Racalmuto sotto Giovanni V del Carretto
Qui la vita scorre come può. Sotto l’arciprete Filippo Sconduto (vedi
sopra) inizia la controversia per sottrarre Racalmuto all’indesiderata
giurisdizione dell’ingordo vescovo Traina e passarlo a quella del Metropolita
di Palermo. Ci informa il Pirri:
dopo il maggio del 1631, «paucos post menses litterae
Romae 13 Decembr. , 14 ind. exaratae mandato Marci Antonii Franciotti Apostol.
Camarae Auditoris advenere, quibus decretum erat, ut oppida Ducatus Sancti
Joannis et comitatus Camaratae, item et Juliana, Burgium, Clusa et postea Rahyalumutum dioecesis Agrigentinae in
criminalibus, et civilibus causis ab ordinaria jurisditione subtraherentur et Panormitano Metropolitae subijcerentur.»
Il nocciolo della questione era dunque che San Giovanni
Gemini, Cammarata, Giuliana, Clusa e Racalmuto ne avevano le scatole piene
delle pretese del vescovo Traina. Un delatore, canonico, ebbe a scrivere in
Vaticano che il prelato era talmente sordido ed avaro, da avere accumulato
montagne di denaro contante che deteneva in cassapanche sotto il letto. La
notte, preso da raptus estraeva le
casse, le apriva, e ci si curcava sopra.
Questi paesi si erano consorziati ed avevano adito le vie legali della corte
pontificia, chiedendo di passare da sottoposti di Agrigento a sottoposti di
Palermo. L’uditore della Camera Apostolica, Marco Antonio Franciotto comunicava
l’esito positivo in data 14 dicembre 1631, quando lo Sconduto, sicuramente
ispiratore della lite, era già deceduto. Noi abbiamo cercato di rintracciare in
Vaticano questa importante documentazione, ma non ci siamo riusciti. Le carte
furono disperse dopo la presa di Porta Pia. Ma sappiamo dal Pirri che esse si
trovano presso l’Archivio Metropolitano della curia palermitana “in
registr....13 januar. [1632].” Tanto per
chi avrà voglia di cercarle. Qualcosa abbiamo trovato nel Fondo Palagonia, ma
quei diplomi ci dicono poco. Disponiamo solo di una scrittura del 4 gennaio
1632 (A.S.P. Fondo Palagonia - atti privati - n.° 631 - anni 1502-1706). Il
seguito della faccenda, così ce la
racconta il Pirri:
«Quod Philippo IV, summopere displicuisse, datis ad
proregem litteris, quibus animi sui acerbitatem, ac facinoris indignitatem
ostendit, ipsemet aperte testatur. Romae tandem causa agitata, inataque pace
inter Episcopum et oppidorum dominos, ad pristinum rediere locum omnia.»
Filippo IV, dunque, appena saputa la notizia, andò su
tutte le furie: se ne dispiacque proprio summopere,
forte ma tanto forte che più forte non si può, investì in malo modo il viceré a
Palermo scaricandogli la rabbia per quell’impertinenza dei paesi agrigentini,
caduti in un indegno crimine (indignitas
facinoris). Di fronte all’ira del re spagnolo, al viceré toccò prendere
penna e carta e supplicare la corte papale per una revisione della causa. Forse
il vescovo Traina - sicuramente non ignaro di tutti questi maneggi - avrà profuso anche a Roma il suo copioso
denaro (e già perché anche allora Roma era ...
Roma ladrona). Fatto sta che
immediatamente si ridiscute la causa presso la Camera Apostolica ed ecco che
Roma si rimangia tutto: impone la pace tra il vescovo Traina ed i padroni oppidorum, dei paesi agrigentini: tutto
deve tornare come prima: ad pristinum
rediere locum omnia.
Ma chi erano i domini terrae
Racalmuti? Sulla carta Giovanni V del Carretto. Ma costui - come vedesi
nella foto della copertina della pubblicazione racalmutese su Pietro d’Asaro
«il Monocolo di Racalmuto», ove vi appare con la sorella Dorotea - era soltanto
un fanciullo tredicenne, peraltro trasferitosi a Palermo. Le carte del
Palagonia ci vengono in soccorso. Furono i giurati - espressione del potere
feudale - a volere l’eversione dal vescovo Traina: basta scorrere l’atto
notarile riportato infra per desumere gli artefici dell’incauta
iniziativa: è l’intera Universitas ma rappresentata e coartata dai seguenti
notabili:
Universitas terrae et comitatus
Racalmuti Agrigentine dioecesis ex statu temporalis dominis comitis dittae
terrae Racalmuti legitime congregata et pro ea Nicolaus Capilli, Benedictus
Troianus, Petrus de Alfano, et ar: me: dott. Joseph Amella uti jurati dittae
terrae Racalmuti
E’ stata l’intera Universitas Racalmuti, ritualmente
congregata, e rappresentata dai giurati, al tempo Nicolò Capilli, Benedetto
Troiano, Pietro Alfano ed il medico Dott. Giuseppe Amella. Su costoro comunque
non si abbatté l’ira del re di Spagna. Anzi, nel 1639, anno di grande miseria,
un provvidenziale decreto viceregio impone sgravi fiscali ed accorda altre
agevolazioni ai borgesi racalmutesi
che si cerca di mettere in condizione di seminare senza le espoliazioni
feudali: ([1])
Il Viceré comunica ai Giurati delle
terre di Bivona, Adernò, Termini, RACALMUTO,
Bisacquino, Castrogiovanni, Taormina, Caltavuturo, Mazzara e Lentini le
istruzioni emanate sul modo di dare i soccorsi ai borgesi e massari.
(Trib. del R. Patrimonio. Lettere
viceregie e dispacci patrimoniali, di Particolari, dell'anno indizionale
1639-1640, f. 48 e s.) - Il margine si
legge che la stessa lettera fu spedita ai Giurati di Adernò, di Termini, di RACALMUTO, Bisacquino, Castrogiovanni,
Taormina, Caltavuturo, Mazzara. - A pag. 64 del medesimo registro trovasi
riportato la stessa lettera diretta ai giurati di Lentini.
Philippus etc.
Locumtenens et capitaneus generalis in hoc Siciliae Regno nobilibus
Juratis terre Bibone Racalmuti
fidelibus regi dilectis salutem.
Siamo stati informati che per la povertà di borgesi, massari et
arbitrarianti della [contea di Racalmuto] non ponno attendere al seminerio nè
quello coltivare nè fare maysi per l'anno futuro essendo detrimento al regno et
convinendo che un tanto beneficio universale habbia essecutione habbiamo
commesso a voi il negotio acciò con la diligentia necessaria compliate al
dovere conforme sarrà di giustizia osserbando quanto vi si ordina per
l'infrascritti istrutioni sopra ciò fatti del tenor seguente Videlicet.
Panormi die octobris 4^ inditioni 1636.
Instructioni fatti in detto anno sopra il seminerio attorno di far dar
soccorso alli borgisi. Si dovereranno con ogni diligenza informare delli borgesi che sono in detta [contea di
Racalmuto] dell'apparecchio che habbiano di terre così per seminare come per
ammaisare e della bestiame che hanno per il seminerio presentato per li maysi
futuri e per il governo delli seminati e terre
et si sono persone che, essendo soccorsi, si serviranno veramente del
soccorso per seminare e governare li seminati et a quelli che saranno tali et
haviranno bisogno li farrete soccorrere dalli padroni et affittatori degli
feghi et terri delli quali essi borgesi hanno di apparecchio et in caso che
detti padroni et affittatori non siano abili a soccorrere essendo habili di denari,
farrete che coprino [comprino] li formenti per dare li soccorsi et in caso chi
padroni o affittatori siano affatto inhabili a dar soccorso ne di formento ne
di denari per comprarli, farrete dar soccorso da persone facultuse habili a
darlo promettendo loro che se li terrà memoria del servito che in ciò faranno
nelle occorrenze et occasioni et che per la restitutione se li daranno cautele
bastanze preferendoli ad ogni altra gravezza etiamdio delli terraggi [[2]] et che
per la restitutione non se li concederà per il pagamento di detti soccorsi
dilatione alcuna, declarandosi che essendovi borgesi che avessero apparecchio o
terre di ammaisare baronie, feghi, o terre disabitate, questi ancora verranno
esser soccorsi o di padroni o di affittatori, o di facultosi del più vicino
loco habitato con le medesime prelationi nel pagamento di soccorso. Li borgesi
che si soccorrino per seminare doveranno dare pleggeria [malleveria] di seminare
quel soccorso che per tal effecto se li da sotto pena di haver a restituire il
soccorso datogli passato il tempo del seminerio. E Voi passato il tempo
suddetto, essendovene fatta instantia, procedirete alla esecutione delle pene
inremissibilmente, nel tempo del raccolto haverete cura che il primo sia pagato
il soccorso preferendoli ad ogni altro debito quantunque privilegiato, etiamdio
a terraggi o a debiti di bolle che la recuperatione si facci in prontezza e
senza lite. Perciò vi ordiniamo che attorno il dar soccorso alli borgesi et
massari della [contea di Racalmuto] osserverete er essequirete tutto quello et
quanto nelle preinserte instructioni del seminerio si dichiarando in ciò la
diligenza possibile a cui sortisca e passi innanti il servizio essendo di tanto
benefitio universale al regno e servitio di sua Maiestà che Voi circa le cose
premisse ve ni danno la potestà bastante et cossì essequirete per quanto la
gratia di S. Maestà tenete cara.
Datum Panormi 6 octobris, 8 inditionis, 1639. El Cardinal IOAN DORIA. Dominus locumtenens mandavit, etc.
Erano vane promesse, qualcosa di simile alle grida di manzoniana memoria? Vox
clamantis in deserto? Sia quel che sia il cardinale Doria sembra più
commendevole come luogotenente che come dispensatore delle reliquie di Santa
Rosalia.
Nell’ottobre del 1639, i borgesi racalmutesi erano
davvero nelle condizioni tali da non avere più la semente per le loro chiuse? O
era un piangere miseria, veniale peccato ricorrente nel costume contadino di un
tempo? Per avere alleggerite le onnivore tasse.
Gli arcipreti di Racalmuto sotto Giovanni V
del Carretto
A Racalmuto, nella cura delle anime, allo Sconduto era
succeduto il sac. dott. Giuseppe Cicio che dopo un quinquennio cessò i suoi
giorni terreni (+ 6 novembre 1636). Il successore nell’arcipretura, D. Antonino
Molinaro (28 febbraio 1637) dura ancor
meno. Subito dopo muore don Santo d’Agrò (+ 22 luglio 1637) cui infondatamente
Tinebra Martorana, Sciascia e qualche altro ricercatore ancor oggi vogliono
assegnare il merito della moderna Matrice sub titulo S. Mariae Annunciationis.
Il Vescovo Traina, frattanto, seduto sulla sponda del
fiume aspetta il momento della sua vendetta. Finalmente può arraffare
l’arcipretura di Racalmuto, vi manda un suo parente da Cammarata: è anche per
quei tempi un giovanotto e risulterà di scarso discernimento. Si chiama Traina
come lui, di nome Tommaso. Vanta un dottorato, chissà se effettivo. Ha solo 24
anni. Lo segue una caterva di parenti. Molti sono religiosi e qualcuno finirà
la sua vita terrena a Racalmuto come don Filippo Traina (+ dopo il 1643);
altri, i più, finita la pacchia veleggeranno verso altri lidi, come Giuseppe e
Michele Traina. Particolare menzione merita codesto don Giuseppe Traina che nel
1639 figura come economo della Matrice, incarico che ricopre nel 1645; nel
settembre del 1652 viene indicato come pro-arciprete. Era stato nel frattempo
costruito il convento di Santa Chiara con il lascito di donna Aldonza del
Carretto, che vi aveva destinato taluni pretesi diritti di mora per mancata
corresponsione del “paragio” da parte del fratello Giovanni IV e dei suoi eredi
Girolamo II, prima; e Giovanni V, dopo.
Don Giuseppe Traina, pronubi l’arciprete ed il vescovo,
diviene l’esoso cappellano e confessore di quelle pie monache. Nei libri
contabili, reperibili presso l’archivio di Stato di Agrigento, v’è quasi un
pianto per le continue erogazioni che il convento è costretto a subire in
favore di questo prete venuto dai monti di Cammarata.
Varrebbe la pena spulciare le varie note spese che
appaiono nei libri contabili dell’archivio di Stato di Agrigento, presentate
dal Traina al Convento per l’immediata liquidazione, pronto cassa; ma non è
questa la sede per siffatte ricerche di sapore ragionieristico.
Il giovane
arciprete Tommaso Traina s’impania nella transazione con gli eredi di don Santo
d’Agrò: sobillatore ci appare l’esecutore testamentario, don Dn. Franciscus
Sferrazza, dichiaratosi Legatarius dicti
quondam Dn. Sancti de Agrò. Che
cosa abbia disposto in favore della Matrice don Santo d’Agrò, non mi è ancora
dato di sapere, non essendo stato rinvenuto il suo testamento, nonostante le
tante ricerche. Disposizioni in favore della sua tumulazione nella chiesa madre
- che in quel tempo risulta allargata dagli altari centrali a quelli laterali,
entrambi i primi a sinistra ed a destra dell’attuale edificio - non dovevano
mancare, ma dovevano essere ambigue ed indecifrabili. Familiari diretti del
defunto, sacerdote, l’esecutore del testamento ed il giovane arciprete
addivengono ad una transazione, come da rogito notarile. Il rogito cadde sotto
l’attenzione di Tinebra Martorana, procuratogli pare - guarda caso - da tal
signor Salvatore Sferlazza. Come da quel magari incerto latino notarile, il
Tinebra abbia potuto raffazzonare quel po’ po’ di fandonie che leggiamo a pag.
143 delle sue Memorie è arcano che non manca di sorprenderci. A
dire il vero l’alumbriamento più che
nel casto sacerdote Santo d’Agrò sembra doversi cogliere nei nostrani
scrittori, passati e presenti.
Tralasciamo qui di scrivere su Pietro d’Asaro, su Marco
Antonio Alaimo - che pure qualche attinenza, non foss’altro d’indole temporale,
con il Traina ce l’hanno - perché divagheremmo troppo, esulando appieno dai
limiti del presente lavoro, volto alla ricostruzione della storia dei del
Carretto di Racalmuto. Non mancherà tempo per restituire a Pietro d’Asaro
quello che è di Pietro d’Asaro e togliere a Marco Antonio Alaimo quello che una
secolare letteratura agiografica ha su di lui profuso in superfetazioni.
Il 30 agosto L’arciprete Traina muore a soli 35 anni.
Gli atti della Matrice segnano:
30/8/1648 Traijna
Thomaso, arciprete, sepolto in Matrice, gratis;
ed il cappellano detentore dei libri annota:
Il d.re D. Thomaso Traijna Sacerdote et Arciprete di.
questa Terra di Racalmuto d’età' d'anni 35 et mese cinque si morse et fu
sepellito in questa Matrice chiesa di detta terra. Gratis
Ove giaccia in Matrice, si è
persa la memoria.
Il 4 ottobre 1651, il vescovo
Traina, dopo tante peripezie, fra le quali una fuga notte tempo a Naro, cessa
di vivere. Nella macabra cappella funeraria della Cattedrale fece incidere, in
orripilanti caratteri bronzei, peracri
ecclesiasticae libertatis studio administravit. Chiamò libertà della chiesa
il suo pervicace attaccamento alle cose di questo mondo, come la giurisdizione
sui racalmutesi. Anche da morto non si smentì. Denis Mack Smith, un
protestante, non si esime, a distanza di secoli, dal punzecchiarlo nella sua
Storia della Sicilia.
L’interregno di Maria Branciforti
Eseguita la pena capitale, i beni feudali di Giovani V del Carretto
furono prontamente requisiti. La Corte però non li trattiene: li concede alla
vedova donna Maria Branciforti, quale tutrice di don Girolamo III del Carretto
e Branciforti. Con un privilegio di Filippo IV, rilasciato nel Cenobio di San
Lorenzo il 28 ottobre del 1654 e reso esecutivo in Palermo il 13 novembre 1655,
Racalmuto torna in potere dei del Carretto.
Il privilegio di Filippo IV non evita di fare riferimento alla tragica ma
anche ingloriosa fine di Giovanni V del Carretto, ma alla fine risulta più
munifico di quel che ci si aspettasse. Al figlio di Giovanni V del Carretto
andrebbe anche il feudo di Gibillini, ma noi crediamo che si sia trattato di un
errore dei curiali di Palermo.
Donna Maria Branciforti - evidentemente giovanissima - resta nel 1650
vedova ma con buone rendite specie per i beni paterni. Ma ci pare in mano di
usurai. La sua situazione economica è riepilogata in questo documento che si
conserva alla Gancia di Palermo:
(Anno 1651 vol. 609 - Archivio di Stato Palermo - Gancia - P.R.P.)
Donna Maria del Carretto e Branciforte, contessa di Racalmuto, cittadina
oriunda della città di Palermo, relitta del Conte, figli don Girolamo di anni 3
e Anna Beatrice. Rendite: don Nicolau Placido Branciforte, principe di
Leonforte, once 300 ogni anno sopra detto stato di Branciforte che à raggione
del 5% il capitale spetta onze 6000;
inoltre rende ogni anno donna Margherita d'Austria onze 382 e tt. 5 per il principato di Butera quale che
tiene il capitale di onze 5277 per un totale di 11277 onze, 13 deve a d.
Michele Abbarca della città di Palermo onze 2600 per tanto che ci ha dato; deve
a donna Maria Morreale e del Carretto onze 500 per tanto prestatoci.
Giovanni V del Carretto lascia dunque due figli: Girolamo di anni 2 e
Beatrice di cui ignoriamo l’età.
GIROLAMO
III DEL CARRETTO
Girolamo III del Carretto può dirsi l’ultimo feudatario di Racalmuto
della famiglia carrettesca. Ebbe un figlio: Giuseppe; gli donò la contea mentre
era ancora in vita, sicuramente per ragioni fiscali; ma Giuseppe era
malaticcio; premorì al padre ed Girolamo III ritornò la contea di Racalmuto;
Girolamo morì senza altri figli maschi; la contea finì in mano alla moglie del
defunto figlio Giuseppe; era costei Brigida Schittini e Galletti che non seppe
mantenere il feudo racalmutese, finito - previa un’interposizione fittizia di
una tal Macaluso - in mano dei Gaetani.
Girolamo III del Carretto nasce - crediamo a Palermo - attorno 1648. Con
la morte del padre, la vita a Palermo dovette essere ardua. Così la vedova con
i due figlioletti ritorna a Racalmuto, mentre nella capitale si infittiscono
gli approcci per il recupero dei beni feudali requisiti dalla corte spagnola.
Nel 1660, secondo una numerazione delle anime che si custodisce in
Matrice, i del Carretto costituiscono il 1625° “fuoco” di Racalmuto con questa composizione:
1625 LA
CARRETTA Xxa ECCELLENTISSIMO SIG. DON GERONIMO
C.TO ECC.MA SIGNORA DONNA MARIA C.TA
ILLUSTRISSIMA DONNA BEATRICI CARRETTO
C.TA
Girolamo del Carretto è appena dodicenne; frequenta qualche scuola da
qualche prete locale; subisce l’autorità della madre che appare molto volitiva.
S’iniziano i lavori della Matrice e donna Maria Branciforti è munifica
nelle elemosine.
La contessa, in effetti, versa a spizzichi e bocconi la sua “elemosina”
di cento onze in ben 19 rate di disparato importo (da pochi tarì a 30 onze)
lungo un arco di tempo che parte dal 15 dicembre 1654 per concludersi il 10
marzo 1660.
Sembra che dopo il 1660 la famiglia del Carretto si sia trasferita ad
Agrigento. Girolamo III del Carretto ha voglia (o necessità) d’intrupparsi
nell’esercito spagnolo per andare a fronteggiare gli invasori francesi nei
pressi di Messina nel 1674. Aveva 26 anni. Non militò a lungo. Tornò a casa, si
era sposato con una Lanza. Decide di abitare nel suo castello di Racalmuto.
Il San Martino-De Spucches è piuttosto esauriente nel fornirne il profilo
araldico:
«Girolamo del CARRETTO BRANCIFORTE, figlio del precedente [Giovanni V], per grazia speciale di Filippo IV
ebbe restituiti i beni paterni e con nuova concessione, data nel cenobio di S.
Lorenzo, a 28 ottobre 1654, fu nominato Conte di Racalmuto; il Privilegio fu
esecutoriato nel Regno, nell'anno IX Indiz. 1655, e propriamente il 13
novembre. In base al suddetto privilegio egli s'investì a 14 agosto (R. Canc. IX Indiz. f. 73). Si
reinvestì, a 16 settembre 1666, per il passaggio della Corona (R. Cancell. V
Indiz. f. 180). Sposò, in prime nozze, Melchiorra
LANZA MONCADA di LORENZO, Conte di Sommatino, e di Aloisia MONCADA; sposò in seconde nozze, Costanza AMATO ed ALLIATA di Antonio, P.pe di Galati, e di Francesca ALLIATA LANZA (Villafranca).
Fu maestro di campo dell'esercito destinato a sedare la rivoluzione di Messina
(1674)[3]; Vicario Generale Viceregio a Noto,
Girgenti, Licata, Caltagirone; Pretore di Palermo nel 1682; Gentiluomo di
Camera del Re Carlo II a 10 agosto 1688.»
Dal 1682, dunque, risulta residente a Palermo; il richiamo della capitale
era stato anche per lui irresistibile.
Ha voglia a Racalmuto di mettere mano a riforme: affida il vecchio
ospedale di San Sebastiano ai Fatebenefratelli. Da allora si chiamerà di San
Giovanni di Dio.
E’ leggibile una copia del privilegio di erezione di quella pia
fondazione. [4] Sono ricavabili questi estremi:
"COPIA Della fondazione di
questo nostro Convento..." "ANNO
1693" Nell'anno 1693
l'Ill.mo Sig.r d. GEROLAMO DEL CARRETTO
E BRANCIFORTE Conte di Racalmuto e P.pe di VENTIMIGLIA accumulatavi la Pietà, e Carità dell'Ill.ma D: MELCHIORA DEL CARRETTO E LANZA sua
moglie". ...." Ill.mo d: GIUSEPPE DEL CARRETTO BRANCIFORTE, e LANZA suo figlio. -Bolle Pontificie date in
Roma il .. 13|2|1693 .. in Palermo
l'8\4\1693 ed in Girgenti il 20\8\1693".
Il 16 giugno 1670 Girolamo è residente a Racalmuto. Le muore una
figlioletta che viene così registrata nei libri della Matrice:
16.6.1670 Domina Joanna,
Ignatia, Antonina Elisabetta filia Ill.mi et Ecc.mi D.ni Hijeronimi Carretti et
Branciforti comitis Racalmuti et
principis XXmiliarum, et ill.me et ecc.me D.ne Melchiorre eius uxor; duorum
annorum et mensium quatuor circiter, in domo palatii h. t. R.ti animam Deo
redidit, cujusque corpus sepultum est eodem die in ecc.sia S.te Marie de Monte
Carmeli in communione S. Matris Ecc,sie presente clero, congregationibus
confraternitatibusque et Senato. GRATIS
|
Sappiamo che donna Melchiorra Lanza morì a
Racalmuto il 10 aprile 1701 e vi fu sepolta come attestano i soliti libri della
matrice:
906 10.4.1701 D. MELCHIORRA LANZA DEL CARRETTO UXOR
HIERONIMI PRINCIP.A COMITISSA RACALMUTI di anni 70 sepolta a S.MARIA DE
IESU IN VENERABILI CAP. SS. ROSARII. Assistita da D. FABRIZIO SIGNORINO ARCIPRETE.
Morì in sua propria domo.
Girolamo III del Carretto sarebbe dunque rimasto vedovo a soli 53 anni.
Tra lui e la prima moglie vi sarebbero stati diciassette anni di differenza.
Questo, stando ai dati che riportiamo. Confessiamo, però, di nutrire noi stessi
forti dubbi: forse gli anni della contessa defunta vanno rettificati in soli
50.
Girolamo III del Carretto acquisisce contorni di litigiosità con i dati
che emergono dal Fondo Palagonia. Un atto soprattutto. [5]
Il conte ha modo di dire di sé:
Ex ditto d. Joanne natus est
illustris don Hieronymus de Carretto et Branciforte, cuius nomine et pro parte,
illustris donna Maria de Carretto et Branciforte cepit investituram de ditta
terra, statu et comitatu Racalmuti, pro ut per dittam investituram de ditta
terra, statu et comitatu Racalmuti pro ut per dittam investituram sub die
decimo quarto Augusti nonae indittionis 1656 per attum apparet et die sua
melius etc.
Il feudo di Racalmuto a fine del ’600
Ed ecco come ci descrive il suo feudo, il nostro Racalmuto:
Item ponit et probare intendit non
se tamen obstringens etc. qualmente il fegho nominato di Racalmuto sito e posto
in questo Regno di Sicilia nel Val di Mazzara consistente in salme
setticentocinque tummina quindeci, mondelli tre e quarti dui cioè in salme
seicento cinquantadue, tummina undeci e mondelli uno di terre lavorative e
salme cinquanta trè, tummina dui e mondelli dui di terre rampanti, valloni,
trazzeri ed altri inclusi in dette salme cinquanta tre, tummina dui e mondelli
dui, salme undeci di terra nel circuito, delle quali e sita e posta la terra
[134] che tiene il nome da detto fegho è posto in menzo delli feghi nominati:
1. delli Gibillini e feghi
2. delli Cometi;
3. e fegho delli Bigini;
4. del fegho di Zalora;
5. del fegho di Scintilìa;
6. del stato e ducato delli Grotti;
7. del fegho e principato di Campofranco;
8. e fegho della Ciumicìa
e altri confini ...
Non v’era dunque dubbio che le terre usurpate dai sacerdoti
racalmutesi erano integralmente sotto la giurisdizione del conte.
Item ponit et probare
intendit non se tamen obstringens etc. qualmente le contrate nominate di Bovo
seu Montagna, Pinnavaira, della Rina seu Scavo Morto, della Difisa, Jacuzzo,
Zimmulù, Caliato, Serrone, Pietravella, Saracino seu Molino dell’Arco,
Menziarati e Culmitelli sono delli membri e pertinenze del fegho e stato di
Racalmuto ed intra li limini e confini di detto fegho di Racalmuto come sopra
stimato e confinato conforme fù ed è la verità, notorio e fama publica et
nihilominus dicant testes quicquid sciunt, sentiunt, viderunt vel audiverunt
etiam extra capitulum ad intensionem producentis et - -
-
Non sappiamo come sia andato a finire quel processo. Sorto alla fine del
Seicento, con tutta probabilità non era concluso alla morte del litigioso
conte. Il quale pare ebbe molto a litigare anche con il figlio che pure aveva
dotato della contea ancor prima della sua stessa propria morte.
Girolamo III del Carretto non era comunque un mangiapreti: sotto di lui
l’arciprete Lo Brutto - e con il suo esplicito e imperioso avallo - aveva
potuto costituire la “comunia” di Racalmuto con ben dodici mansionari, adorni
di fregi appariscenti.
Religione,
clero ed altri aspetti nella Racalmuto post Giovanni V del Carretto.
Al Traina, frattanto, era subentrato nell’arcipretura
don Pompilio Sammaritano, un semplice dottore in teologia.
Porta con sé un parente sacerdote, don Pietro. Lo nomina
subito suo cappellano ed il racalmutese p. Antonino Morreale viene giubilato e
deve emigrare. Lo segue uno stretto
parente, forse un fratello, un tal Francesco Samaritano sposato con Gerlanda e
con una figlia, come ci tramanda il primo censimento di Racalmuto conservato in
Matrice. Già nel 1649, il nuovo
arciprete risulta dai registri della Matrice già in opera. Nel 1660 è
felicemente insediato in paese, ove ha messo su casa servito da “un famulo” di
nome Giuseppe ed una fantesca chiamata Lizzitella. (il solito censimento è
impertinente). Durante la sua arcipretura piombarono a Racalmuto la moglie ed i
figli dell’infelice Giovanni V del
Carretto.
La contessa ha i suoi guai: deve risolvere i problemi
del riottenimento dei beni feudali che sono stati requisiti dal re per l’alto
tradimento del marito. Vi riuscirà. I fondi Palagonia contengono, come si è
detto, gli atti di questa avvincente vertenza feudale. Il dottore in teologia è
prodigo di consigli e sa essere di supporto morale.
Frattanto giunge ad Agrigento il nuovo vescovo
Ferdinandus Sanchez de Cuellar. Il 28 novembre 1654 visita Racalmuto e subito
mette in mora l’arciprete per il latitare dei lavori della fabbrica della
chiesa della Matrice. Il giorno dopo si apre la contabilità dei lavori edili,
il cui pregevole rollo si conserva in Matrice: LIBRO D'INTROITO ED ESITO di denari per
conto della fabrica della Matrice Chiesa di Racalmuto incominciando dalli 29 di
novembre 8a Ind. 1654, reca in esordio per la penna di don Lucio Sferrazza. Il depositario è il dott. don Salvatore
Petruzzella, futuro arciprete. I primi soldi, cioè le prime 12 onze, sono dal
vescovo. Ma è un modo di dire: si tratta delle feroci molte comminate dal
vescovo in corso di visita. E pensare che sotto il vescovo Traina le autorità
diocesane avevano latitato. A noi fa un certo senso leggere:
Dall'Ill.mo et rev.mo Monsignor frà Ferdinando Sancèz de
Cuellar Vescovo di Girgenti hò ricevuto per mano di D. Alonso de Merlo suo
mastro notaro onze dudici quali d.o Ill.mo Signore ha dato d'elemosina alla
fabrica di d.a matrice chiesa dalle .. pene esatte in discorso di visita in
Racalmuto d. ........ onze -/ 12.
La pia contessa, vedova
sconsolata, è la più munifica nel contribuire alle spese per la costruzione
della Matrice: oltre 100 onze. Ma essa è la nuova contessa di Racalmuto, a
titolo personale: il figlio Girolamo III riacquisterà la contea il 28 ottobre
1654, ma ne avrà il diploma solo il 5 novembre 1655, previo pagamento di 200
onze e 29 tarì.
La posa in opera delle colonne della Matrice - quelle di
cui si parlava nella transazione con gli eredi di don Santo Agrò del 1642 -
avverrà nel marzo del 1655. L’iter dei lavori è seguito passo passo e studenti
di architettura potrebbero utilizzare i rolli della “Fabrica” per avvincenti
tesi sulle chiese del Seicento siciliano, quelle minori dell’entroterra
contadino, come Racalmuto.
Il Samaritamo muore il 6 gennaio 1664 a 66 anni. Gli
atti della Matrice riportano:
1664 SAMMARITANO Pompilio ARCHIPRESBITER 66 huius
matricis Ecclesie
Viene sepolto in Matrice, presente clero. Aveva avuto
l’estrema unzione da P. Antonio ord. S. Marie Carmeli.
Gli succede don Salvatore Petruzzella, finalmente un
racalmutese; ma vive poco: muore il 29 maggio 1666. Non ha il tempo per
lasciare tracce durevoli del suo apostolato.
E’ ora la volta dell’altro arciprete racalmutese: il
dott. sac. Vincenzo Lo Brutto e costui di tempo ce ne ha per lasciare un segno
profondo, al di là della lapide funerea che ancora è visibile nella cappella
centrale della navata laterale di sinistra (per chi entra) della Matrice. Vanta
un elmo chiomato, come se fosse stato un nobile milite: debolezza del nipote
che quella tomba volle.
Il vescovo agrigentino Sanchez - si pensi quale
ofelimità potesse legare uno spagnolo all’amaro vivere contadino di Racalmuto -
regge la diocesi dal 26 maggio 1653 sino alla sua morte (+ 4 gennaio 1657).
Subentra Franciscus Gisulpfus (Gisulfo) - dal 30 settembre 1658 sino alla morte
(17 dicembre 1664); e poi Ignatius Amico ( 15 dicembre 1666 - + 15 dicembre
1668); Franciscus Ioseph Crespos de Escobar (e ci risiamo con gli spagnoli) - 2
maggio 1672, + 17 maggio 1674. Finalmente un buon vescovo per una cattedra durata
vent’anni: Franciscus Maria Rini (Rhini) - 10 ottobre 1676, + 14 agosto 1696.
Chiude il secolo un vescovo nefasto: 26 agosto 1697 - + 27 agosto 1715 (fuori
Agrigento, essendone stato espulso dalle autorità civili per il suo
atteggiamento provocatorio scaturente dalla nota questione liparitana). Su tale
controversia ebbe a scrivere Sciascia. Il valore storico di quel pezzo teatrale
fu denegato da Santi Correnti: comunque, oltre al valore - indubbio - sotto il
profilo letterario, il testo sciasciano ci immerge nel clima politico e
sociale, ma anche religioso e morale di quel tempo. Fu davvero una iattura il
vezzo di preti e religiosi ruffianeggianti con Roma che negavano il sacramento
della confessione ai moribondi, sol perché operava un interdetto dovuto all’incauto
comportamento di alcuni catapani che
avevano tentato di applicare l’imposta
di consumo ad un munnieddu di ceci o di fagioli - non si è capito bene -
del vescovo di Lipari (nominato, pare, al solo scopo di provocare un incidente
per consentire al Papa di rimangiarsi la medievale concessione della Legazia
Apostolica).
Se, un moribondo
- ossessionato dalla sola paura dell’inferno per i suoi tremendi peccati - in
stato di semplice attrizione, dunque,
avesse chiesto un confessore e non l’avesse avuto per l’interdetto dei fagioli,
era destinato alla dannazione eterna? Certa intelligenza della curia
agrigentina forse è in grado di dare una risposta. Ci serve per giudicare i
tanti, troppi, nostri antenati che tra il 1713 ed il 29 settembre 1728 morirono
in tale ambasce a Racalmuto (cfr. registro dei morti della Matrice).
Annotava il canonico Mongitore - tanto sgradito a
Sciascia - «a 13 agosto 1713. Il vescovo di Girgenti D. Francesco Ramirez,
d’ordine del pontefice, dichiarò scomunicati alcuni regi ministri, che
concorsero al sequestro delli beni del vescovo di Catania.» E soggiungeva: «a
13 settembre. Partì da Palermo D. Isidoro Navarro, canonico della cattedrale,
delegato della Monarchia, per levar l’interdetto dalla città e diocesi di
Girgenti. Entrò egli non da ecclesiastico, ma da capitano; e armata mano levò
il vicario generale il padre Pietro Attardo, come pure altro vicario Giuseppe
Maria Rini, che mandò altrove carcerati. Mandò lettera circolare per la
diocesi, che s’aprissero le chiese e non s’ubbidisse a detti vicarii.» Le carte
della Matrice ci svelano che il clero racalmutese rimase ligio ai dettami del
vescovo Ramirez e snobbò il canonico-capitano di Palermo. Più abile l’arciprete
del tempo - Fabrizio Signorino - che in cambio di una bolla della crociata
(anche con effetto retroattivo) poteva consentire cristiana sepoltura in
chiesa: per i non abbienti, pazienza, l’ultima dimora era quella all’aperto a li fossi. Solo che quelli erano tempi
davvero calamitosi e tantissimi nostri antenati morirono con la paura dell’al
di là per un interdetto che non capivano ( e di cui non avevano responsabilità
alcuna) ed una sepoltura dissacrata dal vento, dal sole e dai cani randagi.
Quelli che venivano sepolti in chiesa “gratis pro Deo”
godevano di particolari privilegi: ma gli altri - la gran parte come si è visto
- finivano sepolti all’aperto, anche se ‘prope ecclesiam’ (vicino, ma non
dentro); per di più i loro parenti erano talmente poveri da non potere dare
l’elemosina o il c.d. diritto di stola all’immalinconito cappellano che
accompagnava il feretro in quel derelitto cimitero incustodito. “gratis, pro
Deo”, la formula latina, che era comunque un parlare e scrivere poco ... latino (nell’accezione sciasciana).
L’arciprete Lo Brutto fu in eccellenti rapporto col
vescovo Rini: si fece elevare a chiese “sacramentali” S.Anna, S. Michele
Arcangelo, il Monte. E’ consultabile la
bolla di elevazione della chiesa di S. Anna in chiesa “sacramentale”. Del tutto
analoghe sono le altre, come quella: Datis Agrigenti die 17 Junii 1686 - fr.
Franciscus Maria Episcopus Agrigentinus - Can Lumia Ass. - Vincentius Calafato
M.r notarius.
Del pari fece autorizzare l’istituzione della speciale
congregazione dei Filippini a Racalmuto, di cui parla il padre Morreale, ed al
presente oggetto di studio da parte del prof. Giuseppe Nalbone. Costituisce la
Comunia e ne fa nominare i mansionari.
Contro la devastante peste del 1671 nulla poté fare il
povero arciprete racalmutese della fine del Seicento, se non annotare in bella
calligrafia la iattura capitata tra capo e collo; e fu iattura per tanti versi: da quello
economico a quello sociale; da quello dell’umano vivere a quello del decomporsi
morale e spirituale; per il clero con tanti fedeli in meno e quindi tante
primizie assottigliate, per l’arciprete stesso, il cui gregge veniva
drasticamente ridimensionato; per l’Universitas che non sapeva dove andare a
racimolare le onze occorrenti, essendosi assottigliata la tassa del macinato
per morte di un quarto della popolazione in un anno; per i suoi giurati che
rispondevano dei tributi alla Spagna con la clausola “solve et repete”; per il
neo conte Girolamo III del Carretto, salassato dal re per il tradimento del
padre Giovanni V del Carretto, dalla mala gestione dei suoi antenati che non pagando i debiti di
“paragio” erano finiti sotto la mannaia delle condanne giudiziarie al pagamento
degli arretrati e della capitalizzazione degli interessi di mora relativi; ed
in più una sortita beffarda dell’uterina virago donna Aldonza del Carretto e delle
sue similissime sorelle, aveva finito con il dare in pasto allo spietato
convento di S. Rosalia di Palermo gran parte del patrimonio dei conti di
Racalmuto (come abbiamo già raccontato).
Girolamo III del Carretto, esasperato, si rivalse sui ricchi preti di
Racalmuto - su quelli poveri, che erano tanti, nulla poteva: a sua chiamata
finiscono sotto il torchio della giustizia palermitana.
Girolamo III del Carretto sembrò benevolo verso la locale Chiesa quando
fece venire i padri Benefratelli perché accudissero presso S. Giovanni di Dio
ai malati di Racalmuto e li dotò: ma a ben guardare si limitò ad assegnare loro
le vecchie rendite del vetusto ospedale racalmutese, la cui memoria si perdeva
nella notte dei tempi. Forse non si astenne dall’incamerare alcuni lasciti che
a suo avviso erano di dubbia origine.
Girolamo III aveva contratto
matrimonio con una Lanza di Mussomeli, di cui parla il Sorge nel suo studio su
quella cittadina. Era una Lanza decrepita per anni che riesce a partorire il
figlio maschio Giuseppe, quello che premuore al padre, ed una figlia femmina i
cui discendenti dopo un secolo consentono ai Requisenz di impossessarsi
dell’ormai esausta contea di Racalmuto.
Quanto fosse addolorato l’ancor possente marito non sappiamo: di certo,
passò subito a nuove nozze. Per il momento non sappiamo fare altro che dare la
parola al Villabianca per la prosecuzione della storia di Girolamo e Giuseppe
del Carretto:
GIROLAMO del CARRETTO e
BRANCIFORTE, investito a 15. Agosto 1656, Fu questi Maestro del Campo nella
guerra di Messina e sostenendo tale carica prese il Casal di Soccorso, avendo
difeso coraggiosamente SAMMICI da' Colli di Valdina, ed impedì lo sbarco de'
Franzesi presso Melazzo (c) [AURIA Cron. f. 211], onde poi insieme fu
eletto Vicario Generale nella Città di Noto, di Girgenti, Licata e Caltagirone.
Fu Pretore di Palermo nel 1682, Diputato di questo Regno, e gentiluomo di
camera del Ser.mo Rè Carlo II. pubblicato a 10. Agosto 1688 (e) [AURIA Cron. f. 211]. Sposo nelle prime sue nozze MELCHIORRA LANZA e MONCADA figlia di LORENZO C. di Sommatino, e
poscia ebbe in moglie COSTANZA di AMATO ed AGLIATA, figlia di ANTONIO P. di
GALATI. Dal primo suo letto coniugale venne alla luce GIUSEPPE del CARRETTO e LANZA.»
L’arciprete Lo Brutto morì il cinque febbraio del 1696. Risale al 20
settembre 1699 una relatio ad limina
del Vescovo di Agrigento (e cioè una delle relazioni triennali che i vescovi
erano tenuti a fare alla Sede Apostolica dopo il Concilio di Trento sullo stato
della propria diocesi). Là [6] troviamo
un ampio ragguaglio sulla vita religiosa di Racalmuto e val la pena di
richiamarla consentendoci un quadro di raffronto con quanto emerso dalla documentazione degli archivi statali.
''RECALMUTUM - Cittadina (oppidum) di cinquemila abitanti sotto la cura
di un arciprete, la cui elezione ed istituzione sono da tanto tempo di diritto
comune. Costui ha per il proprio sostentamento quasi duecento scudi. Nella
chiesa maggiore si recitano quotidianamente le 'hore canonice' da parte di sacerdoti vestiti con paramenti canonicali
(Almutiis insigniti). Vi sono cinque conventi di religiosi:
- dei Carmelitani, con tre sacerdoti e due laici;
- dei Minori Conventuali, con tre sacerdoti e un laico;
- dei Minori di Regolare Osservanza, con 4 sacerdoti e 3 laici;
- dei Riformati di S. Agostino con tre sacerdoti e due laici;
- una casa addetta ad ospedale in cui stanno i frati di S. Giovanni di
Dio, al momento un sacerdote e due laici.
Reputo qui di rappresentare
che questi religiosi, dopo avere accettato di accudire all'ospedale, non hanno giammai pensato di
rinunciare all'istituto ospedaliero, e ne hanno percepito il reddito
dell'ospedale. Ed essendo esenti dalla giurisdizione del vescovo ordinario, non
vi sono forze per costringerli a rinunciare
ai proventi o a lasciare i locali del convento.
Sorge un monastero di monache sotto la regola del terzo ordine di San
Francesco ove servono il Signore otto professe corali; due novizie e 5
converse.
Oltre alla chiesa maggiore ed a quelle conventuali prima segnalate, vi
sono quindici chiese, con quarantasette sacerdoti e trentasei laici.''
Sul vescovo Ramirez non è poca la letteratura - e noi ne abbiamo fatto
sopra vari riferimenti. Ma qualunque sia il giudizio su questo presule, una sua
pagina è profonda ed illuminante. Vi si scorgono le scaturigini della mafia.
GIUSEPPE I DEL CARRETTO
Continuiamo Con il Villabianca: « Videsi questo nell'onorato impiego di
Capitano di Palermo nel 1698, e premorendo al padre senza figli fece estinguere
nella sua persona la Famiglia illustrissima del CARRETTO de' Signori di SAVONA,
che prendendo origine Reale, stimavasi una delle più cospicue Prosapie di
questo Regno (f) [Caso di Sciacca del
SAVASTA cap. 15. f. 43]. Fu sua
moglie BRIGIDA SCHITTINI e GALLETTI figlia
di Gio: Battista primo M. di S. ELIA, la
quale per il credito della sua dote avvalorato da una sentenza proferita dalla
R. G. Corte nel 1711. pigliò possesso di questo Stato, e insieme di questo
Titolo a 10. luglio 1716. Venendo essa a morte succedette in questi feudi sua
sorella OLIVA SCHITTINI e GALLETTI
maritata a Giacomo P. Lanza, il di cui
figlio
ANTONINO LANZA e SCHITTINI se
ne investì a 26. Agosto 1739. Questi vive attuale P. Ventimiglia, P. Lanza, B.
dello Stato di Calamigna, etc.»
Don Giuseppe del Carretto riceve l’investitura di Racalmuto il 21 marzo
del 1687 « ob donationem inrevocabiliter
inter vivos sibi factam per illustrem d. Hieronymum del Carretto eius patrem
vigore donationis per acta notarii predicti de Cafora et Tagliaferro die 17 maij
X ind. 1687 sicuti depositione dicti ill.is d. Hieronymi constat per
investituram per eum captam olim die 16 septembris V ind. 1666.» [7]
E’ costretto a ripetere il rito per la morte di Carlo II il 20 gennaio
1702. Altre spese. Altri dissi con il padre che risulta ancora vivo. Nella
documentazione palermitana abbiamo:
«Si può passare l'investitura per la presente possessione tantum ob
mortem Caroli Secundi regis Domini nostri in Palermo a 20 gennaro 1702 - Don
Giuseppe Bruno.» [8]
Giuseppe del Carretto nel 1702 è plurititolato;
questa la sfilza dei suoi feudi e titoli:
Die decimo nono Januarii X ind.
1702
illustris d. Joseph del Carretto
possessor ac dominus comitatus Racalmuti ducatus Bideni Marchionatus Sanctae
Eliae et baroniae terrae Ferulae.
Il padre don Girolamo III risulta ancora vivo a quella data del gennaio
1702. Se è vero che il figlio gli premorì, tale morte avvenne tra questa data e
qualche tempo prima del 1711, quando ad avviso del Villabianca fu pronunciata
la sentenza di assegnazione della contea di Racalmuto alla vedova di Giuseppe I
del Carretto, BRIGIDA SCHITTINI e GALLETTI figlia di Gio: Battista primo M. di
S. ELIA.
Girolamo III del Carretto cessava di vivere il 9 marzo 1710. In un
documento del fondo Palagonia riguardante don Luigi Gaetano si parla infatti «de morte sequuta dicti ill.s D. Hieronymi
per fidem mortis Parochialis Ecclesiae Sancti Nicolaj de Calsa h. u. sub die
nono martij 1710 sicuti de possessione dicti quondam ill.s d. Hieronymi constat
per investituram per eum captam olim die 16 septembris 5 ind. 1666.»
I nobili del Carretto cessano quindi di essere i feudatari di Racalmuto
il 9 marzo del 1710. Con tale data si chiude anche la nostra ricostruzione
della vicenda feudale carrettesca in quel di Racalmuto. Quel che avviene dopo -
e dura un secolo - è storia del baronaggio locale con gli Schettini, i Gaetano
(la parentesi Macaluso non rileva) ed i Requisenz protagonisti. I nobili del
Carretto racalmutesi - quanto al ramo
maschile - si sono piuttosto malinconicamente estinti, prima dei grandi
sconvolgimenti storici del 1713 allorché vi fu il breve avvento in Sicilia dei
Sabaudi.
POSTFAZIONE
Il seguito della storia dei
del Carretto di Racalmuto mostra ombre ancora non del tutto dissolte. Noi
disponiamo del testo di una procura rilasciata da don Luigi Gaetano per
l’occorrente investitura della contea di Racalmuto; vi è riepilogata la
faccenda della singolare acquisizione feudale: uno strano ed antigiuridico
passaggio dai del Carretto ai Gaetano attraverso la popolaresca intermediazione
di una tale Macaluso. L’evento poté verificarsi per il trambusto di quel
periodo con quell’alternarsi dei Savoia e degli austriaci in Sicilia fino alla
venuta dei Borboni.
E in un atto del 6 marzo del 1736 si raccontano le peripezie della vedova
di don Giuseppe del Carretto, donna Brigida Schettini, alle prese con la curia
nel tentativo di rinviare gli esborsi per l’investitura della contea di
Racalmuto, cadutale addosso dopo la morte del suocero don Girolamo del
Carretto.
Brigida
Schittini
Il lungo tedioso documento
vale solo per renderci edotti sul fatto che nel lontano 1709 Paola Macaluso
ebbe a prestare poche onze (si parla del reddito su 32 onze) alla vedova di don
Giuseppe del Carretto, donna Brigida Schettini. La vedova lasciò insoluti i
suoi debiti. Nel 1736, subito dopo l’avvento di Carlo IV [VII] di Borbone (15 maggio 1734-ag.
1759), Paola Macaluso, personaggio non meglio identificato, riattizza un
processo civile - insufflata evidentemente dal duca Luigi Gaetani - pretendendo
nientemeno che la conta di Racalmuto a ristoro del antico modico prestito,
rigonfiato però per gli interessi di mora e per altri ammennicoli. Le sequenze
processuali sono bene ricostruite in un documento del Fondo di Palagonia: sono
dettagli che possono interessare solo studiosi di diritto civile nel Settecento
siciliano.
Paola Macaluso
Paola Macaluso la spunta sul
piano processuale, ma non sa che farsene dell’assegnata contea di Racalmuto.
Allora candidamente dichiara di avere agito in nome e per conto del duca
Gaetani.
Luigi
Gaetani
In tal modo il duca Luigi
Gaetani viene in possesso della contea di Racalmuto (titolo e feudi) in data 12
aprile 1736. Leggiamo nel privilegio datato
Panormi die duodecimo mensis aprilis 14 ind. 1736
che
Fuit prestitum juramentum debitae fidelitatis et vassallagij
e che
Servatis servandis concedatur investitura .... Tituli Comitatus Racalmuti in personam
ill.s D. Aloysij Gaetano ducis Vallis Viridis.
Ma don Luigi Gaetani non si
aspettava una situazione così deteriorata come quella rinvenuta a Racalmuto.
Cerca innanzitutto di
ripristinare il patto del 1580 sul terraggio. Si dichiara “mosso da pietà per i
suoi vassalli” ma le due salme di frumento per ogni salma di terra coltivata le
vuole tutte. Siamo nel 1738 ed una controversia sorge con tutti i crismi (e con
tutti i costi).
Trova pretermessi i suoi diritti di
terraggiolo sui coltivatori racalmutesi dei feudi di Aquilìa e Cimicìa: gli
abili benedettini di San Martino delle Scale di Palermo erano risusciti a farsi
confezionare un decreto di esonero dal vescovo di Agrigento. Don Luigi Gaetani
è costretto a sollevare un costoso incidente processuale. Vi estrapoliamo
queste note di cronaca.
Il duca Gaetani si vanta di essersi accontentato della metà di quanto
dovuto per terraggiolo (pro terraggiolo dimidium consuetae praestationis
exegit). Ma ecco che i benedettini
avanzano strane pretese: vantano un esonero del 16 settembre del 1711. Ciò però
non è accettabile per una serie di ragioni giuridiche che gli abili legulei del
duca dipanano da par loro. Ecco scattare un’altra occasione di lite
giudiziaria. Siamo nel 1739.
Il 22 giugno 1741 i benedettini sono soccombenti. Le spese vengono
compensate. Le faccende racalmutesi, comunque,
non sono davvero prospere: il bilancio è deficitario.
Araldica
racalmutese dopo i del Carretto
Non è agevole far collimare quello che emerge dalla documentazione
Palagonia con quanto asserisce il Villabianca (che in ogni caso appare
minuziosamente informato).
L’arcigno marchese di Villabianca ha così infatti sunteggiato il
trambusto della successione della contea di Racalmuto dai del Carretto ai
Gaetani:
«estinti essi [del Carretto] in PALERMO colla morte dell'ultimo Principe GIUSEPPE del CARRETTO e LANZA,
passa[..] detta contea nelle mani della di lui vedova BRIGIDA SCHITTINI e GALLETTI, che jure crediti, delle sue doti
aggiudicossela investendosene a 10. Luglio 1716.
Se ne vede oggi investita sin dal
1747. del dì 16.Marzo la vivente Principessa di Palagonia GRAVINA Maria Gioachina GAETANI e BUGLIO, e C. di Ragalmuto, la di cui invest. per detto Stato cadde a 7.
Agosto 1735., e del titolo di essa a 12. Aprile 1736.»
Ma in altra parte della sua opera [9] , il
Villabianca è discorde con sé stesso:
Fu sua moglie[di Giuseppe del Carretto] BRIGIDA
SCHITTINI e GALLETTI figlia di Gio: Battista primo M. di S. ELIA, la quale per il credito della
sua dote avvalorato da una sentenza proferita dalla R. G. Corte nel 1711.
pigliò possesso di questo Stato, e insieme di questo Titolo a 10. luglio 1716.
Venendo essa a morte succedette in questi feudi sua sorella OLIVA SCHITTINI e GALLETTI maritata a
Giacomo P. Lanza, il di cui figlio
ANTONINO LANZA e SCHITTINI
se ne investì a 26. Agosto 1739. Questi vive attuale P. Ventimiglia, P. Lanza,
B. dello Stato di Calamigna, etc.. »
Ma abbiamo visto che il duca Gaetani era riuscito sin dal 1636 a divenire
conte di Racalmuto. Evidentemente il marchese di Villabianca non ne era ancora
a conoscenza quando scrisse sui Ventimiglia; lo era invece allorché pose mano
al volume sui del Carretto.
Più preciso ci pare il San Martino de Spucches - che pure fu un diligente
chiosatore del Villabianca - e noi ne riportiamo qui le pagine sui successori
dei del Carretto:
Brigida SCHITTINI GALLETTI,
prese investitura della Contea, Terra e Castello di Racalmuto, a 10 luglio
1716, per la morte di Girolamo del Carretto, suo suocero ed in forza di
rivendica delle sue doti riconosciuta con sentenza resa dal Tribunale della
Gran Corte (R. Cancell. IX Indiz. f.
98). Questa Dama morendo lasciò erede dei suoi beni Olivia, sua sorella, moglie
del P.pe Giacomo LANZA.
Lo Stato comprendente la Baronia,
Terra e Castello di Racalmuto, passò a Luigi
Gaetano, Duca di Valverde, che s'investì come aggiudicatario di essi beni. (R.
Canc. X Ind., f. 75). A 12 aprile dell'anno 1736 s'investì del titolo di conte
Luigi Gaetano, duca di Val verde; egli successe come nominatario di Paola
MACALUSO; questa, a sua volta, l'aveva acquistato all'asta pubblica da mani e
potere di Brigida SCHITTINI e GALLETTI (R. Canc., XIV Ind. f. 89).
Raffaela GAETANO BUGLIO, duchessa
di Valverde, come tutrice di Maria Gioacchina GAETANO e BUGLIO, s'investì del
titolo di Conte di Racalmuto, a 16 marzo 1747, per le causali come di contro
(Conserv. vol. 1177, Inve.re figlio 21)
Raffaela GAETANO e BUGLIO s'investì
della terra e castello di Racalmuto, a 16 marzo 1747, come tutrice di Maria
Gioacchina GAETANO E BUGLIO, Duchessa di Valverde e C.ssa di Racalmuto;
successe come donatrice di Aloisio GAETANO SALONIA, C.te di RACALMUTO, in forza
di atto in Not. Giuseppe Buttafuoco di Palermo li 17 marzo 1742; e ciò con
riserva di usufrutto a favore del donante, durante sua vita. Quale morte si
avverò in Palermo. il 30 ottobre 1743, come risulta da fede rilasciata dalla
Parrocchia di S. Nicolò la Kalsa (Conserv., vol. 1167 Investiture f. 19 retro).
E qui subentra in Racalmuto la potente famiglia dei Requisenz. Secondo il
San Martino de Spucches abbiamo: ……cfr.
consiglio d’egitto pp. 64 e segg.
Giuseppe Antonio REQUISENZ
di Napoli, P.pe di Pantelleria, s'investì, a 28 gennaio 1771, della Terra,
Castello e feudi di Racalmuto; successe in forze di sentenza pronunziata a suo
favore dal Tribunale del Concistoro e Giudici aggiunti, per voto segreto,
contro Maria Gioacchina GAETANO e BUGLIO, P.ssa di Palogonia, già c.ssa di
Racalmuto; quale sentenza porta la data 2 ottobre 1765 e fu pubblicata, in
esecuzione degli ordini del Re, da detto Tribunale li 20 giugno 1770 (Conserv.
Reg. Invest. 1172 [o 1772?], f. 143, retro).
[...] Detto P.pe Francesco a sua volta, fu figlio del P.pe Antonino
Requisenz e Morso e di Giuseppa del
CARRETTO. Questa Dama fu infine figlia del Conte di Racalmuto GIROLAMO di
cui è parola di sopra al n. 4. E' da questa discendenza che i signori REQUISENZ
reclamarono ed ottennero i beni tutti ereditari della famiglia del CARRETTO.
Giuseppe sposò BRANCIFORTE e BRANCIFORTE di Ercole, P.pe di Butera e della
P.ssa Caterina Branciforte Ventimiglia (ereditiera di Butera). (Dotali in Not.
Leonardo di Miceli da Palermo 8 febbraio 1744). [...]
Francesco REQUISENZ e BRANCIFORTE s'investì della contea e della terra di Racalmuto a 30 gennaio 1781;
successe iure proprio come figlio primogenito ed erede di Giuseppe Antonio
suddetto, morto intestato (Conserv. vol. 1175 f. 122). E' l'ultimo investito.
Sposò Marianna BONANNO BONOMI di Giuseppe, p.pe di Cattolica; matrimonio
celebrato in Palermo a 29 gennaro 1766.
Questo P.pe di Pantelleria e Conte
di Racalmuto, Francesco, ebbe tre maschi e cinque femmine.
a) GIUSEPPE ANTONIO primogenito, già conte di Buscemi, successo alla
morte del padre e morto senza figli in Palermo; la salma fu sepolta ai
Cappuccini;
b) MICHELE secondogenito che sposò, di anni 42, in Palermo, Stefania
GALLETTI, figlia di Nicolò GALLETTI LA GRUA, P.pe di Fiumesalato e di Eleonora
ONETO e GRAVINA (Sperlinga), già vedova di Luigi NASELLI ALLIATA, primogenito
di Baldassare, P.pe di Aragona. E ciò in Palermo nella parrocchia di S.
GIOVANNI dei TARTARI a 16 agosto 1814; morì senza figli in Palermo a 6 febbraio
1834.
c) EMANUELE terzogenito, che fu riconosciuto Cavaliere di Malta nel
1779 e fu Capitano nell'Esercito; successe a tutti i titoli di famiglia. Morì
in Palermo, a 25 marzo 1848, senza figli.
La primogenita delle femmine del
C.te Francesco si chiamò CATERINA. Ella
successe de iure in tutti i titoli paterni. Era nata il 5 febbraio 1770. Sposò
Antonio Giuseppe REGGIO, P.pe della Catena, già vedovo di Maria Teresa VANNI.
Questo secondo matrimonio si celebrò in Palermo nella parrocchia di S. Giacomo
la Marina a 22 marzo 1794. Fu il p.pe Tesoriere generale del regno; Superiore
della compagnia della Carità in Palermo; Gran Croce dell'ordine costantiniano.
Antonia REGGIO e REQUISENZ,
fu C.ssa di Racalmuto come figlia ed erede di Caterina, sua madre. Sposò questa
nel 1823 Leopoldo GRIFEO, figlio
ultimogenito di Benedetto Maria GRIFEO
del BOSCO, p.pe di Partanna e della
p.ssa Lucia MIGLIACCIO BORGIA, ereditiera Duchessa di Floridia. Era nato questi
a 17 agosto 1796; fu maggiordomo di Settimana e gentiluomo di Camera d'Entrata
nella corte di Napoli. Con sovrano decreto 11 ottobre 1823, il detto Leopoldo
fu insignito del titolo di conte. Morì il 1° agosto 1871. Da questo matrimonio
nacquero;
a) Benedetto GRIFEO REGGIO, primogenito;
b) il C.te Giuseppe GRIFEO REGGIO, morto celibe a Napoli;
c) la C.ssa Lucia GRIFEO REGGIO di cui parleremo in seguito, morta a Napoli a
27 gennaio 1890.
Benedetto GRIFEO REGGIO
fu, de jure, C.nte di Racalmuto alla morte di Antonia, sua madre; nacque nel
1824. Sposò Eleonora STATELLA e BERIO dei P.pi di Cassaro. Morì a Napoli
(Sezione di CHIAIA) li9 maggio 1884. Fu P.pe di Pantelleria, Conte di Buscemi,
ecc. ecc.
Leopoldo GRIFEO STATELLA
successe, de jure, nel titolo suddetto, per la morte di Benedetto, suo padre;
nacque li 3 giugno 1851; fu inoltre P.pe di Pantelleria, C.te di Buscemi. Sposò
Maria Francesca di LORENZO, da cui sono nate due figlie Eleonora primogenita e
Lucia secondogenita. Ebbe altresì questo conte una sorella chiamata Antonia
GRIFEO STATELLA che nacque li 3 luglio 1855; sposò li 4 febbraio 1886 il nobile
Alfonso TUFANELLI.
Francesco D'AYALA VALVA GRIFEO fu riconosciuto per rinnovazione con R. D. del 1900. Fu conte di
Racalmuto e nobile dei marchesi di Valva. Nacque primogenito a Napoli a 9
gennaio 1854, dalla Contessa Lucia
GRIFEO REGGIO (di cui sopra è parola al numero 15 lettera c) e da Matteo AYALA VALVA, figlio del marchese
Francesco Saverio. E' Cav. del Sacro Militare Ordine Gerosolomitano. Non ha
figli. Per i futuri chiamati vedi l'annesso albero genealogico. Matteo AYALA VALVA, nato in Taranto ai
30 Maggio 1818, dal marchese Francesco Saverio e dalla Marchesa Caterina dei
Duchi CAPECE PISCITELLI, prese la carriera militare e pervenne al grado di
colonnello di Cavalleria; sposò Lucia GRIFEO dei Principi di Partanna, morta ai
27 gennaio 1890. [...]
N.B. - Dati tratti da: La Storia dei Feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia dell' Avv. Francesco SAN MARTINO de SPUCCHES - Vol.
VII - Palermo Suola Tip. "Boccone del Povero" 1929 - da quadro 783
"CONTE di RACALMUTO" pagg. 181-188.
* * *
Terraggio e
terraggiolo: atto finale
Presso la Matrice si conserva un Liber in quo adnotata reperiuntur nomina
plurimorum Sacerdotum. Al n.° 292 (col. 16) incontriamo questa dedica a D. Nicolò Figliola: «di Grotte, domiciliato in Racalmuto, eletto
nella causa del Terragiuolo, che gli antenati inutilmente tentarono nei
tribunali contro il Signor Conte.
«Nell’anno
1783 si cominciò la causa, e nel tempo dell’agitazione il predetto Figliola due
volte si trasferì in Napoli al R. Erario e riportò dal Sovrano, che il Conte
mostrasse il titolo dell’imposizione del terragiolo, che non poté provare, per
cui sotto li 30 luglio 1787, dopo quattro anni di causa dal Tribunale si era
designato il giorno di decisione, ma il Figliola nello stesso mese, se ne morì.
«Il
sudetto nel 1786 ottenne dal Re, che questa terra di Racalmuto si reluisse il
Mero e Misto Imperio, che di più di centinaia d’anni ne godeva il Conte. Morì
in corso di causa, con pianto e dolore universale, nell’infermeria dei RR.PP.
del Terz’Ordine di S. Francesco nel convento della Misericordia, in cui sta
sepolto il di lui cadavere, in Palermo. 14 luglio 1787 d’anni 38.»
Al n.° 297 (col.
17) tocca all’altro protagonista della vicenda: l’Arciprete D. Stefano Campanella, di cui si tesse questo encomio:
«Collegiale-Economo nel 1754-1755 in
Campofranco. Successore dell’Arciprete Antonio Scaglione, fatto il concorso
nella Corte Vescovile di Girgenti nel 1756 a 19 Febbraio sotto Mons. Lucchese Palli, approvato e raccomandato alla Santità
di Papa Benedetto XIV, da cui fu eletto Arciprete Parroco con bolla emanata da
Roma 16 giugno 1756 ed in Palermo esecutoriata 8 Agosto 1756 confirmata dal
Vescovo di Girgenti 14 Agosto e l’indomani, 15, prese possesso.
«Da principio curò il ristoramento delle
Fabbriche della Chiesa. Nel 1760 fece la presente ampia Sacristia, nel 1767
compì il cappellone grande. Nel 1776 si perfezionò con stucchi ed oro fino, si
fecero i due campanili ed arricchì la chiesa di arredi sacri nel 1783.
«Egli con altri primari del paese
incominciarono a proprie spese la causa per il Terragiolo nel Tribunale di
Palermo e dopo quattro anni di
strepitosa lite dal Tribunale rotondamente si determinò a 28 Settembre 1787.
“Jesus= Jus Terragii, et Terragiolii tam intra, quam extra territorium
declaratur non deberi.”
«Finalmente nel 1787 in Favara fu Visitatore
eletto dalla Corte Vescovile di Girgenti per quel Collegio di Maria. Morì
compianto da tutti il 26 Aprile 1789 d’anni 60, mesi otto, giorni 2 - e di
Arcipretura anni 32, mesi 8 giorni 7.
«Fu ancora Vicario di questo Monastero,
Delegato dalla Regia Monarchia etc.»
La vicenda del terraggio e del terraggiolo è stata oggetto di nostre apposite ricerche, che, solo di recente per il ritrovamento di importanti documenti da
parte del prof. Giuseppe Nalbone, abbiamo potuto approfondire: crediamo di
essere riusciti almeno in parte nell’opera di ripulitura di tante incrostazioni
ideologiche degli storici nostrani.
Di rilievo, alcune
carte della Real Segreteria del 1785 che palesano una settecentesca
controversia clerical-sociale nella nostra Racalmuto.
La politica
antibaronale del Caracciolo è fin troppo nota per sorprenderci dell’andamento
della controversia feudale di Racalmuto.
Non siamo
partigiani certamente del Principe di Lampedusa, né del sacerdote locale, don
Giuseppe Savatteri, che gli teneva bordone. Ma al di là dei meriti dei
sacerdoti Figliola e Campanella, prima rievocati, fu quella del 28 settembre
1787 una sentenza politica, giuridicamente azzardata, storicamente falsa.
Era di sicuro un
grande araldista il Requisenz per lasciarsi abbindolare dai legulei di
Racalmuto. Avrà esibito i bei diplomi del 500 e del 600, tutti a suo vantaggio,
ma contro il Caracciolo naufragò.
Al di là
dell’aspetto sociale, che ci vede
dall’altra parte della barricata, siamo portati, per amore della storia locale, a credere che
il burbanzoso principe di Pantelleria avesse ragione e l’illuminista Caracciolo
sbagliasse.
Resta ancora poco
chiaro come venissero corrisposti i pesi feudali ai del Carretto, se in natura
(come i termini “terraggio” e “terraggiolo” fanno pensare) o in contanti (come
tanti atti dell’epoca lasciano intendere) o in forma mista.
Abbiamo notato
sopra le varie controversie dei Gaetani sul terraggio e sul terraggiolo. I
tribunali gli avevano dato, tutto sommato, ragione, ma erano altri tempi. Ora,
alla fine del Settecento la musica è ben altra. Ne fa le spese il buon nome del
sac. Savatteri, vilipeso imperituramente da Sciascia.
Sac. Giuseppe Savatteri
e Brutto (1755-1802)
Bello, elegante, colto,
raffinato, ricco, sprezzante - quanto casto non è dato sapere - questo prete
svetta sia nelle vicende della famiglia sia in quelle della locale storia.
Leonardo Sciascia, avvalendosi di dati di seconda mano, tenta di infilzarlo, ma
commette una delle sue solite manipolazioni storiche per prevenzioni
ideologiche. Il sac. Giuseppe Savatteri ha coraggio, cultura e intraprendenza
tali da osare un’impari contrapposizione con il suo potente (e dispotico)
vescovo agrigentino. Entra nell’intricata storia del beneficio del Crocifisso.
Quando, il Tinebra Martorana -
un famiglio della discutibile consorteria dei Tulumello - si accinge, nel 1897,
a scrivere la storia del paese, non gli sembra vero di dilatare il senso di un
documento giudiziario - che invece di venire custodito negli archivi del
Comune, sta fra le carte private del barone Tulumello - per dileggiare un
Savatteri, la famiglia ostile ai suoi protettori, che fra l’altro lo facevano
studiare da medico a spese dell’Amministrazione comunale.
Quello sui cui il Tinebra trama è il
carteggio del Caracciolo su cui abbiamo già detto. Ripetiamo quello che
riguarda il nostro sacerdote:
«17. La Gran Corte dia le pronte provvidenze
di giustizia, onde li cittadini non soffrano aggravij - A febbraio p.p. in die
16 - Li naturali della terra di Racalmuto, sentendosi molto gravati di questo
esattore ed amministratore Prete d. Giuseppe Savatteri nell’esigenza del
terragiolo dentro e fuori di questo stato, quanto nell’avere agumentato la
Baglìa a tutti li poveri giornalieri, formando una Cascia o Statica come anche
esatte a forza di prepotenze pignorando sin anco gli utensili delle loro moglie
e pratticando molte estorsioni.
«Pregano l’E.V. di ordinare il conveniente
per non vedersi pur troppo soverchiati.»
Al Tinebra Martorana mancano competenza
e penna per fronteggiare la complessa vicenda della lotta al baronaggio
siciliano da parte del discutibile Caracciolo (l’agiografica visione dei laici
del Settecento e del postumo Sciascia lascia oggi il tempo che trova). Il
Tinebra, dunque, compatta scarne e disparate “notizie storiche” in un
capitoletto sul Settecento e velenosamente rubrica (pag. 184): «1785 - Soprusi
praticati dal sac. Giuseppe Savatteri, arrendatore di Racalmuto, verso i
poverelli.» Non parve vero a Leonardo Sciascia di rigonfiare quell’appunto per
una delle sue solite tiritere anticlericali.
Nessuna ricerca storica, da parte sua; nessun approfondimento; nessuno
spunto critico. Scrive dunque lo Sciascia [10]:
«Ecco il rapporto di un altro
funzionario al Tribunale della Real Corte sui “soprusi praticati dal sacerdote
Giuseppe Savatteri, verso i poverelli”» e giù, senza analisi critica, il testo
di un’evidente lettera anonima, che crediamo essere dovuta alla penna del
malevolo arciprete Campanella, o peggio del sac. Busuito, contro cui il
Savatteri aveva affilato le armi per l’usurpazione del beneficio del
Crocifisso.
Prosegue Sciascia: «Il bello è
che dopo questo rapporto il Tribunale della Real Corte ordinava al giudice
criminale di Regalpetra [alias Racalmuto] “di far restituire ai borgesi tutti
gli oggetti che il sacerdote Savatteri aveva ad essi pignorati”, forse i
lettori non lo crederanno ma la cosa è andata davvero così”.» Con buona pace di
Sciascia, a noi pare che le cose erano molto più complesse e coinvolgono la
politica dei re Borboni di Napoli, che è quanto dire.
D. Giuseppe Savatteri e Brutto
morì nella peste del 1802; il Liber annota: n.° 312, c. 19, D. Giuseppe
Savatteri e Brutto, 27 februarii 1802 d’anni 47. Il vescovo non lo aveva voluto
come beneficiale della Communia. Il Savatteri faceva però parte della
neo-confraternita della Mastranza. Non pare molto diligente nell’annotare le
messe che era tenuto a celebrare per i confrati defunti: subisce delle
sanzioni. Così risulta annotato in registri della confraternita.
Sciascia ed i Sant’Elia - Conclusione
Sciascia è benevolo verso i principi di Sant’Elia.
Leggiamolo assieme: «Con lui [Girolamo IV, ma rectius III] si estingueva la
famiglia, l’investitura passava ai marchesi di Sant’Elia, ancor oggi i borgesi
di Regalpetra pagano il censo agli eredi dei Sant’Elia: ma certo che fu grande
riforma quella che i Sant’Elia fecero centocinquanta anni addietro, divisero il
feudo in lotti, stabilirono un censo non gravoso, la piccola proprietà nacque,
litigiosa e feroce; una lite per confini o trazzere fa presto a passare dal
perito catastale a quello balistico, i borgesi hanno fame di terra come di
pane, ciascuno tenta di mangiare la terra del vicino ...» [11] A parte
la bellezza della trasfigurazione letteraria, si resta perplessi. Sotto il
profilo storico, non sappiamo dove abbia preso Sciascia quelle notizie sui
Sant’Elia. A noi risultano fatti, intenti e liti ben diversi da quelli sottesi
nella pagina sciasciana. Ad addentrarsi in tali meandri, il discorso porta
lontano, ben lontano dalla vicenda feudale racalmutese. Ed in questa sede
c’interessa solo il declino del baronaggio in Racalmuto. Riforma borbonica e
rivoluzione francese estinsero quell’istituto. I Sant’Elia ne furono, a loro
modo, vittime. Divennero semplici proprietari “allodiali” di terre già in
enfiteusi perpetua, sminuzzate tra tanti ex vassalli racalmutesi. Gliene venne
il magro censo che ancora all’epoca in cui Sciascia scriveva si pagava, svilito
ormai per le tante selvagge svalutazioni monetarie, non certo per bontà d’animo
di quei signori. Le loro memorie giacciono negli archivi dei tribunali e quando
verranno riesumate suoneranno condanna per quegli ultimi virgulti della
decrepita società feudale siciliana.
APPENDICE
PRIMA
FATTI
E MISFATTI, FACCENDE E VICENDE RACALMUTESI
Il 1622 fu anno
fatale per Racalmuto: sarà vero, non sarà vero, fatto sta che il pressoché
impubere Girolamo del Carretto vi rimise la pelle. Per malattia, come noi
pensiamo, per mano mano omicida di un servo, come tutto Racalmuto ha voglia di
credere, poco importa. La peste è alle porte: Marco Antonio Alaimo a Palermo si
diletta di letteratura latina e trasforma gli antichi saggi romani in maestri
incommensurabili di medicina. Beatrice del Carretto, giovane vedova e bella
ereditiera, forse tresca con il cognato arciprete, figlio illegittimo
dell’irrequieto Giovanni Del Carretto.
Il polo soffre e
tace: ma qualche tratto di penna cade nei registri della Curia Vescovile, a
discreta memoria futura. Cataldo Morreale è racalumtese ma chissà perché langue
nelle carceri (pare, personali) di tal Raffaele Gnandardone; e così Paolo La
Licata, figlio di Pietro. Il vescovo viene a saperlo; se ne intenerisce (forse
per denaro) e ne dispone “gli arresti domiciliari”. Ecco quel che oggi possiamo
leggere nei sotterranei della Curia Vescovile di Agrigento:
REGISTRI
1622 et 1623
f. 181
Eodem
( die 21 9bris VI ind. 1622)
Pro Cataldo Monreale Terrae Racalmuti ad
presens carcerato in domo Raffaelis Gnandardone, et Paolo la Licata Petri
terrae praedictae ad presens carcerato in Castro ..
ANNOTATO provvisus et mandatum ... quod isti
Cataldus Monreale et Paulus La Licata habeant facultatem et licentiam non
obstante clausola contenta in prox.a accedendi ad terram Racalmutiibique
commorandi per dies quatuor a crastina die numerandos trium et dumtaxat .. \
La giustizia
curiale agrigentina era, diciamolo pure,
compiacente con gli ottimati racalmutesi. E Laura Barba poteva allora
vantare accondiscendenze episcopali, atte ad avere il sopravvento su Martino
Curto, che non era poi l’ultimo venuto, anche se qualche vezzo usuraio dovette
averlo. Una Laura Barba ubbidiente al marito fino all’autodistruzione della
propria cospicua dote, non ci pare del tutto sincera. Non vuol essere spergiura
e con palese menzogna si prostra al Vescovo per intenerirlo e farsi assolvere
dai giuramenti (in campo economico) profusi in azzardate operazioni
finanziarie. Il Vescovo ha voglia di
crederle: noi, francamente, no. Al nostro paziente (eventuale) lettore lasciamo
il destro di credere a chi voglia.
Die 26 novembre 1622
(f. 188)
Nos
Dilecte nobis in Xristo Laurie relictae quondam Antonini Barba Terrae Racalmuti
agrigentinae doecesis salutem . Fuit nobis ex parte tua supplicatum .. ut nos
provisum sub forma sequente Videlicet.
... Laurea relicta dello quondam Antonino Barba della terra di Racalmuto
espone a V. S. Ill.ma che non potendo resistere essa esponente alla violenza et
timore di detto suo marito fu costretta in tempo di sua vita tantum per vim et
metus concussam quantum reverentia maritali obligarsi quantum debitoris di
detto suo marito con gravissima et enormissima lesione con prejudizio della sua
dote, sicome si obbligao contra sua voglia in solidum con dicto suo marito ...
di onze 1. 15 di rendita dovuti et da pagarsi ogni anno a Martino Curto. In
virtù di questa subjugatione fatti nelli atti di notaro Simuni Arnuni di
Racalmuto … et anco detto suo marito la
fece obligarsi ad una venditione di certi casalini venduti a D. Giuseppe
Sanfilippo. In virtù di questo fatto all'atti di notar Natali Castrogiovanni
die 20 octobris XV Ind. 1616 et più la feci obligari sicome lo obligao in una
permutatione, et cambio di una vigna di detto suo marito con una vigna di
Angilo ...... per la quale permutatione essa esponenti si acollao pagare in
solidum con suo marito o. 1 ogni anno allo Convento di S. Maria di Gesù di
Racalmuto. In virtù di questo fatto nelli atti di notaro Simuni Arnuni di
Racalmuto et similmente la fece intervenire et obligare a certi terraggi dovuti
a Fabricio di Trapani. In virtù di questo fatto nelli atti di notarr Natali
Castro Gio: dicti et anco in uno altro
contratto debitore di onze 40 dovuti ad Angelo Duno (?) In virtù di ... li
quali obligationi benche de jure siano nulli et nullissimi tutta volta a
maggior cautela pretende detti atti far dichiarare invalidi et nulli et
rescindere et obstandoli li giuramenti
prestati et contenuti in detti contratti li quali non devono esser vinculo di
iniquita per tanto non resultandoli tanto grave preiudicio et interesse di sua dote della quale non può
ne deve restare indotata de iure. Supplica perciò V. S. Ill.ma resti servita
ordinazione che sia absoluta da tutti et singuli iuramenti in genere et in
specie facultate et expresse presbiti et presentem ab illo iuramento petendo absolutionem et ea obtenta non ... ad effectum agendi et concederli ditta absolutione . In forma
... Agrigenti die 8 novembre VI ind. 1622. Ex parte fuit provisus et .. quoad absolvatur ab
omnibus et singulis iuramentis in genere et specie presbiteris ad effectum agendi
tunc et dumtaxat ....
Non erano tempi
quelli in cui i Curto riuscivano ad intessere buoni rapporti con il vescovo di
Agrigento. Una condanna in contumacia se la becca Antonino Curto fu Bartolo. Il
vescovo dà incarico al locale Vicario per l’esecuzione dell’episcopale
afflizione.
(f. 191) die 29 novembris 1622
Contumacia Antonini Curto quondam Bartholi
terrae Racalmuti et tali fermiter huius
episcopi ... agrigentinae diocesis directa R.do Vicario d.ae Terrae
Di casa sul colle vescovile era ovviamente il chierico,
già ricco, famoso e felicemente sposato. Ha voglia di andare in giro in abito
clericale. Fa voti al vescovo ed il vescovo è ben felice di esaudire il mistico
desiderio del pittore racalmutese.
Die 29 dicembre 1622
(f. 213)
Nos dilecto in X.sto filio Cle: Petro
d'Asaro terrae Racalmuti. quia ex parte tua fuit nobis suplicatum ut tibi
observaternales (') litteras ... licentia abitum clericalem insumendi ac
gerendi expositis concedere digneremeur ideo fuit per nos ad relaciones .....
in dorso memorialis ebibis quod fiant ... in forma ut sequitur ..
Bonincontro ... filio Petro de asaro
d.ae terrae Racalmuti salutem ... ex
parte tua fuerit nobis .. expositum quod cum fueris
Il 5 febbraio
1621 s’erge già imponente l’attuale Matrice intitolata a Santa Maria
dell’Annunziata: certo non era ancora il tempio a tre navate che oggi
contraddistingue Racalmuto e quella strana svolta del corso principale che gli
ottocenteschi massoni racalmutesi hanno voluto dedicare all’eretico ed ostile
Garibaldi. Ma non era più l’ecclesiola degli anni ’40 del 500. Vi officiava
anche don Santo d’Agrò, e se pur accarezzava il sogno (lugubre) di farsi
seppellire sotto il primo altare della navata laterale, non si può dire che
avesse tutti quegli alumbiamenti che dopo gli appioppò, infondatamente,
Leonardo Sciascia. Vicino c’era già un altare che veniva servito dai confrati
di S. Giuseppe. E sotto la detta data del 5 febbraio 1621, quel sodalizio
(confraternita senza dubbio della buona morte) ottiene dal dottor don Gabriele
Salerno (U.I.d. e vicario generale) tanto di bolla episcopale che avrà reso
felice il Governatore (della religiosa confraternita, s’intende) Francesco lo
Brutto ed i notabili (i confrati “officiali”) Jacobo Grillo, Benedetto Troyano,
Girlando Gueli e Vincenzo Macaluso. «Cupientes – scandisce oltremodo
solennemente, il Salerno – vobis
[concediamo] licentias et facultates .. fundandi ac oratorium costruendi
sub titulo S. Joseph, sacchos et mantellos apportandi et deferendi in
processionibus et exercitia spiritualia exercendi in dicta ecclesia S. Mariae
Annunciatae in cappella S. Joseph …»
Saremmo stati veramente curiosi di vedere questi nostri secenteschi
antenati, tristi e compunti, nelle sacre processioni e goderci lo spettacolo di
codesti allucinati figuri nei loro lunghi “sacchi” e con quelle azolate
mantelline, mistificante sagra di un contristato rito religioso con attori poco
sinceri, reduci forse da orge vinaiole consumate nelle tante “putie di vino”
nei bassi del Castello o negli anfratti di Zia Betta.
[1]) Documenti per servire alla
storia di Sicilia - SECONDA SERIE - FONTI DEL DIRITTO SICULO VOL VII - PA 1911 - PAG.
129 XIII - Palermo 6 ottobre 1639, VIII Ind.
[2]) terratico: la somma per l'affitto di un terreno. In Sicilia, il
terratico si corrispondeva in natura, con parte del raccolto del grano.
[3] ) Giovan Battista CARUSO, Memorie Storiche di Sicilia, volume II,
parte III, pag. 132 e seguenti.
[4] ) Archivio di Stato di
Agrigento - Soppresse Corporazioni
Religiose - Inventario n. 46 - fascicolo 532.
[5] )
ARCHIVIO DI STATO PALERMO Fondo archivistico Palagonia - Serie Fondi Privati -
UNITA’ n.° 631 ANNI 1502-1706 Pagine da 126 a p. 143v
[6])
Archivio Segreto Vaticano: Agrigentum, relationes ad limina, B18 - f. 314.
[7])
ARCHIVIO DI STATO DI PALERMO - PROTONOTARO REGNO - PROCESSI INVESTITURE - unità
archivistica n. 1640 -
PROCESSO N. 7205 - ANNI 1702 - n.°
4 - INVESTITURA TITULI RACALMUTI in personam Ill.is D. JOSEPH DEL CARRETTO
[8])
ARCHIVIO DI STATO DI PALERMO - PROTONOTARO REGNO - PROCESSI INVESTITURE - unità
archivistica n. 1640 -
PROCESSO N. 7205 - ANNI 1702 - n.°
4 - INVESTITURA TITULI RACALMUTI in personam Ill.is D. JOSEPH DEL CARRETTO
[9] ) PARTE
II. libro I - DELLA SICILIA NOBILE [VILLA BIANCA] VENTIMIGLIA - TERRA
BARONALE, pag. 74 e segg.
[11] Leonardo SCIASCIA Le
parrocchie di Regalpetra - ed. Laterza 1982 Bari U.L., pag. 19.
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