sabato 30 novembre 2013

SCIASCIA ELIO VITTORINI E FALCONE


 

o   Calogero Taverna Sto scoprendo cose non carine tra Sciascia e Vittorini. Da un acuto strudioso come Piero mi attendo lumi. Non è questo campo che mi attrae.

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Piero Carbone Il tuo annuncio mi incuriosisce.

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Calogero Taverna MI HA IMPRESSIONATO UNA VOLTA SCIASCIA CHE NON RICORDO DOVE EBBE A STRONCARE CONVERSAZIONI IN SICILIA. LEGGO ORA Il Fuoco nel Mare. inesistente libro di Sciascia ma a lui appioppato in Biblioteca Adelphi 557, e mi spiego certo astio del Nostro contro l'altro sommo nostro siciliano.

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Piero Carbone e un'altra volta a Palermo contro Guglielmo Lo Curzio che si era permesso di... ma questo te lo racconto davanti una tazzina di caffè

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Calogero Taverna Ma quando?

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Calogero Taverna Ma contro Sante Correnti (se lo scrivo corretto) non mi risulta si sia mai incazzato. E dire che ne avrebbe avuto ben donde. Ma posso essere male informato. Forse però perché erano così scervellate quelle accuse che Sciascia non lo curava neppure.

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Angelo Cutaia Di Racalmuto Sciascia non entrava in polemica per non avvantaggiarlo.

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Piero Carbone Una libreria amica si era permessa di esporre in vetrina il libro del Lo Curzio e mandò a dire tramite un certo amico e avvocato che se volevano che lui mettesse lì piede dovevano togliere dalla vetrina... Me l'ha raccontato, autorizzandomi a riferirla, un palermitano di alto spessore culturale.

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Piero Carbone Ma questo non mi scandalizza per niente e non inficia per niente il suo valore di scrittore etc etc etc. semplicemente lo fa più umano. Non era e non doveva mica essere un santino per forza, altrimenti si fa agiografia e non biografia.

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Piero Carbone gravitava intorno a lui

E qui si intromette MEPHISTO

Caspita! Ma mi piacerebbe sapere il perché. Sciascia non era un irrazionale collerico. Un dispettoso. Quanto al malevolo Correnti, si parte da un punzecchiamento in testi addirittura scolastici per il preteso maschilismo di Sciascia. C’era stata la controversia con la Maraini arriticata perché Sciascia parlava fondatamente del matriarcato in Sicilia. La virulenza del Correnti in effetti non meritava risposta. Credo però che giocasse l’imbarazzo del Nostro che non voleva rinverdire polemiche che finivano per infastidire il mostro sacro che era Moravia. Rido ancora per quei racalmutesi che cercarono (inutilmente) di spingere la Maraini ad elogiare il già defunto Sciascia in quei memorabili  caffè letterari propugnati dall’on. Milioto che spero ritorni a guidare questo nostro mal diretto paese.

I colpi di spillo contro Scalfari, Panza e Bocca hanno germinato locuzioni di pregevole fattura letteraria. Da apprendere.

Con Della Chiesa, a Futura Memoria mi potuto fruire di un paradigma contro il mio sgradevole asino ragliante.

Andando come viene, un certo diletto mi procura ancora il rintuzzante difendersi ai tempi delle PARROCCHIE dall’accusa di ipotassi scagliatagli dal borioso Pasolini.

Tornando a Correnti, in effetti il blaterare contro la predilezione di Sciascia per il testo dell’inglese Smith lo lasciò del tutto indifferente. Quel testo di storia della Sicilia oggi è un classico, il voler fare storia con gli stornelli della tradizione sarebbe sollazzevole se vi fosse autoironia, ma se in tono saccente è roba da buttare tra i rifiuti solidi urbani cartacei.

Mi sfuggono le pizzicate con Deaglio: so che vi furono e furono dolorose per Sciascia che Lotta Continua e tutti quei virgulti arrabbiati – nati piromani e sfioriti pompieri – adorava e blandiva. In fin dei conti anche la Padovanì non fu caruccia propendere per la mitizzazione di Falcone.

E la pagina dello né con lo Stato né contro lo Stato smunta in uno svicolante se non fosse per il dovere di avere coraggio, la dice lunga sull’amletismo politico di Nanà, che di mane si proiettava verso l’anarchia e di sera ruentrava nelle spire del suo essere cresciuto tra fascisti e fascismo sia pure di paese.

Così a balzelloni, nella speranza di avere adeguatamente provocato Piero Carbone che ben saprebbe regalarli un nuovo IL SUO SCIASCIA non aureolato ma neanche banalizzato. 

Carcorinus di S. Elpidio

 
Contra Omnia Racalmuto
...per mestiere spiego bene agli altri quello che per me non comprendo.
lunedì 18 novembre 2013 Questa la lapide di cui al testo tedesco
ABHANDLUGNEN   DER KÖNIGLICHEN GESELLSCHAFT DER WISSENSCHAFTEN ZU GÖTTINGEN.
PHILOLOGISCH -HISTORISCHE KLASSE. NEUE FOLGE BAND V, Nro. 6. Zur
Gfeschichte lateinisclier Eigennamen.

Von . Wilhelm Schulze. Berlin. Weidmannsche Bachhandlang. 1904.
4) Tappo: Tappurius = Mose fnasu: Masurius oben S. 190 Muso musu: Musurrius S. 196
carcu: Carcurin- S. 171 sq. vgl. mit S. G9. Tappilor(um) CIL V 5753 (Mailand). P. VilHus Tap-pulus COS. 199 V. Chr. Also wie Letito: LentuluSj vielleicht auch wie Cato: Catulus. Plinius bringt
Catus und Corculus zusammen n. h. 7, 118. Man hat aber gewiss für das richtige Verständnis
von Corculus auch das etruskische Oentilicium xurcles x^^x^es Fabretti 2070 sq. zu bedenken.
3) Cafo: Cafumius Bapo: Bapumius SS. 137. 219 carcu: Carcurin- 172 Anm. 3 latuni:
Latumius 176. 178 sacu: Sagurus 223 manttial: Manturanum 274 Causo: Cauaorius 262 Caepio:
Ceporiua 351. Llaturnius 149.
402 V'ILHELH SCHULZ]::,

1. 313 Anm. 4 -usius -osius 169 (293 Anm. 6. 318 Anm. 1) ^) -utius 67. 153. 278 sq.
vius (-venus) 191. 279 Anm. B *) mit den etruskischen -M-Formen in Zusammen-

ang stehen, habe ich schon bei verschiedenen Gelegenheiten entweder direet
ausgesprochen oder durch die Gruppirung des Materials zum Ausdruck zu
bringen versucht, histi: hisuaia, afu: Afudktms^ Icnsu: Lensurius oder masu:
Masürius,musu: MuHurrius^), Holconhis : Folcozco oder t-e/w: Vetossi(us) Vvduslus%
tusnu: tusnutna% masu: Masuv'ms (Mdsuinnius^)) können hier als paradigmatische
Beispiele genügen; dass die Namen auf -diUius ihrer Hauptmasse nach in den-
selben Zusammenhang hineingehören, hoffe ich wieder am einfachsten durch eine
Tabelle zu veranschaulichen ^),
 pruciu S. 306 Anm. G : Proeusius Proxinius S. 251 Anm. 1 Dento (Dentonius CIL VIII
3573): Deniusius S. 315 (Dentriua XI 1534 [Luca] ua wie Letitrius neben Lento S. 191? doch siehe
Chase Han-ard Studics 8, 135). Das isolirte Vapusius CIL VI 5491. 25478 will ich wenigstens notiren.
Vgl. Vapuso XIII lOOlOig^a?
2) Hinzuzufügen sind die Namen Beruenus CIL X 6 (Regium): Berienus X 4929 (Venafrum)
XI 4797. 4938 (Spoletium) Berius V 1092 (AquUeia: alt).
3) Cafo: Cafumius Bapo: Bapumius SS. 137. 219 carcu: Carcurin- 172 Anm. 3 latuni:
atumius 176. 178 sacu: Sagurus 223 manttial: Manturanum 274 Causo: Cauaorius 262 Caepio:
Ceporiua 351. Llaturnius 149.
4) Die Inschriften CIE 1303 sq. sq. {vetuaaC) und Fabretti s. 3, 291 (mt vetua murinaa^ vgl.
dsc 1884, 305) habe ich SS. 101. 169. 195 falsch gewerthet, sie enthalten sicher Praenomina. Deecke
Etr. Fo. 3, 134 Pauü BB 25, 215.

 
5) feluni: Feliutius oben S. 252 Anm. 5. — ectes CIE 2378 (Clusium): Euiutius CIL IX 3867
(Supinum).
6) Hierher könnte man auch tarxu: Tarquenna Tarquinius rechnen. Aber da man Tar-
quinius schwerlich allzu weit yon tarcfia tarxu abrücken darf, glaube ich lieber, dass qu hier der
lateinische Ausdruck eines labio-yelaren etruskischen Lautes ist Derquiliiis S. 97.
7) Natürlich hat die Tabelle nur für die Typen im Allgemeinen Beweiskraft. Das Einzelne
st öfters mehrdeutig. So gehören Paculliua Pacuvius gewiss zu den osk. Praenomina Paakul
TlaH^ig, sind also gutlatinischo Bildungen. Auch die Concurrenz des Keltischen ist zu fürchten,
Holder 2, 247 sv Litucius.

Pubblicato da Calogero Taverna a 02:19 
Calogero Taverna di Racalmuto, abitante a Roma
 

Vecchio ma genuino stemma racalmutese


Carissimo Agato,

scusami se non ti ho scritto prima: non ho avuto lo scanner disponibile. Ti mando subito
la foto dello stemma di Racalmuto. La foto è bruttissima, ma il quadro è deteriorato. Ad ogni modo eccotene alcuni cenni esplicativi:
Sopra :corona comitale dato che Racalmuto era contea.
La forma a cuore andrebbe rettificata, apparendomi davvero inaccettabile;

Le bande gialle sono le migliaia di abitanti (cinque e mezzo all’epoca; dieci scarse oggi)
sotto il campo rosso, segno di guerra e di conquista.
Con cartiglio andrebbe aggiunta la dicitura:
(ove non leggibile: terra et castrum Racalmuti)

 

 

Racalmuto ebbe origini scicane (popolo autoctono del II millennio a.C., sicono-micenee; magna Grecia, e quindi influssi della Roma Repubblicana, forte incidenza della Roma imperiale (penso ai labari di Augusto), greco-bizantina e quindi araba, berbera, saracena, normanna, sveva, aragonese, savoiarda, austriaca, borbonica, dei Savoia, Crispina, giolittiana, fascista, americana, democristiana, socialista-craxiana, berlusconiana: tanti simboli oscuri da inventare, labari e gagliardetti storici, e poi tante bandiere in un tripudio falsamente garrulo, in un incubo sopraffattore, nella voglia di una liberazione sociale irraggiungibile forse con il miraggio di una bandiera rossa lassù tra le brume del castelluccio.
 
Povero emblema racalmutese con la sua stinta corona comitale! Eccoti come vedo il secondo simbolo di Racalmuto.

 

Salutissimi Calogero Taverna

La primissima documentazione sulla Madonna del Monte

Che il defunto padre Biagio Alessi sia sato l'archivista  della curia diocesana agrigentina, non ci risulta;
che invece l'abbia molto bazzicato, sì.
Ma quegli scaffali pieni di faldoni sono ingrati. Leggere quelle carte è arduo. Vi poté riuscire il professore di Palermo don Paolo Collura. Una sua discepola tale Rosa Fontana, prende, le danno l'autografo della visita pastorale di mons. Pietro di Tagliavia e di Aragona, la decripta o l'assistono e con una malcerta macchina per scrivere ne riporta l'arduo testo. Anche noi, collaborati dal Nalbone abbiamo potuto concultare e l'originale e la tesi dattiloscritta che il buon padre Morreale mette in calce al suo libro  sulla Madonna del Monte.
Molto ne abbiamo scritto, tanto tempo abbiamo sprecato per coonestare, collegare, capire, spiegare. Forse altri si va prendendo meriti nostri. Pazienza!
Mi va qui di riportare il dattiloscritto stampato dal Morreale e mano mano farne delle chiose.

Controbatto

Quando scrivo, scrivo di getto e quindi tutto mi può succedere.  Mi pare, però,  che stavolta non abbia sbagliato. Odio la cementite e il cemento. Quella che ora è una insignificante canonica per saltuari padri predicatori, una volta era l'antica chiesetta che chi dice essere intitolato prima del 1509 a Santa Lucia, cosa che a me non risulta, chi come il sottoscritto reputa che invece era l'unica e sola chiesa di Maria SS. Del Monte, estesa e fracassata dalla smisurata fabbrica attuale Ecco anche qui il mio odio per tutti questi miei amici preti che prendono soldi a palate dalla UE, dal Fondo Culto romano e dalla Regione Siciliana per distruggere documenti unici persino di origine medievale e fare assurdi baracconi al ducotone. Il merito io l'ascrivo a Padre Luigi Mattina per avere messo in bella vista nell'abside il policromo anche se naif ex voto ove è raffigurata la più antica carta di Racalmuto, s'intende qual era dopo il 1750. Va da sé che io dico cose che nessuno condivide al mio paese. Ma mi rifaccio cantando: oh, beata ignoranza!

P- Girolamo M. Morreale S.J. l'ex gesuita che Siascia non amò

P. GIROLAMO M. MORREALE,  L'EX GESUITA CHE SCIASCIA NON AMO'
 
 
Padre Girolamo Morreale, S. J. nacque a Racalmuto il 7 ottobre del 1916 e morì a Palermo a Casa Professa il 25 luglio 1984.-
 
"Concittadino, cugino e compagno di religione"  dell'altro importante gesuita, padre Sferrazza, negli ultimi tempi della sua vita si dedicò alla ricerca storica su Racalmuto producendo due libri, illuminanti sia pure a scopi religiosi, intitolati "Maria SS: del Monte di Racalmuto" e Padre Elia Lauricella". Il libro sulla Vergine per la prima vota non resta incagliato nella mistica agiografica e validamente padre Morreale colloca l'evento in un quadro di rigore appunto storico. Tanto, chissà perché, non piacque a Leonardo Sciascia che in una sapida pagina di Amici della Noce si lascia andare ad uno sberleffo letterario davvero insolente.

In ordine ai tre candidati alle primarie del PD

Nessuno dei tre può dare molto. Vivo a Roma per non sapere. Dovevamo ad esempio avere la forza di costringere D'Alema ad esporsi i prima persona ...ma sarebbe cambiato tutto il  quadro consociativo. Purtroppo oggi o c si si consocia o si sparisce. Penso a certi compagni di Rifondazione, a Di Liberto ad esempio verso cui, conoscendolo, nutro ammirazione infinita. Se dico che oggi il meglio è il meno peggio, qualche ragione credo di averla. Comunque le primarie una spinta democratica la danno ed un ceto risveglio anche  in un partito che giustamente tutti consideriamo cloroformizzato. Di più: una grande corsa alla "democrisinizzazione". Guardo con accoramento quello che è avvenuto a Racalmuto e per di più con il nihil obstat di alcuni personaggi in bella mostra nella locandina accanto.

Padre Luigi Mattina Giammeria (Jean Marie)

I
l padre Luigi Mattina della Famiglia dei Mattina Giammeria (che poi significa alla francese Jan Marie) nasce a Racalmuto il 12/8/1936 e viene ordinato sacerdote ll 6/7/1969 a 33 anni. Ciò non per ritardi di altro tipo ma perché padre Mattna decide di prendere la via del seminario piuttosto tardi. Lo ricordo da mio zio Luigi Taverna. Mio zio bestemmiatore, il pio Luigi Giammeria segnarsi varie volte al giorno. Abile, bene addestrato stava per divenire un buon meccanico in quel di Racalmuto. Il Signore lo chiamò per essere un suo unto .Padre Mattina la sua missione sacerdotale la svolge ormai da 44 anni encomiabilmente, portando anime al signore con il suo predicare a voce distesa, modulata ma su toni alti da buon baritono.  Padre Mattina viene officiato della parrocchia della Madonna della Rocca il 1°/12/1985 succedendo a padre Gaetano Chiarelli, che lascia per motivi di salute. Invero padre Luigi è maggiormente impegnato nella rettoria del massimo santuario racalmutese, quella apicale chiesa del Monte ove si venera in loco ma anche  in tutte le parti del modo ove alberghi un esule racalmutese la Vergine Maria, incoronata regina il 12 giugno 1938 meno di un paio di anni dopo la nascita do padre Luigi, qusi segno premonitore della sua vocazione per speciale grazia di Dio. Padre Mattina ama molto le campane, molte ne ha fatto fondere  alcune le ha persino donate. Ha fatto erigere una copia marmorea della miracolosa Vergine al vecchio campo sportivo. Tripudio di campane e culto mariano sono le sue fubule auree. Il rettorato del Chiesa del Monte lo prese nel 1971 succedendo a Mons. Calogero Picone. Ama questa chiesa: l'ha abbellita sempre più. A pensare che anche lo scettico Sciascia avrebbe preferito venire seppellito in questo miracoloso,  ci chiediamo perché non è stato accontentato. Era anche come un monito a noi miscredenti a ritornare nell'alveo di madre Chiesa, seguendo l'esempio del massimo cervello racalmutese. Il padre gesuita Morreale celebra padre Luigi come colui che "ha ritoccato nuovamente l'oro degli stucchi e rifatto il pavimento" (che oltretutto registrava una non commendevole speculazione); ha fatto anche "ritoccare la pittura in cementite delle pareti". Inoltre, sempre padre Luigi "ha rinnovato i vetri colorati della gradinata  sopra l'altare maggiore, ha costruito l'altare rivolto al popolo, utilizzando le colonnine della precedente balaustra".  Chi abbia fornito i fondi a  noi non interessa; forse un piccolo appunto lo faremmo per il fatto di avere ritenuto" abbastanza alta la sacrestia", per cui ha l'ha "modificata ricavando un piano per la canonica del santuario, che unito alle stanze costr uite  dal padre Petrone, costituiscono l0'abitazione del predicatore del mese mariano.." Ma si sa che la cementite è malattia che infetta anche i preti. Peraltro queste sono notizie datate 1986 come  dire per lo meno 28 anni addietro: altra disciplina edilizia. Apprendo sempre da padre Morreale che padre Luigi è responsabile anche del ritocco dei due celebri ex voto. Ma ha anche il mrito di esporre quelle notevoli testimonianze architettoniche nell'abside della chiesa. Un merito, secondo me.
 

venerdì 29 novembre 2013

SICILIA IN VERSI

AL CIRCOLO UNIONE PER VENT'ANNI HANNO RACCOLTO DETTI, RIME, STRAMBOTTI, PROVERBI ED ALTRO ANCORA. vent'anni FA COMIMCIARONO A PASSARE A MIGLIORE VITA GLI ATEFICI PRINCIPALI, LE MEMORIE MIGLIORI TRA I GALANTUOMINI DELL'ESCLUSIVO CIRCOLO. ABBIAMO EREDITATO IN UN CERTO QUAL MODO QUEI LISI FOGLI MANOSCRITTI, lI ABBIA RESI INFORMATICI. MA LINGUISTICAMENTE - GIà PERCHE' IL VERNAOLO SICILIANO NELLA VERSIONE RACALMLUTESE è UNA LINGUA CON FERREE  REGOLE GUAMMATICALI SINTATTICHE ORTOGRAFICHE. NON è MESTIERE NOSTRO. abbiamo PASSATO IL TUTTOA PIETRO CARBONE CHE MAGISTRALMENTE E CON LA PERIZIA CHE LO CONTRADDISTINQUE DA VARI DECENNI HA RIPUITO, SCIACQUATO SLUCCICATO I QUADRETTI SAPIDISSIMI E GUARDATE COME E LI RESO. COMPLIMENTI PIERO!!!

archivio e pensamenti

Blog di Piero Carbone (da Racalmuto, vive a Palermo) Commenti, non anonimi, grazie: p.carbone4@tin.it
venerdì 29 novembre 2013

   
LA MINIERA DEI MODI DI DIRE A RACALMUTO 2 - Vitti lu mari, vitti la marina...


Seguito del precedente post dove sono esposte, tra l'altro, le opportune precisazioni sul contenuto, la genesi e la trascrizione del materiale raccolto al Circolo Unione di Racalmuto.

Link del post precedente:


http://archivioepensamenti.blogspot.it/2013/11/la-miniera-dei-modi-di-dire-racalmuto-1.html

...lassatimi addivertiri cu l’amici mia.

Frammenti
1° gennaio 1974
 a cura di Calogero Taverna

1. Vitti lu mari, vitti la marina
vitti l’amanti mia ca navicava

1. Comu aiu a fari cu sta ma vicina
 c’avi lu meli mpiettu e nun mi nni duna.

 1. M’aiu a maritari nun passa ouannu
 pi campari muglieri nun mi cumpunnu

 1. M’avera a maritari senza doti
 chi sugnu foddi ca fazzu sta cosa

 1. Dicci a tò mamma ca nun si piglia pena
 la robba ci ristà ni li casciuna.

 1. Si piccilidda e vatinni a la scola
 ca quannu ti crisci m’è pigliari a tia.

 1. Si piccilidda e ha lu cori ngratu,
 mi vidi muortu e nun mi duni aiutu
 quannu vidi affacciari lu tabbutu
 tannu mi cierchi di darimi aiutu.

 1. Si piccilidda e fa cosi di granni
 pensa quannu ti criscinu sti minni

 1. Quant'avi chi studiu sta canzuna,
 pi mpararimilla sta simana

 1. L’aiu avutu na donna taliana
 ca la so facci era na vera luna
 nni lu piettu porta na cullana
 si vuogliu lu so cori mi lu duna.

 1. Vieni stasira ca mi truovi sula
 l’ura è arrivata di la tò fortuna.

 1. La carta di la leva a mia vinni
 m’accumanciaru a viniri li malanni.
 1. Partu e nun partu, comu vurria fari,
 bedda sugnu custrittu di partiri
 sugnu custrittu di lassari a tia
 e quannu pienzu ca t’aiu a lassari
 la vucca di feli s’amaria.
 Lu vaiu diciennu nun ni puottimu amari
 si nun muoru cca muoru addavia.
 1. Mamma priparatimi un maritu
 ca sutta lu fallarieddu c’aiu lu fuocu
 Sutta lu fallarieddu c’aiu lu fuocu
 dintra lu russu e fora è sbampatu
 sutta lu fallarieddu ci hai lu meli
 sugnu picciottu e lu vuogliu tastari
 Sugnu picciottu e mi nni vaiu priannu
 schiettu mi l’haiu a godiri lu munnu.
 1. Vidi chi fannu fari li dinari
 fannu spartiri a du filici cori
 Ti pigliasti ad una ca nun sapi parlari
 tutta pirciata e china di valori;
 mancu a la chiazza cchiù la po’ purtari
 vidi li beddi e lu cori ti mori.
 Affaccia amuri e sientimi cantari
 ca t’è fari pruvari comu si mori.
 1. Quannu ti viu lu me cori abballa
 comu lu fuoco ni la furnacella,
 quannu ti viu lu me cori abballa
 comu lu vinu russu nni la buttiglia
 1. Lu sabbatu si chiama allegra cori
 mmiatu cu avi bedda la muglieri
 cu l’avi ladia ci mori lu cori
 e prega ca lu sabbatu nun veni.
 1. Comu ci finì a lu gaddu di Sciacca
 pizzuliatuddu di la sciocca.
 [Pasqua 74]
 1. Veru ca la mintissi la scummissa
 cu si marita lu fuocu ci passa
 1. L’omu ca si marita è ammunitu
 la muglieri ci fa da diligatu
 1. Hann’a passari sti vintinov’anni
 unnici misi e vintinovi jorni
 1. E li minneddi tò sciauru fannu
 sunnu viglianti e mi cala lu suonnu
 1. Chiddu chi voli Diu dissi Marotta
 quannu si vitti lu fuocu di sutta.
 [variante oscena e beffarda]
 quannu si vitti la soru di sutta.
 1. M’arridducivu di tali manera
 ca comu un picciliddu chiacchiaria
 Persi lu sali e persi la salera
 e persi l’amicizia cu tia.
 1. L’omu chiettu nun nni chiudi vucca
 si si marita diventa na rocca
 1. L’omu schiettu nun aviennu muglieri
 mmiezzu li maritati avi addubbari
 1. Comu na varca a mari mi currieggiu
 ni lu liettu nun puozzu stari saggiu
 1. M’agghiri a maritari a Rivinusa
 ca mi muglieri m’è pigliari na rosa
 1. Sugnu arriddutu di tagliarimilla
 tantu pi tantu pierdita mi duna
 1. Ci vuonnu quattru mastri cu la serra
 e quattru fimmineddi cu la falla
 quattru fimmineddi cu la falla
 pi lu sanguzzu nun arrivari ‘n terra
 1. Bedda p’amari a tia persi lu sceccu
 persi la tabbacchera e lu tabaccu
 1. Bedda p’amari a tia persi lu sceccu
 ora dicimi tu a cu minchia accravaccu
 1. Curnutu ca ha’li corna in tri maneri
 luonghi e pizzuti cumu li zabbari
 1. Li corna ti li fici tò muglieri
 cu un picciuttu ca sapi cantari.
 1. La tarantula annaca e nun sapi a cui
 stenni l’aritu e nun lu cogli mai
 passa la musca e ni l’aritu ‘ngaglia
 e ci patisci nni ddi eterni guai
 la tarantula ngrata siti vui
 la musca sugnu iu ca c’ingagliavu
 quantu aiu piersu pi amari a vui
 sugnu a lu ‘mpiernu e nun nni niesciu mai.
 1. L’amuri è cu lu lassa e piglia
 comu lu fierru ‘mpizzu a la tinaglia
 1. Cu dici ca pi donni nun si pila
 a tutti l’impiccassi pi la gula.
 1. Quan’eratu malata dunci amuri
 pi uocchiu di la genti nun ci viniva
 quannu vidia passari lu Signuri
 pigliavu lu mantu e ci viniva
 e m’assittava ‘ncapu li scaluna
 tu stavatu muriennu e iu chianciva
 ora ca stasti bbona dunci amuri
 finieru l’uocchi mia di lacrimari.
 1. Ora ancidduzzi calati, calati
 a la cima di l’arburi e ci viditi
 quannu nni la caggia intrati
 comu di la pena nun muriti;
 amicuzzi vi priegu ‘n caritati
 amicizia cu li donni nun aviti;
 iu persi la mia libirtati
 na donna m’ingaglià cu li so ariti.
 1. Di quinnici anni vi puozzu assicurari
 n’ura di cuietu nun aiu pututu aviri
 ca m’aiu misu tuttu a cantari
‘ndarrieri la porta di l’amanti mia
 di na picciuttedda m’intisi chiamari
 trasi ca t’arrifriddi armuzza mia
 iu cci lu dissi: nun vi stati a ‘ncumudari
 lassatimi addivertiri cu l’amici mia.
 1. Lu gaddu cci dissi a li gaddini
 ca lu tiempu si piglia comu veni
 1. Chi ti giova sta maritatina
 ottu jorna malata e un jornu bona
 1. ladia, pupa nivura, untata d’uogliu
 tu va diciennu ma muoru pi tia
 cci sunnu tanti bieddi ca mi vuonnu
 comu mi vuogliu tingiri nni tia
 vattinni a mari a glittariti a scuogliu
 oppuri a mmuoddu mmiezzu a la liscia..
 1. Mina lu vientu e lu massaru spaglia
 c’è lu currieri ca cunta li miglia
 lu cacciaturi assicuta la quaglia
 e l’assicuta finu ca la piglia;
 l’arburu s’ha sirratu cu la serra,
 e lu stufatieddu s’agusta cu l’aglia
 Ora ca la vincivu la battaglia
 si mi curcu cu tua nun è meraviglia.
 1. La turturidda quannu si scumpagna
 si parti e si nni va a so virdi luogu
 vidi l’acqua e lu pizzu si vagna
 e di la pena si nni vivi un puocu
 e poi si minti ncapu na muntagna
 jetta suspira e lacrimi di fuocu:
 amaru cu perdi la prima cumpagna,
 perdi li piacira, lu spassu e lu juocu.
 1. All’armi, all’armi: la campana sona
 li turchi sunnu junti a la marina.
 1. Ah! Quantu è mpami l’arti di lu surfararu
 ca notti e jornu travaglia a lu scuru
 piglia la lumera e fa un puocu di lustru
 quannu scinni jusu cu lu so capumastru
 1. La schetta si nni prega di li minni
 la maritata di li figli ranni
 1. Niesciu la sira comu lu nigliu
 Viersu la matina m’arricogliu.
 1. Si ni pigliamu colari muriemmu
 e vincitoria a li mpamuna dammu.
 1. Cci vò viniri dda banna Riesi
 unni ci su pagliara comu casi;
 cci sunnu tri picciotti comu rosi
 una di chiddi tri mi dissi trasi;
 trasi ca t’aiu a dari li beddi cosi:
 puma, pumidda, maremi e cirasi.
 Iu ci lu dissi: nun vuogliu sti cosi,
 vuogliu la zita, la robba e li casi.
 1. Biedda, li tò biddizzi iu li pritiegnu
 siddu li duni a l’antri, iu m’allagnu.
 1. Ora ca ti criscieru sti lattuchi,
 tutta ti gnucculii, tutta t’annachi.
 1. Ci pienzi bedda quannu iammu a Naru
 ca la muntata ti paria pinninu?
 1. Bedda, ci vò viniri a San Bilasi,
 n’addivirtiemmu ca siemmu carusi?
 1. Aiu cantatu pi sbariarimi la menti
 oppuramenti la malincunia.
 1. Comu vo fari fa, si la patruna
 basta ca truovu la pignata china.
 1. Buttana ca cu mia tu fa la santa,
 cu li cani e li gatti tieni munta.
 A mezzannotti cu scippa e cu chianta,
 la tò matruzza li cuorpi ti cunta.
 Quantu grana vusca sta figliuzza santa,
 ci voli lu nutaro ca li cunta.
 1. la fimmina ca è sutta va cantannu
 l’omu ca sta supra sta suffriennu
 1. Cu avi dinari assà, sempri cunta
 cu avi muglieri bedda sempri canta.
 1. So matri mi lu dissi: va, travaglia,
 nun mi la fari patiri a ma figlia.
 1. Cu dici ca li favi sunnu nenti,
 sunnu cumpuortu di panza vacanti.
 1. L’omu c’ha piersu la ragiuni
 la giustizia si fa cu li so mani
 1. Pi tantu tiempu la furtuna aiuta,
 arriva un tiempu ca cangia la rota.
 1. Tu t’inni prieghi ca ti resta chiusa,
 iu mi nni priegu ca mi resta tisa.
 1. Si ogni cani c’abbaia, na pitrata,
 nun restanu né vrazza e macu vita.
 1. San Pietru ci dissi a S. Giuvanni
 di li singaliati, guardatinni.
 1. Santa lagnusia, nun m’abbannunari,
 ca mancu spieru abbannunari a tia.
 1. Quantu su bieddi li carmelitani,
 ca vannu a la missa cu la mantillina.
 1. A tia piaci la miennula dunci,
 prima ti la manci e ora chianci.
 1. Cu sta spranza e la pignata minti,
 ma va pìarriminari e nun trova nenti.
 1. Cu scecchi caccia e a fimmini cridi
 faccia di paradisu nun nni vidi.
 1. Pensa la cosa prima ca la fani
 ca la cosa pinzata è bedda assani.
 1. Sparaci, babbaluci e fungi
 spienni dinari assà e nenti mangi.
 1. Unni viditi niespuli, chianciti:
 sunnu l’urtimi frutti di l’estati.
 1. Comu amma a fari, la muglieri?
 dumani agghiurnammu senza pani.
 1. Quannu la sorti nun ti dici,
 jettati nterra e cuogli babbaluci.
 1. Cu fa amicizia cu li sbirri,
 c’appizza lu vinu e li sicarri.
 1. Di ‘nviernu nun ni vuogliu ca fa friddu,
 mancu la stagiuni ca fa callu.
 1. Cummari vi lu dicu allieggiu, allieggiu,
 vostru maritu si iucà lu ‘llorgiu.
 1. La padedda cci dissi a la gradiglia:
 iu pisci frittu mangiu e no fradaglia.
 1. Lu surci cci dissi a lu scravagliu:
 quannu tu fa beni scordatillu.
 1. Lu saziu nun cridi a lu diunu,
 comu lu riccu nun cridi a lu mischinu.
 1. Cci finì comu li nuci di Cianciana,
 cientu vacanti ed una china.
 1. Chi facisti o mastru Giuvanni,
 scippasti la vigna e cci chiantasti li canni.
 1. Abrili fa li sciuri e li biddizzi,
 n’avi lu lasu lu misi di maiu.
 1. Lu picuraru grida: all’erba, all’erba;
 ca si la po’ sarbari si la sarba.
 1. Sugnu comu na tavula di liettu,
 dicu ca nun viu nenti e viu tuttu.
 1. Ficiru paci li cani e li lupi,
 poviri piecuri e svinturati crapi.
 1. Di li cappiedda e di lu malu passu
 dinni beni e stanni arrassu.
 1. L’afflittulidda ca si curca sula
 si vonta e svonta mmiezzu a li linzola.
 1. Mi vivu lu vinu miu, armenu sacciu cca è vinu guastatu.
 2. A quannu a quannu lu pupu j a ligna
 cu ddu cippidda cci fici nna sarma;
 nni la muntata si lassà la cigna,
 va iti nni lu pupu ca si danna.
 1. L’arti di lu muraturi, è arti gintili,
‘nn’accidenti a cu nni parla mali.
 1. A vvu commari chiamativi la gatta,
 sannò vi veni cu l’ancuzza torta.
 1. P’amari li donni cci voli la sorti,
 ma ancu ‘ngegnu , giudiziu e arti.
 1. Lu zuccu nun pò teniri du viti
 e mancu la fimmina du ‘nnamurati.
 1. L’acqua di lu Raffu è mmiezzu vinu,
 curriti schetti di San Giulianu.
 1. L’acqua di li Malati è vinu sanu,
 curriti schetti di San Giulianu.
 1. Pi nun pagari du grana di varbieri,
 si fa li capiddi scali, scali.
 1. Quannu mina lu vientu narisi,
 guardativi la peddi, guaddarusi.
 1. Sugnu comu lu cunigliu ni la tana,
 firriatu di sbirri e di ‘mpamuna.
 1. Si m’arrinesci mi chiamu don Cola,
 si nun m’arrinesci Cola comu prima.
 1. Lu jardinaru ca chianta cipuddi
 cci vannu appriessu li picciotti bieddi.
 1. Nun ci vaiu cchiù a Santa Chiara
 ca la Batissa mi voli ‘ngalera,
 mi dissi ca ci ruppi la campana
 e lu battagliu miu ristà com’era.
 1. Chissa è la vera pena ca si senti,
 sugnu luntano e nun viu l’amanti.
 1. Amuri amuri, quantu sì luntanu,
 cu mi lu cuonza lu liettu stasira,
 cu mi lu cuonza, mi lu cuonza malu,
 e malatieddu agghiuornu a lu matinu.
 1. Vinni a cantari ca n’aiu ragiuni,
 pi mmia nun ci fu camuliari,
 tutti mangiaru carni e maccarruna
 e iu, l’amaru, mancu aviri pani.
 1. Chi avi stu sceccu ca raglia?
 avi la corda longa e s’impiduglia.


 Pubblicato da  Piero Carbone     a  17:08    
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 Etichette: modi di dire 


3 commenti:
 



Angelo Cutaiavenerdì 29 novembre 2013 17:45:00 CET
come è cambiata la vita nello spazio di mezzo secolo!
Rispondi



Eduardo Chiarellivenerdì 29 novembre 2013 18:06:00 CET
Grazie per questo scrigno , pieno di sapienza popolare , che senza l´interesse di persone come Piero , sarebbe andato perduto per sempre .
Rispondi
Risposte



Piero Carbonevenerdì 29 novembre 2013 18:29:00 CET
Ringrazio Eduardo per l'apprezzamento; in questo caso mi sono limitato a riproporre il lavoro di raccolta fatto da altri, nel caso specifico al Circolo Unione, ma idealmente collegabile al lavoro di tanti altri che in diversa misura, e in piccola parte idealmente vi ho contribuito anch'io attraverso qualche pubblicazione, hanno cercato e cercano di non smarrire frammenti, anzi, direi "semi" di memoria: è utile in questo genere di raccolte il contributo corale.


▼   2013 (209) ▼   novembre (19) LA MINIERA DEI MODI DI DIRE A RACALMUTO 2 - Vitti ...
CARRETTIERI IN AMERICA E SINTASSI DEI RICORDI
IL SENSO DI CIÒ CHE FACCIAMO, SE QUELLO CHE FACCIA...
RAP IN SICILIA O IN SICILIANO? Marruggiati e pani ...
SEMPLICEMENTE GRAZIE
CHE C'ENTRA IL CASTELLUCCIO CON CARMINU TAVANU?
IL DIALETTO E LA TOP TEN. Libro e intervista di R...
LA MINIERA DEI MODI DI DIRE A RACALMUTO 1
CASTELINHO INSPIRADOR
PREGHIERA DI UN REGISTA
CARA FONDAZIONE, TI SCRIVO
ERAN TRECENTO...
LA STRADA DELLA SPERANZA
"TRAMUNTANEDDA" SICILIANA E "SAUDADE PORTUGUESA"
IL CANE ITALO DI SCICLI NON AMAVA LA LETTERATURA?
GRAZIE PER LA SEGNALAZIONE
LA STORIA PASSA(VA) DA CASTRONOVO
UN OMAGGIO A SALVATORE COPPOLA
ARTE AL CIMITERO

Scritti di un tempo che fu



 



...per mestiere spiego bene agli altri quello che per me non comprendo.

venerdì 1 febbraio 2013

CERCAI DI CALAMITARE LA BENEVOLENZA DELLA ARCIGNA SIGNORA ....... FIASCO TOTALE!

 

Roma, 28 aprile 1994

 

 

Gentilissima Signora,

 

 

lusingato ed onorato dalla Sua lettera, non trovo le parole adatte per significarLe il sentimento di gratitudine per l'attenzione che ha voluto riservare alle mie maldestre note sull'albero genealogico di Leonardo Sciascia.

 

La Sua gentile puntualizzazione redime, oltretutto, la mia modesta ricerca archivistica da ingrate incrostazioni di petulanza verso il grande Sciascia in cui non intendo assolutamente incorrere. Anzi! E' stata la voglia di rivendicare uno Sciascia - anche oltre Sciascia - radicalmente racalmutese, fino all'ottava generazione, ad animare il mio scandaglio negli archivi di padre Puma.

 

Ora so, grazie a Lei, che ciò vale solo in linea paterna. Debbo alla Sua cortesia una pregevole ricostruzione genealogica di pugno del grande Sciascia, ove un ramo: quello di Anna Sciascia, nonna del Nostro, porta allo 'Naduri'.

 

Il «'lapsus' della memoria» o lo scambio pirandelliano tra le agnazioni dell'ava e quelle del 'nonno' mostra, a mio modesto avviso, un atto trasfigurante occorso - o cui il grande scrittore ha indulto - per esigenze dell'intelligenza ai fini di un'altra mirabile metafora sciasciana. Se voi - se noi - racalmutesi avete in uggia i 'nadurisi', ebbe allora io sono 'nadurisi'. E con ciò? Il dramma o la farsa di essere «un'isola» o «un'isola nell'isola» o «un'isola nell'isola dell'isola..» etc. permane non so se tragicamente o esistenzialisticamente.

 

L'angusto mio disperdermi nelle chiesastiche carte di Racalmuto per rivendicare Sciascia al Seicento del mio paese vola molto basso e non presume di attingere neppure in lontananza le irraggiungibili vette dell'immenso scrittore nato a Racalmuto, da un padre racalmutese e da avi locali sino alla ottava generazione.

 

Racalmuto non ha una storia in qualche modo esemplare. E' la storia di paesani, qualche volta violenti, tal'altra generosi, ma sempre entro le righe, in un pentagramma di invariabile 'mediocrità', neppure definibile 'aurea', alla Orazio. L'unica sua gloria è Sciascia. Svetta e se ne distacca. Radicarlo nella terra del sale, almeno dalla fine del Seicento, è un mio orgoglio ed una mia ambizione. 'Occhio di Capra' sembrava smentirmi: la Sua precisazione armonizza e semplifica. Non so se potrò utlilizzarla in una eventuale pubblicazione dell' «albero». In ogni caso dovrò riconsiderare le note che ha letto. Sono appunti del mio 'computer' informali ed estemporanei. Vanno rivisti persino sotto il profilo stilistico. Certo, lo scrivere non è il mio mestiere e quindi mai potrò essere efficace e men che meno elegante. Ma ai fini di rivendicare le otto generazioni racalmutesi di Leonardo Sciascia, magari su 'Malgrado tutto', poche scarne note e una teoria di riquadri possono essere più che idonei. E' però evidente che, senza la Sua autorizzazione a rendere pubblica la precisazione sulla provenienza 'nadurisi' del ramo femminile anziché maschile del grande Sciascia, la mia suonerebbe come una ricostruzione d'insolente pedanteria da cui abborro. Il giovane Gigi Restivo potrebbe utilizzare i dati disponibili: si tratterebbe così di una rielaborazione fatta da chi ha sempre dimostrato devozione verso Leonardo Sciascia.

 

* * *

 

 

Mi permetto alcune considerazioni sull'albero autografo dello Scrittore.

 

Mi pare che sino ai coniugi Pasquale Sciascia-Angela Alfieri, andando a ritroso in linea retta, non vi sono discordanze con i dati che ho potuto rinvenire presso il Municipio di Racalmuto e la Matrice. Le fonti di cui mi sono avvalso sono riepilogate nel foglio elettronico sub allegato n.° 1. Il passaggio da Pasquale a Calogero Sciascia vi è giustificato con elementi che credo validi.

 

Quanto alla nonna dello Scrittore, 'Anna', il nome risulta tale in Municipio (Stato Civile - n. 48), ma nei vari atti della Matrice figura come 'Maria Anna' o 'Marianna' Sciascia. Non credo che la variante sia di un qualche risalto.

 

L'omonimo nonno di Leonardo Sciascia [che «comincia come 'caruso'» nelle miniere e diviene «poi amministratore»] lo trovo a Roma nell'Archivio di Stato - Regio Commissario Civile per la Sicilia - busta n. 42: trovasi iscritto nella «Lista Generale degli Elettori Politico-Commerciali della Provincia di Girgenti per l'anno 1896» al 250 della 'lista commerciale' e n.° 435 della 'lista politica comunale'. E' dunque tra i pochi racalmutesi di fine Ottocento 'allittrati' - come ancor oggi si dice - , rientra nel novero degli elettori attivi (poco più di 510) ed appartiene alla classe media del commercio in quanto 'negoziante di zolfi' (cfr. All. n.° 2).

 

Questo personaggio dell'Ottocento racalmutese - cui Leonardo Sciascia dedica un accenno riconoscente per la Noce a pag. 13 della sua introduzione al libro del Tinebra Martorana - va comunque tenuto distinto da un altro personaggio omonimo e coetaneo: Leonardo Sciascia di Nicolò, sul quale si appuntarono le maldicenze del paese e gli occhi della polizia, come può desumersi dagli atti dell'Archivio di Stato di Roma. I due Leonardo Sciascia dell'Ottocento non erano però neppure parenti alla lontana. Sono arrivato a questa conclusione solo di recente e grazie all'ordine messo negli archivi parrocchiali della Matrice di Racalmuto nel 1993 dal prof. Giuseppe Nalbone. Prima ero portato a fare una qualche confusione, sia pure senza mai professare certezze (cfr. Allegato n. 3).

 

Nel mio computer rintraccio questi dati sugli antenati dello Scrittore:

 

Il nonno del nonno di Leonardo Sciascia risiedeva nel quartieri della Rocca, strada delli Cerami [detta così perchè vi abitava anche la famiglia Cerami]. Tanto emerge da un censimento dell'arciprete di Racalmuto del 1822, la c.d. 'numerazione delle anime'. (cfr. all. n.° 4)

 

A quel tempo, la suocera Calogera Nalbone in Scibetta era ancora viva ed abitava alla 'Barona'. (Cfr. all. n.5)

 

Ho rinvenuto all'Itria documenti della Confraternita della 'Mastranza' riguardanti il ventennio a cavallo tra il Settecento e l'Ottocento: vi figurano tanti antenati dello Scrittore. Ho rimarcato quelli che a mio avviso appartengono alla famiglia di Leonardo Sciascia o ai suoi ascendenti Alferi, Martorelli e Scibetta, nell'allegato stralcio della trascrizione di quei documenti. (Cfr. all. n.° 6)

 

 

* * *

 

 

Mi azzardo ora in alcune annotazioni riguardo all'albero genealogico di Anna Sciascia, tracciato dallo Scrittore.

 

La chiosa su Antonino Sciascia, fratello del nonno di Anna Sciascia, ci conduce senza dubbio alcuno a quel professore di diritto civile di cui parla Tinebra Martorana a pag. 186 e segg. del libro di memorie e tradizioni racalmutesi, ristampato a Racalmuto nel 1982 con la mirabile introduzione del grande Sciascia. E se è così, sappiamo però che i genitori di quei fratelli - 'conciapelli', uno e 'professore all'Università di Palermo', l'altro - sono racalmutesi e rispondono ai nomi di Vincenzo Sciascia e di sua moglie Rosa Mantia. Mi pare di rinvenirli in un censimento del 1808-1810 con questi dati:

 

 

 

 

683
SCIASCIA
VINCENZO
50
MASTRO
ROSA
M
40
ANNA
F
14
SANTA
F
12
ANTONINO
F
11
LEONARDO
F
7
CARMELA
F
3
GIUSEPPE
F
1

 

 

Quegli Sciascia appaiono anche nel sopra citato censimento ecclesiastico del 1822 e risiedevano nel quartiere della Fontana (ai numeri progressivi 81-88 - vedi Allegato n. 7). Il 'nonno della nonna' di Leonardo Sciascia - fresco sposo di Maria Rosa Burruano - era andato invece ad abitare nel 'quartiere del Carmine = Strada di Conti' (nn. progr. 3255 e 3256 - v. Allegato n.° 8).

 

Maria Rosa Burruano - per la quale lo Scrittore non sembra nutrire eccessive simpatie - era anche lei racalmutese, come dimostra questo stralcio del censimento del 1808-1810:

 

 

532
BURRUANO
FRANCESCO
anni 30
DOROTEA
M
anni 22
MARIAROSA
F
anni 4

 

I due rami degli Sciascia: quello di Anna e quello di Leonardo della seconda metà dell'Ottocento, fanno capo al Giovanni Sciascia della prima metà del Settecento, come sembra dimostrare il censimento del 1750, conservato nella Matrice di Racalmuto (cfr. Allegato n. 9).

 

 

* * *

 

 

Le mie lungaggini L'avranno certamente annoiata: spero che me le perdonerà. Naturalmente gradirei molto rettifiche o suggerimenti. Voglia anche scusarmi per l'uso del computer: ma la mia pessima calligrafia non consente una spedita lettura.

 

Nel ringraziarLa ancora una volta, La prego di gradire i miei deferenti saluti.