venerdì 22 febbraio 2013
Mi aiuti lei prof. Umberto Eco, mi aiuti a capire il rapporto BI su MPS
Peccato che non ho confidenza alcuna con Umberto Eco, diversamente l’avrei pregato di spiegarmi la significatività di questo passo della nuova letteratura economica della Banca d’Italia:
«L’esigenza di recuperare margini reddituali ha indotto a perseguire strategie di carry sull’intero bilancio e d’investimento a leva in titoli governativi italiani che hanno richiesto il reiterato dei limiti interni a determinato un’elevata esposizione al rischio al tasso di interesse.»
E perché saputo una cosa del genere la Tarantola deve andare in galera? Davvero è legittimato il Rizzo banchiere ad affermare che lui nulla aveva da dire: solo confermare la rappresentazione di fatti gravi che un ispettore BI aveva effettuato alla Tarantola?
Non conosco l’inglese, anzi lo odio: quindi ho preso un vecchio vocabolario e trovo due significati alla voce CARRY, il primo non mi dice nulla, il secondo mi diverte: “portata di cannone , di fucile, di palla da gioco, di un fiume di un battello - posizione del ‘present arm’.
Ma questi del MPS che si sono messi a sparare cannoni e fucili con la loro “politica di bilancio”. Vecchia faccenda quella della magistratura di Milano che nulla sapendo di bilancio pontificavano sul divieto di siffatta politica. Ed il buon ONIDA, reduce da una scuola che risaliva al buon Luca Pacioli, controbattevano che il bilancio “è una realtà pensata e nessuno può fornirne la formula matematica “come non si può dare " la formula chimica dell’acqua sporca che corre sulla strada”.
Ai magistrati allora appariva mistificazione connivente. Alla Banca d’Italia vi fu una repentina conversione alle concezioni aliene anglosassoni del bilancio quotidianamente verità e alla sottomissione anche degli enti pubblici economici alle ferree leggi del mercato, all’aziendalismo privatistico.Solo che dopo, anche per poter far fingere di “vigilare” “controllare” “prevenire” “punire” si inventò una evanescente “vigilanza prudenziale” di cui il buon dottore Vincenzo Cantarella (e crediamo anche il suo valente numero due) un per lucido espemio in questo rapportino tanto divulgato, tanto incriminante secondo l’attuale imperante vulgata.
Così si legge impunemente:
In un lettera pubblicata oggi dal «Giornale» Antonio Rizzo, ex manager Dresdner Bank - ora alla Bcc di Carate Brianza - e principale teste d'accusa nei confronti dei vertici Mps ascoltato ieri in Procura in merito alla banda del 5 per cento, ha cercato di ridimensionare il proprio ruolo nella vicenda: «ho denunciato il malaffare nel 2008 e il sistema per il quale lavoravo ha cercato in tutti i modi di farmela pagare», esordisce. Precisa anche che non è un martire perché per anni ha incassato lauti stipendi e bonus.
Nella sua lettera al quotidiano milanese Rizzo dice innanzitutto che ormai le leggi non riescono a disciplinare «in tempo reale» la materia dei prodotti finanziari, che si evolvono in modo veloce. Ma nonostante ciò boccia la proposta di Bersani della «commissione d'inchiesta sui derivati» bollando la vicenda Mps come «un chiaro caso di falso in bilancio, malversazione e probabilmente approvazione indebita ai danni degli azionisti grandi e piccoli».
Per arrivare a questo scarica barile:
«Non sono io il supertestimone ma la dottoressa Tarantola» - dice Rizzo -, l'ex vicedirettore generale della Banca d'Italia che nel novembre 2010 lesse la relazione dei propri ispettori su Mps non trovando nulla da eccepire. Di diverso avviso sembra essere la Procura di Trani, orientata all'archiviazione della posizione dell'attuale presidente Rai.
Rizzo attacca anche il ministro delle Finanze, Vittorio Grilli, per non avere saputo spiegare le responsabilità politiche e istituzionali sui buchi nei conti Mps. Riserva infine due siluri all'operazione Casaforte - approvata dalla Vigilanza - e secondo lui volutamente tenuta sotto traccia, e ai Monti bonds, operazione di «trasferimento di ingenti capitali dall'economia reale e dallo Stato alle banche con la complicità dei loro amici» e il più grande derivato stipulato a danno del contribuente italiano.
La dottoressa Tarantola si doveva impressionare per il fatto che in MPS vi era stato “un investimeto a leva in titoli governativi italiani”?.
Che doveva fare il MPS investire in titoli governativi francesi o meglio tedeschi (così la Merkel era contenta) o affidarsi a quei marpioni dei banchieri olandesi di rito scozzese?
L’ho detto mille volte e lo ripeto: la Tarantola non mi è simpatica, piace troppo a Bertone, Berlusconi e Tremonti. Solo così dalle filiali (sia pure anche dalla sede di milano) è approdata a quel tritacarne che è la Banca d’Italia dell’Amministrazione Centrale romana. Ma aveva raggiunto un ruolo di massima immedesimazione organica nel settore della Vigilanza.
Verrà dalla Bocconi, ma non ha vissuto il melodramma della trasformazione della vigilanza tradizionale (triplice profilo: saldezza patrimoniale, equilibrio negli indici di liquidità e buona capacità di reddito) a quella c.d. “prudenziale” delizia dei tanti Basilea, pedina di lancio di tanti rampanti funzionari di Palazzo Koch.
Tutto sommato la Tarantola era ferma a quello che scrivevo a De Mattia:
Obnubilo ogni mia voglia chiosante dei tuoi intricanti passaggi d’alta analisi istituzionale di questo modernissimo groviglio del controllo sopranazionale del credito, imperante un rutilìo di saggezze svizzere, canonizzate a Basilea.
… Ciò … non significa cadere nell’eccesso opposto secondo una visione rigoristica e dimenticare che la Vigilanza e chi ne è a capo non sono meri arbitri – come un’errata impostazione di alcuni giudici penali vorrebbe – non sono insomma, solo organi di una magistratura economica, ma hanno anche una funzione propulsiva per la stabilità aziendale e sistemica, esercitano un compito anche di indirizzo, possono ricorrere alla moral suasion, attivano tutte le misure disponibili per la sana e prudente gestione del credito; rispondono agli obblighi fissati dall’art. 47 della Costituzione sulla difesa del risparmio.
In ogni caso, costatato il fallimento del soft touch occorrerebbe provvedere …
Mi accorgo però di essere davvero obsoleto. Certi tuoi incisi ai miei tempi sarebbero stati eretici. E siccome tutto tu sarai ma non chierico vagante, quello che dici origina da ben consolidate riforme che ovviamente mi sono sfuggite.
Ti chiedo quindi alcune spiegazioni.
A) essere arbitri legali per un governatore avrebbe un fondamento, solo che non bisognerebbe eccedere in visioni rigoristiche. Ho presente lo strillare di Carli alle prese con il banchiere di Dio, con il caso Bazan e ai miei tempi con magistratura meneghina piena di grevi giudici all’Urbisci e Viola, prima, Colombo, dopo, martellante il concetto che tentazioni volte a considerare in qualche misura un magistrato speciale il Governatore della Banca D’Italia, quello della vecchia legge bancaria, precedente la costituzione ma non rinnegata da questa, era follia giuridica: il governo dell’economia monetaria, creditizia e finanziaria provava disgusto dei lacci e laccioli del formalismo leguleio. Tanta, possibilmente sola, moral suasion e se qualcuno sgarrava, bastava chiudergli i cordoni della borsa, quella a presidio del credito di ultima istanza di cui aveva l’esclusiva il banchiere centrale, il famoso risconto tanto per intenderci e semplificare. Non è più così? Ricordo un accigliato Antonio Fazio dichiararsi prosecutore della linea Carli. Non fu capito, qualcuno derise ma era un imbecille.
B) Pensare solo che ci possa essere “una magistratura economica” mi pare attentato alla Costituzione. Qualche norma l’ha fatto? Qualche accordo di Basilea si è surrogato al lungo percorso necessario qui in Italia per sovvertire la Costituzione? Esagero?
C) Ecco che mi viene rifilata la storia dell’aziendalismo: la banca mera e semplice impresa privata, senza dover adeguarsi alle esigenze di giovare al “pubblico interesse”. Già nella riforma del Titolo quinto della Costituzione, anche noi di sinistra cademmo nell’abbaglio che sfoderare l’interesse nazionale era da fascisti. Sbagliammo. Correggiamoci.
D) Impresa, bilancio, verità di bilancio: gridavo a De Sario & C. che abbandonare lo sciatto linguaggio italico era dissennati e che era minchioneria parlare anglosassone o dover pensare tedesco perché e dovere rinnegare la nostra gloriosa cultura ragionieristica in quanto robaccia obsoleta. Citavo Onida: esistono tante verità di bilancio quanti sono gli obiettivi che ci si prefigge; non si può dare la formula della verità di bilancio come non si può dare la formula chimica dell’acqua sporca che scorre per le strade. Soggiungevo, sempre forte dell’Onida, che la verità di bilancio è una verita PENSATA. Giammai la contabilità di per sé fa istantaneamente BILANCIO. A fine anno, per lo meno per un trimestre successivo hai bisogno di fare le scritture di assestamento per le valutazioni – verità pensate – che anche il codice civile ti impone. Basilea, per quanto ne so, se ne infischia: Bastano i ratios. Di cui tutti sono maestri a farne ghirigori da modelli microeconomici. E così, per me, hanno mandato in galera (o meglio quasi in galera), il più galantuomo dei governatori che abbia avuto la Banca d’Italia.
E) Senza assunzione di rischio non si fa banca. I concetti di IMMOBILIZZI, INCAGLI, SOFFERENZE, Ammortamento di sofferenze in base misurazioni aritmetiche sono imbecillità. Potrei sollazzarmi e sollazzare con esempi da me vissuti in ispezioni di grande risalto che mi hanno voluto improvvidamente affidare i grandi del passato della Vigilanza di Via Nazionale 91. Non ho cultura anglosassone, disprezzo Basilea… ma mi si accordi un minimo di irripetibile esperienza.
Caro Angelo. Spero in una tua formidabile stroncatura – una di quelle di cui tu sei impareggiabile maestro: così potrò mettermi l’anima in pace, all’occaso, davvero, del mio esistere.
Calogero Taverna
Ecco perché finisco con solidarizzare con la clericalissima Tarantola. Aggiungiamo che essendo l’unica donna ascesa al Direttorio, l’imperante maschilismo di via Nazionale è ben felice di fracassarla e il femminismo imperante non sa difenderla.
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