Caro Padri PUMA
Tu sai bene che siamo stati amici, molto amici; dal 10
ottobre 1945 sino al dì del tuo trapasso, ininterrottamente. Mai abbiamo
litigato (cosa per me rarissima) eppure la pensavamo agli opposti. Ti ho
inviato una letterina indirizzandola al Regno de’ Cieli. L’hai ricevuta? Non mi
è ancora pervenuta risposta. Ho l’impressione che invece di stare tra le nubi
celestiali stia molto meglio tra le ombre dell’Ade omerico. Convenivi con me che
quella storiellina di Sciascia, prima fu arabo (per via del cognome) e poi
nacque, non regge. Meglio pensare che veniamo noi tutti racalmutesi autoctoni
dalla Magna Grecia. Certo, osta la selva di tombe sicane. Tucidide voleva noi
sicani, anche racalmutesi, risalenti a 700 anni
prima della caduta di Troia. Per questo le cartoline illustrate di Racalmuto
datano quella gioiosa necropoli sotto la grotta di Fra Diego nel 1800 a.C., né
un giorno in più né un giorno in meno. Solo che il professore La Rosa parla a
proposito di giarmaliddi, rinvenuti
nella finitima Milocca, vecchi di otto-10 millenni a ritroso da oggi. E ciò per
via di certi esami atomici fatti a Catania. A me quella storia convince ed a te?
non puoi informarti presso l’attuale sempreterno tuo datore di gioie
celestiali?
Tu hai lasciato una bella matrice (cioè, non esageriamo, una
non fatiscente Matrice); il tuo successore che noi sappiamo bene chi è per
essergli stati vicino nei suoi primissimi anni di seminario, mi pare che indulga
in atteggiamenti ondivaghi. Intanto la lapide che i murifabbri della Matrice
avevano lasciato a tua perenne gloria resta – mi pare – in basso quasi
impercettibile accanto al paravento di fondo. Una mia idea di celebrarti per la
tua poliedricità l’avevano obliata ma
ora in questo commissariato natale si sono portati al circolo di li
galantuomini e scrivono che ti hanno incensato. Che patri ciucia metta nel
turibolo incenso per te non mi convince tanto. Mi raccontavi che ti eri proprio
incazzato quando ti regalò un libretto ove si insegnava come predicare ai
fanciulletti. A dire il vero una cosa sola hai preso dal tuo predecessore, le
lungaggini predicatorie nella messa
solenne della domenica. Ora il tuo vezzo l’ha preso il mio amico diacono che
non l’ha di sicuro imparato quando cu chiuviddu si fece comunista da parrinaro
qual era. Ora da repentito predica e lascia muto il caro amico Liddu Curtu,
questo riuscito curato d’Ars di Racalmuto.
Per quel che ho letto, un ragazzuolo nel dire di te le
ovvietà tanto scontate cioè quel tuo modo di interloquire con il tuo
caratteristico “fratie’”, ti ascrive a merito una virtù che aborrivi: quella di
respirare pruvulazzo d’archivio. Quando mi hai consentito di spaziare tra i
rolli e i quinterni della matrice, un patto tacito c’era tra noi: quello che
trovavo che te lo dovevo passare per farne l’uso che ritenevi più utile, visto
che a te di fare ricerche d‘archivio non ti gustava tanto, ed in questo somigliavi
a Nardu Sciascia. Io, la promessa l’ho mantenuta – diversamente da un nobile
dei raggi X che invece usòo materiale mio e suo (poco) per fare un tomo
ecclesiastico e tu che sapevi arrabbiarti a freddo lo infilzasti a San
Franciscu. Ti diedi un dattiloscritto di quattrocento fogli A4. Cercasti di
farti beneficare dal Comune per una pubblicazione a nome tuo, ma il volpino ufficio
non se ne dette per inteso e quel malloppo storico finì obliato nei tuoi
cassetti. Appena te ne sei andato lassù,il ragazzuolo se ne impossessò, ne copiò,
qualche quinterno, fece finta che sì era robba tua ma ti era stata data dal
professore di famiglia e le mie povere fatiche finirono sotto alieno
autore. Siccome già quella robba l’avevo
per altri versi pubblicata non credo che verrò querelato per plagio. Tu che ne
dici?.
Torna sempre la storiella della tua fraterna amicizia con il
maestro Leonardo (Sciascia). Debbo
ammetterlo: di questa cosa ti vantavi troppo. Ma sapevi bene che non era
amicizia corrisposta. Il maestro Leonardo, sul letto di morte, dando fuoco
all’anima, ebbe dire che lui un solo prete buono aveva conosciuto (veramente ne
aveva sentito parlare) quel vescovo di Patti dal Papa Giovanni derubricato ad
arcivescovo degli infedeli e dal vescovo di Agrigento restituito come quasi
“cappellano”all’arciprete di Caniattì; parlo di mons. Ficarra.
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