiutu
quannu vidi affacciari lu tabbutu
tannu mi cierchi di darimi aiutu.
1. Si piccilidda e fa cosi di granni
pensa quannu ti criscinu sti minni
1. Quantavi chi studiu sta canzuna,
pi mpararimilla sta simana
1. L’aiu avutu na donna taliana
ca la so facci era na vera luna
nni lu piettu porta na cullana
si vuogliu lu so cori mi lu duna.
1. Vieni  stasira ca mi truovi sula
l’ura è arrivata di la tò fortuna.
1. La carta di la leva a mia vinni
m’accumanciaru a viniri li malanni.
1.  Partu e nun partu, comu vurria fari,
bedda sugnu custrittu di partiri
sugnu custrittu di lassari a tia
e quannu pienzu ca t’aiu a lassari
la vucca di feli s’amaria.
Lu vaiu diciennu nun ni puottimu amari
si nun muoru cca muoru addavia.
1.  Mamma priparatimi un maritu
ca sutta lu fallarieddu c’aiu lu fuocu
Sutta lu fallarieddu c’aiu lu fuocu
dintra lu russu e fora è sbampatu
sutta lu fallarieddu ci hai lu meli
sugnu picciottu e lu vuogliu tastari
Sugnu picciottu e mi nni vaiu priannu
schiettu mi l’haiu a godiri lu munnu.
1. Vidi chi fannu fari li dinari
fannu spartiri a du filici cori
Ti pigliasti ad una ca nun sapi parlari
tutta pirciata e china di valori;
mancu a la chiazza cchiù la po’ purtari
vidi li beddi e lu cori ti mori.
Affaccia amuri e sientimi cantari
ca t’è fari pruvari comu si mori.
1. quannu ti viu lu me cori abballa
 comu lu fuoco ni la furnacella,
quannu ti viu lu me cori abballa
comu lu vinu russu nni la  buttiglia 
1. Lu sabbutu si chiama allegra cori
mmiatu cu avi bedda la muglieri
cu l’avi ladia ci mori lu cori
e prega ca lu sabbatu nun veni.
1. Comu ci finì a lu gaddu di Sciacca
pizzuliatuddu di la sciocca.
[Pasqua 74]

1. Veru ca la mintissi la scummissa
cu si marita lu fuocu ci passa
1. L’omu ca si marita è ammunitu
la muglieri ci fa da diligatu
1. Hann’a passari sti vintinov’anni
unnici misi e vintinovi jorni
1.  E li minneddi tò sciauru fannu
sunnu viglianti e mi cala lu suonnu
1. Chiddu chi voli Diu dissi Marotta
quannu si vitti lu fuocu di sutta.
[variante oscena e beffarda]
quannu si vitti la soru di sutta.
1. Chiddu chi voli Diu dissi Guaglianu
la notti chiovi e lu jornu fa bbuonu
1.  M’arridducivu di tali manera
ca comu un picciliddu chiacchiaria
Persi lu sali e persi la salera
e persi l’amicizia cu tia.
1. L’omu chiettu nun nni chiudi vucca
si si marita diventa na rocca
1. L’omu schiettu nun aviennu muglieri
mmiezzu li maritati avi addubbari
1. Comu na varca a mari mi currieggiu
ni lu liettu nun puozzu stari saggiu
1. M’agghiri a maritari a Rivinusa
ca mi muglieri m’è pigliari na rosa
1. Sugnu arriddutu di tagliarimilla
tantu pi tantu pierdita mi duna
1. Ci vuonnu quattru mastri cu la serra
e quattru fimmineddi cu la falla
quattru fimmineddi cu la falla
pi lu sanguzzu nun arrivari ‘n terra
1. Bedda p’amari a tia persi lu sceccu
persi la tabbacchera e lu tabaccu
1. Bedda p’amari a tia persi lu sceccu
ora dicimi tu a cu minchia accravaccu
1. Curnutu ca ha’li corca in tri maneri
luonghi e pizzuti cumu li zabbari
1. Li corca ti li fici tò muglieri
cu un picciuttu ca sapi cantari.
1. La tarantula annaca e nun sapi a cui
stenni l’aritu e nun lu cogli mai
passa la musca e ni l’aritu ‘ngaglia
e ci patisci nni ddi eterni guai
la tarantula ngrata siti vui
la musca sugnu iu ca c’ingagliavu
quantu aiu piersu pi amari a vui
sugnu a lu ‘mpiernu e nun nni niesciu mai.
1. L’amuri è cu lu lassa e piglia
comu lu fierru ‘mpizzu a la tinaglia
1. Cu dici ca pi donni nun si pila
a tutti l’impiccassi pi la gula.
1. Quan’eratu malata dunci amuri
pi uocchiu di la genti nun ci viniva
quannu vidia passari lu Signuri
pigliavu lu mantu e ci viniva
e m’assittava ‘ncapu li scaluna
tu stavatu muriennu e iu chianciva
ora ca stasti bbona dunci amuri
finieru l’uocchi mia di lacrimari.
1. Ora ancidduzzi calati, calati
a la cima di l’arburi e ci viditi
quannu nni la caggia intrati
comu di la pena nun muriti;
amicuzzi vi priegu ‘n caritati
amicizia cu li donni nun aviti;
iu persi la mia libirtati
na donna m’ingaglià cu li so ariti.
1. Di quinnici anni vi puozzu assicurari
n’ura di cuietu nun aiu pututu aviri
ca m’aiu misu tuttu a cantari
‘ndarrieri la porta di l’amanti mia
di na picciuttedda m’intisi chiamari
trasi ca t’arrifriddi armuzza mia
iu cci lu dissi: nun vi stati a ‘ncumudari
lassatimi addivertiri cu l’amici mia.
1. Lu gaddu cci dissi a li gaddini
ca lu tiempu si piglia comu veni
1. Chi ti giova sta maritatina
ottu jorna malata e un jornu bona
1. ladia, pupa nivura, untata d’uogliu
tu va diciennu ma muoru pi tia
cci sunnu tanti bieddi ca mi vuonnu
comu mi vuogliu tingiri nni tia
vattinni a mari a glittariti a scuogliu
oppuri a mmuoddu mmiezzu a la liscia..
1. Mina lu vientu e lu massaru spaglia
c’è lu currieri ca cunta li miglia
lu cacciaturi assicuta  la quaglia
e l’assicuta finu ca la piglia;
l’arburu s’ha sirratu cu la serra,
e lu stufatieddu s’agusta cu l’aglia
Ora ca la vincivu la battaglia
si mi curcu cu tua nun è meraviglia.
1.  La turturidda quannu si scumpagna
si parti e si nni va a so virdi luogu
vidi l’acqua e lu pizzu si vagna
e di la pena si nni vivi un puocu
e poi si minti ncapu na muntagna
 jetta suspira e lacrimi di fuocu:
amaru cu perdi la prima cumpagna,
perdi li piacira, lu spassu e lu juocu.
1. All’armi, all’armi: la campana sona
li turchi sunnu junti a la marina.
1. Ah! Quantu è mpami l’arti di lu surfararu
ca notti e jornu travaglia a lu scuru
piglia la lumera e fa un puocu di lustru
quannu scinni jusu cu lu so capumastru
1. La schetta si nni prega di li minni
la maritata di li figli ranni
1. Niesciu la sira comu lu nigliu
Viersu la matina m’arricogliu.
1. Si ni pigliamu colari muriemmu
e vincitoria a li mpamuna dammu.
1. Cci vò viniri dda banna Riesi
unni ci su pagliara comu casi;
cci sunnu tri picciotti comu rosi
una di chiddi tri mi dissi trasi;
trasi ca t’aiu a dari li beddi cosi:
puma, pumidda, maremi e cirasi.
Iu ci lu dissi: nun vuogliu sti cosi,
vuogliu la zita, la robba e li casi.
1. Biedda, li tò biddizzi iu li pritiegnu
siddu li duni a l’antri, iu m’allagnu.
1. Ora ca ti criscieru sti lattuchi,
tutta ti gnucculii, tutta t’annachi.
1. Ci pienzi bedda quannu iammu a Naru
ca la muntata ti paria pinninu?
1. Bedda, ci vò viniri a San Bilasi,
 n’addivirtiemmu ca siemmu carusi?
1. Aiu cantatu pi sbariarimi la menti
oppuramenti la malincunia.
1. Comu vo fari fa, si la patruna
basta ca truovu la pignata china.
1. Buttana ca cu mia tu fa la santa,
cu li cani e li gatti tieni munta.
A mezzannotti cu scippa e cu chianta,
la tò matruzza li cuorpi ti cunta.
Quantu grana vusca sta figliuzza santa,
ci voli lu nutaro ca li cunta.
1. la fimmina ca è sutta va cantannu
l’omu ca sta supra sta suffriennu
1. Cu avi dinari assà, sempri cunta
cu avi muglieri bedda sempri canta.
1. So matri mi lu dissi: va, travaglia,
nun mi la fari patiri a ma figlia.
1. Cu dici ca li favi sunnu nenti,
sunnu cumpuortu di panza vacanti.
1. L’omu c’ha piersu la ragiuni
la giustizia si fa cu li so mani
1. Pi tantu tiempu la furtuna aiuta,
arriva un tiempu ca cangia la rota.
1. Tu t’inni prieghi ca ti resta chiusa,
iu mi nni priegu ca mi resta tisa.
1. Si ogni cani c’abbaia, na pitrata,
nun restanu né vrazza e macu vita.
1. San Pietru ci dissi a S. Giuvanni
di li singaliati, guardatinni.
1. Santa lagnusia, nun m’abbannunari,
ca mancu spieru abbannunari a tia.
1. Quantu su bieddi li carmelitani,
ca vannu a la missa cu la mantillina.
1. A tia piaci la miennula dunci,
prima ti la manci e ora chianci.
1. Cu sta spranza e la pignata minti,
ma va pìarriminari e nun trova nenti.
1. Cu scecchi caccia e a fimmini cridi
faccia di paradisu nun nni vidi.
1. Pensa la cosa prima ca la fani
ca la cosa pinzata è bedda assani.
1. Sparaci, babbaluci e fungi
spienni dinari assà e nenti mangi.
1. Unni viditi niespuli, chianciti:
sunnu l’urtimi frutti di l’estati.
1. Comu amma a fari, la muglieri?
dumani agghiurnammu senza pani.
1. Quannu la sorti nun ti dici,
jettati nterra e cuogli babbaluci.
1. Cu fa amicizia cu li sbirri,
c’appizza lu vinu e li sicarri.
1. Di ‘nviernu nun ni vuogliu ca fa friddu,
mancu la stagiuni ca fa callu.
1. Cummari vi lu dicu allieggiu, allieggiu,
vostru maritu si iucà lu ‘llorgiu.
1. La padedda cci dissi a la gradiglia:
iu pisci frittu mangiu e no fradaglia.
1. Lu surci cci dissi a lu scravagliu:
quannu tu fa beni scordatillu.
1. Lu saziu nun cridi a lu diunu,
comu lu riccu nun cridi a lu mischinu.
1. Cci finì comu li nuci di Cianciana,
cientu vacanti ed una china.
1. Chi facisti o mastru Giuvanni,
scippasti la vigna e cci chiantasti li canni.
1. Abrili fa li sciuri e li biddizzi,
n’avi lu lasu lu misi di maiu.
1. Lu piruraru grida: all’erba, all’erba;
ca si la po’ sarbari si la sarba.
1. Sugnu comu na tavula di liettu,
dicu ca nun viu nenti e viu tuttu.
1. Ficuru paci li cani e li lupi,
poviri piecuri e svinturati crapi.
1. Di li cappiedda e di lu malu passu
dinni beni e stanni arrassu.
1. L’afflittulidda ca si curca sula
si vonta e svonta mmiezzu a li linzola.
1. Mi vivu lu vinu miu, armenu sacciu cca è vinu guastatu.
2. A quannu a quannu lu pupu j a ligna
cu ddu cippidda cci fici nna sarma;
nni la muntata si lassà la cigna,
va iti nni lu pupu ca si danna.
1. L’arti di lu muraturi, è arti gintili,
‘nn’accidenti a cu nni parla mali.
1. A vvu commari chiamativi la gatta,
sannò vi veni cu l’ancuzza torta.
1. P’amari li donni cci voli la sorti,
ma ancu ‘ngegnu , giudiziu e arti.
1. Lu zuccu nun po’ teniri du viti
e mancu la fimmina du ‘nnamurati.
1. L’acqua di lu Raffu e mmiezzu vinu,
curriti schetti di San Giulianu.
1. L’acqua di li malati è vinu sanu,
curriti schetti di San Giuliano.
1. Pi nun pagari du grana di varbieri,
si fa li capiddi scali, scali.
1. Quannu mina lu vientu narisi,
guardativi la peddi, guaddarusi.
1. Sugnu comu lu cunigliu ni la tana,
firriatu di sbirri e di ‘mpamuna.
1. Si m’arrinesci mi chiamu don Cola,
si nun m’arrinesci Cola comu prima.
1. Lu jardinaru ca chianta cipuddi
cci vannu appriessu li picciotti bieddi.
1. Nun cci vaiu cchiù a Santa Chiara
ca la Batissa mi voli ‘ngalera,
mi dissi ca ci ruppi la campana
e lu battagliu miu ristà com’era.
1. Chissa è la vera pena ca si senti,
sugnu luntano e nun viu l’amanti.
1. Amuri amuri, quantu sì luntanu,
cu mi lu cuonza lu liettu stasira,
cu mi lu cuonza, mi lu cuonza malu,
e malatieddu agghiuornu a lu matinu.
1. Vinni a cantari ca n’aiu ragiuni,
pi mmia nun ci fu camuliari,
tutti mangiaru carni e maccarruna
e iu, l’amaru, mancu aviri pani.
1. Chi avi stu sceccu ca raglia?
avi la corda longa e s’impiguglia.
1. Lu munnu lu truvasti a lu riviersu
ca puntasti a re vinni arsu.
1. La morti lha d’incuoddu e nun ti ‘nnadduni
l’ha scritta nni li chianti di li mani.
1. Lu carciri di Sciacca è muntuatu;
pi fierri lu vinci Santu Vitu.
1. Cu va a lu carciri di Santu Vitu,
trasi cu la parola e nesci mutu.
1. Ma matri mi vuliva fari parrinu,
e pi l’amuri tò, sugnu viddanu.
1. Da stivaletti si junta a tappina,
sicca la vucca mia si nun sì buttana.
1.  La schetta si canusci a lu caminu,
la maritata supra lu turrenu.
1. Vuogliu muriri cu l’uocchi apierti
pi nun dari vincitoria a la morti.
1. L’acqua si nni va a lu pinninu,
l’amuri ranni senti lu richiamu.
1. Cu va a sparaci mangia ligna,
cu va a babbaluci  mangia corna.
1. Nun sugnu muortu, no, sù vivu ancora,
uogliu ci nn’è a la lampa, mentri dura.
1. Lu tò vinu nun lu mintu nni lu me jascu
li tò guai cu li mia nun l’ammiscu.
1. Ora curuzzu  vò essri amatu
a fari di geniu lu curnutu.
1. Vitti lu mari, vitti la marina,
vitti l’amanti tò ca navigava.
1. Bedda tu la pirdisti la russura
mi isti a ‘ccusari a li carrabbunera
1. Ti maritasti cu viertuli musci
lu capumastru di balata liscia
nun ti putisti abbuttari di minestra.
1. Larga la cigna e stritta la cudera
l’omu ca è minchiuni pari allura.
1. Ti maritasti facci di vilenu
ti lu scurdasti cu t’amava prima.
1.  Lu scieccu zuoppu si godi la via
la miegliu giuvintù sta a la Vicaria.
1. Quannu nascisti tu bidduzzi, pronti
lu suli arrialzà l’antri du tanti
ti vattiaru ni du chiari fonti
mmiezzu d’argintaria, musica e canti.
1. Funtana di biddizzi e pasta d’angili
cu trasi a  la tò casa li fa ‘mpinciri
e li pittura si misuru a chiangiri,
ca bedda comu tia nun puottiru dipingiri.
Acchiana ‘ncielu e và, parla cu l’angili
li muorti sutta terra li fa spingiri.
1. Cu la casa d’antru pratica
la so è povera e minnica.
1. Sinn’j, sinn’j, sapiddu unni
e a tia lassà mmiezzu a st’affanni
Senza di tia sugnu cunzumatu
la vita mia cu tia si ‘nn’ajjutu
1. La tò facciuzza è comu na rosa
bianca e russa comu na cirasa
1. Amaru cu di li donni s’incatina
scinni a lu ‘mpiernu e acchiana tri scaluna.
1. Ora ca li facisti quinnici anni
piglia la truscitedda e jamuninni.
1. Lu suonnu di la notti m’arrubasti
ti lu portasti a dormiri cu tia.
1. Lu cuccu ci dissi a li cuccuotti
a lu chiarchiaru ci vidiemmu tutti.
1. Lu carzuru pi mia è l’urtima notti
stasira ci scuru dumani si parti.
1. Eratu intra e ti ‘nni isti fora
di tunnu la pirdisti la russura.
1. Comu cci finì a lu liamaru
nun potti fari un jppuni a la suoru.
1. Comu cci finì a lu gaddu di Sciacca
si fici accravaccari di la jocca.
1. Ti priegu bedda di farimi un cintu
ca veni maiu e canzuni cantu
mi l’hai a fari galanti e distintu
lu tò nomu c’ha a mintiri ogni tantu
cu m’addumanna cu fici stu cintu
lu fici Dichinedda a lu cummentu.
1. Tò matri mi lu dissi: mangia e bbivi
nun ti curari si ma figlia mori
si mori idda ti mariti arrieri,
cchiù grana e cchiu arriccizzi po’ accanzari.
1. Dicci a tò mà ca nun si piglia pena
la robba c’arristà ni li casciuna;
comu t’abbidiri arridutta
né maritata, né zita né schetta.
Comu t’abbidiri arridutta
a lu burdellu di Cartanissetta
Cartanissetta ‘ncapu nna rocca
ricca di buttani e scarsa d’acqua.
1. Vaiu diciennu: cu avi caniglia?
ca m’ha finutu l’uoriu e la paglia.
1. Ti cridi ca era mulu di la rota
pi pigliarimi a tia disonorata?
1. Quantu amici avia quannu era fora
ora l’amici mia su quattru mura.
1. vampa di lana e nuozzulu di nuci
nun dunanu né cinniri né luci.
1. La mantillina cangiasti pi lu sciallu
ora a chistu tò maritu cangiatillu.
1. Buttana quantu trappuli sa fari
mancu na forgia fa tanti faiddi.
1. Assira m’arricuglivu notti, notti
mi misi a cuntrastari cu du schetti
una mi li jttava li strammuotti
l’antra m’arriscidiva li sacchetti,
quannu mi vittiru li sacchetti asciutti:
vatinni picciuttieddu ca è notti.
1. comu aiu a fari, sugnu cunzumatu
na vecchia nun mi vonzi pi maritu.
1. Di vintinovi siemmu junti a trenta
comu veni la pena si cunta.
1. Quant’aiu persu d’amari a tia
li miegli jorna di la vita mia.
1. Cu lu canusci l’amicu Burrasca
simina tumminia e arricogli ciusca.
1. A chi mi servi amariti tantu
ca zappa a l’acqua e simina a lu vientu.
1. Quannu si minti lu picciulu cu lu granni
li viertuli a mala banna appenni.
1. Cummari ca l’aviti e nun mi lu dati
chi nna t’ha fari vui quannu muriti.
1. Curnuti va’, firriati la vigna
unni mancanu zucca, chianta corna.
1. Cu li tò corna po’ fari un ponti
di la Matrici arrivari a lu Munti.
1. La sciccaredda cci dissi a lu mulu
siemmu fatti pi dari lu culu.
1. Cu di lu mulu voli fari un cavaddu
li primi pidati sili piglia iddu.
1. Carritteri lu vuogliu e no viddanu
ca di sita mi lu fa lu fallarinu.
1. Comu è fari cu sta licatisa
ca idda voli a mia, iu vuogliu a Rosa!
1. Iu ti salutu e mi nni vaiu nni Rosa
Dumani nni ‘ncuntrammu chiusa chiusa.
1. Annutula ca t’allisci e fa’ cannola,
stu santu è di marmaru e nun suda.
1. Ti maritasti e fu la tò ruvina
sei jorna malata e un jornu bona.
1. Buttana di tò mà quantu carduna
cu cci li simina mmiezzu sta via?
1. Vidi ca fa friddu e nun lu capisci,
è la forza di l’amuri quannu nasci.
1. Comu aiu fari cu sta ma vicina
c’avi lu meli ‘mpiettu e nun lu duna?
1. L’amici ti purtaru a la ruvina
tò matri ca ti ama si nn’adduna.
1. Aviva un gaddu e lu fici a capuni
lu sbrigu cci livavu a li gaddini.
1. Quannu era sana la tò pignatedda
lu primu fuvu iu ca cucinavu,
ora ca ti la ruppi la scutedda:
mangiati amici mia ca mi sazziavu.
1. Bedda p’amari a tia persi lu suonnu
ca è la cosa cchiù bedda di lu munnu.
1. Bedda p’amari a tia di notti viegnu
e nun mi curu si chiovi e mi vagnu.
1. Ludia brutta facciazza di mulu
tu va diciennu ca t’ha’ mmaritari,
nun n’ha né robba nemmenu dinari,
 cu è ddu sceccu c’havi a pigliari?
1. Bedda ca di li beddi la bedda siti
ca di li beddi bannera purtati.
1. Bedda ca sì rappa di racina
lu cori ti mangiassi a muzzicuna.
1. Quannu nascisti tu nascì na rosa
lu suli si firmà a la tò casa.
1. Bedda ca di sì m’aviatu dittu
nun c’arrivasti a cunzari lu liettu.
1. Si sì vera fimmina di nasu
m’ha’ a diri unni sta lu vientu appisu.
1. Matri ivu a perdiri la testa
pi nna truiuzza, ‘mpami e tosta.
1. Di nnomu ti cangiasti traditura
di zappa ti chiamasti matacona.
1. La cosa è già bedda e caputa,
lu sceccu nin si pungi a la muntata.
1. Lu sienti ca sona la campana
la pesti è junta a li mulina.
1. Aviti la facciuzza comu un piriddu
e la vuccuzza n’anidduzzu
siti ‘mpastata di zuccheru e meli
mmiatu l’omu ca spusa a vui.
1. Quannu arrivu dda bbanna, scrivu cara
ricordati di mia na vota l’ura.
1.  Quantu è intrinsicu st’amuri
cu nun lu cridi lu pozza pruvari.
1. Nun lu fazzu cchiù lu lassa e piglia
p’amari na picciotta si travaglia.
1. Comu è fari cu sta ma vicina
ca notti e jornu colari mi duna?
1. Curuzzu nun aviri no lagnanza
si vò accuminciari a chiangiri accumenza
curuzzu nun aviri cchiù lagnanza
ca cu t’amava cchiù mancu ti penza,
curuzzu mi vò diri chi ti fici
ca quannu vidi a mmia ti fa’ la cruci.
1. Ti mannavu nna littra cu du essi
risposta nun n’appi cchiù, chi fici morsi?
1. Chista è la vera pena ca si senti,
iri surdatu e lassari l’amanti.
1. Nun aiu pena ca vaiu surdatu
la pena aiu ca lassu a tia.
1. Sì comu nna fussetta di Natali
cu prima arriva si mitti a iucari.
1. Li donni sunnu comu li mulina
ca fannu li vutati di la luna.
1. Li donni sunnu comu li mulina
tuorti come la vruca e li gadduna.
1. Amaru cu di li donni si ’nnamura
ca squaglia comu l’uogliu a la cannila.
1. Lu vuò sapiri pirchi nun ti vuogliu?
eratu schetta e accattasti un figliu!
1. Aiu piersu la canna di la pipa
forsi l’asciasti tu bedda pupa.
1. Li cuorna ti parinu ornamientu,
t’annachi tutti e ti nni fa’ un vantu.
1. Curcutu, sta’ attentu t’impidugli
cu li piedi li tò corna ‘ngagli.
1. La robba si nni va comu lu vientu
ma di nna bedda ti nni prieghi tantu.
1. A don Cicciddu lu vitti lu vitti
ntra un punticieddu ca sucava latti.
1. Quantu è cani, cani stu patruni
ca iddu mangia pani e nantri fami,
vinti quattr’uri di stari a buccuni,
li rini si li mangianu li cani,
lu vinu si lu vivi a l’ammucciuni
e nantri passa l’acqua di gadduni
unni mitti a muoddu li liami.
1. Cori di canna, cori di cannitu
truiazza ca ha’ lu cori canniatu,
lu facisti ammazzari a tò maritu
 pi dari gustu a lu tò ‘nnamuratu.
1. Curnuti nun cci vannu n’ paradisu
San Pietro l’assicuta pi lu nasu.
1. Lu suli è russu e vui lucenti siti,
lustru faciti quannu v’affacciati.
1. Quannu la mamma fa lu figliu fissa
sempri ci avi a cummattiri cu passa.
1. Sapiti chi successi all’acqua nova
un punci assicutà na lavannera.
1. A vu cummari, ca siti sutta stu ficu
o mi chiamati o viegnu dduocu.
1. O Pippinedda cuocciu di granatu,
unni lu truvasti stu bieddu maritu?
1. Sapiti chi rimediu c’è pi unu ca mori?
Ca mori e si nni va a lu cimiteriu.
1. Lu suonnu di la notti m’arrubasti
ti lu portasti a dormiri cu tia.
1. Affacciami bedda e pisciami tra un occhiu
quantu ti viu lu parrapapacchiu.
1. Comu aiu a fari cu la ma vicina,
avi la figlia schetta e nun mi la duna.
1. La donna c’avi lu maritu viecchiu,
lu guarda e lu talia di mal’uocchiu.
1. Curnutu ca ha’ li corna ‘n tri maneri,
luonghi e pizzuti comu li zabbari.
1. Curnutu ti prisienti arridi, arridi.
li corna t’arrivanu a li piedi.
1. Lu carzaratu la notti si sonna:
penza la libirtà, mori e si danna.
1. Cu dici ca lu carzaru è galera,
a mia mi pari ‘na villeggiatura.
1. Lu carciari pi mia è paradisu,
unni truvavu l’abbientu e lu ripuosu.
1. Carzari Vicaria quantu si duci,
cu ti fabbricà, bieddu ti fici.
1. Amuri di luntanu nun è filici;
amuri di vicinu, carizzi e baci.
1. Ha’ la vuccuzza comu lu curaddu
piensu ca ancora nun ha vasatu a nuddu.
1. Ha’ li capiddi nivuri ‘na pici,
ti li taliu e nun truovu paci.
1. Pienzi ca stu munnu è chianu, chianu,
nun vidi la muntata e lu pinninu?
1. Tu matri t’addivà cu pani e latti,
ora dariti a mia ci pari forti.
1. Ni sta vanedda ci abita ‘na quaglia,
tutti la vuonnu e nuddu si la piglia.
1. Ni stu quartieri ci sta ‘na picciuttedda,
idda mori pi mia e iu pi idda.
1. Bedda, ci pienzi quannu jammu fori,
ca ti purtavu sutta li ficari,
ti detti du pumidda e du zalori,
di tannu t’affirravu a ‘nguliari.
1. Mi nn’aiu a gghiri di stu paisazzu
cu li ‘mpami e li sbirri nun ci la puozzu.
1. Mi ‘nnaiu a gghiri a Cartanissetta,
unni ca fannu giustizia torta.
1. Cu avi grana la libirtà s’aspetta,
cu grana nun avi lu zainu porta.
1. Pedi di zorba e pedi di zurbara
cu è ca ti chiantà mmiezzu la via,
e li zorbi ca fa su tanti amari
amari e allappusi comu a tia.
1. Stidda lucenti, lucenti
chi c’aiu fattu a la me cara amanti?
Quannu passu di ccà nun mi dici nenti,
si cridi ca truvavu ‘n’ antra amanti.
1. Siddu sapissi di la tò vinuta,
d’oru e d’argentu faria la me intrata.
1. Vaiu a lu liettu e ripuosu nun aiu,
priegu ca l’arba fa, quantu ti viu.
1. Affaccia bedda di sta finestredda,
lu sientilu tò amuri quantu arraggia?
Vasari ti vurria, quantu sì bedda,
mmientri chi tieni l’uocchi a pampinedda.
1. Quannu nascisti tu fici un gran sfuorzu,
parsi ca ti purtà un carcarazzu.
1. Buttana di tò mà, lorda buttana;
nun è amicu tò si nun ti la duna.
Dda amicu ti la riì la suttana
e tu lu mangi a muzzicuna.
Tò mà è ‘na pezza di buttana,
ca sapi tutti cosi e nun dici nenti.
1. Chi mi nn’importa ca sugnu curnutu,
basta ca mangiu e bivu e vaiu vistutu.
1.  A idda vuogliu, a idda m’ata addari,
idda mi trasì ‘nni lu ma cori.
1. Di schetta nun t’appi
e di maritata t’appi;
abbasta ca t’appi
e comu t’appi, t’appi.
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Strambotti di microstoria racalmutese.
Donna Aldonza del Carretto
1. Cu li biddizzi ma senza pitazzu
sanu cci arristà lu pirripipazzu.
Girolamo e Giovanni del Carretto
1. Quannu arriva lu conti Giluormu
cu gran prescia lèvati di tuornu;
ma s’arriva lu baruni Giuvanni
allura sì ca sunnu guai ranni.
I Magnifici
1. Cu Tudiscu e Piamuntisi
si piersiru sina li maisi.
Beatrice Del Carretto Ventimiglia.
1. Cci arrubbaru a donna Biatrici,
e nantri tutti siemmu beddi e filici.
Arciprete Vincenzo del Carretto.
1. Cu l’arcipresti di lu Carrettu
cci appizzammu sinu a lu liettu.
L’aggressione licatese sotto Matteo del Carretto.
1. Di la Licata vinniru li lanzichinecchi
a ccà nastri ristammu propriu becchi.
Il conte Girolamo del Carretto
1. A Paliermu don Giluormu lu ranni,
cu tanti onzi conti divinni;
ma a marchisi nun arrivà
e a nantri viddani nni cunzumà.
Maestranze locali
1. Lu mastru Picuni, lu farmacista Pistuni,
lu miedicu Alajmu, la famiglia Pirainu:
C’era Zagarricu, c’era Mastrarrigu;
nun siemmu tutti ricchi, nun siemmu tutti bieddi,
ma siemmu tutti di ccà e chistu a nantri nn’abbastà.
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Epiloghi.
1. Onestà cumanna a donna
cchiù cci nn’è, cchiù nn’abbisogna.
1. Arangi, arangi
cu avi li guai si li chiangi.
1. Addalalò addalaliddu;
so mà sì tu, so pà sopiddu.
1. Calati Giona a mari,
ca passa la timpesta.

300) PREGHIERA DELLA SERA
Iu chiuiu la porta mia
cu lu mantu di Maria
lu vastunieddu di S. Simuni
'un nna  nn'aviri né forza né malia
comu li petri di 'mmezzu la via.

301) Tutti l’aucelli mi cacanu ‘n testa
sina a lu attassatu ciciruni.
[variante]
sinu a li attassatu pipituni.