Preciso che la denuncia contro il grand. Uff. Dottore Ettore Messana partì dal noto parlamentare comunista agrigentino on. Giuseppe Montalbano ma ovviamente e naturalmente finì in un nulla di fatto. Mera speculazione politica, attacco a Scelba insomma. Che dobbiamo dire per Ettore Messana, chiangi lu sabtu pi lu piccaturi?
sabato 7 giugno 2014
Preciso che la denuncia contro il grand. Uff. Dottore Ettore Messana partì dal noto parlamentare comunista agrigentino on. Giuseppe Montalbano ma ovviamente e naturalmente finì in un nulla di fatto. Mera speculazione politica, attacco a Scelba insomma. Che dobbiamo dire per Ettore Messana, chiangi lu sabtu pi lu piccaturi?
Li Causi Messana e i calunniatori di Messana
Questo è il discorso di Li Causi che per incidens accusa il Messana. Procederemo a soppesarlo e arriveremo a conclusioni ora meno passionali e meno politicizzati. Emergerà senza ombra di dubbio che i successivi calunniatori del grande questore o ispettore generale do PS grand. uff. Dottore Ettore Messana, che pensano di trarre da questo intervento parlamentare la fonte e la base per le loro diffamazioni calunniatrici, se persone oneste e mentalmente corrette dovranno fare resipiscenza e procedere a ravvedimenti operosi specie nei confronti della Famiglia Messana che di recente ha subito danni materiali, morali e persino fisici a causa di codeste allegre calunnie e di questo fare apparire come cose certe e storicamente provate quelle che erano invece denigratori giudizi di valore.
Sicilia 1 maggio 1947
La strage di Portella delle Ginestre
La vecchia credeva che fossero mortaretti e cominciò a battere le mani festosa. Rideva. Per una frazione di secondo continuò a ridere, allegra, dentro di sé, ma il suo sorriso si era già rattrappito in un ghigno di terrore. Un mulo cadde con il ventre all'aria. A una bambina, all’improvviso, la piccola mascella si arrossò di sangue. La polvere si levava a spruzzi come se il vento avesse preso a danzare. C'era gente che cadeva, in silenzio, e non si alzava più. Altri scappavano urlando, come impazziti. E scappavano, in preda al terrore, i cavalli, travolgendo uomini, donne, bambini. Poi si udì qualcosa che fischiava contro i massi. Qualcosa che strideva e fischiava. E ancora quel rumore di mortaretti. Un bambino cadde colpito alla spalla. Una donna, con il petto squarciato, era finita esanime sulla carcassa della sua cavalla sventrata. Il corpo di un uomo, dalla testa maciullata cadde al suolo con il rumore di un sacco pieno di stracci. E poi quell'odore di polvere da sparo.
La carneficina durò in tutto un paio di minuti. Alla fine la mitragliatrice tacque e un silenzio carico di paura piombò sulla piccola vallata. In lontananza il fiume Jato riprese a far udire il suo suono liquido e leggero. E le due alture gialle di ginestre, la Pizzuta e la Cumeta, apparvero tra la polvere come angeli custodi silenti e smarriti.
Era il l° maggio 1947 e a Portella della Ginestra si era appena compiuta la prima strage dell'Italia repubblicana
La carneficina durò un paio di minuti. Alla fine la mitragliatrice tacque e un silenzio carico di paura piombò sulla piccola vallata. Era il 1° maggio 1947 e a Portella della Ginestra si era appena compiuta la prima strage dell’Italia repubblicana: 11 morti, due bambini e nove adulti. 27 i feriti. Tutti poveri contadini siciliani. Che a sparare dalle alture, sulla folla radunata a celebrare la festa del lavoro, erano stati gli uomini del bandito Salvatore Giuliano, gli italiani lo scopriranno solo quattro mesi dopo, nell’autunno del 1947. Ma mai riusciranno a sapere chi armò la mano di quei briganti, comodi residui della storia, incarnazione di un fenomeno del passato, che ancora sopravviveva nella Sicilia dei compromessi e degli intrighi.
Ma chi era Salvatore Giuliano? Perché massacrò 11 innocenti? Chi trasformò una banda di predoni in un’armata irredentista e separatista? Chi decise di utilizzare politicamente un bandito per spegnere le tensioni sociali della Sicilia del dopoguerra? E quale patto segreto lo Stato strinse con la mafia che lo eliminò dalla scena?
Assemblea Costituente. Seduta del 15 luglio 1947
Intervento di Girolamo Li Causi
LI CAUSI. Onorevoli colleghi, non è la prima volta che ci occupiano della Sicilia e credo che non sarà nemmeno l'ultima…
UBERTI. Speriamo che sia l'ultima!
PRESIDENTE. Onorevole Uberti, la prego di non cominciare ad interrompere.
MANCINI. È intolleranza!
LI CAUSI. … ed è un bene; perché il processo dichiarificazione che è in corso, determinato appunto dall'azione delle masse, deve essere condotto fino in fondo, ed è necessario che tutto il paese segua, aiuti, intervenga in questo processo di chiarificazione nella nostra Isola. Se è vero che in Sicilia recentemente, fatto credo unico finora nella storia, è intervenuto in visita ufficiale l'ambasciatore degli Stati Uniti, che ha preso contatto col Governo regionale, ha concesso interviste, fatto delle dichiarazioni, esortato il popolo siciliano a guardarsi dal rinunciare alla libertà individuale; se è vero che l'Isola, ha una particolare importanza strategica, ci rendiamo conto come sia indispensabile che tutto il Paese, posto continuamente in sussulto da campagne di stampa sugli avvenimenti siciliani, in base a notizie deformate, esagerate o minimizzate secondo il punto di vista degli interessi, abbia la conoscenza esatta di quella situazione, chiarisca le responsabilità e soprattutto si renda conto di una situazione che nella sua sostanza è semplicissima, ma che è infinitamente complessa, complicata com'è per collusioni e legami intimi che sussistono, sulla base della struttura sociale della Sicilia, tra vita politica, mafia e banditismo.
Ecco perché, dicevo, non ci deve dispiacere se serenamente noi portiamo il problema della Sicilia dinnanzi all'Assemblea: gli ultimi avvenimenti dolorosissimi, i fatti di Pian della Ginestra e le aggressioni del 22 giugno, hanno commosso l'opinione pubblica mondiale; necessario è perciò che si sappia quali sono le origini di sì efferati delitti, di queste manifestazioni esplosive di un male che non può essere che profondo e non può essere addebitato alla malvagità del singolo, anche se questa malvagità concorre poi nella efferatezza del delitto. Ogni tanto l'opinione pubblica nazionale ed internazionale è turbata o commossa per una di queste esplosioni. Poi, come se tutto finisse, nessuno si preoccupa di andare alle radici del male. Certo, se noi cominciamo con l'affermare che i delitti che avvengono in Sicilia non differiscono da quelli del resto d'Italia, cioè affoghiamo in un unico grigiore di avvenimenti, rinunciamo a priori ad approfondire le origini del male. Ma certi esponenti politici, certa stampa si compiacciono di questo grigiore schermendosi con l'affetto verso la propria regione, con la carità di patria e simili luoghi comuni, cadendo in perfetta contraddizione con i giudizi di altri uomini responsabili, che per essere a capo delle forze di polizia, come chi comanda i carabinieri dell'Isola, esprimono giudizi ben altrimenti concreti e differenziati. Ho qui sotto'occhio un rapporto riservato del Comando della terza Divisione carabinieri del 9 ottobre… Voci dal centro. Ma è riservato!…
LI CAUSI. Sì, ma che c'è di male? Me ne servo lo stesso. E leggo: "Si legge spesso sulla stampa, e lo afferma specialmente quella separatista, che la situazione creata dalla delinquenza in Sicilia non è peggiore di quella esistente in Emilia o in qualche altra regione e si cita, ad esempio, anche il recente movimento dei partigiani, al cui confronto le ribellioni separatiste sarebbero pallida cosa. Tutto ciò non è vero, perché la situazione della pubblica sicurezza dell'Isola è realmente grave, come non lo è mai stata e come non lo è in nessuna regione del Continente, anche per l'abbondanza delle armi automatiche e da guerra di cui dispone ora la delinquenza e di cui usa ed abusa contro le vittime dei suoi disegni e contro la polizia. Basti citare che molti proprietari sono stati costretti a non recarsi più nelle campagne per tema di sequestro o di peggiori conseguenze; che in alcuni Comuni si registrano diecine e diecine di omicidi, qualche esecuzione di massa, numerose sparizioni di persone di cui non si ha più notizia; che i proprietari, oltre alle tasse dovute allo Stato, per salvaguardar le case, le piantagioni, le coltivazioni, pagano "il pizzo" per un cospicuo ammontare alla mafia locale o a qualche gruppo di delinquenti; che la tenebrosa associazione della mafia con minacce e violenze ha molto contribuito alla mancata riuscita dei granai del popolo".
Questo si dice in una relazione del Comando dei carabinieri, ricca di rilievi e considerazioni, dove è spiegato perché ancora non si riesce a far chiaro in questa folta ed intricata matassa e dove si smentisce in pieno la posizione che, a proposito dei recenti luttuosi avvenimenti siciliani, ha assunto il Goverlo col dire: "Mah! La delinquenza in Sicilia non differisce da quella delle altre regioni".
Il 26 giugno di quest'anno, alle porte di Alcamo, avvenne un conflitto fra una banda armata ed un gruppo di carabinieri comandati da un capitano. Ebbene, tutta la stampa, unanime, rileva che nei confronti del capobanda, badate bene, del capo-banda, certo Ferreri -- che per alcuni mesi da quanto risulta dai rapporti ufficiali dell'Ispettore di pubblica sicurezza della Sicilia -- è stato a capo delle bande dell'E.V.I.S., ed è qui descritto col nome di Salvatore d'Alcamo, cioè non è stato identificato, si elencano niente di meno che i seguenti delitti: "Era evaso da un penitenziario dell'Alta Italia e dal 1944 era stato il più influente luogotenente di Giuliano. Aveva preso parte alle aggressioni delle caserme dei carabinieri di Grisi, Bellolampo, Borgetto, Montelepre, Pioppo e Piano dell'Occhio. Aveva un odio particolare per i carabinieri ed aveva partecipato a numerosissimi conflitti, tra cui l'aggressione ad un autocarro, che incendiò e distrusse, ferendo il capitano dell'Arma Rocco Tinnirello. Aveva ucciso il carabiniere Vincenzo Meserendino; aveva tentato di uccidere l'ufficiale Mario Vistrianni, incendiando e distruggendo una camionetta di polizia; aveva ucciso i carabinieri Filippo Marino e Antonio Smeraldo nell'abitato di Montelepre; aveva aggredito, ancora in contrada San Cataldo di Terrasini, autocarri di soldati e carabinieri, uccidendo quattro soldati e ferendo due militi; aveva aggredito la camionetta dell'Ispettorato generale di pubblica sicurezza ferendo il vicebrigadiere Tuzzeo; era colpevole degli omicidi del carabiniere Giovanni Adarni, del carabiniere Sassano e del tentato omicidio dei carabinieri Vella e Gentile; era altresì colpevole dell'aggressione alla macchina del capitano dei carabinieri Pagano di Monreale; aveva organizzato una serie di conflitti con i militi di Montelepre, culminati con il ferimento di alcuni militari e l'uccisione del tenente Felice Testa; aveva pure organizzato l'omicidio del maresciallo dei carabinieri Filippo Scimone ed il tentato omicidio del brigadiere Arcadipane sullo stradale di Sancipirrello, nonché attacchi ad autocarri carichi di soldati e carabinieri con l'uccisione del caporal maggiore Lombardo e del soldato Cinquemani. "Il Ferreri era anche specialista in sequesti di persona, dei quali i più importanti sono quelli di: Virga, Apostolo, Di Lorenzo, Agnello, Ugdulena, Vanella, Collicchia, Arcuri, ecc., ecc. ".
Questa la serie di orrenti misfatti di cui si era reso colpevole il Ferreri. Ebbene, non appena la banda è sterminata e dei cinque componenti rimase vivo solo il Ferreri, la prima cosa che egli dice è: "Salvatemi la vita, perché sono il confidente dell'Ispettore di pubblica sicurezza dottor Messana". Avviene che nel momento in cui l'ufficiale dei carabinieri vuole accertare questo, il bandito gli afferra l'arma e tenta di strappargliela: l'altro si difende e lo fredda. Nella perquisizione presso il padre del Ferreri viene trovato un permesso di armi rilasciato da poco tempo dalla questura di Trapani. Le autorità si informano: com'è possibile che un affiliato alla banda Giuliano abbia un permesso d'armi regolare? Risulterebbe che c'è stato l'intervento dell'Ispettore di pubblica sicurezza per farglielo rilasciare. Che cosa ci conferma nella convinzione della esistenza di questo intervento? Ce lo indica un fatto molto grave. Malgrado ci sia stato il referto di tutto ciò che era stato trovato addosso ai cadaveri, l'Ispettore di pubblica sicurezza manda un suo dipendente a sottrarre il permesso d'armi, e se lo porta a Palermo. Una indagine più profonda potrebbe accertare che anche addosso al principale "Fra Diavolo", cioè a Ferreri (l'Ispettorato di pubblica sicurezza lo definiva addirittura un Giuliano e mezzo) sarebbe stato trovato un documento di identità a nome, niente di meno, di un milite dell'Arma dei carabinieri. C'è di più. Ad Alcamo ci sono testimoni i quali hanno visto, un'ora o due ore prima che il conflitto avvenisse, l'automobile dell'Ispettore di pubblica sicurezza Messana, che accompagnava un altro ufficiale dello stesso ispettorato di pubblica sicurezza, e appreso che il Messana avrebbe avuto un incontro con la banda Ferreri.
Tutto ciò, si sa, circola, è stato riportato dai giornali, e non solo dai giornali comunisti. I giornali comunisti hanno riportato queste voci soltanto dopo che altri giornali dell'Isola avevano pubblicato questi "si dice". Ora, voi certamente vi rendete conto che di fronte a questi fatti l'impressione dell'opinione pubblica siciliana è enorme, e la confusione anche, perché non si capisce più niente. Come è possibile che l'Ispettore di pubblica sicurezza abbia per suo confidente un bandito di questa specie? Noi tutti sappiamo che la polizia ha bisogno di confidenti. Ci sono confidenti e confidenti; ma come si spiega il caso in questione?
La mattina del 22 giugno (la sera, poi, si hanno le aggressioni alle sedi del Partito comunista di Monreale, ecc.) avvenne un colpo di scena sui giornali: si faceva conoscere che gli autori della strage di Pian della Ginestra non erano quelli che erano stati indiziati dal pastore X o dal pastore Y, ma il bandito Giuliano in persona; che l'Ispettore di pubblica sicurezza era in intimi contatti con il luogotenente di Giuliano. Quindi l'autore della strage di Pian della Ginestra sarebbe il bandito Giuliano. Poi, al Giuliano si fa fare un programma (tenete presente che Giuliano ha fatto appena la quinta elementare) che è stato pubblicato ed in cui egli appare come il difensore della moralità, della proprietà, e di tutto quello che c'è di santo nella vita della Sicilia, contro il bolscevismo. È la prima volta che Giuliano, nella sua carriera di bandito, prende apertamente posizione per difendere la Sicilia dal bolscevismo.
Ma c'è di più. Nella zona dove egli è nato e nella zona dove ha trovato maggiori consensi, nel senso che ha arruolato dei banditi durante il periodo più acuto della lotta sociale, cioè il periodo della lotta per l'assegnazione delle terre incolte, Giuliano non ha mai operato contro i proprietari a favore dei contadini o contro i contadini a favore dei proprietari, ma si è mantenuto neutrale. Improvvisamente Giuliano diventa l'esecutore materiale della strage di Pian delle Ginestre, tesi questa carissima all'Ispettore Messana, se è vero che, in mia presenza, il primo maggio alle ore 16, in Prefettura (quando per la prima volta trovammo riuniti il Prefetto, l'Ispettore Messana, il Comandante dei carabinieri, il Segretario generale dell'Alto Commissariato, l'Ispettore generale presso l'Alto Commissariato ed altri ufficiali) è il solo Messana ad avanzare l'ipotesi che a Pian delle Ginestre ci fosse la mano di Giuliano. Ed è lo stesso Messana, attraverso i suoi carabinieri che, quando i pastori di San Giuseppe Jato riconoscono alcuni, che hanno preso parte alla strage di Pian delle Ginestre - e che ancora sono dentro - manda un brigadiere a chiamare la madre di uno di costoro perché confessi che a suo figlio o a lei stessa sono stati dati dei soldi dai comunisti, e in tal modo venga incolpato il tale dei tali, che non c'entra affatto nella strage di Pian delle Ginestre.
C'è di più: in quei giorni, sia l'Ispettore di pubblica sicurezza, sia il Comando dei carabinieri, sia la Questura di Palermo rendono noto (anche attraverso circolare) che Giuliano sta preparando delle aggressioni contro le sedi e gli uomini dei partiti di sinistra. Si soggiunge poi a voce: "Badate che la nostra vita è in pericolo". Ci accorgiamo di trovarci di fronte a tutta un'azione, la quale vorrebbe localizzare l'esplosione e la responsabilità dei misfatti avvenuti in Sicilia, attorno a questo mito evanescente, a questo personaggio che si chiama Giuliano, per dire: "Tutto il resto non c'entra. Che c'entra la mafia? Tutti galantuomini! Che cosa c'entrano i partiti politici? È impensabile che ci possano essere degli uomini nei vari partiti politici che possano essere individuati come responsabili di sì orrendi misfatti". Si cerca di creare intorno a noi una psicosi di paura, aggiungendo che la polizia ci proteggerà, e che sarà fatta tutta un'azione in comune perché Giuliano sia preso. Ma, scusate, perché Giuliano finora non è stato preso?
In un rapporto del Comando dei carabinieri si dice, fra l'altro: "Giuliano ha preso contatto con l'aristocrazia e gli uomini politici, si è dato a dettar legge e a scrivere lettere minacciose, ecc.". Il rapporto continua: "È stato in questi ultimi tempi accertato - siamo alla fine del 1946 - che il bandito Giuliano, certamente a seguito dell'azione intensa svolta sulle montagne dalle squadriglie, si è trasferito con i suoi uomini a Palermo e nei comuni limitrofi, protetto da qualche elemento della mafia, appoggiato di certo da qualche famiglia molto in vista. Non si creda, pertanto, di poter catturare Giuliano con le armi in mano, anche per la vicinanza di quasi tutti gli altri banditi i quali, specie se giovani e arditi, ben provvisti di denaro -- Giuliano dai soli sequestri ha ricavato più di cento milioni -- sono stati notati alla spicciolata qui in Palermo".
Ebbene, queste cose sono state dette a quest'ultima operazione, con i duemila uomini, fra soldati e carabinieri, che sono stati mandati a Montelepre, conferma la giustezza del giudizio espresso dal generale dei carabinieri. Si vuol creare cioè tutta una coreografia allo scopo deliberato di stornare, come dicevo, l'attenzione del pubblico da quella che è la vera situazione e da quello che veramente ci vorrebbe per stroncare questa situazione, per recidere appunto i legami fra questo banditismo, fra una parte della mafia, e quelle famiglie in vista, quelle famiglie aristocratiche che fanno parte di quei partiti ben individuati nelle relazioni ufficiali.
Si ha, in altre parole, questa precisa situazione, che il banditismo politico in Sicilia è diretto proprio dall'ispettore Messana: e l'ispettore di pubblica sicurezza, il quale dovrebbe avere per compito quello di sconfiggere il banditismo -- il suo compito veramente sarebbe quello di socnfiggere il banditismo comune e non già quello politico -- l'Ispettore di pubblica sicurezza, dicevo, diventa invece addirittura il dirigente del banditismo politico.
Ma c'è di più: il Messana non avrebbe dovuto intervenire nella ricerca di esponenti politici indiziati e invece egli è andato sempre in cerca di questi elementi. Quando, nel settembre dello scorso anno, furono uccisi, a bombe a mano, alcuni contadini riuniti nella sede della cooperativa ad Alia per discutere sul problema della divisione delle terre, non si sa perché è intervenuto l'ispettorato di pubblica sicurezza, dopo che la Questura di Palermo aveva operato dei fermi di indiziati, e i fermati vengono rilasciati. Alla vigilia del 2 giugno avviene a Trabia un tipico delitto di mafia; la camionetta dove si suppone che siano i responsabili viene fermata a Misilmeri, alle porte di Palermo: ebbene, nonostante che su quella camionetta si trovassero armi, secondo una prima versione della polizia, i fermati vengono dopo un giorno rilasciati.
Questa impressione non è dunque cervellotica, ma ha un fondamento molto serio e l'onorevole ministro dell'interno lo sa perché sono stato io personalmente ad accompagnare da lui un altro collega che gli ha detto: "Ma come fai a fidarti di Messana, tu che dici di essere un repubblicano sincero? Messana, infatti, non solo ha svolto opera per il trionfo della monarchia prima del 2 giugno, ma ha continuato a complottare contro la Repubblica dopo il 2 giugno, designato come era Ministro degli interni di un restaurando Regno di Sicilia, se Umberto fosse sbarcato a Taormina o in non so quale altro punto della costa siciliana; e bada che io sono un testimone auricolare, uno che ha partecipato a queste trattative, respingendole".
Ma è possibile che il Ministro Scelba si possa fidare di un uomo di cui si presume che conosca anche il passato? Lasciamo stare che Messana è nell'elenco dei criminali di guerra di una nazione vicina; questo può far piacere ad una parte della Camera, la quale pensa: "Va bene, è un massacratore; però, di stranieri!", ma Scelba come può ignorare che Messana ha iniziato la sua carriera facendo massacrare dei contadini siciliani? Il 9 ottobre del 1919, infatti, cadevano a Riesi più di sessanta contadini, di cui tredici morti: trucidati a freddo, sulla piazza, dove si svolgeva un comizio. I vecchi di quest'Aula ricorderanno come in quell'occasione il Ministero Nitti ordinò un'inchiesta mandando sul posto il generale dei carabinieri Densa, mentre la Magistratura iniziò un'inchiesta giudiziaria soprattutto per accertare le cause della morte misteriosa di un tenente di fanteria, che si rifiutò di eseguire l'ordine di far fuoco del Messana, che ne disapprovò apertamente la condotta, e che il giorno dopo fu assassinato.
Questi i precedenti del commendator Messana, noti al ministro dell'Interno. Ci troviamo, come vedete, di fronte ad un uomo che per istinto è contro il popolo, e trova, nei legami con i nemici del popolo, il modo di esercitare la professione di massacratore di contadini. Oggi, sfacciatamente, questo non può farlo, per quanto nel clima creatosi in Sicilia è possibile -- in Sicilia, terra dei "Vespri" -- che i poliziotti di Scelba, ministro siciliano, aggrediscano un pacifico corteo di donne che dimostrano contro il carovita.
Oggi è possibile in Sicilia questo, perché agli interni c'è un ministro siciliano, così come nel 1894 a soffocare nel sangue il movimento dei fasci dei lavoratori fu un altro ministro siciliano, Francesco Crispi. Si è tentato, come nei primi decenni del secolo, di stroncare il movimento contadino, assassinando capilega e segretari di Camere del lavoro; a quest'azione di intimidazione il popolo siciliano risponde con la superba affermazione democratica del 20 aprile; allora l'agraria, la mafia ricorre al terrore di massa e si hanno Pian della Ginestra e le stragi del 22 giugno. Ma l'Ispettore Messana, che ha il compito di proteggere agrari e mafiosi, che è uomo che obbedisce a pressioni di parte, ordisce intrighi politici, suggerisce a Scelba la parola d'ordine che il Ministro fa subito sua: le stragi siciliane sono opera di banditi comuni, e Messana diviene il perno di una situazione infernale: Messana si allea ai banditi di strada. Il popolo siciliano, il popolo italiano tutto, hanno diritto di chiedersi come sia possibile il perdurare di un tale stato di cose.
All'annunzio dell'orrendo crimine di Pian della Ginestra, subito, d'impulso le più alte autorità preposte all'ordine pubblico in Sicilia hanno detto: "Questo è un tipico delitto di mafia; bisogna iniziare un'azione a fondo contro questi assassini"; ma è intervenuto il Ministro Scelba prima alla Costituente, poi in Sicilia; ma credete che sia andato laggiù per disporre l'azione di ricerca e pronta punizione dei veri responsabili? No; è andato solamente per salvare la mafia, per dire: "Niente; questo è banditismo comune; basta con gli arresti di mafiosi e mandanti indiziati". E degli ufficiali dei carabinieri sono venuti da me, piangendo, a dirmi: "Vedete, questi sono i telegrammi di contr'ordine che sospendono le operazioni di polizia che avevamo iniziato".
Ora, il diritto di sospettare che una collusione esista fra banditismo, certi partiti politici e, fino a prova contraria, governo è legittimo e allarma la popolazione siciliana, allarma e commuove giustamente tutto il Paese; è quindi assolutamente necessario uscire da questa situazione e oggi esistono condizioni favorevoli per farlo; c'è il movimento delle masse lavoratrici in Sicilia capace di aiutare questo processo di risanamento nel campo sociale; ci sono i partiti democratici che debbono costringere tutte le forze politiche della Sicilia ad assumere la propria responsabilità, a liberarsi dai legami con la mafia, con questa cancrena, con questo banditismo politico-sociale che continua a vivere di ricatti, di prepotenze, di estorsioni, di omicidi. Oggi esistono queste condizioni: sfruttiamole, poggiamo sul movimento delle masse, poggiamo sui partiti veramente democratici, e su questa azione inseriamo l'azione di polizia che sarebbe confortata da tutta quanta l'opinione pubblica.
L'eccidio di Portella non è il primo nella Sicilia dell'immediato dopoguerra, ma appare diverso da ogni altro: per l'elevato numero di morti e feriti, la singolarità del bersaglio, le curiose rispondenze con la politica che sta prevalendo nel governo del paese. Quanto basta, in definitiva, per legittimare il sospetto che dietro quel delitto si celino organi di Stato.
In effetti, dopo un breve indugio sui possibili esecutori e i mandanti dell'eccidio, in alcuni organi di stampa si punta dritto alla politica, corroborati da un certo sentire comune, che via via si rende manifesto, a partire dall'isola. Alberto Jacoviello è sicuro nel titolare un reportage da Montelepre per il "Nuovo Corriere" di Firenze, Giuliano sa tutto e per questo verrà ucciso, riassumendo le proprie convinzioni in questo passaggio: "Giuliano conosce esecutori e mandanti. E qui il gioco diventa grosso. Giuliano comincia a sapere troppe cose. Se lo prendono, parla. Messana, l'ispettore di polizia, non lo prenderà. Oppure lo prenderà in certe condizioni. Morto e con i suoi documenti distrutti, se ne ha".
Il subbuglio suscitato da Portella è comunque discreto e, per certi versi, interiore. Manca quella subitanea e gridata marea di sdegno che è seguita al delitto Matteotti nel 1924, e che ha messo alle strette, sia pure per un solo attimo, lo stesso governo Mussolini. Nondimeno, il risentimento partito da quel pianoro siciliano è destinato a durare, per il succedersi puntuale d'altri delitti, e i riflessi che ne verranno negli ambiti della comunicazione e del costume politico. E fra coloro che, già a caldo degli eventi, si fanno portavoce di quello sdegno spicca il comunista Girolamo Li Causi, uomo di carattere, recante alle spalle oltre quindici anni di carcere fascista.
Il discorso che il dirigente della sinistra pronuncia, in un clima di tumulti, alla Costituente nella seduta del 2 maggio 1947, giorno successivo a Portella, costituisce un po' il lancio ufficiale della sfida. Bersaglio del dirigente comunista non sono soltanto gli ambienti monarchici e mafiosi dell'isola, che in quei primi frangenti indica quali diretti responsabili del massacro, bensì anche "alti funzionari addetti alla polizia", alludendo anzitutto all'ispettore di PS Ettore Messana. Li Causi censura inoltre lo stesso ministro dell'Interno, che s'è affrettato a negare, con equivoca certezza, ogni politicità all'eccidio.
Tale esordio risente, ovviamente, della concitazione di quei giorni; nondimeno è indicativo d'un percorso plausibile, che viene meglio esplicitato in occasioni successive. Alla seduta della Costituente del 15 luglio, infatti, comunisti e socialisti già espulsi dal governo, il leader siciliano si esprime con veemenza su possibili correità governative, mentre definisce gli equivoci di Messana, del resto tristemente noto nell'isola perché responsabile della strage di Riesi nel 1919, con trecidi contadini uccisi, massacratore in Grecia negli anni della guerra, implicato infine nella strana morte di un carabiniere.
In quella seduta, Girolamo Li Causi si assume il compito di illustrare l'interpellanza presentata assieme con Giuseppe Montalbano, Riccardo Lombardi, Virgilio Nasi, Umberto Fiore e Luigi Sansone al presidente del Consiglio e dai ministri dell'Interno e di Grazia e Giustizia sulla gravità della situazione in Sicilia.
Sicilia 1 maggio 1947
La strage di Portella delle Ginestre
La vecchia credeva che fossero mortaretti e cominciò a battere le mani festosa. Rideva. Per una frazione di secondo continuò a ridere, allegra, dentro di sé, ma il suo sorriso si era già rattrappito in un ghigno di terrore. Un mulo cadde con il ventre all'aria. A una bambina, all’improvviso, la piccola mascella si arrossò di sangue. La polvere si levava a spruzzi come se il vento avesse preso a danzare. C'era gente che cadeva, in silenzio, e non si alzava più. Altri scappavano urlando, come impazziti. E scappavano, in preda al terrore, i cavalli, travolgendo uomini, donne, bambini. Poi si udì qualcosa che fischiava contro i massi. Qualcosa che strideva e fischiava. E ancora quel rumore di mortaretti. Un bambino cadde colpito alla spalla. Una donna, con il petto squarciato, era finita esanime sulla carcassa della sua cavalla sventrata. Il corpo di un uomo, dalla testa maciullata cadde al suolo con il rumore di un sacco pieno di stracci. E poi quell'odore di polvere da sparo.
La carneficina durò in tutto un paio di minuti. Alla fine la mitragliatrice tacque e un silenzio carico di paura piombò sulla piccola vallata. In lontananza il fiume Jato riprese a far udire il suo suono liquido e leggero. E le due alture gialle di ginestre, la Pizzuta e la Cumeta, apparvero tra la polvere come angeli custodi silenti e smarriti.
Era il l° maggio 1947 e a Portella della Ginestra si era appena compiuta la prima strage dell'Italia repubblicana
La carneficina durò un paio di minuti. Alla fine la mitragliatrice tacque e un silenzio carico di paura piombò sulla piccola vallata. Era il 1° maggio 1947 e a Portella della Ginestra si era appena compiuta la prima strage dell’Italia repubblicana: 11 morti, due bambini e nove adulti. 27 i feriti. Tutti poveri contadini siciliani. Che a sparare dalle alture, sulla folla radunata a celebrare la festa del lavoro, erano stati gli uomini del bandito Salvatore Giuliano, gli italiani lo scopriranno solo quattro mesi dopo, nell’autunno del 1947. Ma mai riusciranno a sapere chi armò la mano di quei briganti, comodi residui della storia, incarnazione di un fenomeno del passato, che ancora sopravviveva nella Sicilia dei compromessi e degli intrighi.
Ma chi era Salvatore Giuliano? Perché massacrò 11 innocenti? Chi trasformò una banda di predoni in un’armata irredentista e separatista? Chi decise di utilizzare politicamente un bandito per spegnere le tensioni sociali della Sicilia del dopoguerra? E quale patto segreto lo Stato strinse con la mafia che lo eliminò dalla scena?
Assemblea Costituente. Seduta del 15 luglio 1947
Intervento di Girolamo Li Causi
LI CAUSI. Onorevoli colleghi, non è la prima volta che ci occupiano della Sicilia e credo che non sarà nemmeno l'ultima…
UBERTI. Speriamo che sia l'ultima!
PRESIDENTE. Onorevole Uberti, la prego di non cominciare ad interrompere.
MANCINI. È intolleranza!
LI CAUSI. … ed è un bene; perché il processo dichiarificazione che è in corso, determinato appunto dall'azione delle masse, deve essere condotto fino in fondo, ed è necessario che tutto il paese segua, aiuti, intervenga in questo processo di chiarificazione nella nostra Isola. Se è vero che in Sicilia recentemente, fatto credo unico finora nella storia, è intervenuto in visita ufficiale l'ambasciatore degli Stati Uniti, che ha preso contatto col Governo regionale, ha concesso interviste, fatto delle dichiarazioni, esortato il popolo siciliano a guardarsi dal rinunciare alla libertà individuale; se è vero che l'Isola, ha una particolare importanza strategica, ci rendiamo conto come sia indispensabile che tutto il Paese, posto continuamente in sussulto da campagne di stampa sugli avvenimenti siciliani, in base a notizie deformate, esagerate o minimizzate secondo il punto di vista degli interessi, abbia la conoscenza esatta di quella situazione, chiarisca le responsabilità e soprattutto si renda conto di una situazione che nella sua sostanza è semplicissima, ma che è infinitamente complessa, complicata com'è per collusioni e legami intimi che sussistono, sulla base della struttura sociale della Sicilia, tra vita politica, mafia e banditismo.
Ecco perché, dicevo, non ci deve dispiacere se serenamente noi portiamo il problema della Sicilia dinnanzi all'Assemblea: gli ultimi avvenimenti dolorosissimi, i fatti di Pian della Ginestra e le aggressioni del 22 giugno, hanno commosso l'opinione pubblica mondiale; necessario è perciò che si sappia quali sono le origini di sì efferati delitti, di queste manifestazioni esplosive di un male che non può essere che profondo e non può essere addebitato alla malvagità del singolo, anche se questa malvagità concorre poi nella efferatezza del delitto. Ogni tanto l'opinione pubblica nazionale ed internazionale è turbata o commossa per una di queste esplosioni. Poi, come se tutto finisse, nessuno si preoccupa di andare alle radici del male. Certo, se noi cominciamo con l'affermare che i delitti che avvengono in Sicilia non differiscono da quelli del resto d'Italia, cioè affoghiamo in un unico grigiore di avvenimenti, rinunciamo a priori ad approfondire le origini del male. Ma certi esponenti politici, certa stampa si compiacciono di questo grigiore schermendosi con l'affetto verso la propria regione, con la carità di patria e simili luoghi comuni, cadendo in perfetta contraddizione con i giudizi di altri uomini responsabili, che per essere a capo delle forze di polizia, come chi comanda i carabinieri dell'Isola, esprimono giudizi ben altrimenti concreti e differenziati. Ho qui sotto'occhio un rapporto riservato del Comando della terza Divisione carabinieri del 9 ottobre… Voci dal centro. Ma è riservato!…
LI CAUSI. Sì, ma che c'è di male? Me ne servo lo stesso. E leggo: "Si legge spesso sulla stampa, e lo afferma specialmente quella separatista, che la situazione creata dalla delinquenza in Sicilia non è peggiore di quella esistente in Emilia o in qualche altra regione e si cita, ad esempio, anche il recente movimento dei partigiani, al cui confronto le ribellioni separatiste sarebbero pallida cosa. Tutto ciò non è vero, perché la situazione della pubblica sicurezza dell'Isola è realmente grave, come non lo è mai stata e come non lo è in nessuna regione del Continente, anche per l'abbondanza delle armi automatiche e da guerra di cui dispone ora la delinquenza e di cui usa ed abusa contro le vittime dei suoi disegni e contro la polizia. Basti citare che molti proprietari sono stati costretti a non recarsi più nelle campagne per tema di sequestro o di peggiori conseguenze; che in alcuni Comuni si registrano diecine e diecine di omicidi, qualche esecuzione di massa, numerose sparizioni di persone di cui non si ha più notizia; che i proprietari, oltre alle tasse dovute allo Stato, per salvaguardar le case, le piantagioni, le coltivazioni, pagano "il pizzo" per un cospicuo ammontare alla mafia locale o a qualche gruppo di delinquenti; che la tenebrosa associazione della mafia con minacce e violenze ha molto contribuito alla mancata riuscita dei granai del popolo".
Questo si dice in una relazione del Comando dei carabinieri, ricca di rilievi e considerazioni, dove è spiegato perché ancora non si riesce a far chiaro in questa folta ed intricata matassa e dove si smentisce in pieno la posizione che, a proposito dei recenti luttuosi avvenimenti siciliani, ha assunto il Goverlo col dire: "Mah! La delinquenza in Sicilia non differisce da quella delle altre regioni".
Il 26 giugno di quest'anno, alle porte di Alcamo, avvenne un conflitto fra una banda armata ed un gruppo di carabinieri comandati da un capitano. Ebbene, tutta la stampa, unanime, rileva che nei confronti del capobanda, badate bene, del capo-banda, certo Ferreri -- che per alcuni mesi da quanto risulta dai rapporti ufficiali dell'Ispettore di pubblica sicurezza della Sicilia -- è stato a capo delle bande dell'E.V.I.S., ed è qui descritto col nome di Salvatore d'Alcamo, cioè non è stato identificato, si elencano niente di meno che i seguenti delitti: "Era evaso da un penitenziario dell'Alta Italia e dal 1944 era stato il più influente luogotenente di Giuliano. Aveva preso parte alle aggressioni delle caserme dei carabinieri di Grisi, Bellolampo, Borgetto, Montelepre, Pioppo e Piano dell'Occhio. Aveva un odio particolare per i carabinieri ed aveva partecipato a numerosissimi conflitti, tra cui l'aggressione ad un autocarro, che incendiò e distrusse, ferendo il capitano dell'Arma Rocco Tinnirello. Aveva ucciso il carabiniere Vincenzo Meserendino; aveva tentato di uccidere l'ufficiale Mario Vistrianni, incendiando e distruggendo una camionetta di polizia; aveva ucciso i carabinieri Filippo Marino e Antonio Smeraldo nell'abitato di Montelepre; aveva aggredito, ancora in contrada San Cataldo di Terrasini, autocarri di soldati e carabinieri, uccidendo quattro soldati e ferendo due militi; aveva aggredito la camionetta dell'Ispettorato generale di pubblica sicurezza ferendo il vicebrigadiere Tuzzeo; era colpevole degli omicidi del carabiniere Giovanni Adarni, del carabiniere Sassano e del tentato omicidio dei carabinieri Vella e Gentile; era altresì colpevole dell'aggressione alla macchina del capitano dei carabinieri Pagano di Monreale; aveva organizzato una serie di conflitti con i militi di Montelepre, culminati con il ferimento di alcuni militari e l'uccisione del tenente Felice Testa; aveva pure organizzato l'omicidio del maresciallo dei carabinieri Filippo Scimone ed il tentato omicidio del brigadiere Arcadipane sullo stradale di Sancipirrello, nonché attacchi ad autocarri carichi di soldati e carabinieri con l'uccisione del caporal maggiore Lombardo e del soldato Cinquemani. "Il Ferreri era anche specialista in sequesti di persona, dei quali i più importanti sono quelli di: Virga, Apostolo, Di Lorenzo, Agnello, Ugdulena, Vanella, Collicchia, Arcuri, ecc., ecc. ".
Questa la serie di orrenti misfatti di cui si era reso colpevole il Ferreri. Ebbene, non appena la banda è sterminata e dei cinque componenti rimase vivo solo il Ferreri, la prima cosa che egli dice è: "Salvatemi la vita, perché sono il confidente dell'Ispettore di pubblica sicurezza dottor Messana". Avviene che nel momento in cui l'ufficiale dei carabinieri vuole accertare questo, il bandito gli afferra l'arma e tenta di strappargliela: l'altro si difende e lo fredda. Nella perquisizione presso il padre del Ferreri viene trovato un permesso di armi rilasciato da poco tempo dalla questura di Trapani. Le autorità si informano: com'è possibile che un affiliato alla banda Giuliano abbia un permesso d'armi regolare? Risulterebbe che c'è stato l'intervento dell'Ispettore di pubblica sicurezza per farglielo rilasciare. Che cosa ci conferma nella convinzione della esistenza di questo intervento? Ce lo indica un fatto molto grave. Malgrado ci sia stato il referto di tutto ciò che era stato trovato addosso ai cadaveri, l'Ispettore di pubblica sicurezza manda un suo dipendente a sottrarre il permesso d'armi, e se lo porta a Palermo. Una indagine più profonda potrebbe accertare che anche addosso al principale "Fra Diavolo", cioè a Ferreri (l'Ispettorato di pubblica sicurezza lo definiva addirittura un Giuliano e mezzo) sarebbe stato trovato un documento di identità a nome, niente di meno, di un milite dell'Arma dei carabinieri. C'è di più. Ad Alcamo ci sono testimoni i quali hanno visto, un'ora o due ore prima che il conflitto avvenisse, l'automobile dell'Ispettore di pubblica sicurezza Messana, che accompagnava un altro ufficiale dello stesso ispettorato di pubblica sicurezza, e appreso che il Messana avrebbe avuto un incontro con la banda Ferreri.
Tutto ciò, si sa, circola, è stato riportato dai giornali, e non solo dai giornali comunisti. I giornali comunisti hanno riportato queste voci soltanto dopo che altri giornali dell'Isola avevano pubblicato questi "si dice". Ora, voi certamente vi rendete conto che di fronte a questi fatti l'impressione dell'opinione pubblica siciliana è enorme, e la confusione anche, perché non si capisce più niente. Come è possibile che l'Ispettore di pubblica sicurezza abbia per suo confidente un bandito di questa specie? Noi tutti sappiamo che la polizia ha bisogno di confidenti. Ci sono confidenti e confidenti; ma come si spiega il caso in questione?
La mattina del 22 giugno (la sera, poi, si hanno le aggressioni alle sedi del Partito comunista di Monreale, ecc.) avvenne un colpo di scena sui giornali: si faceva conoscere che gli autori della strage di Pian della Ginestra non erano quelli che erano stati indiziati dal pastore X o dal pastore Y, ma il bandito Giuliano in persona; che l'Ispettore di pubblica sicurezza era in intimi contatti con il luogotenente di Giuliano. Quindi l'autore della strage di Pian della Ginestra sarebbe il bandito Giuliano. Poi, al Giuliano si fa fare un programma (tenete presente che Giuliano ha fatto appena la quinta elementare) che è stato pubblicato ed in cui egli appare come il difensore della moralità, della proprietà, e di tutto quello che c'è di santo nella vita della Sicilia, contro il bolscevismo. È la prima volta che Giuliano, nella sua carriera di bandito, prende apertamente posizione per difendere la Sicilia dal bolscevismo.
Ma c'è di più. Nella zona dove egli è nato e nella zona dove ha trovato maggiori consensi, nel senso che ha arruolato dei banditi durante il periodo più acuto della lotta sociale, cioè il periodo della lotta per l'assegnazione delle terre incolte, Giuliano non ha mai operato contro i proprietari a favore dei contadini o contro i contadini a favore dei proprietari, ma si è mantenuto neutrale. Improvvisamente Giuliano diventa l'esecutore materiale della strage di Pian delle Ginestre, tesi questa carissima all'Ispettore Messana, se è vero che, in mia presenza, il primo maggio alle ore 16, in Prefettura (quando per la prima volta trovammo riuniti il Prefetto, l'Ispettore Messana, il Comandante dei carabinieri, il Segretario generale dell'Alto Commissariato, l'Ispettore generale presso l'Alto Commissariato ed altri ufficiali) è il solo Messana ad avanzare l'ipotesi che a Pian delle Ginestre ci fosse la mano di Giuliano. Ed è lo stesso Messana, attraverso i suoi carabinieri che, quando i pastori di San Giuseppe Jato riconoscono alcuni, che hanno preso parte alla strage di Pian delle Ginestre - e che ancora sono dentro - manda un brigadiere a chiamare la madre di uno di costoro perché confessi che a suo figlio o a lei stessa sono stati dati dei soldi dai comunisti, e in tal modo venga incolpato il tale dei tali, che non c'entra affatto nella strage di Pian delle Ginestre.
C'è di più: in quei giorni, sia l'Ispettore di pubblica sicurezza, sia il Comando dei carabinieri, sia la Questura di Palermo rendono noto (anche attraverso circolare) che Giuliano sta preparando delle aggressioni contro le sedi e gli uomini dei partiti di sinistra. Si soggiunge poi a voce: "Badate che la nostra vita è in pericolo". Ci accorgiamo di trovarci di fronte a tutta un'azione, la quale vorrebbe localizzare l'esplosione e la responsabilità dei misfatti avvenuti in Sicilia, attorno a questo mito evanescente, a questo personaggio che si chiama Giuliano, per dire: "Tutto il resto non c'entra. Che c'entra la mafia? Tutti galantuomini! Che cosa c'entrano i partiti politici? È impensabile che ci possano essere degli uomini nei vari partiti politici che possano essere individuati come responsabili di sì orrendi misfatti". Si cerca di creare intorno a noi una psicosi di paura, aggiungendo che la polizia ci proteggerà, e che sarà fatta tutta un'azione in comune perché Giuliano sia preso. Ma, scusate, perché Giuliano finora non è stato preso?
In un rapporto del Comando dei carabinieri si dice, fra l'altro: "Giuliano ha preso contatto con l'aristocrazia e gli uomini politici, si è dato a dettar legge e a scrivere lettere minacciose, ecc.". Il rapporto continua: "È stato in questi ultimi tempi accertato - siamo alla fine del 1946 - che il bandito Giuliano, certamente a seguito dell'azione intensa svolta sulle montagne dalle squadriglie, si è trasferito con i suoi uomini a Palermo e nei comuni limitrofi, protetto da qualche elemento della mafia, appoggiato di certo da qualche famiglia molto in vista. Non si creda, pertanto, di poter catturare Giuliano con le armi in mano, anche per la vicinanza di quasi tutti gli altri banditi i quali, specie se giovani e arditi, ben provvisti di denaro -- Giuliano dai soli sequestri ha ricavato più di cento milioni -- sono stati notati alla spicciolata qui in Palermo".
Ebbene, queste cose sono state dette a quest'ultima operazione, con i duemila uomini, fra soldati e carabinieri, che sono stati mandati a Montelepre, conferma la giustezza del giudizio espresso dal generale dei carabinieri. Si vuol creare cioè tutta una coreografia allo scopo deliberato di stornare, come dicevo, l'attenzione del pubblico da quella che è la vera situazione e da quello che veramente ci vorrebbe per stroncare questa situazione, per recidere appunto i legami fra questo banditismo, fra una parte della mafia, e quelle famiglie in vista, quelle famiglie aristocratiche che fanno parte di quei partiti ben individuati nelle relazioni ufficiali.
Si ha, in altre parole, questa precisa situazione, che il banditismo politico in Sicilia è diretto proprio dall'ispettore Messana: e l'ispettore di pubblica sicurezza, il quale dovrebbe avere per compito quello di sconfiggere il banditismo -- il suo compito veramente sarebbe quello di socnfiggere il banditismo comune e non già quello politico -- l'Ispettore di pubblica sicurezza, dicevo, diventa invece addirittura il dirigente del banditismo politico.
Ma c'è di più: il Messana non avrebbe dovuto intervenire nella ricerca di esponenti politici indiziati e invece egli è andato sempre in cerca di questi elementi. Quando, nel settembre dello scorso anno, furono uccisi, a bombe a mano, alcuni contadini riuniti nella sede della cooperativa ad Alia per discutere sul problema della divisione delle terre, non si sa perché è intervenuto l'ispettorato di pubblica sicurezza, dopo che la Questura di Palermo aveva operato dei fermi di indiziati, e i fermati vengono rilasciati. Alla vigilia del 2 giugno avviene a Trabia un tipico delitto di mafia; la camionetta dove si suppone che siano i responsabili viene fermata a Misilmeri, alle porte di Palermo: ebbene, nonostante che su quella camionetta si trovassero armi, secondo una prima versione della polizia, i fermati vengono dopo un giorno rilasciati.
Questa impressione non è dunque cervellotica, ma ha un fondamento molto serio e l'onorevole ministro dell'interno lo sa perché sono stato io personalmente ad accompagnare da lui un altro collega che gli ha detto: "Ma come fai a fidarti di Messana, tu che dici di essere un repubblicano sincero? Messana, infatti, non solo ha svolto opera per il trionfo della monarchia prima del 2 giugno, ma ha continuato a complottare contro la Repubblica dopo il 2 giugno, designato come era Ministro degli interni di un restaurando Regno di Sicilia, se Umberto fosse sbarcato a Taormina o in non so quale altro punto della costa siciliana; e bada che io sono un testimone auricolare, uno che ha partecipato a queste trattative, respingendole".
Ma è possibile che il Ministro Scelba si possa fidare di un uomo di cui si presume che conosca anche il passato? Lasciamo stare che Messana è nell'elenco dei criminali di guerra di una nazione vicina; questo può far piacere ad una parte della Camera, la quale pensa: "Va bene, è un massacratore; però, di stranieri!", ma Scelba come può ignorare che Messana ha iniziato la sua carriera facendo massacrare dei contadini siciliani? Il 9 ottobre del 1919, infatti, cadevano a Riesi più di sessanta contadini, di cui tredici morti: trucidati a freddo, sulla piazza, dove si svolgeva un comizio. I vecchi di quest'Aula ricorderanno come in quell'occasione il Ministero Nitti ordinò un'inchiesta mandando sul posto il generale dei carabinieri Densa, mentre la Magistratura iniziò un'inchiesta giudiziaria soprattutto per accertare le cause della morte misteriosa di un tenente di fanteria, che si rifiutò di eseguire l'ordine di far fuoco del Messana, che ne disapprovò apertamente la condotta, e che il giorno dopo fu assassinato.
Questi i precedenti del commendator Messana, noti al ministro dell'Interno. Ci troviamo, come vedete, di fronte ad un uomo che per istinto è contro il popolo, e trova, nei legami con i nemici del popolo, il modo di esercitare la professione di massacratore di contadini. Oggi, sfacciatamente, questo non può farlo, per quanto nel clima creatosi in Sicilia è possibile -- in Sicilia, terra dei "Vespri" -- che i poliziotti di Scelba, ministro siciliano, aggrediscano un pacifico corteo di donne che dimostrano contro il carovita.
Oggi è possibile in Sicilia questo, perché agli interni c'è un ministro siciliano, così come nel 1894 a soffocare nel sangue il movimento dei fasci dei lavoratori fu un altro ministro siciliano, Francesco Crispi. Si è tentato, come nei primi decenni del secolo, di stroncare il movimento contadino, assassinando capilega e segretari di Camere del lavoro; a quest'azione di intimidazione il popolo siciliano risponde con la superba affermazione democratica del 20 aprile; allora l'agraria, la mafia ricorre al terrore di massa e si hanno Pian della Ginestra e le stragi del 22 giugno. Ma l'Ispettore Messana, che ha il compito di proteggere agrari e mafiosi, che è uomo che obbedisce a pressioni di parte, ordisce intrighi politici, suggerisce a Scelba la parola d'ordine che il Ministro fa subito sua: le stragi siciliane sono opera di banditi comuni, e Messana diviene il perno di una situazione infernale: Messana si allea ai banditi di strada. Il popolo siciliano, il popolo italiano tutto, hanno diritto di chiedersi come sia possibile il perdurare di un tale stato di cose.
All'annunzio dell'orrendo crimine di Pian della Ginestra, subito, d'impulso le più alte autorità preposte all'ordine pubblico in Sicilia hanno detto: "Questo è un tipico delitto di mafia; bisogna iniziare un'azione a fondo contro questi assassini"; ma è intervenuto il Ministro Scelba prima alla Costituente, poi in Sicilia; ma credete che sia andato laggiù per disporre l'azione di ricerca e pronta punizione dei veri responsabili? No; è andato solamente per salvare la mafia, per dire: "Niente; questo è banditismo comune; basta con gli arresti di mafiosi e mandanti indiziati". E degli ufficiali dei carabinieri sono venuti da me, piangendo, a dirmi: "Vedete, questi sono i telegrammi di contr'ordine che sospendono le operazioni di polizia che avevamo iniziato".
Ora, il diritto di sospettare che una collusione esista fra banditismo, certi partiti politici e, fino a prova contraria, governo è legittimo e allarma la popolazione siciliana, allarma e commuove giustamente tutto il Paese; è quindi assolutamente necessario uscire da questa situazione e oggi esistono condizioni favorevoli per farlo; c'è il movimento delle masse lavoratrici in Sicilia capace di aiutare questo processo di risanamento nel campo sociale; ci sono i partiti democratici che debbono costringere tutte le forze politiche della Sicilia ad assumere la propria responsabilità, a liberarsi dai legami con la mafia, con questa cancrena, con questo banditismo politico-sociale che continua a vivere di ricatti, di prepotenze, di estorsioni, di omicidi. Oggi esistono queste condizioni: sfruttiamole, poggiamo sul movimento delle masse, poggiamo sui partiti veramente democratici, e su questa azione inseriamo l'azione di polizia che sarebbe confortata da tutta quanta l'opinione pubblica.
L'eccidio di Portella non è il primo nella Sicilia dell'immediato dopoguerra, ma appare diverso da ogni altro: per l'elevato numero di morti e feriti, la singolarità del bersaglio, le curiose rispondenze con la politica che sta prevalendo nel governo del paese. Quanto basta, in definitiva, per legittimare il sospetto che dietro quel delitto si celino organi di Stato.
In effetti, dopo un breve indugio sui possibili esecutori e i mandanti dell'eccidio, in alcuni organi di stampa si punta dritto alla politica, corroborati da un certo sentire comune, che via via si rende manifesto, a partire dall'isola. Alberto Jacoviello è sicuro nel titolare un reportage da Montelepre per il "Nuovo Corriere" di Firenze, Giuliano sa tutto e per questo verrà ucciso, riassumendo le proprie convinzioni in questo passaggio: "Giuliano conosce esecutori e mandanti. E qui il gioco diventa grosso. Giuliano comincia a sapere troppe cose. Se lo prendono, parla. Messana, l'ispettore di polizia, non lo prenderà. Oppure lo prenderà in certe condizioni. Morto e con i suoi documenti distrutti, se ne ha".
Il subbuglio suscitato da Portella è comunque discreto e, per certi versi, interiore. Manca quella subitanea e gridata marea di sdegno che è seguita al delitto Matteotti nel 1924, e che ha messo alle strette, sia pure per un solo attimo, lo stesso governo Mussolini. Nondimeno, il risentimento partito da quel pianoro siciliano è destinato a durare, per il succedersi puntuale d'altri delitti, e i riflessi che ne verranno negli ambiti della comunicazione e del costume politico. E fra coloro che, già a caldo degli eventi, si fanno portavoce di quello sdegno spicca il comunista Girolamo Li Causi, uomo di carattere, recante alle spalle oltre quindici anni di carcere fascista.
Il discorso che il dirigente della sinistra pronuncia, in un clima di tumulti, alla Costituente nella seduta del 2 maggio 1947, giorno successivo a Portella, costituisce un po' il lancio ufficiale della sfida. Bersaglio del dirigente comunista non sono soltanto gli ambienti monarchici e mafiosi dell'isola, che in quei primi frangenti indica quali diretti responsabili del massacro, bensì anche "alti funzionari addetti alla polizia", alludendo anzitutto all'ispettore di PS Ettore Messana. Li Causi censura inoltre lo stesso ministro dell'Interno, che s'è affrettato a negare, con equivoca certezza, ogni politicità all'eccidio.
Tale esordio risente, ovviamente, della concitazione di quei giorni; nondimeno è indicativo d'un percorso plausibile, che viene meglio esplicitato in occasioni successive. Alla seduta della Costituente del 15 luglio, infatti, comunisti e socialisti già espulsi dal governo, il leader siciliano si esprime con veemenza su possibili correità governative, mentre definisce gli equivoci di Messana, del resto tristemente noto nell'isola perché responsabile della strage di Riesi nel 1919, con trecidi contadini uccisi, massacratore in Grecia negli anni della guerra, implicato infine nella strana morte di un carabiniere.
In quella seduta, Girolamo Li Causi si assume il compito di illustrare l'interpellanza presentata assieme con Giuseppe Montalbano, Riccardo Lombardi, Virgilio Nasi, Umberto Fiore e Luigi Sansone al presidente del Consiglio e dai ministri dell'Interno e di Grazia e Giustizia sulla gravità della situazione in Sicilia.
Sì, è vero: ho cercato invano l'UVA della progettualità composta e responsabile, della giustizia non vindice, della responsabilità tributaria, della giusta mercede a chi lavora anche al comune, della fine dell'associazionismo arraffa posti e soldi et similia e non ci sono arrivato. Sì, lo ammetto non sono arrivato a codesta UVA: nessuno mi ha voluto. Se posso impedire - e posso e da subito - che nel comune di Racalmuto si ritorni all'antico, come prima peggio di prima, mi è concesso? Mi vogliono dare pure il Nobel della inutilità? Invece di aspettare il Sindaco perché non aspettano allora me?
Sì, è vero: ho cercato invano l'UVA della progettualità composta e responsabile, della giustizia non vindice, della responsabilità tributaria, della giusta mercede a chi lavora anche al comune, della fine dell'associazionismo arraffa posti e soldi et similia e non ci sono arrivato. Sì, lo ammetto non sono arrivato a codesta UVA: nessuno mi ha voluto. Se posso impedire - e posso e da subito - che nel comune di Racalmuto si ritorni all'antico, come prima peggio di prima, mi è concesso? Mi vogliono dare pure il Nobel della inutilità? Invece di aspettare il Sindaco perché non aspettano allora me?
Grossi e la Banca d'Italia
Una istruttiva conferenza del commendatore dottore Salvatore Grossi, già altissimo dirigente della Banca d'Italia:
L'argomento della nostra conversazione si presterebbe ad una trattazione ampia e tale da consentire non una esposizione quale quella che mi appresto a tenere, ma un corso di studi specifico.
Consentitemi, perciò, di restringere il campo di indagine a quanto di più pertinente ad un discorso fra non addetti ai lavori che vogliano ottenere informazioni sulla disciplina che interessa le banche nel loro complesso ed il pubblico per un mantenimento di un settore (appunto il sistema bancario) finalizzato alla tutela dei nostri risparmi ed ai finanziamenti delle iniziative familiari e delle intraprese commerciali ed industriali.
Per intenderci sull'argomento della nostra conversazione, posti i limiti appena indicati, mi sembra opportuno definire
il significato di “sistema” e di “vigilanza”.
Poniamo mente al significato che la nostra lingua attribuisce al termine sistema. Uno sguardo al dizionario
può soddisfare l'esigenza postaci.
Il Devoto – Oli alla voce sistema recita:
“connessione di elementi in un tutto organico e funzionalmente unitario”.
Mi pare (ed è senza dubbio una mia deformazione professionale) che i citati italianisti abbiano appunto avuto presente il sistema bancario nel definire la parola interessata.
L'Italia ha avuto il privilegio di annoverare da tempo fra le sue imprese commerciali l'esercizio del credito. Nei secoli scorsi furono infatti numerose le banche che svolgevano la loro attività anche presso stati e potentati stranieri.
Tuttavia la numerosa presenza di tale anche qualificata compagine di intraprendenti banchieri non portò ad una formazione che potesse essere considerata sistema.
Lo stato italiano sorto nel 1861 annoverava una moltitudine
di piccole aziende bancarie, nate spesso per iniziativa di facoltose famiglie, sorte quali comuni attività commerciali che non potevano dare (e non dettero) luogo ad alcun sistema coeso. La disciplina giuridica di tali esercizi era contenuta, appunto, nell'allora vigente codice di commercio.
Lento fu, pertanto, il procedere verso una disciplina specifica che conducesse ad una situazione di maggiore coesione regolamentare.
E' il caso di ricordare che, accanto a dette minori istituzioni, espletavano la loro attività anche banche che detenevano per concessione la facoltà di emettere moneta cartacea.
Si imponeva pertanto un intervento che tendesse ad uniformare la disciplina di emissione, dal momento che varia era la distribuzione di tali privilegiati istituti nelle diverse parti della nazione appena evoluta in stato unitario.
Vi era all'epoca:
Al Nord la Banca di Genova e la Banca di Torino che fondendosi avevano dato luogo alla Banca Nazionale del Regno d'Italia;
Al Centro La Banca Toscana e la Banca Toscana di credito per le industrie ed il commercio;
Al Sud il Banco di Napoli ed il Banco di Sicilia (entrambe enti pubblici);
Alle dette Banche si aggiunse nel 1870 la Banca Romana.
La concessione di emettere biglietti di banca costituiva privilegio per gli istituti autorizzati che ebbero in tal modo opportunità di integrare i depositi, all'epoca ancora non molto diffusi.
Detti istituti certamente ebbero una liquidità considerevole che permise loro di finanziare l'economia, ma provocò pure degli squilibri dovuti alla speculazione. Rammentiamo come esemplare negativo la speculazione edilizia che segnatamente si sviluppò in Roma divenuta Capitale del regno e quindi bisognevole di sviluppo cittadino.
Tralasciamo le diatribe politiche dell'epoca e le vicende giudiziarie che a queste si connettevano.
Merita invece menzione la legge bancaria del 1893 che istituì la Banca d' Italia e decisamente riformò l'emissione di carta moneta, stabilendone un limite invalicabile e la copertura metallica di almeno il 40%.
Gli istituti di emissione furono soltanto tre essendosi proceduto a fondere nella Banca d' Italia la Banca Nazionale e le due banche toscane.
Mantennero la facoltà di emissione le due banche meridionali.
Con la nascita della Banca d' Italia cominciò a delinearsi in qualche modo un sistema bancario che tuttavia, in concreto, trovò definita evidenza con la legge bancaria del 1936.
Vi furono nel lungo periodo indicato anche altri provvedimenti legislativi volti a disciplinare le modalità operative di talune categorie di aziende di credito e prevedere in qualche modo un articolato controllo pubblico.
Ma sopratutto vi fu un'opera costante della Banca d'Italia a privilegiare gli obbiettivi pubblici rispetto all'interesse privato degli azionisti.
La Banca d'Italia, infatti, ebbe modo di esplicare tale “vocazione pubblica” favorendo la propria funzione di prestatore di ultima istanza; il che portò ad interventi anche sostanziosi per il superamento di situazioni di crisi. Da tale funzione non poteva che derivare una effettiva centralità dell'istituto di emissione mentre cominciava a delinearsi
l' esigenza di controllo sulle aziende di credito.
Ma, come già detto, è con la legge bancaria del 1936 che si delineò con contorni definiti il “sistema bancario” .
Fin dall'articolo 1 veniva dichiarato che il risparmio fra il pubblico e l'esercizio del credito sono funzioni di interesse pubblico.
Affermazione ripresa dall'articolo 47 della nostra Costituzione che espressamente recita:
“ La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito”.
La legge bancaria del 1936 è datata in un periodo particolarmente sfavorevole per l'intera economia.
Vi era stata la debacle della borsa di New York nel 1929.
Vi era stata la crisi industriale; le maggiori banche italiane erano oberate dalla presenza nei propri portafogli di partecipazioni assunte.
E' da dire che la legge bancaria del 1926 aveva svolto la funzione di arginare gli squilibri avvertiti dalle aziende di credito, ma si dimostrava impari alle situazioni che successivamente si verificarono.
E' tuttavia da rappresentare positivamente che nel '26 fu affermata l'attribuzione della vigilanza sulle aziende di credito alla Banca d'Italia, che rimase unico istituto di emissione.
Va soggiunto che provvedimenti sostanziali erano stati adottati con la creazione dell'IRI, istituto rivolto propriamente alla ricostruzione del tessuto industriale mediante la gestione di partecipazioni statali; era sorto l' IMI che aveva il compito di assistere finanziariamente l'economia industriale.
Si imponeva però un sostanziale riordino dell'esercizio del credito con l'emanazione di regole cogenti che inducessero il mondo bancario ad una sana e prudente gestione.
Veniamo a questo punto a definire il significato, anche fattuale del termine “vigilanza”. Non possiamo, infatti, ritenere la vigilanza come sinonimo di controllo; è da chiarire che la Vigilanza contiene nel suo esplicarsi l'azione di verifica dell'adesione del comportamento alla norma, ma assume anche la cognizione utile alla determinazione dell'adeguamento della struttura esaminata, nel suo complesso organizzativo, regolamentare, funzionale, alle finalità sicuramente dirette alla nominata “sana e prudente gestione”.
Senza dubbio la legge bancaria favoriva un atteggiamento dirigistico (e il periodo storico lo consentiva), ma l'intento principale dell'organo di vigilanza era mantenere stabile la condizione del sistema ed in tal modo proteggere il risparmio.
E' il caso di rammentare che la Banca d'Italia rappresentava e rappresenta anche un centro di studi dell'economia e che il dialogo fra gli studiosi e gli addetti alla Vigilanza, sotto la accorta direzione del Direttorio, ha favorito la scelta opportuna degli indirizzi da suggerire (e talvolta imporre) alle banche per il più favorevole decorso della congiuntura economica.
La legge del 1936 aveva dato forma al sistema e suddiviso perentoriamente i compiti dei componenti il sistema stesso:
⁃ per la costituzione di nuove banche e l'apertura di nuovi sportelli è richiesta l'autorizzazione della Banca d'Italia;
⁃ viene differenziata la competenza fra credito ordinario e credito speciale
⁃ inoltre:
⁃ sono confermati istituti di diritto pubblico il Banco di Sicilia , il Banco di Napoli, la BNL, l'Istituto bancario S. Paolo di Torino e dichiarato tale il Monte dei Paschi di Siena.
⁃ Sono qualificate di interesse nazionale le banche di maggiore importanza aventi sedi operative in più di trenta province.
⁃ Con tale assetto si intendeva sottolineare il particolare interesse statuale alla operatività delle aziende esercenti il credito.
⁃ E' da soggiungere altresì che i criteri che hanno determinato le scelte contenute nella legge di cui ci stiamo occupando non potevano che trasfondersi nella applicazione pratica della funzione di vigilanza.
⁃ E, difatti, vi furono all'occorrenza provvedimenti volti a determinare con direttive inopponibili anche scelte che avrebbero dovuto essere imprenditoriali.
⁃ Valga solo qualche esempio particolare, ma indicativo dell'assunto che andiamo esprimendo:
⁃ negli anni settanta, di fronte alle oscillazioni ed alla svalutazione di taluni titoli, si accettò che nelle situazioni contabili delle aziende di credito non emergessero le svalutazioni degli stessi, ma bastasse evidenziare la presenza di tali valori in appostazioni contrapposte di debitori e creditori diversi;
⁃ furono stabiliti vincoli amministrativi nella composizione degli investimenti in titoli, con ciò chiaramente indirizzando di fatto i finanziamenti verso prescelti settori economici;
Dirigismo assoluto, quindi, ma rivolto alla tutela della stabilità economica interna.
Purtroppo gli eventi talora addirittura delittuosi non consentono di evitare squilibri e dissesti, così come improprietà delle gestioni inducono a situazioni di precarietà o peggio in singole aziende.
Dobbiamo però doverosamente constatare che mai le situazioni negative delle singole aziende hanno coinvolto gli interessi dei depositanti, grazie alla costante tenuta del sistema nel suo complesso.
Vigilanza, dunque, nel duplice aspetto di controllo sulla osservanza delle norme (ed a tal fine interventi sanzionatori anche drastici), ma anche indirizzo per la migliore gestione aziendale e per la tutela dell'utenza bancaria.
E' ordinaria, infatti, sia nelle fase ispettiva con sopralluoghi presso le aziende vigilate, sia nel corso dei frequenti colloqui che gli esponenti bancari intrattengono con gli uffici della Banca d'Italia, l'analisi della struttura aziendale al fine di acquisire informativa atta a delineare l'adeguatezza dell'apparato aziendale alle finalità proprie.
Colloqui che sempre più si rendono necessari stanti le direttive emanate in sede europea per la tutela della funzione creditizia.
Vale a tal proposito far cenno alla disciplina derivante dal Comitato di Basilea.
Il Comitato di Basilea è un gruppo che riunisce le banche centrali dei 10 paesi più industrializzati per trattare di argomenti inerenti la regolamentazione bancaria che nasce nel 1974. Non legifera ma emette indicazioni che sono considerate “vincolanti” in circa 100 paesi.
Nel 1998 ha stabilito i 25 principi fondamentali della supervisione bancaria con cui si introduce il concetto di “adeguatezza patrimoniale “, cioè di patrimonio adeguato ai rischi assunti . Si stabilisce quindi una percentuale minima di copertura tra patrimonio e rischio di credito.
Nel 1999 la riforma si evolve (Basilea 2) creando un sistema più complesso per l'individuazione e la copertura dei rischi , che dovrà gradatamente trovare applicazione attraverso grandi interventi decisionali e organizzativi fino a culminare nel 2005 – 2006 nell'entrata in funzione del sistema di regole.
L'idea forte della nuova risoluzione del Comitato è colpire proprio il cuore delle imprese, facendo sì che esse debbano allineare l'adeguamento del capitale agli effettivi rischi assunti facendo attività bancaria.
Sulla base di questa idea è stato stabilito di definire incentivi al fine di migliorare le capacità di misurazione e gestione del rischio, senza dimenticare l'importanza di un sistema trasparente nei confronti del pubblico e, quindi, anche per questa strada garantire il contenimento del rischio, dal momento che una utenza più informata riduce i rischi di controversie; senza considerare il dovere morale di essere trasparenti.
Da ciò la definizione di tre pilastri:
1) Primo pilastro:
2) richiesta di un capitale minimo in funzione del tipo di rischio.
3) Secondo pilastro:
4) supervisione.
5) Terzo pilastro:
6) Trasparenza informativa.
Meno sinteticamente è da osservare che:
⁃ per gli adempimenti di cui al primo pilastro spetta all'organo di vigilanza di ciascuno stato (per noi alla Banca d'Italia) stabilire – in via generale e/o per singole aziende – stabilire un livello minimo di copertura dei rischi.
⁃ Per soddisfare le direttive del secondo pilastro la banca deve disporre di un procedimento di determinazione del capitale, adeguato ai rischi assunti, e una strategia per il controllo includendo il monitoraggio da parte del Consiglio di amministrazione e dell'Alta Direzione , la misurazione adeguata e continua nel tempo, l'informativa e la revisione dei controlli interni. Il supervisore controllerà e valuterà la capacità di conseguimento e mantenimento dei requisiti prescritti, adottando, se del caso provvedimenti adeguati.
⁃ Per il terzo pilastro occorre assicurare la trasparenza nelle informazioni emesse a favore del pubblico, disponendo di una politica della trasparenza approvata dal Consiglio di amministrazione, nella quale venga evidenziato l'obbiettivo e la strategia della banca riguardo alle informative da rendere pubbliche.
Ritengo evidente che le direttive di Basilea inducono alla presenza di adeguati controlli interni alle aziende e ne individuano principalmente nel Consiglio di amministrazione il responsabile .
Da qui l'attenzione dell'Organo di vigilanza appunto sulle diverse funzioni di controllo di cui le aziende di credito devono ormai essere dotate. Del resto è funzione primaria della vigilanza espletare la propria attività sugli organismi interni preposti alle varie tipologie ed ai diversi livelli di controllo svolti in seno alle organizzazioni aziendali.
Per pura informativa soggiungo che ulteriori direttive del Comitato (Basilea 3) aggiungono ulteriori requisiti volti a tutelare ancor più dai rischi dell'attività bancaria il patrimonio aziendale.
Sugli adempimenti conseguenti occorre ovviamente invigilare, anche intervenendo con professionale competenza per indicare modalità e mezzi per adempiere a quanto previsto dalle direttive.
Da quanto anche per ultimo detto emerge chiaro che il sistema bancario da osservare è , allo stato, sebbene manchi un più completo amalgama amministrativo e giuridico, non più quello attinente solo al nostro paese, ma quello che investe l'Europa che va formandosi, e anche oltre, se si tiene presente che gli indirizzi di Basilea interessano ben 100 paesi.
Solo pochi mesi fa la Cancelliera tedesca trionfalmente dichiarava come prossima l'unificazione della Vigilanza europea , attribuendone la funzione alla BCE. E' però da osservare che recenti ripensamenti rinviano, per ora, tale provvedimento.
A questo punto la conversazione dovrebbe aver termine. Consentitemi, tuttavia, di rubare pochi secondi al vostro tempo per dimostrare con un esempio il comportamento della vigilanza nell'esporre le proprie considerazioni alle aziende oggetto di osservazione.
Ho qui con me un rapporto ispettivo riguardante una banca giudicata favorevolmente.
Ma il positivo giudizio non la esenta da (sia pur non aspre) critiche volte a possibili miglioramenti nella gestione aziendale. Miglioramenti che garantiscano la solidità patrimoniale e, quindi, il presidio degli interessi dei depositanti.
Si ha in questo caso particolare riguardo alla funzione di controllo interno (settore sul quale sempre l'attenzione di verifica si appunta), che, seppur ritenuto sostanzialmente adeguato, viene sottoposto a critiche per taluni aspetti particolari.
Non mancano altresì raccomandazioni per una sempre attenta cura di altri settori che in maniera più diretta interessano la clientela (trasparenza, usura) o la reputazione aziendale per cause attinenti a non corretto comportamento di clienti (antiriciclaggio).
In breve, l'esperienza acquisita dagli addetti alla vigilanza è costantemente posta a disposizione dei vigilati, in un rapporto di collaborazione che è parte doverosa ed essenziale dell'espletamento della supervisione bancaria.
L'argomento della nostra conversazione si presterebbe ad una trattazione ampia e tale da consentire non una esposizione quale quella che mi appresto a tenere, ma un corso di studi specifico.
Consentitemi, perciò, di restringere il campo di indagine a quanto di più pertinente ad un discorso fra non addetti ai lavori che vogliano ottenere informazioni sulla disciplina che interessa le banche nel loro complesso ed il pubblico per un mantenimento di un settore (appunto il sistema bancario) finalizzato alla tutela dei nostri risparmi ed ai finanziamenti delle iniziative familiari e delle intraprese commerciali ed industriali.
Per intenderci sull'argomento della nostra conversazione, posti i limiti appena indicati, mi sembra opportuno definire
il significato di “sistema” e di “vigilanza”.
Poniamo mente al significato che la nostra lingua attribuisce al termine sistema. Uno sguardo al dizionario
può soddisfare l'esigenza postaci.
Il Devoto – Oli alla voce sistema recita:
“connessione di elementi in un tutto organico e funzionalmente unitario”.
Mi pare (ed è senza dubbio una mia deformazione professionale) che i citati italianisti abbiano appunto avuto presente il sistema bancario nel definire la parola interessata.
L'Italia ha avuto il privilegio di annoverare da tempo fra le sue imprese commerciali l'esercizio del credito. Nei secoli scorsi furono infatti numerose le banche che svolgevano la loro attività anche presso stati e potentati stranieri.
Tuttavia la numerosa presenza di tale anche qualificata compagine di intraprendenti banchieri non portò ad una formazione che potesse essere considerata sistema.
Lo stato italiano sorto nel 1861 annoverava una moltitudine
di piccole aziende bancarie, nate spesso per iniziativa di facoltose famiglie, sorte quali comuni attività commerciali che non potevano dare (e non dettero) luogo ad alcun sistema coeso. La disciplina giuridica di tali esercizi era contenuta, appunto, nell'allora vigente codice di commercio.
Lento fu, pertanto, il procedere verso una disciplina specifica che conducesse ad una situazione di maggiore coesione regolamentare.
E' il caso di ricordare che, accanto a dette minori istituzioni, espletavano la loro attività anche banche che detenevano per concessione la facoltà di emettere moneta cartacea.
Si imponeva pertanto un intervento che tendesse ad uniformare la disciplina di emissione, dal momento che varia era la distribuzione di tali privilegiati istituti nelle diverse parti della nazione appena evoluta in stato unitario.
Vi era all'epoca:
Al Nord la Banca di Genova e la Banca di Torino che fondendosi avevano dato luogo alla Banca Nazionale del Regno d'Italia;
Al Centro La Banca Toscana e la Banca Toscana di credito per le industrie ed il commercio;
Al Sud il Banco di Napoli ed il Banco di Sicilia (entrambe enti pubblici);
Alle dette Banche si aggiunse nel 1870 la Banca Romana.
La concessione di emettere biglietti di banca costituiva privilegio per gli istituti autorizzati che ebbero in tal modo opportunità di integrare i depositi, all'epoca ancora non molto diffusi.
Detti istituti certamente ebbero una liquidità considerevole che permise loro di finanziare l'economia, ma provocò pure degli squilibri dovuti alla speculazione. Rammentiamo come esemplare negativo la speculazione edilizia che segnatamente si sviluppò in Roma divenuta Capitale del regno e quindi bisognevole di sviluppo cittadino.
Tralasciamo le diatribe politiche dell'epoca e le vicende giudiziarie che a queste si connettevano.
Merita invece menzione la legge bancaria del 1893 che istituì la Banca d' Italia e decisamente riformò l'emissione di carta moneta, stabilendone un limite invalicabile e la copertura metallica di almeno il 40%.
Gli istituti di emissione furono soltanto tre essendosi proceduto a fondere nella Banca d' Italia la Banca Nazionale e le due banche toscane.
Mantennero la facoltà di emissione le due banche meridionali.
Con la nascita della Banca d' Italia cominciò a delinearsi in qualche modo un sistema bancario che tuttavia, in concreto, trovò definita evidenza con la legge bancaria del 1936.
Vi furono nel lungo periodo indicato anche altri provvedimenti legislativi volti a disciplinare le modalità operative di talune categorie di aziende di credito e prevedere in qualche modo un articolato controllo pubblico.
Ma sopratutto vi fu un'opera costante della Banca d'Italia a privilegiare gli obbiettivi pubblici rispetto all'interesse privato degli azionisti.
La Banca d'Italia, infatti, ebbe modo di esplicare tale “vocazione pubblica” favorendo la propria funzione di prestatore di ultima istanza; il che portò ad interventi anche sostanziosi per il superamento di situazioni di crisi. Da tale funzione non poteva che derivare una effettiva centralità dell'istituto di emissione mentre cominciava a delinearsi
l' esigenza di controllo sulle aziende di credito.
Ma, come già detto, è con la legge bancaria del 1936 che si delineò con contorni definiti il “sistema bancario” .
Fin dall'articolo 1 veniva dichiarato che il risparmio fra il pubblico e l'esercizio del credito sono funzioni di interesse pubblico.
Affermazione ripresa dall'articolo 47 della nostra Costituzione che espressamente recita:
“ La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito”.
La legge bancaria del 1936 è datata in un periodo particolarmente sfavorevole per l'intera economia.
Vi era stata la debacle della borsa di New York nel 1929.
Vi era stata la crisi industriale; le maggiori banche italiane erano oberate dalla presenza nei propri portafogli di partecipazioni assunte.
E' da dire che la legge bancaria del 1926 aveva svolto la funzione di arginare gli squilibri avvertiti dalle aziende di credito, ma si dimostrava impari alle situazioni che successivamente si verificarono.
E' tuttavia da rappresentare positivamente che nel '26 fu affermata l'attribuzione della vigilanza sulle aziende di credito alla Banca d'Italia, che rimase unico istituto di emissione.
Va soggiunto che provvedimenti sostanziali erano stati adottati con la creazione dell'IRI, istituto rivolto propriamente alla ricostruzione del tessuto industriale mediante la gestione di partecipazioni statali; era sorto l' IMI che aveva il compito di assistere finanziariamente l'economia industriale.
Si imponeva però un sostanziale riordino dell'esercizio del credito con l'emanazione di regole cogenti che inducessero il mondo bancario ad una sana e prudente gestione.
Veniamo a questo punto a definire il significato, anche fattuale del termine “vigilanza”. Non possiamo, infatti, ritenere la vigilanza come sinonimo di controllo; è da chiarire che la Vigilanza contiene nel suo esplicarsi l'azione di verifica dell'adesione del comportamento alla norma, ma assume anche la cognizione utile alla determinazione dell'adeguamento della struttura esaminata, nel suo complesso organizzativo, regolamentare, funzionale, alle finalità sicuramente dirette alla nominata “sana e prudente gestione”.
Senza dubbio la legge bancaria favoriva un atteggiamento dirigistico (e il periodo storico lo consentiva), ma l'intento principale dell'organo di vigilanza era mantenere stabile la condizione del sistema ed in tal modo proteggere il risparmio.
E' il caso di rammentare che la Banca d'Italia rappresentava e rappresenta anche un centro di studi dell'economia e che il dialogo fra gli studiosi e gli addetti alla Vigilanza, sotto la accorta direzione del Direttorio, ha favorito la scelta opportuna degli indirizzi da suggerire (e talvolta imporre) alle banche per il più favorevole decorso della congiuntura economica.
La legge del 1936 aveva dato forma al sistema e suddiviso perentoriamente i compiti dei componenti il sistema stesso:
⁃ per la costituzione di nuove banche e l'apertura di nuovi sportelli è richiesta l'autorizzazione della Banca d'Italia;
⁃ viene differenziata la competenza fra credito ordinario e credito speciale
⁃ inoltre:
⁃ sono confermati istituti di diritto pubblico il Banco di Sicilia , il Banco di Napoli, la BNL, l'Istituto bancario S. Paolo di Torino e dichiarato tale il Monte dei Paschi di Siena.
⁃ Sono qualificate di interesse nazionale le banche di maggiore importanza aventi sedi operative in più di trenta province.
⁃ Con tale assetto si intendeva sottolineare il particolare interesse statuale alla operatività delle aziende esercenti il credito.
⁃ E' da soggiungere altresì che i criteri che hanno determinato le scelte contenute nella legge di cui ci stiamo occupando non potevano che trasfondersi nella applicazione pratica della funzione di vigilanza.
⁃ E, difatti, vi furono all'occorrenza provvedimenti volti a determinare con direttive inopponibili anche scelte che avrebbero dovuto essere imprenditoriali.
⁃ Valga solo qualche esempio particolare, ma indicativo dell'assunto che andiamo esprimendo:
⁃ negli anni settanta, di fronte alle oscillazioni ed alla svalutazione di taluni titoli, si accettò che nelle situazioni contabili delle aziende di credito non emergessero le svalutazioni degli stessi, ma bastasse evidenziare la presenza di tali valori in appostazioni contrapposte di debitori e creditori diversi;
⁃ furono stabiliti vincoli amministrativi nella composizione degli investimenti in titoli, con ciò chiaramente indirizzando di fatto i finanziamenti verso prescelti settori economici;
Dirigismo assoluto, quindi, ma rivolto alla tutela della stabilità economica interna.
Purtroppo gli eventi talora addirittura delittuosi non consentono di evitare squilibri e dissesti, così come improprietà delle gestioni inducono a situazioni di precarietà o peggio in singole aziende.
Dobbiamo però doverosamente constatare che mai le situazioni negative delle singole aziende hanno coinvolto gli interessi dei depositanti, grazie alla costante tenuta del sistema nel suo complesso.
Vigilanza, dunque, nel duplice aspetto di controllo sulla osservanza delle norme (ed a tal fine interventi sanzionatori anche drastici), ma anche indirizzo per la migliore gestione aziendale e per la tutela dell'utenza bancaria.
E' ordinaria, infatti, sia nelle fase ispettiva con sopralluoghi presso le aziende vigilate, sia nel corso dei frequenti colloqui che gli esponenti bancari intrattengono con gli uffici della Banca d'Italia, l'analisi della struttura aziendale al fine di acquisire informativa atta a delineare l'adeguatezza dell'apparato aziendale alle finalità proprie.
Colloqui che sempre più si rendono necessari stanti le direttive emanate in sede europea per la tutela della funzione creditizia.
Vale a tal proposito far cenno alla disciplina derivante dal Comitato di Basilea.
Il Comitato di Basilea è un gruppo che riunisce le banche centrali dei 10 paesi più industrializzati per trattare di argomenti inerenti la regolamentazione bancaria che nasce nel 1974. Non legifera ma emette indicazioni che sono considerate “vincolanti” in circa 100 paesi.
Nel 1998 ha stabilito i 25 principi fondamentali della supervisione bancaria con cui si introduce il concetto di “adeguatezza patrimoniale “, cioè di patrimonio adeguato ai rischi assunti . Si stabilisce quindi una percentuale minima di copertura tra patrimonio e rischio di credito.
Nel 1999 la riforma si evolve (Basilea 2) creando un sistema più complesso per l'individuazione e la copertura dei rischi , che dovrà gradatamente trovare applicazione attraverso grandi interventi decisionali e organizzativi fino a culminare nel 2005 – 2006 nell'entrata in funzione del sistema di regole.
L'idea forte della nuova risoluzione del Comitato è colpire proprio il cuore delle imprese, facendo sì che esse debbano allineare l'adeguamento del capitale agli effettivi rischi assunti facendo attività bancaria.
Sulla base di questa idea è stato stabilito di definire incentivi al fine di migliorare le capacità di misurazione e gestione del rischio, senza dimenticare l'importanza di un sistema trasparente nei confronti del pubblico e, quindi, anche per questa strada garantire il contenimento del rischio, dal momento che una utenza più informata riduce i rischi di controversie; senza considerare il dovere morale di essere trasparenti.
Da ciò la definizione di tre pilastri:
1) Primo pilastro:
2) richiesta di un capitale minimo in funzione del tipo di rischio.
3) Secondo pilastro:
4) supervisione.
5) Terzo pilastro:
6) Trasparenza informativa.
Meno sinteticamente è da osservare che:
⁃ per gli adempimenti di cui al primo pilastro spetta all'organo di vigilanza di ciascuno stato (per noi alla Banca d'Italia) stabilire – in via generale e/o per singole aziende – stabilire un livello minimo di copertura dei rischi.
⁃ Per soddisfare le direttive del secondo pilastro la banca deve disporre di un procedimento di determinazione del capitale, adeguato ai rischi assunti, e una strategia per il controllo includendo il monitoraggio da parte del Consiglio di amministrazione e dell'Alta Direzione , la misurazione adeguata e continua nel tempo, l'informativa e la revisione dei controlli interni. Il supervisore controllerà e valuterà la capacità di conseguimento e mantenimento dei requisiti prescritti, adottando, se del caso provvedimenti adeguati.
⁃ Per il terzo pilastro occorre assicurare la trasparenza nelle informazioni emesse a favore del pubblico, disponendo di una politica della trasparenza approvata dal Consiglio di amministrazione, nella quale venga evidenziato l'obbiettivo e la strategia della banca riguardo alle informative da rendere pubbliche.
Ritengo evidente che le direttive di Basilea inducono alla presenza di adeguati controlli interni alle aziende e ne individuano principalmente nel Consiglio di amministrazione il responsabile .
Da qui l'attenzione dell'Organo di vigilanza appunto sulle diverse funzioni di controllo di cui le aziende di credito devono ormai essere dotate. Del resto è funzione primaria della vigilanza espletare la propria attività sugli organismi interni preposti alle varie tipologie ed ai diversi livelli di controllo svolti in seno alle organizzazioni aziendali.
Per pura informativa soggiungo che ulteriori direttive del Comitato (Basilea 3) aggiungono ulteriori requisiti volti a tutelare ancor più dai rischi dell'attività bancaria il patrimonio aziendale.
Sugli adempimenti conseguenti occorre ovviamente invigilare, anche intervenendo con professionale competenza per indicare modalità e mezzi per adempiere a quanto previsto dalle direttive.
Da quanto anche per ultimo detto emerge chiaro che il sistema bancario da osservare è , allo stato, sebbene manchi un più completo amalgama amministrativo e giuridico, non più quello attinente solo al nostro paese, ma quello che investe l'Europa che va formandosi, e anche oltre, se si tiene presente che gli indirizzi di Basilea interessano ben 100 paesi.
Solo pochi mesi fa la Cancelliera tedesca trionfalmente dichiarava come prossima l'unificazione della Vigilanza europea , attribuendone la funzione alla BCE. E' però da osservare che recenti ripensamenti rinviano, per ora, tale provvedimento.
A questo punto la conversazione dovrebbe aver termine. Consentitemi, tuttavia, di rubare pochi secondi al vostro tempo per dimostrare con un esempio il comportamento della vigilanza nell'esporre le proprie considerazioni alle aziende oggetto di osservazione.
Ho qui con me un rapporto ispettivo riguardante una banca giudicata favorevolmente.
Ma il positivo giudizio non la esenta da (sia pur non aspre) critiche volte a possibili miglioramenti nella gestione aziendale. Miglioramenti che garantiscano la solidità patrimoniale e, quindi, il presidio degli interessi dei depositanti.
Si ha in questo caso particolare riguardo alla funzione di controllo interno (settore sul quale sempre l'attenzione di verifica si appunta), che, seppur ritenuto sostanzialmente adeguato, viene sottoposto a critiche per taluni aspetti particolari.
Non mancano altresì raccomandazioni per una sempre attenta cura di altri settori che in maniera più diretta interessano la clientela (trasparenza, usura) o la reputazione aziendale per cause attinenti a non corretto comportamento di clienti (antiriciclaggio).
In breve, l'esperienza acquisita dagli addetti alla vigilanza è costantemente posta a disposizione dei vigilati, in un rapporto di collaborazione che è parte doverosa ed essenziale dell'espletamento della supervisione bancaria.
Il fuoco della Geenna
Deploro chi avendo speranza di qualche elemosina si mette a tessere comiche laudi. Se chi ben comincia è alla metà dell'opera, chi mal comincia a che punto si trova? Aspettare per il bisogno di qualche favore personale non mi sembra molto patriottico. Qualcuno pensa di prendere a prestito l'ignara cultura dell'ironia per paura che la cuccagna in cui comincia a guazzare finisca ancor prima di cominciare. Si sa quanto male fa la rampogna critica di stampo letterario; il vecchio Orazio mi insegnava a scuola che chi ha italicun acetum, castigat ridendo mores. Così forse si guadagna un inesistente Nobel ma non certo quello della inutilità perché manda nel fuoco della Geenna chi strilla per il terrore di perdere, dopo tante vagule corse, locupletanti ricompense.
Tanto rumore per un cassazionista a Racalmuto
L'avvocato cassazionista, uomo di vecchia scuola comunista, non si fa provocare. Lui tace e a me non riesce di farlo uscire dal suo mellifluo e sornione mondo. A dire il vero due volte non ha resistito. Una volta ha usato un termine di inusitata raffinatezza per dirmi che io sarei un mestatore politico che si inventa chissà quali infamie come quella di asserire che nella sua compagne vi erano mafiosi. Non mi era mai passata per la mente una cosa del genere e alla mia sogghignate risposta gli è toccato di chiedermi scusa. Una seconda volta, non potendone più, sbotta accusandomi di piccineria politica per cui dicevo dico e dirò tutto quello che dico perché umiliato dal suo ripudio di darmi un posticino nelle sue poco onorevoli schiere. A scanso di equivoci trascrivo la nostra segreta conversazione epistolare. Noterete però solo un suo spunto tutto cerimonioso e sfuggente. Certo io ho perso su tutta la line. Lui l'inciucio anzi gli inciuci l'ha fatti e persino senza battere ciglio ne sta pagando il conto. Sì con questi inciuci è risultato sindaco. Ma così ne valeva la pena? Io ho perso perché non sono riuscito a farlo perdere. Ma è colpa mia se nessuno mi ha voluto e nessun gruppo politico mi ha voluto dare il simbolo? Sì, diciamolo apertamente: è colpa mia! Mi dimetterò da politico attivo, tanto non lo sono stato mai. Ho lavorato Io nella vita, caro comunista Ancona!
Emilio Messana
Inizio conversazione in chat
18 aprile 20:59
Credo che mi si debba almeno dire se ho un ruolo nella competizione elettorale del PD e quale ruolo, anche perché devo rispetto a me stesso e siccome credo di avere un qualche valore non vorrei disperderlo.
Lo so che tu non guardi e non mi leggi- Tuo sacrosanto diritto caro Emilio. Ma mi hai snobbato per tre giorni. Non sono tipo da tollerare. Stavolta leggilo questo messaggio e dammi una risposta, qualunque, ma che mi convinca a desistere dall'atto plateale che il mio subconscio mi va imponendo con sempre maggiore impellenza. Guarda che io sono capace di tutto. Te l'immagini tu un mio passaggio plateale nella parte che ti è più avversa. Leggo stasera in Malgrado Tutto che saresti in procinto di porre in essere il peggiore inciucio che si poteva ipotizzare. Se fai l'inciucio caro Emilio io non solo non ti seguo ma ti lotto. E non mi sottovalutare.
20 aprile 21:33
Sino ad ora non ho ricevuto risposta alcuna quindi mi considero libero da ogni impegno e posso fare tutti gli atti plateali che ho in mente.
Caro Lillo, sono giorni concitati e di feste in famiglia. Sono sicuro che avremo presto tempo per confrontarci sulle cose da fare per il nostro paese. Quanto alla tua libertà, sia incoercibile come sempre.
20 aprile 23:26
Carissimo Emilio, con l'inciucio che stai cucinando manco terzo arrivi. Quanto ad inciuci gli altri son più bravi di te!!
6 maggio 15:41
Caro Emilio ... spero che almeno ora mi voglia concedere 10 minuti di ascolto. Mi servono per vedere come devo indirizzare il mio sostegno elettorale e come orientare una certa opinione pubblica indipendente che credo mi segua. Forse a te di questo non ti importa nulla. Non sarebbe una tragedia né per te né per me. Solo che ho da stigmatizzare quanto segue: Ieri sono stato dal tuo bunker. C'era Guagliano. Volevo tentare una qualche intesa. Mi ha fatto aspettare. Era nel suo diritto. Solo che mi ha consentito di ascoltarlo. Un malcapitato cercava ragguagli. Si è messo il Guagliano a dargli lezioni di diritto costituzionale. Me la scialavo. Assicurava che lui in forza dell'art. 3 della costituzione non faceva pagare la munnizza. Una simile scempiaggine non credo che un avvocato cassazionista come te possa tollerarla e addirittura permettere che ti si attribuisca
8 maggio 16:27
Carissimo Emilio, posso benissimo intuire che dietro di te vi siano corifei che ti spingano e ti costringano a glissarmi per timore che ti possa far perdere voti- Francamente penserei il contrario, ma poco importa. Credo però che a prescindere dalle formali effusioni mi debba significare come intendi avvalerti di me (se intendi avvalerti). Se no? che vuoi che ti dica? Scrivevano in Banca d'Italia che ero imprevedibile e irrefrenabile. Mi piacerebbe dimostrarlo a questo ignavo paese che corre verso un ignavo sindaco e una corrotta lista.
Fine della conversazione in chat
Visualizzato alle 8 maggio
Emilio Messana
Inizio conversazione in chat
18 aprile 20:59
Credo che mi si debba almeno dire se ho un ruolo nella competizione elettorale del PD e quale ruolo, anche perché devo rispetto a me stesso e siccome credo di avere un qualche valore non vorrei disperderlo.
Lo so che tu non guardi e non mi leggi- Tuo sacrosanto diritto caro Emilio. Ma mi hai snobbato per tre giorni. Non sono tipo da tollerare. Stavolta leggilo questo messaggio e dammi una risposta, qualunque, ma che mi convinca a desistere dall'atto plateale che il mio subconscio mi va imponendo con sempre maggiore impellenza. Guarda che io sono capace di tutto. Te l'immagini tu un mio passaggio plateale nella parte che ti è più avversa. Leggo stasera in Malgrado Tutto che saresti in procinto di porre in essere il peggiore inciucio che si poteva ipotizzare. Se fai l'inciucio caro Emilio io non solo non ti seguo ma ti lotto. E non mi sottovalutare.
20 aprile 21:33
Sino ad ora non ho ricevuto risposta alcuna quindi mi considero libero da ogni impegno e posso fare tutti gli atti plateali che ho in mente.
Caro Lillo, sono giorni concitati e di feste in famiglia. Sono sicuro che avremo presto tempo per confrontarci sulle cose da fare per il nostro paese. Quanto alla tua libertà, sia incoercibile come sempre.
20 aprile 23:26
Carissimo Emilio, con l'inciucio che stai cucinando manco terzo arrivi. Quanto ad inciuci gli altri son più bravi di te!!
6 maggio 15:41
Caro Emilio ... spero che almeno ora mi voglia concedere 10 minuti di ascolto. Mi servono per vedere come devo indirizzare il mio sostegno elettorale e come orientare una certa opinione pubblica indipendente che credo mi segua. Forse a te di questo non ti importa nulla. Non sarebbe una tragedia né per te né per me. Solo che ho da stigmatizzare quanto segue: Ieri sono stato dal tuo bunker. C'era Guagliano. Volevo tentare una qualche intesa. Mi ha fatto aspettare. Era nel suo diritto. Solo che mi ha consentito di ascoltarlo. Un malcapitato cercava ragguagli. Si è messo il Guagliano a dargli lezioni di diritto costituzionale. Me la scialavo. Assicurava che lui in forza dell'art. 3 della costituzione non faceva pagare la munnizza. Una simile scempiaggine non credo che un avvocato cassazionista come te possa tollerarla e addirittura permettere che ti si attribuisca
8 maggio 16:27
Carissimo Emilio, posso benissimo intuire che dietro di te vi siano corifei che ti spingano e ti costringano a glissarmi per timore che ti possa far perdere voti- Francamente penserei il contrario, ma poco importa. Credo però che a prescindere dalle formali effusioni mi debba significare come intendi avvalerti di me (se intendi avvalerti). Se no? che vuoi che ti dica? Scrivevano in Banca d'Italia che ero imprevedibile e irrefrenabile. Mi piacerebbe dimostrarlo a questo ignavo paese che corre verso un ignavo sindaco e una corrotta lista.
Fine della conversazione in chat
Visualizzato alle 8 maggio
Ma mi domandavo: chi ha genitrice dirigente comunale può fare l'assessore senza imbarazzo? Che fa? fa dimettere la madre? Chi è solo nipote di tanto zio ha tutta questa conclamata competenza in proprio? gestirà la delega per delega? Giove davvero rende folli quelli che vuol perdere! E gli altri due? Per il momento non li conosco e non posso valutarli .. ma avrò tempo.
Ma mi domandavo: chi ha genitrice dirigente comunale può fare l'assessore senza imbarazzo? Che fa? fa dimettere la madre? Chi è solo nipote di tanto zio ha tutta questa conclamata competenza in proprio? gestirà la delega per delega? Giove davvero rende folli quelli che vuol perdere! E gli altri due? Per il momento non li conosco e non posso valutarli .. ma avrò tempo.
si comincia così e si finisce chissà come. Fermati Emilio! Se il tuo ragioniere ti ha informato adeguatamente, guarda che tutta 'sta manfrina è PRODROMICA alla dissennata distribuzione dei pani e dei pesci dei soldi comunali che poi sono le nostre tasse. Loro saranno gli associati, ma guarda che ci siamo pure dei dissociati che davvero faremo il GOVERNO OMBRA che stia certo il buon Fabio a noi non porta sfiga e certamente noi non ci lasceremo bloccare da siffatte inconsistenti remore di superstizioso sapore per avere l'alibi a non fare la nostra doverosa vigilanza democratica.
si comincia così e si finisce chissà come. Fermati Emilio! Se il tuo ragioniere ti ha informato adeguatamente, guarda che tutta 'sta manfrina è PRODROMICA alla dissennata distribuzione dei pani e dei pesci dei soldi comunali che poi sono le nostre tasse. Loro saranno gli associati, ma guarda che ci siamo pure dei dissociati che davvero faremo il GOVERNO OMBRA che stia certo il buon Fabio a noi non porta sfiga e certamente noi non ci lasceremo bloccare da siffatte inconsistenti remore di superstizioso sapore per avere l'alibi a non fare la nostra doverosa vigilanza democratica.
Leggo a suo nome espressioni lesive dell'onore del questore Ettore Messana. Per incarico della signora Giovanna Messana, nipote di questo grande personaggio storico e altamente meritevole quale il grande Ufficiale Ettore Messana Ispettore generale di PS sto conducendo accurate indagini storiche e quindi posso comprovare nelle competenti sede che la Signora intende adire che quanto affermato nell'articolo a suo nome è infondato e distorsivo della verità nei termini e nel significato che verranno più pertinentemente formulati.
Leggo a suo nome espressioni lesive dell'onore del questore Ettore Messana. Per incarico della signora Giovanna Messana, nipote di questo grande personaggio storico e altamente meritevole quale il grande Ufficiale Ettore Messana Ispettore generale di PS sto conducendo accurate indagini storiche e quindi posso comprovare nelle competenti sede che la Signora intende adire che quanto affermato nell'articolo a suo nome è infondato e distorsivo della verità nei termini e nel significato che verranno più pertinentemente formulati.
A UMBERTO SANTINO
A UMBERTO SANTINO
mi pare che lei scriva che "il Commissario Messana" avrebbe nel 1919 fatto sparare sui contadini di Riesi provocando 15 morti e 50 feriti. Sto facendo ricerche accurate e questo non mi risulta anzi mi sa di mistificazione diffamatoria. Sto cercando di tutelare il buon nome del nonno della signora Giovanna Messana e quindi credo che sia suo dovere dimostrarmi la fondatezza della sua accusa
mi pare che lei scriva che "il Commissario Messana" avrebbe nel 1919 fatto sparare sui contadini di Riesi provocando 15 morti e 50 feriti. Sto facendo ricerche accurate e questo non mi risulta anzi mi sa di mistificazione diffamatoria. Sto cercando di tutelare il buon nome del nonno della signora Giovanna Messana e quindi credo che sia suo dovere dimostrarmi la fondatezza della sua accusa
Salve caro amico Lillo Liotta (Paparanni).
Siamo rimasti solo Lillo Arrostuto ed io. Il primo da sinistra è Lillo Liotta (Paparanni). Siamo stati amici di gioventù d'intenso passeggio e di inestinguibile colloquio, da San Pasquali al San Grioli e se bel tempo sino al Padre Eterno. Finita l'università ci siamo separati e non ci siamo più visti con mio grande rammarico. Quest'anno in aprile lo cercai ma mi venne un colpo: era morto da sette anni e non ne sapevo nulla. Ave grande Lillo, schietto, acuto, intelligente mio caro amico perduto!
I Sicani di Pietralonga
Qui figura vincolata archeologicamente la contrada PIETRALONGA di Racalmuto. E' inutile che la cerchiate nel mio paese. Sta a Castrofilippo. Da 34 anni per i BB CC AA di Agrigento a Racalmuto sta e a Racalmuto resta. Si sono mai costà rispettati i vincoli? Ovviamente no: bella pacchia per abusivisti anche di alto rango e per tecnici degli uffici comunali. Non ho ancora sottomano il nuovo PRG ma non mi meraviglierebbe che l'obbrobrio continui. Con la tecnica del taglia e cuci, figurarsi!!!! Per l'ng. Mauceri del 1880 quella era zona nevralgica dell'antica cultura Sicana con le classiche tombe a forno ma per le autorità di settore queste erano bazzecole. L'avvocato Emilio Messana neo sindaco se ne interesserà? Mi auguro di sì.
venerdì 6 giugno 2014
Ettore Messana il crocifisso di Casarubea
...per
mestiere spiego bene agli altri quello che per me non comprendo.
martedì 11 febbraio 2014
Ettore Messana, siciliano di Racalmuto,
classe 1888, di professione ufficiale di polizia. Servitore dello Stato
integerrimo quanto inflessibile, deve talora specie in tempi calamitosi avere
la mano ferma ma nella ferrea disciplina militare non mancare mai di senso
umanitario. Vissuto in tempi ardui è chiaro che non sempre è facile avere
concorde approvazione e come capita ai solerti uomini dell'ordine pubblico la
calunnia, l'invidia, la malvagità dei reprobi si scatenano nella denigrazione
gratuita, nella diffamazione indecorosa. Ettore Messana ne fu purtroppo spesso
vittima, ma la sua rettitudine il suo profondo senso umanitario emergono
incontaminati e ammirevoli. Racalmuto, la sua terra natia, ebbe spesse volte
bisogno di una sua assistenza, di un suo atto di clemenza, di un sua onesta
segnalazione: tante famiglie gli sono ancora grate. Racalmuto deve quindi
rispettarne la memoria, onorarlo come suo grande figlio, detergere le infamanti
calunnie.
Nel 1919 certo deve fronteggiare una terribile rivolta contadina. E' appena trentenne, deve stabilire l'ordine. Lo fa. il suo contributo alla sedizione popolare c'è ma le sue responsabilità sono molto limitate: volerne fare un feroce repressore di contadini è solo mala fede, atto ribaldo.
Subentra il Fascismo ma a Messana spetta il ruolo di fedele servitore della Patria- E adempie ai suoi uffici che sono quelli di Polizia con diligenza, umanità e spirito di servizio tanto da attirarsi l'apprezzamento dei suoi superiori che sono poi uomini di polizia come il Gueli che molto si distinsero nella repressione della mafia di Vizzini. Sì, fu molto apprezzato da Ciro Verdiani e Giuseppe Gueli. Ed allora? solo la faziosità calunniatrice può far scrivere che costoro furono "nel ventennio nero .... uomini che nello spionaggio se ne intend[evano]ono più dello stesso ministro fascista Buffarini Guidi.
Arriviamo nell’aprile del 1941 la carriera del Messana è ad una fulgida e al contempo perigliosa svolta . Le truppe italo-tedesche invadono il Regno di Jugoslavia e l’Italia si annette gran parte della Slovenia. Messana è chimato ad andare a fare il questore di Lubiana tra l’aprile del 1941 e il maggio 1942, per poi svolgere la stessa carica a Trieste, dove fu destinato con telegramma di Carmine Senise a decorrere dal primo giugno 1942.
Doveva assumere la temporanea reggenza della locale questura, ma vi rimase fino al 14 giugno 1943, quando fu nominato ispettore generale di Ps e posto a disposizione del Ministero dell’Interno.
Certo il Messana non era molle di spina dorsale, sapeva accoppiare tratti umanissima a ferrea disciplina. Se subalterni mal tolleravano talvolta la sua rigidità, questo torna a suo vanto e i detrattori sono degni di sprezzo se finita la guerra, peraltro persa cercano di vendicarsi con la calunnia.
Si arriva all'ignominia di volere fare apparire sotto riprovevoli aspetti un atto burocratico di normale avvicendamento: nulla di scandaloso se "la direzione generale di Ps [fu] lapidaria nel [comunicare] alla questura di Trieste la decisione, già ai primi di giugno:
398111/333- Questore Messana Ettore cessa col quattordici corrente dalla direzione codesta Questura rimanendo at disposizione Ministero. Telegrafate partenza.[1]"
A me pare che quello che si vuole fare apparire come una macchia nello stato di servizio del Messana torni a suo merito: oddio! non era gradito ai fascisti di Bologna, quale maggior merito di questo? La faziosità arriva all'illogicità. Trascrivo letteralmente:
"Ma si dovette pervenire a quella decisione attraverso un lungo tempo di sopportazione e dopo vari tentativi degli stessi apparati fascisti del luogo di destinarlo ad altra sede. E di fatti si era registrato un tentativo di trasferire il Messana a Bologna, poi temporaneamente sospeso e prorogato al 5 maggio.[2]"
Le dicerie di Ricciardelli sono di una vacuità e insipienza assolute; non val la pena neppure di soffermarcisi sopra.
[continua]
Messana Ettore
Nato il 2 aprile 1888 a Racalmuto (Agrigento), fu questore della Questura di Lubiana dal giugno 1941 fino al 15 maggio 1942. Poi fu questore a Trieste.
Finita la guerra, vine promosso capo della Polizia in Sicilia e deve affrontare . burrascosevicende soprattutto per ilo caso del bandito Giuliano.
-------------------
Citiamo qui documentazione (molto parziele e spesso faziosa) che attiene al nostro grande compaesano il questore Ettore Messana. Questi paziali dati burocratici ne stagliano la titanica figura
[1] Prefettura di Trieste, Nota del prefetto Tullio Tamburini alla questura di Trieste e p. c. alla Ragioneria della regia prefettura di Trieste, con oggetto. Gr.Uff. Dott. Ettore Messana questore, 7 giugno 1943 XXI, gab. 018/2286. Il telegramma di Senise riportato dal prefetto Tullio Tamburini al questore di Trieste, 30 maggio 1942, XX, gab. 062/6454
[2] Cfr. ibidem, il prefetto Tullio Tamburini al questore di Trieste, fonogramma a mano, 28 aprile 1943, XXI, gab. 016/1724; e nota dello stesso prefetto del 16 aprile 43, gab. 018/1468 –2
[3] Prefettura di Trieste, Polizia della Venezia Giulia, Divisione criminale investigatica, Atti di gabinetto, b. 18, nota dell’ispettore capo Feliciano Ricciarelli al prefetto di Trieste, 6 ottobre 1945, prot. 481
[4] Prefettura di Trieste, Atti di gabinetto, b. 18, nota del prefetto Bruno Coceani alla Direzione generale di Ps del Ministero dell’Interno, 24 maggio 1944, gab. 018/1895
[5] Cfr. Archivio della Repubblica Slovena, Lubiana, Kraljeva Kuestura, AS 1796, 1941-1943, f. 1/II,2 31 agosto 1942 riguardante l’arresto di Antonio Tomsic; Rapporto del prefetto di Chieti al Ministro dell’Interno e all’Alto Commissario di Lubiana, riguardante l’internamento a Tollo di Miran Pozenel, div. Di Ps., prot. 05879, 12 giugno 1942; Ministero dell’Interno, direzione generale di Ps all’Alto commissario di Lubiana, Emilio Grazioli, per l’internamento di Giovanni Gradisek, prot. 447/05167 del 25 maggio 1942; Ministero dell’Interno all’Alto commissario di Lubiana, prot. 448/306997, 19 maggio 1942, per l’internamento di Rodolfo Fink a Pisticci; il prefetto di Padova Vittorelli alla R.questura di Chieti e all’Alto commissario di Lubiana, 22 giugno 1942.
[6] Cfr. Archivio Centrale dello Stato, Sis, b. 36, fasc HP27/Agrigento, class.: segreto. Titolo: Sciacca (Agrigento), assassinio del rag. Miraglia, segretario di quella Camera del Lavoro, 18 marzo 1947
[7] Cfr. Repubblica Slovena, Lubljana, Archivio Nazionale, CC.RR. , vol. 155/I, nn. 8-9-10, n. 13; lettera del maggiore Raffaele Lombardi al Comando del gruppo CC.RR. di Lubiana, 19 gennaio 1942; il capo della polizia Carmine Senise all’Alto Commissario per la provincia di Lubiana, 6 aprile 1942; per l’attentato alla linea ferroviaria Skoblica- Smaric, il fasc. 16; per gli arresti per attività antiitaliane, fasc. 18.
[8] Cfr. ivi, Comando raggruppamento camicie nere d’assalto; il luogotenente comandante Renzo Mantenga alla sezione Celere CC.RR. di Lubiana, fasc. 154/II, n. 5, 1° novembre 1942.
[9] Cfr., ivi., CC.RR., b. 154, II, 1941, il questore Messana al comando gruppo CC. di Lubiana, 14 luglio 1941, e nota del luogotenente comandante Renzo Mantenga, Comando raggruppamento Camicie nere d’assalto alla sezione Celere CC.RR. di Lubiana, 1 nov. ’42.
[10] Cfr. ivi, Nota del capitano dei CC.RR. Salvatore Spatafora all’Alto Commissario e alla Regia Questura di Lubiana, prot. 75/299, 4 dicembre 1941; fasc. 42.
[11] Cfr. ivi, Comando del gruppo dei CC.RR. di Lubiana, fono 1/109 del 9 dicembre 1941; fasc. 42.
[12] Cfr. ivi, Kraljeva Kuestura, 1796, VI, R. Ufficio di Ps di confine di Novo Mesto, gab. 0239, 12 gennaio 1942; e ibidem, prot. I n.0952 del 31 gennaio 1942. Un importante documento della resistenza jugoslava, anche se parzialmente mutilo, è reperibile allo stesso fondo, 1796, n° 1, f. 1/II.
[13] Cfr. Ivi, Comando gruppo CC.RR. di Lubiana, fasc. 14, Battaglione CC.RR. “Milano, Tenenza Lubiana Esterna, il tenente Mario Guarino all’Alto Commissario di Lubiana, 9 dicembre 1941; fasc. 43.
[14] Cfr. ivi, segnalazione del capitano Salvatore Spatafora all’Alto Commissariato di Lubiana, 28 dicembre 1941; fasc. 47, per il caso di Tomc Joze al fasc. 45.
[15] Cfr. ivi, b. 154/II, n. 5. Sugli innumerevoli suicidi, CCRR., gruppo, b. 156/III, n. 5.
[16] Archivio di Stato di Lubiana, 1931, segnato RSNZ, SRS, Questura, 2022-3/ n. 59. Si tratta di un documento microfilmato, intestato a Ettore Messana e recante il n. 168013. La traduzione è stata effettuata dal prof. Boris Gombac, residente a Lubiana.
[17] Cfr. Archivio di Stato di Lubiana, AS, 1551, Zbirka Copij, Skatla 98, 1502-1505. Caso n. R/IT/75- Nomi degli accusati: 1) Ettore Messana, questore a Lubiana (Fasc. 263); 2) N. Pellegrino, commissario di PS a Lubiana (Fasc. 266); 3) dott. Macis, tenente colonnello, procuratore del Re, tribunale militare di guerra a Lubiana (Fasc. 267). Data e luogo del presunto crimine: durante l’occupazione italiana della Slovenia. Numero e descrizione del crimine nella lista dei crimini di guerra: I) Assassinio e massacri- uso sistematico del terrorismo; III) Tortura di civili; V) Violenza carnale; VII) Deportazione di civili; VIII) Internamento di civili in condizioni inumane; XII) Tentativo di denazionalizzare gli abitanti del territorio occupato- Violazione degli articoli 4, 5, 45, 46, regolamentazione dell’Aia, 1907, e dell’art. 13, Atti jugoslavi per le Corti Militari, 1944.
[18]Cfr. Repubblica slovena, Archivio nazionale di Lubiana, AS 1781, f. 154/I, CC.RR, 1941, il capitano della Compagnia di Cocevie, Pasquale Luciano al Comando dei CC. di Lubiana, n. 113/77-1, prot. Div. .III, 6 novembre 1941.
[19] Cfr. ivi, il maggiore comandante del gruppo CC di Lubiana a tutte le compagnie dipendenti, n. 64/1, prot. Segreto, 12 ottobre 1941.
[20] Cfr. ivi, il Comandante la Tenenza, Augusto Fabri al Comando CC.RR. di Lubiana, 4 novembre 1941.
[21] Cfr. ivi, CC.RR., b. 155/III, e b. 156/I, il maggiore maresciallo Leonardo Capozzi alla regia questura, Lubiana, 22 settembre 1941; nota del tenente comandante CC di Longatico Filippo Falco alla R. Questura di Lubiana, 8 ottobre 1941.
[22] Cfr. ivi, CC.RR., b. 157, I (tutto il fondo CC.RR. porta il numero 1781 e comprende le buste fino a 185); sulla fucilazione di ostaggi, tra gli altri, il comandante la Compagnia del Gruppo CCRR di Lubiana all’Alto Commissario di Lubiana, b. 157, I, riservata del 25 maggio 1942; cfr. inoltre ivi, Kraljeva Kuestura Ljubljana, 1941-1943, 1796, corrispondenza di luglio-agosto 1941., n° 2, f.1, 1941; n°2, f.II/2; circolare di Messana al Comando CC di Lubiana interna, 17 marzo 1942.
[23] Cfr. Discorso di Girolamo Li Causi al Senato della repubblica, 23 giugno 1949, in Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, Atti relativi alla strage di Portella della Ginestra, parte prima, p. 90.
[24] Cfr. http://www.carabinieri.it/Internet/Arma/Curiosita/Non+tutti+sanno+che/G/40+G.htm
[25] Cfr. Archivio nazionale della Repubblica slovena, , AS 1796, Kraljeva Kuestura Ljubljana, 1941-’43, f. 1/I, documento a firma Verdiani del 29 maggio 1942.
[26] ACS, Ministero dell’Interno, Sis, Relazione dell’Ispettore generale di Ps Fausto Salvatore al Capo della Polizia, Roma, 18 marzo 1947, inviata dal direttore capo divisione del Sis il 29 ottobre 1947, div,. Sis, sez II, prot. 224/62345, b. 36, f. HP27 (titolo: ‘Agrigento’), oggetto: Assassinio del rag. Miraglia, segretario Camera del Lavoro di Sciacca
Nel 1919 certo deve fronteggiare una terribile rivolta contadina. E' appena trentenne, deve stabilire l'ordine. Lo fa. il suo contributo alla sedizione popolare c'è ma le sue responsabilità sono molto limitate: volerne fare un feroce repressore di contadini è solo mala fede, atto ribaldo.
Subentra il Fascismo ma a Messana spetta il ruolo di fedele servitore della Patria- E adempie ai suoi uffici che sono quelli di Polizia con diligenza, umanità e spirito di servizio tanto da attirarsi l'apprezzamento dei suoi superiori che sono poi uomini di polizia come il Gueli che molto si distinsero nella repressione della mafia di Vizzini. Sì, fu molto apprezzato da Ciro Verdiani e Giuseppe Gueli. Ed allora? solo la faziosità calunniatrice può far scrivere che costoro furono "nel ventennio nero .... uomini che nello spionaggio se ne intend[evano]ono più dello stesso ministro fascista Buffarini Guidi.
Arriviamo nell’aprile del 1941 la carriera del Messana è ad una fulgida e al contempo perigliosa svolta . Le truppe italo-tedesche invadono il Regno di Jugoslavia e l’Italia si annette gran parte della Slovenia. Messana è chimato ad andare a fare il questore di Lubiana tra l’aprile del 1941 e il maggio 1942, per poi svolgere la stessa carica a Trieste, dove fu destinato con telegramma di Carmine Senise a decorrere dal primo giugno 1942.
Doveva assumere la temporanea reggenza della locale questura, ma vi rimase fino al 14 giugno 1943, quando fu nominato ispettore generale di Ps e posto a disposizione del Ministero dell’Interno.
Certo il Messana non era molle di spina dorsale, sapeva accoppiare tratti umanissima a ferrea disciplina. Se subalterni mal tolleravano talvolta la sua rigidità, questo torna a suo vanto e i detrattori sono degni di sprezzo se finita la guerra, peraltro persa cercano di vendicarsi con la calunnia.
Si arriva all'ignominia di volere fare apparire sotto riprovevoli aspetti un atto burocratico di normale avvicendamento: nulla di scandaloso se "la direzione generale di Ps [fu] lapidaria nel [comunicare] alla questura di Trieste la decisione, già ai primi di giugno:
398111/333- Questore Messana Ettore cessa col quattordici corrente dalla direzione codesta Questura rimanendo at disposizione Ministero. Telegrafate partenza.[1]"
A me pare che quello che si vuole fare apparire come una macchia nello stato di servizio del Messana torni a suo merito: oddio! non era gradito ai fascisti di Bologna, quale maggior merito di questo? La faziosità arriva all'illogicità. Trascrivo letteralmente:
"Ma si dovette pervenire a quella decisione attraverso un lungo tempo di sopportazione e dopo vari tentativi degli stessi apparati fascisti del luogo di destinarlo ad altra sede. E di fatti si era registrato un tentativo di trasferire il Messana a Bologna, poi temporaneamente sospeso e prorogato al 5 maggio.[2]"
Le dicerie di Ricciardelli sono di una vacuità e insipienza assolute; non val la pena neppure di soffermarcisi sopra.
[continua]
Messana Ettore
Nato il 2 aprile 1888 a Racalmuto (Agrigento), fu questore della Questura di Lubiana dal giugno 1941 fino al 15 maggio 1942. Poi fu questore a Trieste.
Finita la guerra, vine promosso capo della Polizia in Sicilia e deve affrontare . burrascosevicende soprattutto per ilo caso del bandito Giuliano.
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Citiamo qui documentazione (molto parziele e spesso faziosa) che attiene al nostro grande compaesano il questore Ettore Messana. Questi paziali dati burocratici ne stagliano la titanica figura
[1] Prefettura di Trieste, Nota del prefetto Tullio Tamburini alla questura di Trieste e p. c. alla Ragioneria della regia prefettura di Trieste, con oggetto. Gr.Uff. Dott. Ettore Messana questore, 7 giugno 1943 XXI, gab. 018/2286. Il telegramma di Senise riportato dal prefetto Tullio Tamburini al questore di Trieste, 30 maggio 1942, XX, gab. 062/6454
[2] Cfr. ibidem, il prefetto Tullio Tamburini al questore di Trieste, fonogramma a mano, 28 aprile 1943, XXI, gab. 016/1724; e nota dello stesso prefetto del 16 aprile 43, gab. 018/1468 –2
[3] Prefettura di Trieste, Polizia della Venezia Giulia, Divisione criminale investigatica, Atti di gabinetto, b. 18, nota dell’ispettore capo Feliciano Ricciarelli al prefetto di Trieste, 6 ottobre 1945, prot. 481
[4] Prefettura di Trieste, Atti di gabinetto, b. 18, nota del prefetto Bruno Coceani alla Direzione generale di Ps del Ministero dell’Interno, 24 maggio 1944, gab. 018/1895
[5] Cfr. Archivio della Repubblica Slovena, Lubiana, Kraljeva Kuestura, AS 1796, 1941-1943, f. 1/II,2 31 agosto 1942 riguardante l’arresto di Antonio Tomsic; Rapporto del prefetto di Chieti al Ministro dell’Interno e all’Alto Commissario di Lubiana, riguardante l’internamento a Tollo di Miran Pozenel, div. Di Ps., prot. 05879, 12 giugno 1942; Ministero dell’Interno, direzione generale di Ps all’Alto commissario di Lubiana, Emilio Grazioli, per l’internamento di Giovanni Gradisek, prot. 447/05167 del 25 maggio 1942; Ministero dell’Interno all’Alto commissario di Lubiana, prot. 448/306997, 19 maggio 1942, per l’internamento di Rodolfo Fink a Pisticci; il prefetto di Padova Vittorelli alla R.questura di Chieti e all’Alto commissario di Lubiana, 22 giugno 1942.
[6] Cfr. Archivio Centrale dello Stato, Sis, b. 36, fasc HP27/Agrigento, class.: segreto. Titolo: Sciacca (Agrigento), assassinio del rag. Miraglia, segretario di quella Camera del Lavoro, 18 marzo 1947
[7] Cfr. Repubblica Slovena, Lubljana, Archivio Nazionale, CC.RR. , vol. 155/I, nn. 8-9-10, n. 13; lettera del maggiore Raffaele Lombardi al Comando del gruppo CC.RR. di Lubiana, 19 gennaio 1942; il capo della polizia Carmine Senise all’Alto Commissario per la provincia di Lubiana, 6 aprile 1942; per l’attentato alla linea ferroviaria Skoblica- Smaric, il fasc. 16; per gli arresti per attività antiitaliane, fasc. 18.
[8] Cfr. ivi, Comando raggruppamento camicie nere d’assalto; il luogotenente comandante Renzo Mantenga alla sezione Celere CC.RR. di Lubiana, fasc. 154/II, n. 5, 1° novembre 1942.
[9] Cfr., ivi., CC.RR., b. 154, II, 1941, il questore Messana al comando gruppo CC. di Lubiana, 14 luglio 1941, e nota del luogotenente comandante Renzo Mantenga, Comando raggruppamento Camicie nere d’assalto alla sezione Celere CC.RR. di Lubiana, 1 nov. ’42.
[10] Cfr. ivi, Nota del capitano dei CC.RR. Salvatore Spatafora all’Alto Commissario e alla Regia Questura di Lubiana, prot. 75/299, 4 dicembre 1941; fasc. 42.
[11] Cfr. ivi, Comando del gruppo dei CC.RR. di Lubiana, fono 1/109 del 9 dicembre 1941; fasc. 42.
[12] Cfr. ivi, Kraljeva Kuestura, 1796, VI, R. Ufficio di Ps di confine di Novo Mesto, gab. 0239, 12 gennaio 1942; e ibidem, prot. I n.0952 del 31 gennaio 1942. Un importante documento della resistenza jugoslava, anche se parzialmente mutilo, è reperibile allo stesso fondo, 1796, n° 1, f. 1/II.
[13] Cfr. Ivi, Comando gruppo CC.RR. di Lubiana, fasc. 14, Battaglione CC.RR. “Milano, Tenenza Lubiana Esterna, il tenente Mario Guarino all’Alto Commissario di Lubiana, 9 dicembre 1941; fasc. 43.
[14] Cfr. ivi, segnalazione del capitano Salvatore Spatafora all’Alto Commissariato di Lubiana, 28 dicembre 1941; fasc. 47, per il caso di Tomc Joze al fasc. 45.
[15] Cfr. ivi, b. 154/II, n. 5. Sugli innumerevoli suicidi, CCRR., gruppo, b. 156/III, n. 5.
[16] Archivio di Stato di Lubiana, 1931, segnato RSNZ, SRS, Questura, 2022-3/ n. 59. Si tratta di un documento microfilmato, intestato a Ettore Messana e recante il n. 168013. La traduzione è stata effettuata dal prof. Boris Gombac, residente a Lubiana.
[17] Cfr. Archivio di Stato di Lubiana, AS, 1551, Zbirka Copij, Skatla 98, 1502-1505. Caso n. R/IT/75- Nomi degli accusati: 1) Ettore Messana, questore a Lubiana (Fasc. 263); 2) N. Pellegrino, commissario di PS a Lubiana (Fasc. 266); 3) dott. Macis, tenente colonnello, procuratore del Re, tribunale militare di guerra a Lubiana (Fasc. 267). Data e luogo del presunto crimine: durante l’occupazione italiana della Slovenia. Numero e descrizione del crimine nella lista dei crimini di guerra: I) Assassinio e massacri- uso sistematico del terrorismo; III) Tortura di civili; V) Violenza carnale; VII) Deportazione di civili; VIII) Internamento di civili in condizioni inumane; XII) Tentativo di denazionalizzare gli abitanti del territorio occupato- Violazione degli articoli 4, 5, 45, 46, regolamentazione dell’Aia, 1907, e dell’art. 13, Atti jugoslavi per le Corti Militari, 1944.
[18]Cfr. Repubblica slovena, Archivio nazionale di Lubiana, AS 1781, f. 154/I, CC.RR, 1941, il capitano della Compagnia di Cocevie, Pasquale Luciano al Comando dei CC. di Lubiana, n. 113/77-1, prot. Div. .III, 6 novembre 1941.
[19] Cfr. ivi, il maggiore comandante del gruppo CC di Lubiana a tutte le compagnie dipendenti, n. 64/1, prot. Segreto, 12 ottobre 1941.
[20] Cfr. ivi, il Comandante la Tenenza, Augusto Fabri al Comando CC.RR. di Lubiana, 4 novembre 1941.
[21] Cfr. ivi, CC.RR., b. 155/III, e b. 156/I, il maggiore maresciallo Leonardo Capozzi alla regia questura, Lubiana, 22 settembre 1941; nota del tenente comandante CC di Longatico Filippo Falco alla R. Questura di Lubiana, 8 ottobre 1941.
[22] Cfr. ivi, CC.RR., b. 157, I (tutto il fondo CC.RR. porta il numero 1781 e comprende le buste fino a 185); sulla fucilazione di ostaggi, tra gli altri, il comandante la Compagnia del Gruppo CCRR di Lubiana all’Alto Commissario di Lubiana, b. 157, I, riservata del 25 maggio 1942; cfr. inoltre ivi, Kraljeva Kuestura Ljubljana, 1941-1943, 1796, corrispondenza di luglio-agosto 1941., n° 2, f.1, 1941; n°2, f.II/2; circolare di Messana al Comando CC di Lubiana interna, 17 marzo 1942.
[23] Cfr. Discorso di Girolamo Li Causi al Senato della repubblica, 23 giugno 1949, in Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, Atti relativi alla strage di Portella della Ginestra, parte prima, p. 90.
[24] Cfr. http://www.carabinieri.it/Internet/Arma/Curiosita/Non+tutti+sanno+che/G/40+G.htm
[25] Cfr. Archivio nazionale della Repubblica slovena, , AS 1796, Kraljeva Kuestura Ljubljana, 1941-’43, f. 1/I, documento a firma Verdiani del 29 maggio 1942.
[26] ACS, Ministero dell’Interno, Sis, Relazione dell’Ispettore generale di Ps Fausto Salvatore al Capo della Polizia, Roma, 18 marzo 1947, inviata dal direttore capo divisione del Sis il 29 ottobre 1947, div,. Sis, sez II, prot. 224/62345, b. 36, f. HP27 (titolo: ‘Agrigento’), oggetto: Assassinio del rag. Miraglia, segretario Camera del Lavoro di Sciacca
Claudia Cernigoi
stasera ho inviato questo breve preavviso a Claudia Cernigoi:
lei dovrebbe essere l'autrice di foglietti infamanti il dottore Ettore Messana già ispettore generale di pubblica sicurezza. In contatto con la nipote di tanto grande personaggio della storia di Italia ho fatto e continuo a fare ricerche che la smentiscono in pieno Non so se reputa di procedere ad una sorta di resipiscenza operosa. Sappia che la signora Giovanna Messana non è persona da oppiare. Certo non ha avuto tempo per inseguire e perseguire codesti sedicenti storici fabbricanti di calunnie nei confronti del suo grande avo. Ma ora ha deciso.
lei dovrebbe essere l'autrice di foglietti infamanti il dottore Ettore Messana già ispettore generale di pubblica sicurezza. In contatto con la nipote di tanto grande personaggio della storia di Italia ho fatto e continuo a fare ricerche che la smentiscono in pieno Non so se reputa di procedere ad una sorta di resipiscenza operosa. Sappia che la signora Giovanna Messana non è persona da oppiare. Certo non ha avuto tempo per inseguire e perseguire codesti sedicenti storici fabbricanti di calunnie nei confronti del suo grande avo. Ma ora ha deciso.
A proposito di un mio vecchio libro: LOMBARD - SOLDI TRUCCATI
Nel caldo agosto dello scorso anno ebbi l’ardire di sollecitare una resipiscenza addirittura da
parte del Signor Governatore della Banca
d’Italia. Perdonatemi il sussiego stilistico (che apparirà vacuo e falso a chi un po’ mi conosce). Semel sacerdos, semper sacerdos … ed io in B.I. arrivai ad essere come dire un arcivescovo e per giunta giovanissimo:
figuratevi se può cessare di scorrere nelle mie vene sangue servile verso il sommo mio superiore, come dire il papa di santa romana chiesa.
parte del Signor Governatore della Banca
Economia
Lettera al Governatore di Bankitalia
di Calogero Taverna
Ill.mo Signor Governatore dottor Visco, se Le dico che sono l’ex ispettore di Vigilanza Calogero Taverna, colgo un sorriso: Carneade chi era costui. Avventuroso siciliano bazzico di questi tempi la citta di Rieti. Provo grande rammarico nel vedere sbarrata – e mi dicono in vendita alla Fondazione Cassa di Risparmio – la gloriosa filiale BI. La realtà reatina è molto complessa e nulla ha a che fare con la regione o con la stessa provincia di Roma. Non riesco a comprendere come si proceda ad obnubilare, per discutibili lesine sulla spesa, gloriose istituzioni. Una sede provinciale è centro propulsivo propugna iniziative oculate e crea cultura, lega la periferia al centro, corregge distorsioni al momento del loro insorgere negli affari bancari e finanziari, svolge una vigilanza a stretto contatto con il territorio, ed altro, altro ancora. Giammai è vacuità dispersiva di fondi pubblici. Sono legato alla vecchia legge bancaria e per me resta ineludibile il brocardo iniziale che voleva raccolta del risparmio ed esercizio del credito faccende di “interesse pubblico”, espressione che non convinceva i legulei ma che ha determinato miracoli economici ed ispirato governatori sommi. Visto che in questo momento né Bertone né Tarantola si sono potuti impossessare dello scranno di via Nazionale 91, La prego Signor Governatore si conceda una pausa di riflessione, si convinca che risparmi per riforme dissennate ed “incolte” vanno dismessi. Gli “americani” che sono approdati a palazzo Koch vanno rettificati, corretti, ripensati e i loro errori gestionali devono essere superati ripristinando l’autoctona cultura italiana. E ciò glielo dico da Sinistra. Riapra Rieti ed altre provvidenziali strutture della periferia. Il Paese gliene sarebbe grato.
22 agosto 2012
Nei pressi del Natale scorso, ricevuta una sostituzione della consueta strenna, ma stavolta in forma personalizzata ed intimista, riscrissi al signor governatore Ignazio Visco. Ne ho pubblicato il testo, ma emendato dalle confidenze che mi permettevo.
Tante volte avevo scritto ai miei ex superiori. Lo avevo fatto con Ossola, l’avevo fatto con De Sario, l’avevo fatto con Finocchiaro, l’avevo fatto soprattutto con Fazio: mai un rigo di risposta. Non mi degnavano.
Ma mentre me ne stavo in Sicilia, nel paese di Leonardo Sciascia, ecco una splendida sorpresa: mia moglie mi legge per filo un carinissimo pensiero personale nientemeno che del signor governatore Ignazio VISCO.
Codesta lettera per buona educazione dovrei tenermela riservatissima. Ma a me li stullicherie della buona borghesia mi danno fastidio. Io la pubblica. Spero che il governatore non se ne abbia a male. Non posso dire che sono in buonafede .. in fondo mi sento dispensato da ogni obbligo di riservatezza perché trattasi di gesto gentile, signorile, democratico, rispettoso che segna un nuovo deal in Banca d’Italia. Ecco un segno che qualcosa sta cambiando in questo glorioso istituto con sede in via Nazionale 91 Roma. Che a dire il vero si stava sclerotizzando. Mi attiravo questa sera un sorriso compiacente di una bella signora (ed a me le donne piacciono anche se sono fedelissimo a mia moglie; se leggete La Donna del Mossad saprete che assieme a De Sario ero l’unico monogamo dell’Ispettorato Vigilanza) facendole la genealogia dei successori nel massimo scranno di Via Nazionale, come per i papi a San Paolo fuori le mura. Tralasciamo i papi o gli antipapi dell’epoca fascista, dell’occupazione di Roma e partiamo dall’economo (sic) Einaudi (Andreini veniva malamente sbertucciato dalla signora governatrice quando si azzardava a lamentare il costo della bistecca per ottenere una busta in nero in più per il personale: la famiglia Einaudi correva il rischio di non mangiare più carne). Eccoci Menichella, cupo, serio o tetro nel parlare con De Gasperi ed altri d’altissimo loco, che pur di non fare strabordare il pinguissimo bilancio della banca di ultima istanza non assunse laureati per vent’anni. In Banca d’Italia si assumevano quindi solo applicati, uscieri e cassieri, semplici principali e centrali che figli di generali e dintorni andavano a lavorare in tight e cravattino. Certo poteva scapparci che nel liquidare certi assi ereditari in contanti chiedevano se c’erano tutti i DE CUIUS.
Venne Carli e fu il Risorgimento. Questa Italia non più contadina, non più pezzente, euforica, persino opulenta si deve alla ingegneria finanziaria del principe rinascimentale Guido Carli. Poi la notte dei lunghi coltelli del settembre 1974. Caso Sindona e Occhiuto che non vuole saperne di assistenze dissipatrici e si rivolta contro il nordico antagonista di due gradi superiore a lui, ma inidoneo a tenergli testa. Un senescente Baffi che passa dai libri ad un doppio talamo avrà gli osanna di chi glieli vorrà tributare, ma non i miei. Quando una volta ebbi a dovergli fare da commensale (i signori del Direttorio pensavano di democratizzarsi stando seduti nella frugale mensa aziendale - ma in stanzette riservate – con quattro o cinque della carriera direttiva): Oh! Ma lei è quello che l’avvocato Sindona la redarguisce con un “un tal Calogero Taverna”. La mia carriera era finita! Fece nervoso andarivieni per una intera notte preparandosi atterrito come uno studentello per il giorno dopo, convocato da Alibrandi. Ma Alibrandi fu cortesissimo: si alzò in piedi e andò ad ossequiarlo. L’interrogatorio fu un rispettosissimo declinare le generalità e il magistrato si scusò persino per l’incomodo.
Lascio Ercolani alle sue conquiste, anche ad ottant’anni e mi dovrei dilungare nell’ossequio a Ciampi: diciamo che nessun grande uomo è grande per la sua cameriera ed io cameriere di codesti grandi uomini lo sono stato. Non fatemi parlare, finirei inquisito per vilipendio. Certo io a Ciampi glie ne ho dette .. ma lui me ne ha date. Chiamerei a testimoniare persino Sarcinelli.
Che dire di Fazio? In questi ultimi tempi mi ero persino impegnato a difenderlo, ma uno sciagurato Confiteor con risposte in latino ad un abile Mucchetti ha rovinato tutto: una condanna definitiva ed un rinvio al secondo grado da parte della Cassazione lo stanno squartando anche finanziariamente, persino il grande avvocato deve pagare di tasca sua: la Banca d’Italia non intende accollarsi spese legali di sorta.
Sull’americanino Gradi che debbo dire? Non è che l’occultamento di derivati dalla finanza creativa di provenienza statunitense si deve a questo ex direttore generale del tesoro, emigrato in America e ritornato come estraneo ai vertici dell’ex istituto di emissione.
Ora che la Tarantola non è finita al top di via Nazionale per predilezione cardinalizia e per volontà del novello uomo della provvidenza un tal Silvio, insufflato da un tal Giulio junior e al suo posto per un mancato regolamento dell’art. 19 ci sta il dottor Ignazio Visco io comincio a rasserenarmi. E’ uomo avveduto e colto, sa davvero di economia, è integro, educato e con qualche venatura rossa che ai miei occhi non guasta. Il MPS non gli appartiene: non è toscano, non è livornese, non è triglia. L’Italia può ben sperare. I dipendenti della Banca d’Italia un po’meno: si è messo in testa che la parsimonia si addice all’Istituto che una volta emetteva carta moneta. Non mi piace che ogni lunedì nella sua sede di via XX settembre in quella strana cassa che si dice di sovvenzioni, c’è la fila da parte di postulanti qualche migliaio di euro chiesti in prestito sotto forma di apercredito.
Quello che Visco mi dice in risposta ai miei convenevoli (si fa per dire) l’accetto di buon grado e ringrazio. Peccato che non ho figli, diversamente quella elegante lettera gliela avrei lasciato come cespite di altissimo valore.
Quanto alla risposta per Rieti, sono molto costernato ma debbo dire che non sono d’accordo: se la Banca d’Italia ragiona con il metro mercantilistico dei costi/benefici scade in banale organismo con l’obbligo del profitto. E mi si dice che di questi tempi manco il conto economico riesce più a chiudere. Scempiaggine: mi chiamino e in quattro e quattr’otto pinguissimo ritorna il saldo sotto la linea patrimoniale. Certo quando la Tarantola faceva la ragioniera le cose sballottavano. Vi sento puzza qui di vecchia gestione, alla Finocchiaro per intenderci. No! Signor governatore non si faccia infinocchiare: si sa che questo non è il suo campo. Non si fidi degli eredi dell’uomo che impoverì i dipendenti creando un ribellismo nella compagine impiegatizia che tanto ha contribuito al deterioramento del buon nome dell’istituto. Esiste l’Istituto della mobilità; non occorre licenziare basta spostare. Ai tempi di Carli (meglio di Occhiuto) l’ispettore capo alla Vigilana come cambiava e come migliorava il Servizio.
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