Archivio di Stato di Agrigento
Da Inventario n. 32
Conto di Racalmuto del 1878 presentato da Nalbone Luigi.
-----------------------
Fascicolo n. 403
(Inventario n. 32)
- Conti Racalmuto
1869-1887
«Conto entrata ed uscita per l'esercizio 1886.
reso dal Tesoriere
Comunale Nalbone Giuseppe.»
- Anno 1885
reso dal Tesoriere
Comunale Nalbone Giuseppe.
[Archivio Centrale dello Stato - Roma - Ministero Interno - Pubblica
Sicurezza (P.S.) - Busta 80 sf. C
1]
Archivio Centrale dello Stato
- Roma - Ministero Interno - Pubblica
Sicurezza (P.S.) 1925 - Busta 80 sf. C 1]
Espresso del 30
luglio 1925.
«il 15 andante circa
120 operai della miniera di zolfo Terrana di racalmuto e Grotte si astennero
dal lavoro pretendendo l'aumento del salario in seguito dell'avvenuto aumento
del prezzo dello zolfo. Alle ore 9,30 dello stesso giorno operai predetti recaronsi
quello scalo ferroviario assistere passaggio On. Farinacci, che fermatosi pochi
minuti promise suo intervento favore operai stessi. Però giorno 20 successivo
tutti zolfatai bacino minerario Racalmuto e Grotte, segno solidarietà e per
analogo scopo si astennero pure lavoro. Di seguito laboriose trattative .... fu
raggiunto accordo sulla base ...
dell'aumento del 10 % sui salari attuali a decorrere dal 1° Agosto p.v. ..»
Testo accordo:
«L'anno 1925 addì 28
luglio nell'Ufficio di P.S. di racalmuto alle ore 12.
«Sono presenti i sigg: Comm. Angelo Nalbone esercente miniera Cozzotondo, Cav. Rosario
Falzone esercente miniera Giona G. e P. Galleria, Mattina Salvatore di Gaetano
in rappresentanza degli esercenti della miniera Giona-Salinella N.°3-6; il cav.
Baldassare Terrana esercente della miniera Dammuso, il Cav. Vassallo Ernesto
esercente miniera Quattrofinaiti
Vassallo, il sig. Ricottone Giuseppe fu Giuseppe in rappresentanza per la
sua parte della miniera Gubellina
... e dall'altra parte il sig. Lo Sardo Giuseppe fu Nicolònella qualità
di presidente del locale Sindacato Fascista Zolfatai, Piazza Salvatore di
Salvatore nella qualità di Vice Presidente, il sig. La Mastra Giuseppe di
Nicolò nella qualità di Segretario, i sigg. Guastella Vincenzo fu Antonino,
Taibi Salvatore fu Giovanni, Mattina Giuseppe di Nicolò, Bartolotta
Michelangelo fu Raffaele, Arturo Gioacchino fu Gioacchino nella qualità di
consiglieri di detto Sindacato, i quali per non prolungare uno stato di cose
nocivo ai reciproci interessi e anche alla Economia Nazionale sono di pieno
accordo addivenenti mercè l'opera del locale funzionario di P.S. con l'ausilio
dell'Avv. Burruano Salvatore membro del Direttorio Provinciale fascista alle
seguenti convenzioni da avere vigore in tutte le forme di legge a datare dal 1°
Agosto 1925.
«Gli esercenti
tenuto conto presente l'ultimo listino del Consorzio zolfifero siciliano n. 118
ove è segnato un aumento del prezzo di vendita in ragione di L. 5 a quintale,
concedono alle maestranze, che accettano, un aumento del 10% sul prezzo base
pagato sin oggi.
«Tale aumento unito
ai precedenti aumenti dell'8 e del 6 per centosommano un totale del 24% sul
prezzo base.
«[.......]
«I rappresentanti
delle maestranze si impegnano a fare riprendere il lavoro a cominciare da
domani 29 andante.»
Archivio Centrale dello Stato
- Roma
- Ministero Interno - Pubblica
Sicurezza (P.S.) 1932 - Busta 41 sf. C 1]
30.6.1932
«29 corrente
Racalmuto - Nalbone Luigi
proprietario esercente miniera Cozzotondo - per nota crisi industria zolfifera
- ha sospeso estrazione minerale lasciando disoccupati 74 operai Racalmuto -
Comandante Tenenza Ten. Lo Monaco.»
*
* * * * * *
Da una lista a
stampa dell'Archivio di Stato di
Agrigento
«Lista della sezione elettorale di
Racalmuto.
«N.ro d'ordine - Elettori Cognomi e nomi - PATERNITA' - data
nascita - titolo o qualità che gli
lista lista
conferisce il diritto
com politica
elettorale commer-
mer comuna
le
ciia le
le
--------------
181 316
- Nalbone Giuseppe di Luigi - 28 marzo 1857 - negoziante di zolfo.
182 317
- Nalbone Angelo di Luigi - 2 giugno 1863 - negoziante di
zolfo.
Lo
storico locale E.N. Messana (op. cit. pag. 358) retrodata sentimenti
antifascisti del dopoguerra con evidente falsificazione della realtà, quando
storicizza le sue personali fantasie sul tiennio racalmutese 1919-1922. «A
Milano intanto, - annota - nel marzo dello stesso anno [1919], fu fondato il
fascio di combattimento. La borghesia e specialmente i capitalisti presero
respiro di quella forza antirivoluzionaria e violenta che subito cominciò a
bravacciare nelle città e nei comuni. A Racalmuto, il partito nazionalista, di
già menzionato, aveva accampato le pretese di rappresentare la conservazione
contro la evoluzione affiorante, sebbene con metodi inesperti e puerili. Le
notizie dei fasci e dello squadrismo si raccontavano al circolo Unione ed al
circolo degli Amici. Qualche do’
esultava a quelle nuove e non nascondeva il desiderio che anche a Racalmuto
venissero i prodi in camicia nera a bastonare gli zolfatai e i contadini.» Ma
la questione - come vedremo in seguito - era ben altra, più complessa e più gravida di conseguenze sociali.
Il
biennio 1923-1924 è denso di avventimenti che sicuramente moficano lo scenario
nazionale: è però erroneo ritenere che si apra una parentesi destinata a
chiursi a conclusione della guerra, adottando il criterio interpretativo del
Croce. La storia non procede per salti. Solo alcuni processi modificativi hanno
sussulti di accelerazione. E la consegna dei pieni poteri a Mussolini alla fine
del 1922 è una di queste fase. Peculiare diventa l’acquisizione di una
sensibilità delle masse in senso nazionale che, sicuramente prima difettava,
specie in Sicilia.
Per
il pensiero ufficiale
In quegli anni egli [il sacerdote
cui Ben Morreale dà l’improbabile nome di Giufà, n.d.r.] si rallegrò dell’aria
festosa assunta dal paese. Tutti indossavano splendide uniformi e il
capostazione aveva ricevuto l’ordine d’indossare sempre la sua, che aveva
quattro o cinque galloni sul braccio. Il postino, il personale delle ferrovie,
il caposquadra delle miniere, gli impiegati, gli amministratori, tutti
possedevano l’uniforme ed erano istruiti dal capo centurione, un uomo grande e
grosso che diceva loro con voce severa, mentre stringeva le mascelle e li
guardava con occhio truce: - Dobbiamo salutarci reciprocamente, ovunque l’uno
veda l’altro. Capito?
«Il capostazione sogghignava ogni
volta che salutava Giufà e quando era al circolo dei nobili alzava il braccio
per salutare e poi lo ripiegava di colpo sull’altro emettendo con la bocca un
suono osceno: era un residuo del principio a cui si ispiravano gli uomi
d’onore: qualsiasi autorità, che non fosse la propria, doveva essere messa in
ridicolo.» (6)
Il Circolo degli Amici si chiuse in
quel periodo perché i suoi soci in maggioranza non si tesserarono al fascio.
Nuovi soci non ne entrarono più per paura del libro nero e si esaurì
lentamente. Macaluso fu infatti l’uomo del libro nero, lo diceva sempre di
annotarsi il nome di chi gli faceva sgarbo, per saperlo colpire al momento
opportuno. E siccome faceva sul serio seccava ai più di finire scritto là e si
preferiva ingoiare e stare alla larga, quando non si riusciva o non si sentiva
di fare il codino come gli altri. Non mancarono i ricorsi contro don Enrico,
spesso anonimi, avevano paura di farsi conoscere gli autori, anche se, a dire
della gente, si lasciavano individuare e risultavano buoni professionisti con
un decoroso passato politico alle spalle. Si attribuì all’avv. Carmelo Burruano
un ricorso, l’altro al farmacista Argento.
«Sindaco Don Enrico lo fu poco,
perché nel marzo del 1927 si sciolsero tutti i consigli comunali d’Italia ed i
comuni furono affidati ai podestà di nomina governativa, che si riduceva a
nomina del capo del fascio della provincia. Il podestà doveva rinnovarsi ogni quattro anni e doveva
essere collaborato dalla consulta podestarile nei centri grossi, nominata da
lui stesso, a cui venivano conferite le funzioni della giunta comunale. Nei
piccoli comuni il podestà aveva facoltà di delegare alla firma un cittadino di
sua fiducia per la continuità della vita amministrativa in caso di sua assenza.
La prima deliberazione podestarile di Racalmuto, come si rileva dagli atti
d’archivio del municipio, porta la data del 9 aprile 1927. Enrico Macaluso fu
sindaco per meno di nove mesi, poi diventò podestà per intrigo e
raccomandazione di Abisso. Alla firma delegò l’ins. Giuseppe Mattina fu Gaetano
il 5 novembre dello stesso anno. Da podestà diede meglio sfogo al suo carattere singolare, incline al ripicco ed alla
vendetta, pronto al pettegolezzo ed implacabile nell’odio e nell’amore,
pretenziodo di continue umiliazioni e di sciocche e melliflue deferenze,
fanatico e puerilmente capriccioso.
«Se ebbe dei difetti gravi ed
incancellabili, ebbe anche dei pregi encomiabilissimi. Fu onesto fino allo
scrupolo. Non rubò nè permise che si rubasse. Ebbe sacro rispetto per l’erario
e per tutto ciò che fosse patrimonio del pubblico. Non trasse profitto alcuno
dalla carica di podestà e di altre che ne ebbe. Fu infatti presidente del
Consorzio delle ‘tre sorgenti’ per molti anni, consigliere del Banco di
Sicilia, sciarpa littorio del partito nazionale fascista e console del Touring
Club italiano. Ebbe amicizia con tutte le autorità del suo tempo, sia civili,
sia militari, sia religiose, relazioni che seppe cattivarsi con la sua
straordinaria generosità nel donare. Non calcolò interesse pur di emergere e di
acquistare rispetti. In questo campo fu tale la sua prodigalità che può dirsi
di aver diviso il suo patrimonio, ed era considerevole, alla gente. Nessun
racalmutese può vantarsi di non essere stato un suo debitore. A chi andava a
comprare medicinali o radio, o, più tardi elettrodomestici, prima cucine, sedie
ed altro, quando chiedeva il conto lui rispondeva ‘Po si nni parla’. Il cliente
in altra occasione si dichiarava pronto a pagare e lui ancora rifiutava. Guai
ad insistere. Cambiava espressione e grave diveca: ‘I conti a casa mia li debbo
fare io’. Era la premessa di una rottura. La gente così facendo, volente o
nolente, gli restava vincolata, anche se non mancavano persone che si urtavano
di questo vincolo a cui venivano costrette senza la loro volontà. Lui però era
felice di poter dire che tutti gli dovevano o, nominando qualche persona che
gli mancava di rispetto, dire in farmacia davanti al pubblico, ‘perché nun mmi
veni a pagari primu’, quando non la mandava a chiamare e gli intimava
l’immediata soluzione del credito. Questa prodigalità sui generis finì col
ridurlo in cattive condizioni economiche e sarebbe morto all’elemosina se non
avesse posto riparo una ragazza, che a tarda età rese sua figlia adottiva e
salvò il salvabile. Il grosso però fu tutto venduto e i soldi divisi ai clienti
del suo esercizio e della sua farmacia.
«Nell’attività amministrativa don
Enrico pensò prima di portare a conclusione le opere avviate dai suoi
predecessori, ma con scarso risultato, perché, non ammettendo interferenze nell
sua volontà, finiva col provocare passiva reazione negli uffici o fra coloro
che dovevano necessariamente portare avanti le cose, quando non incontrava
opposizione dura, da cui scaturivano lunghi processi civili. Il progetto per le
fognature, per l’ammontare di L. 900.000 lo approvò il 19 marzo del 1927, ma le
fognature si fecero nel 1956, quando il fascismo era morto e sepolto e lui
relegato alla sola attività professionale. Collaudò l’esecuzione del contratto
con l’impresa elettrica Siculo Lombarda, redatto l’11 febbraio 1925, secondo il
quale si costruì in paese la centrale elettrica, nei pressi della stazione, con
motore generatore di corrente. Tale motore sfruttava l’acqua della Fontana a
mezzo di una pompa aspirante, che in fase eduttiva provocava una cascata
sufficiente alla generazione dell’elettricità necessaria a fornire luce agli
abitanti ed alimentare 384 lampade ad incandescenza sparse nelle vie
dell’abitato, di cui 14 nel corso Garibaldi. Tentò di realizzare il vecchio
progetto dell’edificio scolastico, redatto nel 1913 dall’ingegnere Stefano
Bianco per una spesa di L. 335.000, aggiornata nel 1919 e portata a L. 735.000,
nel 1922 ad 1.300.000, ma non vi riuscì perché provocò un giudizio civile col
proprietario del fondo ove doveva essere ubicato, nello spiazzale Palma.
L’edificio infatti potè sorgere solo nel 1936, dopo la sua caduta.
«Subito dopo la prima guerra
mondiale in Racalmuto si era costituito il comitato pro monumento ai Caduti,
stabilendo a presidente il sindaco pro tempore. Si erano raccolte selle somme
sufficienti alla costruzione mediante sottoscrizioni civiche ed offerte degli
emigrati di America. L’opera era in corso di realizzazione quando subentrò
Macaluso a presidente del Comitato. Egli cominciò a rivoluzionare il programma
precedente e si venne ad una clamorosa divisione fra i componenti in merito
alla forma ed all’ubicazione dell’opera. Questa divisione durò per sempre. Don
Enrico non mollava e quelli intralciavano il suo operato. Gli anni passavano ed
il paese era rimasto uno dei pochissimi d’Italia a non avere un ricordo degli
infelici giovani morti sul campo di battaglia.
«Intanto il 10 settembre del 1929
il podestà deliberava l’offerta di L. 100 del comune per contributo alla
lampada votiva per i caduti in guerra di Agrigento, non potendolo fare per i
racalmutesi sprovvisti di monumento.
«Quando si fece la nuova strada di
circonvallazione, oggi Filippo Villa, Macaluso comprò con i solde del comitato
e per conto del comitato un po’ di suolo edificabile di proprietà dei Baiamonte
a San Gregorio, prima adibito a mulino per l’epurazione della feccia di mosto.
Nel punto d’incontro fra la strada di circonvallazione ed il cosro Garibaldi
fece fare un recinto in filo spinato, che sarebbe dovuto diventare, ma non lo
fu mai, un’aiuola spartitraffico. Nel mezzo di questo recento vi fece piantare
un albero di pino, dedicato ad Arnaldo Mussolini, ma non crebbe e fu estirpato
secco nel 1950. Contava di costruire, ove oggi è l’Esso, sul suolo edificabile
dell’ex mulino, la casa del fascio ed il monumento ai Caduti. Gli anni
passarono e non sorse mai niente. Negli ultimi tempi della dittatura soltanto
le basi di un edificio. [...]
«Durante il podesterato del
Macaluso, i lavori pubblici furono curati dal di lui fratello Cesare, dottore
in agraria, addetto ai sindacati fascisti. Don Cesare era stato in Tripolitania
ed aveva visto le strade di là com’erano fatte, le famose strade a mac adam con
sottofondo in breccia aggregata con polvere di cava. Pensò d’introdurre questo
sistema a Racalmuto, furono divelti quasi tutti i selciati a ciottolato delle
strade e cambiate in mac-adam. La riforma ben presto risultò inidonea. La
friabilità delle pietre sabbiose ed il clima dell’Africa agevola la durata
delle vie fatte con questo sistema. Le rocce di Racalmuto non essendo nè
sabbiose nè friabili, non resistettero all’uso, si frantumarono e si cambiarono
in polvere di estate ed in fanfo d’inverno. In via R. Margherita e in Via Asaro
d’inverno era un problema passarvi. Se si andava su si dava un passo in avanti
e tre all’indietro con i piedi affondati nella mota. Se si andava giù si rischiava
di finire a terra con qualche scivolone. Meno male che macchine non ce n’erano
tante, se no gli sbandamenti sarebbero stati frequenti e disastrosi. Le
macchine allora erano rarissime, le prime Balilla e le Ardita le ebbero
Giuseppe Mattina, l’avv. Carmelo Burruano e l’avvocato Luigi Cavallaro, che era
funzionario del Banco di Sicilia. Poi si fornirono di macchina i Nalbone e si
fecero i primi autisti di piazza, Di Marco e Don Pietro Sedita.
«Macalus ebbe il culto degli alberi
e si devono a lui gli alberi che costeggiano la strada che va al padre Eterno e
la via Filippo Villa. Altri alberi costeggiano la via Macaluso e Ferdinando
Martini, fino al ponte Carmelo e fino alla Stazione ferroviaria. Ne restano
pochi perché sono stati, purtroppo, distrutti dai frontisti della strada,
dimostrando scarso senso civico. Lo spiazzale Canalotto, oggi occupato dalle
case degli zolfatai, sotto Macaluso fu attivato a Palco della Rimembranza e vi
sorsero tanti alberi dedicati ai Caduti. Durante l’estate vi si eseguiva ogni
Domenica sera un concerto bandistico e spesso proiezione cinematografica muta
delle pellicole in voga. La musica non suonò più al Canalotto, che cessò di
essere meta e ritrovo delle passeggiate estive, verso il 1935, in seguito ad un
fatto di sangue avvenuto proprio ai piedi dell’icona attaccata al muro di
fronte, lato Ovest. Vi fu assassinato il procuratore del registro Sciascia ed
il delitto rimase impunito, perché non si individuarono i colpevoli.
«Don Enrico fece restaurare il
teatro riportandolo alla primiera sontuosità, ma non riuscì ad evitare che
fosse adibito a sala di proiezione cinematografica. Dapprima era il comune a
gestirlo direttamente, poi si diede in appalto, sotto Mattina, a Parisi, indi a
Collura e a Bordonaro. Con gli appalti cominciò a rovinarsi il locale. I
gestori non avevano interesse a custodire l’iimobile, il quotidiano uso e la
vetustà a poco a poco lo resero inagibile.
«Curò il riattamento del municipio,
disimpegnando tutti gli ambienti a mezzo del corridoio che collega al salone
del lato sud, rimettendoci soldi di tasca propria ed impegnando architetti ed
artisti di vaglia. Dopo i patti lateranensi, nella consegna della congrua parte
alla chiesa, riuscì a tacitare l’arciprete di allora, Giovanni Casuccio, con la
restituzione dell’intero locale di S. Giovanni di Dio a soluzione dei diritti
su altri edifici del comune. Tale atto fu abbastanza lodevole perché servì a
conservare integra la proprietà al comune del municipio, del cimitero e della
chiesa di S. Maria e dell’ex orto delle clarisse, area oggi occupata dal
teatro. [...]
« Fra le opere meritorie della sua
amministrazione va ricordato l’acquisto dei locali dell’ex Castello del Conte,
Lu Cannuni, o palazzo Chiaramontano. Questo edificio era finito in mano ai
privati. Alla famiglia Presti la parte di sud est e di sud ovest; l’ingresso,
la porta centrale, il salone delle adunanze della Signoria, tutto il versante
di nord e le due torri in mano di Padre Cipolla. Ciò dopo che non fu più
adibito a carcere. Padre Cipolla ne voleva fare un educandato femminile
affidato alle suore domenicane, ma quando nel 1930 fallì, l’immobile, venduto
all’asta per L. 2000 (duemila), l’acquistò il Comune.
«Con gli impiegati non fu mai in
confidenza. Mantenne il distacco, ma ebbe garbo nei rapporti personali. Tutte
le mattine arrivava il primo al Municipio, entrava nel suo abinetto, lasciava
la porta aperta e così impegnava i dipendenti ad essere scrupolosi
nell’osservanza dell’orario. Col pubblico non fu mai tenero. Usò il confine e
l’isola, le vili armi della dittatura fascista, a discrezione [...]
«Un bel giorno .. dovette ingoiare
un rospo: venne privato della segreteria
politica e fu nominato in sua vece Tito Tinebra. Mobilitò le sue forze ed
ingaggiò battaglia. Cadde Tinebra e fu nominato il suo amico Giuseppe Mattina.
Si sentì appagato e riprese fiato ad esercitare le sue funzioni di tirannello
paesano.
«Il fascismo intanto si realizzava
con la sua pesante struttura anche nel paese. Nata l’opera Nazionale Balilla,
don Enrico si affrettò ad iscrivere socio perpetuo il comune l’8 gennaio 1928.
Nel 1930 l’iscrizione all’opera Nazionale Balilla diventò obbligatoria per
tutti i fanciulli e le fanciulle che dovevano frequentare le pubbliche scuole
elementari e per gli studenti di ogni ordine e grado. Cominciarono le
fastodiose adunate del Sabato e della Domenica, le sfilate estenuanti e le
parate stupide fra le vie imbandierate fitte e le bestemmie degli anziani. Le
donne scesero pure a sfilare, le maestre e le giovani. A Racalmuto la dirigenza
dei fasci femminili la ebbe sempre, nella qualità di fiduciaria, collaborata
dalle figlie del farmacista Argento, la maestra Piera Taibi. Le divise
omogeneizzarono apertamente i cittadini. L’opposizione però continuava nel
segreto a vivere, pur se divenne presto innocua all’arbitrio fascista. Il
giornale ‘L’Unità’ arrivava da parigi in un pacchetto con la scritta profumi.
Il fattorino postale Salvatore Morreale lo sapeva e portava il pacco a Giovanni
Facciponti, in un salone sopra l’attuale negozio di Falco. L’Unità si vendeva
una lira la copia, prezzo iperbolico per i tempi e la comprava Vincenzo Vella,
Eduardo Romano, Vincenzo Macaluso, Giuseppe Cutaia e qualche altro di nascosto,
sapendo che se fossero stati scoperti il confine non glielo avrebbe tolto
nessuno.
«Durante tutto il periodo fascista
continuarono ad essere comunisti, subire discriminazioni violente e non
piegarsi, affrontando fame e disagi, ma rimanendo a Racalmuto Vincenzo Macaluso
fu Stefano falegname, Salvatore Jacono calzolaio, Salvatore Dell’Aira muratore,
Eduardo Romano, muratore, Giovanni Lo Forte, Di Liberto Carlo, Luigi Leone,
Leonardo Abramo Vizzini, Alfonso Tirone Tiberio e qualche altro. Mantenersi
iscritto clandestinamente al partito comunista durante il fascismo era una
impresa non facile, si trattava rischiare la galera ad ogni istante e la rovina
della propria famiglia. Loro furono in continuo contatto con Cesare Sessa a
Raffadali. Per lo più vi si recava Eduardo Romano, col pretesto che andava a
badare alla campagna dell’avv. Vincenzo Campo, cognato del Sessa. Solo Sessa
rimase nell’Agrigentino a reggere le fila del partito comunista. Il dirigente
Scarfidi, in seguito ad un’aggressione subita a casa dalle squadre fasciste,
dalla quale scampò mediante l’intervento di un alto magistrato, al quale era
amico, che, quel giornoper caso, era andato a fargli visita e fu presente, era
fuggito e si era rifugiato in un convento. I comunisti di Racalmuto, spesso
Romano ed una volta anche Abramo, durante la dittatura andavano anche a
presenziare riunioni segrete a Palermo. Avvenivano in una casa in via
Albergheria ed erano presiedute dall’onorevole Pilato.
«Ad Eduardo Romano infine è da
attribuirsi il merito di avere salvato il grosso del partito, che poi furono
quelli che in maggioranza fecero l’abiura a don Enrico, dalle persecuzioni.
Infatti, allorchè alla caserma gli chiesero l’elenco dei tesserati, egli fornì
un elenco in cui comparvero i notabili e tutti i morti e gli emigrati. Un
plauso solenne vada pertanto a costoro vivi e defunti, che ebbero il coraggio
di professare le proprie idee affrontando ogni rischio. E ben ha fatto il
partito comunista nel 1961 ad offrire una medaglia di bronzo ed il diploma
degli otto lustri di fedeltà ai superstit, perché le nuove generazioni
potessero conoscere ed ammirare gli uomini tenaci e fermi nel loro credo anche
in clima di difficoltà e divieto. Da Racalmuto poterono avere quest’attestato
di riconoscenza, Salvatore Dell’Aira, Di Liberto Carlo e Vincenzo Macaluso.
Quest’ultimo alla memoria, per essere deceduto giorni prima. Don Enrico non
seppe mai queste cose e dire che aveva sempre fra i piedi Carmelo Romano, il
fratello di Eduardo che gli faceva l’amico e badava a tener lungi i sospetti
dalla sua casa.
«Lui seppe solo il borbottio della
bottega Giudice e del salone Bellavia, ma non potè mai eccpire alcunchè per
colpire con carcere e confine il titolare ed i frequentatori. [..]
«Il giovane che sin qua ci ha
seguiti ci darà, credo, dell’esagerato, ma prima di giudicare si informi e
saprà che il fascismo aveva un decalogo, i cui primi articoli o comandamenti
così dicevano - 1) Mussolini ha sempre ragione; 2) le punizioni sono sempre
meritate; 3) la Patria si serve anche facendo da guardia ad un bidone di
benzina, ecc. ecc.
«Quando vedrà che il governo
fascista imponeva il domma dell’infallibilità del suo capo, costringeva la
supina accettazione di ogni pena e poneva tutte le attività lavorative al
servizio della Patria, per attribuire il delitto di attentato alla sicurezza
dello Stato contro ogni inadempienza, si accorgerà che non siamo esagerati e si
meravigliera che un popolo di circa 45 milioni di componenti ha sopportato per
venti anni tanto obbrobrioso sistema. Coloro che avevano assaporato la libertà
democratica mal sopportavano tanta opprimente vuotaggine, ma guai a manifestare
la loro avversione, si rischiava il confine o la galera, il domicilio coatto o
una serie di legnate e sevizie nelle caserme. Ebbe considerevoli guai Edoardo
Romano, per esempio, perché a Giovanni Agrò che gli ingiunse un giorno al campo
sportivo di credere, obbedire e combattere, rispose: - Combattere sì, perché se
mi chiamano alle armi non mi posso rifiutare, obbedire altrettanto perché se
non ubbidisco mi costringono a farlo, ma credere no, perché nessuno può impormi
una fede. [...]
«Si nasceva figli della lupa e si
aveva una divisa da portare ed un moschetto. Si diventava balilla e la stessa
cosa, poi avanguardista, giovane fascista, camicia nera ecc. L’opera nazionale
Balilla era stata sostituita dalla Gil, gioventù italiana del littorio, che
inquadrava tutta la gioventù della nazione in un casermone rigurgitante odio ed
abuso, soverchieria e sbronzerie dei tanti megalomani dell’epoca. Per andare a
scuola si doveva presentare la tessera Gil, sia per le elementari che per le
medie o superiori, comprese le università, dove oltre al diploma di maturità si
doveva esibire il certificato di iscrizione al G.U.F., gioventù universitaria
fascista, e l’attestato di avere superato il brevetto sportivo. Senza la
tessera Gil non si poteva nemmeno lavorare. A Racalmuto potè rifiutarla un solo
giovane, Calogero Macaluso, figlio di un cugino di don Enrico, il quale da
solo, o per contatti con Eduardo Romano, diventò comunista. Costui fu raggiunto
dai tentacoli della piovra nera del fascismo e fu chiamato in caserma dai
carabinieri. Il maresciallo gli disse, fra l’altro, che lo avrebbe arrestato se
non prendeva la tessera. Lui ebbe il coraggio di ripondere: - mi arresti pure,
è necessario che i nostri compagni in galera ricevino il conforto delle nuove
generazioni. - Non fu arrestato perché don Enrico non volle subire l’affronto
di far sapere ovunque che un suo omonimo parente non era fascista.
«Nelle scuole si studiava dottrina
fascista e cultura militare fino alla università dove pure era la materia
obbligatoria di mistica fascista. Prima di andare soldati c’era il premilitare
obbligatorio, e qui a suon di nerbo i giovani diciottonni, ogni Sabato
pomeriggio, per ore ed ore dovevano stare a fare marce ed istruzioni. A
Racalmuto il premilitare si faceva al campo sportivo, lo faceva fare il
geometra Luigi Falletti, coadiuvato dal cadetto della milizia Luigi Di Marco e
qualche altro. Non so altrove, ma a Racalmuto la borghesia aveva un privilegio,
non faceva le istruzioni. Noi studenti facevamo gli elenchi al geometra
Falletti e stavamo ogni sabato a guardare. Ricordiamo la nausea e la ribellione
che provavamo quando vedevamo schiaffeggiare sonoramente i poveri giovani
contadini ed a volte anche bastonare, perché si muovevano sull’attenti o per
altro. La nausea ci veniva perché già ai nostri diciotto anni eravamo
organizzati da circa due anni nelle file clandestine antifasciste. Alla
formazione del nostro pensiero politico, impreciso partiticamente, ma
decisamente ugualitario, di sinistra e di pronta opposizione al fascismo,
contribuì, oltre la famiglia sempre antifascista alla quale apparteniamo, il
nostro insegnante di filosofia Ettore Centineo, che ci schiuse la mente alla
democrazia ed alla critica. Siamo entrati nelle organizzazioni allora operanti
in Italia per mezzo di Leonardo Sciascia [..] A lui si deve la formazione di un
gruppo di studenti antifascisti in Racalmuto e la coscienza della brutalità di
quel partito, nonchè della sua carenza ideologica fra gli studenti di ieri e
professionisti di oggi in questo paese. Leonardo Sciascia, convinto comunista
nel 1938 e 39, quando aveva 17 e 18 anni, riuscì a fare preziose cellule nel
paese, si ricordano Angelo Picone, Diego Paradiso e Salvatore Cavallaro, oltre
noi e qualche altro fra coloro che collaborarono nei limiti delle loro
capacità, compromettendosi magari, a prepare la resistenza contro il fascismo
ed a sabotare le organizzazioni della dittatura. [...]
«Feste nazionali sotto il fascismo
erano: il 23 marzo, anniversario della fondazione del fascio, il 21 aprile,
natale di Roma, l’11 febbraio anniversario del Concordato con la Chiesa, il 24
maggio, entrata in guerra, il 28 ottobre anniversario della marcia su Roma ed
il 4 novembre festa della vittoria. [..] Una mattina di festa nazionale il
dottor Giuseppe Cavallaro ebbe inferto dai fascisti racalmutesi un colpo
terribile, tale che tarò per sempre la sua salute. Il dottor Cavallaro era un
vecchietto senza figli, che ogni giorno con la moglie andava a trovare il
suocere e i cognati. Un giorno fu fermato in Via R. Margherita, davanti di
Pavia dai militi. Gli chiesero perché non portava la camicia nera quantunque
festa nazionale. Il povero dottore rispose di averlo dimenticato, essendo
uscito di premura per fare una visita di urgenza. I militi fecero l’addebito e
riferirono al segretario politico. Il dottor Cavallaro ebbe ritirata la tessera
d’iscrizione al partito nazionale fascista. Tale provvedimento significava la
rovina, infatti senza tessera non si poteva esercitare la professione
sanitaria, perché l’ordine dei medici lo vietava. Il dottor Cavallaro, sospeso
dall’esercizio professionale, si dispiacque tanto, anche se stava
economicamente bene, che si ammalò. Non si guarì più e morì alcuni anni dopo.
[...]
«La delinquenza però è bene che si
dica non finì proprio sotto il fascismo, e la stessa mafia non fu eliminata,
infatti ad essa, strumento di repressione contadina, si sostituì lo stato
autoriatario fascista, cioè non ve ne fu più bisogno e sembrò essere stata
debellata, ma debellata non fu tanto che rinacque così rigogliosa alla caduta
del regime, cessarono soltanto le efferatezze del dopo prima guerra mondiale
non la criminalità vera e propria. Al fascismo si diede a torto quel merito. Si
dimenticò che Sciascia, il ricevitore del registro fu assassinato nel 1935 e c’era
il fascismo, Federico Giancani ammazzato barbaramente nel maggio del 1937 e
c’era il fascismo, il latitante Ciciruneddu, Rizzo, non potè mai essere preso
dalle forze dell’ordine e fu ucciso da uno per la regola del tagione che
gravava sulla sua morte ed erano gli anni dal 1936 al 1939 e c’era il fascismo,
l’orificeria di don Carmelo Rosina fu scassinata, una prostituta fu trovata con
la gola recisa da un rasoio nella sua casa in Via Madonna della Rocca, l’altra
fatta a pezzi alla Acqua Amara presso la Torre di Baeri in pieno fascismo.
Abbiamo voluto citare i misfatti più eclatanti del periodo fascista, sorvolando
i minori, per dimostrare l’infondatezza di quest’affermazione, che, purtroppo,
si sente ancora ripetere nelle discussioni di piazza. Il fascismo usò metodi
repressivi atroci e questo è vero, mise la pena di morte e la esercitò e questo
è pure vero, ma l’una e l’altra non gli fanno onore. Non si scherza con la vita
degli uomini, ed essa è sacra e nessuno può toglierla per nessuna ragione. La
società può relegare fuori del proprio consorzio il tarato, il reo, ma non
sopprimerlo, non ne ha nessun diritto. La repressione poliziesca del fascismo
poi era peggio della fucilazione, si trattava delle torture di medievale
memoria, praticate nelle caserme dei carabinieri: nerbate fino al sangue,
scosse elettriche, fare ingerire acqua satura di sale, legare alla cassetta e
tante e tante altre barbarie. Basta dire che l’omicidio di Federico Giancani se
lo accollarono parecchie persone incapaci ed innocenti pur di non patire più le
torture e poi si vennero a trovare i colpevoli fuori dell’Italia, in Africa
dove erano riusciti ad imboscarsi.» (10)
La
traballante prosa del Messana traccia un quadro della situazione politica a
Racalmuto duntante il fascismo che va preso - lo ripetiamo - con le molle. Ma
qualche elemento di prima mano ce lo fornisce. Sappiamo solo così di
antifascisti operanti a Racalmuto. Le loro vicende sono palesemente enfiate. Un
riscontro possiamo coglierlo dale schedature della polizia, oggi consultabili
presso l’Archivio Centrale dello Stato in Roma.
Secondo
il Messana, il maggiore esponente comunista dell’epoca fu Edoardo Romano
Prodromi, avvento ed affermazione del fascismo a
Racalmuto.
Risulta
alquanto singolare che il primo momento d’interesse per il fascismo si consumi,
a Racalmuto, nell’esclusivo e nobiliare circolo Unione. Era il sedici gennaio
1921. Nel sodalizio reso celebre da Sciascia nelle sue Parrocchie di Regalpetra
si volle l’abbonamento al giornale di Mussolini “Popolo d’Italia”. Quali movivi
vi sottendessero non è dato di sapere. Il verbale n. 4 recita testulamente:
«Abbonamento al giornale Popolo d’Italia:
Indi [il 16.1.1921] postoa in discussione l’abbonamento al giornale “Popolo
d’Italia”, esperitasi la votazione, riesce approvato a maggioranza di voti.
Previa lettura e conferma il verbale si sottoscrive. Il presidente: Bartolotta;
I soci: G. Grillo e S.Messana - Il Segretario: Sciascia.»
Non
si raggiunge l’unanimità, come di solito. Si fa firmare il verbale,
inconsuetamente a due soci. Il presidente è Bartolotta, all’epoca potente
vicesindaco e notabile del luogo che l’opinione pubblica accreditava come
referente della mafia del territorio.
La
verbalizzazione del Circolo Unione - diversamente, ad esempio, da quella del
Muotuo Soccorso - è estrememante succinta ed è del tutto rituale: ciò
conferisce maggior risalto a questa nota sull’abbonamento al giornale di
Mussolini agli albori del fascismo. Pensiamo che quell’atto da parte dei
‘galantuomini’ racalmutesi si debba alla svolta, notatasi anche in paese,
dell’opinione pubblica, in accentuata fase di disaffezione verso il movimento
socialista, in auge nel biennio precedente.
Per
avere un’altra testimonianza della propensione del Circolo Unione verso il
fascismo dobbiamo, invece, attendere (18) il 1932.
E’ di risalto per la nostra ricerca questo verbale:
«Nomina a Soci Onorari: L’anno
millenovecentotrentadue il giorno 26 del mese di giugno alle ore 20,30 nella
solita sala delle adunanze si è riunita l’assemblea generale straordinaria dei
Signori Soci per discutere e deliberare sul seguente:/ Ordine del giorno/ Nomina
a Soci Onorari./ Il Presidente/
constatato il numero legale dei Soci presenti in n. 35 dichiara aperta la
seduta ed invita l’assemblea a procedere alla nomina a Socio Onorario del
concittadino Sansepolcrista Comm. avv. Giuseppe Pedalino.
«Il Socio Rag. Sciascia Vincenzo a
questo punto domanda la parola, ed avutone l’assenso dal Presidente dichiara
non solo di aderire toto corde alla proposta per la nomina del Comm. Pedalino a
Socio onorario di questo Sodalizio, ma di nominare anche, con lui, gli altri
nostri illustri concittadini, Generale Egidio Macaluso, il gesuita Padre
Francesco Paolo Nalbone, e il gesuita oratore insigne, Padre Antonio Parisi.
«L’assemblea per acclamazione
approva la proposta del Presidente e del Rag. Vincenzo Sciascia e dà incarico
al Presidente di comunicare tale deliberato agli illustri nuovi Soci onorari.
Dopo di che l’Assemblea si scioglie. Previa lettura e conferma il verbale è
approvato e sottoscritto. Il Segretario: Vinci. - Il Presidente: Mendola».
Il
Pedalino aveva nel 1930 brigato per farsi riconoscere ‘Sansepolcrista’. Nel
1929 v’era stata la celebrazione del decennale dell’adunata del 23 marzo 1919
di piazza S. Sepolcro. I giornali avevano pubblicato l’elenco dei
sansepolcristi desunto dal numero del “Popolo d’Italia” del 24 marzo 1919” ed
il Pedalino non c’era. (Cfr., ad esempio, L’Impero - quotidiano fascista della
sera, Sabato 23 marzo 1929 - VII). (19 ) L’anno
successivo, 56 milanesi - tra i quali il nostro Giuseppe Pedalino - mostravano
di avere vinto la loro piccola battaglia per il riconoscimento ufficiale si
sansepolcristi, come attesta questo telegramma:
«A S.E. Mussolini roma - ricevuto il 23 marzo
1930 ore 19,18 da Milano 89399 - Presenti alla seduta del 21 marzo partecipanti
all’adunata gloriosa del 23 marzo 1919 stop Esprimiamo cordiale devoto
ringraziamento pel Vostro pensiero benevolo verso di noi stop Avere posto la
vecchia guardia accanto autorità ci commuove ed esalta stop Noi chiediamo di
servirVi in ogni ora come nella primissima col giuramento con la fede con
l’opera con tutto noi stessi stop Pronti alla buona causa[seguono firme:
Giuseppe Pedalino è al quindicesimo posto].»
La
retorica dei firmatari non era valsa ad impedire una poliziesca attenzione sul
loro conto. Viene annotato con matita
rossa:”tenere in evidenza tutti nomi”, e con matita nera: “Fatte copie per i
fasc. rispettivi di tutti i firmatari dell’accluso telegr. - 27.3.1930 VIII”.
* * *
Un
episodio del ocale consiglio comunale desta l’ilare ironia di Leonardo Sciascia
e la corrusca pedanteria di Eugenio Napoleone Messana: l’attribuzione della
cittadinanza onoraria nel 1923 a S. E. Benito Mussolini. Annotata Sciasca: (20 )
«Dopo il declino dei Lascuda [vale a dire dei
Tulumello, n.d.r.] si formarono due fazioni guidate da professionisti,
dominavano i medici, ché allora diversa era la professione del medico, a
Regalpetra [alias Racalmuto, n.d.r.] dico; [...] Le due fazioni elettorali non
si distinguevano tra loro né per colore politico né per programmi; l’unica
distinzione stava nel fatto che una fazione lottava senza la mafia el’altra
alla mafia si appoggiava, le possibilità di vittoria stavano dalla parte dei
mafiosi, ma un risultato imprevisto poteva avvenire che scattasse, sicché i
mafiosi non giuocavano aperto pur gettando tutto il loro peso su una parte. I
socialisti, come si dice delle puntate a cavallo nel baccarà, quando il banco né tira né paga, non facevano giouco;
l’avvocato [Vincenzo Vella, n.d.r] che al tempo dei Fasci Siciliani aveva
coraggio e speranza, mugugnava amarezza e delusione.
«Questa arcadia da cui ogni tanto
scappava fuori l’ammazzato prosperò fino al 1923, degnamente chiuse la sua vita
con questa deliberazione del Consiglio Cominale:
«”L’anno millenoventoventitre nel
giorno quattordici del mese di dicembre alle ore diciotto. Il Consiglio
Comunale di Regalpetra [Racalmuto, n.d.r.] in seguito ad avvisi di seconda
convocazione, diramati e consegnati ai sensi degli articoli 119, 120 e 125
della legge, si è riunito in adunanza straordinaria nella solita sala
municipale con l’intervento dei signori ..., ed all’appello nominale risultarono assenti gli altri diciannove
consiglieri di cui uno morto, ed essendo in numero legale per validità della
deliberazione ... PROPOSTA -
Conferimento della cittadinanza onoraria a S.E. Benito Mussolini - Il
presidente rammenta all’onorevole consesso la viva lotta che molti Comuni
Siciliani, compreso il nostro, hanno sostenuto presso i passati governi per la
soluzione dell’annoso problema idrico. Finalmente, soggiunge, solo il Governo
Fascista ha saputo sollecitamente e pienamente accontentare i voti di quanti di
quel dono della natura vanno privi. Di fronte a sì alto beneficio, questo Consiglio
Comunale, interprete dei sentimenti di tutto il popolo di Regalpetra, non potrà
diversamente esprimere la sua riconoscenza e devozione al Governo Fascista che
conferendo la cittadinanza onoraria al suo Capo Supremo S.E. Benito Mussolini -
IL CONSIGLIO - a voti unanimie con entusiastiche acclamazioni, ripetute dal
pubblico assistente, ha conferito la cittadinanza onoraria a S.E. Benito
Mussolini.”
«Così sollecitamente e pienamente
il governo fascista risolse il problema idrico che i tubi che dovevano portare
l’acqua a Regalpetra giunsero a questo scalo ferroviario nel 1938, furono
ammucchiati dietro i magazzini, da principio se ne interessarono i ragazzi, per
giuoco vi si inconigliavano dentro, poi l’erba li coprì, restarono dimenticati
nell’erba alta. L’acqua arrivò nel 1950, fu festa grande per il paese. In
quanto agli undici consiglieri che avevano deliberato per la cittadinanza a
Mussolini, un paio restarono nella rete di Mori, gli altri non si iscrissero
mai al fascio, masticarono amaro per vent’anni. In compenso furono fascisti
quei diciotto (facevano diciannove col morto) che risultarono assenti, e si
erano evidentemente assentati per protesta, il giorno della deliberazione.
«Il sindaco quella proposta aveva
fatto per guardarsi le spalle, così si illudeva; dopo il telegramma che
annunciava a Mussolini la deliberata cittadinanza onoraria, un altro ne fece
che denunciava il prefetto come protettore della delinquenza, voleva dire della
delinquenza dei fascisti non di quella della mafia: come un fulmine giunse
l’ordine di scioglimento del Consiglio comunale, fu nominato commissario il
capo dei fascisti regalpetresi. [...]
«Dopo il 23, il diagramma degli
omicidi si avalla; poi Mori, con metodi già noti, ramazzò mafiosi e
favoreggiatori, ma non si creda riuscisse ad estirparli definitivamente,
soltanto nella nostalgia per il fascismo si può credere una simile cosa. Per
quel che io ricorso, e più indietro i miei ricordi non vanno, negli anni più
euforici del fascismo c’era a Regalpetra, nelle campagne intorno, un latitante
cui per comodo tutti i furti e gli incendi di case di campagna, che in quel
tempo furono numerosissimi, venivano attribuiti. Fu messa una taglia sul bandito (che era un proveruomo che doveva scontare
una condanna per furto, e a costituirsi non si decideva; viveva con le magre
tassazioniche ai galantuomini imponeva); e per la taglia lo ammazzarono, gli
diedero alloggio e poi l’ammazzarono: e il fratello del bandito sparò poi, in piazza e a mezzogiorno,
all’uomo che quel servigio aveva reso alla società, nell’opinione dei
regalpetresi fece giusta vendetta. »
Il
Messana (21) spoglia del velo della
fantasia l’episodio ed il contesto storico della pagina sciasciana, e con il
suo solito approccio politicamente fin troppo scoperto, così ricostruisce la
vicenda:
«Il Commendatore Bartolotta, ad un certo
punto, cominciò a sentirsi in pericolo personale e sentì bisogno di difesa. Era
lui il capo gruppo di maggioranza, l’uomo che aveva da tempo un seguito nel
paese e che era riuscito a conquistare il comune nel 1920. I capipopolo erano
il bersaglio preferito dei gregari del fascismo. Da ciò la persecuzione a
Racalmuto e lo sgomento del commendatore. C’era da cercare un pretesto per
allontanare l’occhio grifagno dei fascisti dalla compagine consiliare del paese.
L’occasione sembrò trovarsi allorchè Mussolini, già nelle sue qualità di capo
del Governo del regno d’Italia, s’interessò del problema idrico della Sicilia.
Prima del fascismo erano nati, noi l’abbiamo già visto per il paese che
trattiamo, molti consorzi fra comuni per l’approvvigionamento idrico delle
popolazioni. Tali consorzi però non avevano potuto iniziare la costruzione
degli acquedotti, se non tutti, parte di essi, per mancanza di anticipazione di
fondi della cassa Depositi e prestiti e per le remore burocratiche nella
approvazione dei progetti. A un certo punto Mussolini promosse una legge che
snelliva l’iter per lo sviluppo dei consorzi e ne semplificava le operazioni di
finanziamento e quindi di realizzazione delle opere. Siccome Racalmuto era un
paese già consorziato nelle ‘Tre Sorgenti’, venne ad essere beneficiato da tale
provvedimento legislativo. Il commendatore Bartolotta, prese la palla al balzo
e chiese al sindaco Scimè di conferire la cittadinanza onoraria del paese a
Benito Mussolini. Egli pensava che ciò avrebbe fatto desistere il prefetto dal
perseguitare il consiglio ed avrebbe anche allontanato le insidie che si
tendevano contro la sua persona. Il sindaco Scimè convocò il consiglio per il
13 dicembre 1923 alle ore 18 con un solo argomento all’ordine del giorno:
Conferimento della cittadinanza onoraria a S.E. Benito Mussolini per avere
risolto l’annoso problema idrico della Sicilia.
«Malgrado le pressioni e le
preghiere di Bartolotta, il 13 dicembre di quell’anno la seduta rimase deserta.
non si potè in modo assoluto raggiungere il numero legale di consiglieri
presente. Il 14 dicembre alla stessa ora ebbe luogo la seconda convocazione.
Non c’era più bisogno delle presenze della metà più uno dei consiglieri in
carica per essere valida l’adunanza, per cui ai sensi degli articoli 119,120,
125 della legge comunale allora vigente, essa ebbe luogo. Il commendatore
Bartolotta aveva personalmente pregato tutti i consiglieri di essere presenti,
molti avevano promesso di accontentarlo, ma all’appello risultarono presenti
solo dieci e precisamente, lui, che venne il primo, il sindaco Nicolò Scimè,
Giovanni Macaluso, Nestore Falletti, Salvatore Falcone, Carmelo Licata, Enrico
Grisafi, Calogero Scimè, Calogero Bellavia e Luigi Messana. Nelle more per
l’inizio della discussione si sguinzagliarono alla caccia di consiglieri tutti
gli amici di Bartolotta, non trovarono nessuno, solo Messana Pio, che faceva la
siesta a casa nella sua poltrona. Invano tentò di evitare con pretesti di
recarsi al consiglio, l’insistenza fi tale che dovette andarci. Quando giunse
in aula la votazione era già avvenuta, ma invitato dal Sindaco dovette
associarsi, sicché Mussolini diventò cittadino onorario di Racalmuto con undici
voti su undici consiglieri presenti e contro diciannove assenti. Le cose sono
andate poi in modo alquanto strano: gli undici che votarono sì per la
cittadinanza onoraria a Mussolini non divennero mai fascisti, anzi molti di
essi rimasero i depositari dell’antifascismo locale, i protestatari, i nostalgici
della libertà e furono definiti borbonici, si estraniarono completamente dalla
vita pubblica, rimasero a maledire e ad attendere la caduta dell’avventuriero,
rinunziando a possibili sistemazioni, non pochi dei diciannove assenti invece
si accodarono e scesero in piazza in “giummo” e stivali.
«Il problema idrico Mussolini lo
risolvette solo a parole, l’acqua delle Tre Sorgenti, ripetiamo, giunse in
paese ben sette anni dopo la caduta del suo governo e cinque anni dopo la sua
fucilazione. Non avrebbe potuto impiegare certamente di più se il suo avvento
al potere non ci fosse mai stato. Egli si limitò a mandare a Sciacca a spese
dei vari comuni S.E. Teruzzi, ministro del suo governo, nel 1925, per mettere
la prima pietra dei costruendi acquedotti, in parata tanto solenne che solo a
Racalmuto costò L. 1000 di allora. Dopo, vennero le lungaggini, le difficoltà
senza possibilità di ricorrere o di parlare.
«Il commendatore Bartolotta,
rassicurato dagli applausi dei fascisti presenti in aula allorchè si proclamò
in consiglio l’esito della votazione per il conferimento della cittadinanza a
Mussolini, tentò anche di costituire lui un fascio di combattimento, sperando
di abbattere i fascisti locali.
«Nello stesso tempo indusse il
Sindaco Scimè a ricorrere al Ministero contro il prefetto per certe
irregolarità commesse in provincia. L’esito di tale azione fu drastico. Il
consiglio comunale fu sciolto appena tre settimane dopo il conferimento della
cittadinanza al Capo del Governo. Il 7 gennaio si insediò il commissario
prefettizio ragionere [sic] Angelo Zambuto. Il commendatore finì in carcere la
sua attività politica.»
Tra
la versione dei fatti dello Sciascia e quella del Messana vi sono piccole
divergenze: certo Messana è più informato, ma la sua prosa e troppo barcollante
per effere più efficace. La realtà storica appare, però, più intricante di quella resa dai due
intellettuali antifascisti di Racalmuto. Gli archivi di Stato forniscono ai
volenterosi fonti informative puntuali e oltremodo precise. Le carte
dell’archivio centrale romano (22) , da noi
consultate, consentono questa ricostruzione:
«R. Prefettura di Girgenti - Gabinetto n.°
1266 del 19. 12. 1923. -
L’amministrazione comunale di Racalmuto sorta dalle elezioni generali del 1920
con carattere prettamente demosociale, per mancanza di una vigile ed attiva
opposizione, si abbandonò ben presto alla inerzia più assoluta, sicura di poter
vivere tranquillamente per le condizioni della politica locale e per la
protezione che alla stessa veniva accordata dagli esponenti della democrazia in
Provincia. Sindaco del Comune fu eletto il Dr. Scimè, ma anima
dell’Amministrazione è stato sempre il Dr. Bartolotta Giuseppe, che ha assunto
la carica di assessore anziano, e che rappresenta in Provincia uno dei campioni
più forti e fedeli della democrazia sociale.
«Con l’avvento del Fascismo al
potere cominciarono a muoversi delle timidi e lievi lagnanze contro la detta
amministrazione, ma finora ho creduto opportuno di soprassedere dall’adottare
alcun provvedimento, stimando doveroso procedere prima alla liquidazione delle
amministrazioni a carattere socialista ed anticostituzionale, che non
funzionavano o funzionavano male. Esaurito questo compito, credetti di
rivolgere il mio pensiero al Comune di Racalmuto e disposi un’inchiesta a
carico [.... E’ emerso:]
«- Scarsissima attività del
Consiglio: 15 sedute nel 1921; 10 nel 1922 e 7 nell’anno in cors;
«Quasi abbandonato l’ufficio di
polizia rurale, lasciando piena libertà alla maffia di scorazzare ed agire
impunemente per le campagne, perché le guardie rurali sono adibite ad altro.
[...]
«A tutto questo è da aggiungere che
la parte migliore della cittadinanza ed il Fascio locale ha sempre
intensificato la campagna contro l’attuale Amministrazione della quale sono
pure noti i rapporti sia pure indiretti con la maffia, la quale viene se non
protetta apertamente, certo lasciata indisturbata a compiere le sue gesta.
Tant’è vero che le guardie campestri, anzichè prestare servizio in campagna
come dovrebbero, vengono adibite a servizi interni. Trattandosi di un
importante comune, sarebbe opportuno che venisse designata come R. Commissario
persona capace ed energica, estranea all’ambiente locale [..] Il Prefetto:
Reale.
«10 gennaio 1924: Appunto per S.E.
il Ministro: Comune di Racalmuto.- Proposta scioglimento Consiglio comunale;
popolazione 15.000 - motivi della proposta: ragioni d’ordine pubblico per il
pericoloso malcontento della popolazione contro gli amministratori. Numerose
irregolarità e deficienze accertate da una recente inchiesta. Non risultano
interessamentei.
«Il Prefetto della Provincia di
Girgenti, veduto il R.D. 24 gennaio 1924 col quale venne sciolto il Consiglio
Comunale di Racalmuto [...] Ritenuto che il Commissario non ha potuto
completare la sistemazione della Finanza comunale e dei pubblici servizi e che
la situazione dei partiti locali non consente d’altro lato, d’indire subito le
elezioni [..] decreta: il termine per la ricostituzione del Consiglio Comunale
di Racalmuto è prorogato di tre mesi. Girgenti 16 maggio 1924. Per il Prefetto:
F.to Giordano.
« 19 marzo 1924: Indennità al Commissario straordinario: L. 50 - Il Cav.
Enrico Sindico, ex colonnello nel R. Esercito, si è appositamente trasferito da
Spezia a Racalmuto [...]
«Gazzetta Ufficiale del Regno
d’Italia n. 73 del 26 marzo 1924.
«”Relazione di S.E. il Ministro
Segretario di Stato per gli affari dell’Interno, Presidente del Consiglio dei
Ministri, a S.M. il Re, in udienza del 24 gennaio 1924, sul decreto che
scioglie il Consiglio comunale di Racalmuto, in provincia di Girgenti, MAESTA’,
sul funzionamento dell’amministrazione comunale di Racalmuto, sorta dalle
elezioni generali del 1920, è stata recentemente eseguita un’inchiesta che ha
accertato numerose irregolarità. L’Ufficio comunale è disorganizzato, privo
d’inventario e con scritture contabili deficienti, la situazione finanziaria
non è esattamente accertabile, per la trascurata esecuzione delle verifiche di
cassa, e per il mancato esame dei conti, non è stato effettuato il passaggio
dei fondi dal cessato al nuovo tesoriere. Le tasse, applicate con criteri
partigiani, danno un gettito notevolmente inferiore alle previsioni del
bilancio, mentre le spese vengono erogate in eccedenza agli stanziamenti e
talora senz’alcuna autorizzazione; il dazio è concesso in appalto a condizioni
onerose, è stato omesso il reimpiego di somme provenienti da alienazione di
patrimonio; lavori e forniture sono state eseguite irregolarmente in economia
ed in esse hanno spesso avuto interesse gli stessi amministratori.
«Tra i pubblici servizi sono assai
trascurati la nettezza urbana, la pubblica illuminazione, la vigilanza
annonaria e la polizia rurale. La disordinata gestione della civica azienda ha
provocato nella popolazione un vivissimo malcontento e l’eccitazione degli
animi è tale da far temere turbamenti per la pubblica quiete.
«Anche ragioni di ordine pubblico,
oltre che la necessità di provvedere senza indugio al riordinamento
amministrativo e finanziario della civica azienda, rendono quindi
indispensabile lo scioglimento del Consiglio comunale con la conseguente nomina
di un Regio commissario, ed a ciò provvede lo schema di decreto che ho l’onore
di sottoporre all’Augusta firma della Maestà Vostra.
«Vitt. Emanuele III [..] visti gli
articoli 323 e 324 del t.u. della legge comunale e provinciale, approvato con
R. d. 4.2.1915 n. 148, nonchè il R.d. 24.9.1923, n. 2074: il consiglio è
sciolto [...] il sig. cav. Enrico Sindico è nominato Commissario straordinario
con i poteri del R. d. 24.9.1923, n. 2074. Dato a Roma il 24.3.1924. V.E. III
re d’Italia- Mussoluni.»
Il colonnello Sindico non diede buona prova:
nel dicembre di quell’anno veniva destituito:
«26.12.1924, risposta a 26.11.1924. -
Prefettura diGirgenti n. 600 Gab. - [...] dimissioni presentate dal Colonnello
Enrico Sindico [..] la relazione non rappresenta nulla di notevole, anzi [..]
non ha provveduto alla formazione del bilancio [..] Giudizio: mediocre.»
inesperti e puerili. Le notizie dei
fasci e dello squadrismo si raccontavano al circolo Unione ed al circolo degli
Amici. Qualche do’ esultava a
quelle nuove e non nascondeva il desiderio che anche a Racalmuto venissero i
prodi in camicia nera a bastonare gli zolfatai e i contadini.» Ma la
questione - come vedremo in seguito - era ben altra, più complessa e più gravida di conseguenze sociali.
Il Circolo Unione di
Racalmuto ed i suoi folkloristici soci del primo dopo-guerra passano alla
storia (letteraria) per l’ironica attenzione che vi rivolse Leonardo Sciascia.
Abbiamo citato già le Parrocchie di Regalpetra. Lo scrittore racalmutese non si
limitò però a quelle note. “Galleria” - la rivista di Caltanissetta che
dirigeva - ospitò Paese con figure
(Galleria, I - 1949, 1, pp. 21-24) e Arrivano
i nostri (Galleria, anno XIII, n.° 1 - gennaio-febbraio 1963, pag. 8 e
segg.: “don Giuseppe Savatteri ..
imbecille detestabile”; “don Ignazio
Grillo .. col suo bastone .. vibrante come una bacchetta di rabdomante ad ogni
sotterranea malignità”; il signor Munisteri con una voce “che la mancanza di
denti rende come ovattata”; il barone Trupia che “muove le mani leggere come
farfalle, a foggiare nell’aria un gran corpo di donna”, sono i galantuomini del
Circolo Unione, appena appena velati da nomi di fantasia, ma non tali da non
consentire ai più anziani del paese di fornirne ancor oggi i veri dati
anagrafici. La beffa di Arrivano i nostri
- una manipolazione radiofonica per una falsa notia sulla conquista dell’Italia
da parte dei bolscevichi a fine anni ‘50 - è una vicenda realmente accaduta
sempre al Circolo dei galantuomini. Il Circolo Unione ha una storia di quasi
due secoli. Il suo statutorisale al 1839 come può leggersi nel Notamento dei Così detti Caffè e luoghi di
riunione esistente nei vari Comuni di questa Provincia .., Girgenti, 26 agosto
1839, in Archivio di Stato di Palermo, Segreteria di Stato presso il
Luogotenente generale, Polizia, vol. 412 (Cfr. Carmelo Vetro -
L’associazionismo borghese dell’800: le case di compagnie, in Il Risorgimento - rivista di storia del Risorgimento e di storia contemporanea -
Anno XLVI n. 2-3 - Milano 1994 - pag. 301)
6
) Ben Morreale - Uomini d’onore (Li
cornuti) - Mursia Milano 1976 - pag 56 e segg.
10 ) Eugenio Napoleone Messana - Racalmuto nella storia della
Sicilia - Canicattì 1969, pag. 368 e segg.
18
) Il Circolo Unione di Racalmuto ed i suoi folkloristici soci del primo
dopo-guerra passano alla storia (letteraria) per l’ironica attenzione che vi
rivolse Leonardo Sciascia. Abbiamo citato già le Parrocchie di Regalpetra. Lo
scrittore racalmutese non si limitò però a quelle note. “Galleria” - la rivista
di Caltanissetta che dirigeva - ospitò
Paese con figure (Galleria, I - 1949, 1, pp. 21-24) e Arrivano i nostri (Galleria, anno XIII, n.° 1 - gennaio-febbraio
1963, pag. 8 e segg.: “don Giuseppe
Savatteri .. imbecille detestabile”;
“don Ignazio Grillo .. col suo bastone .. vibrante come una bacchetta di
rabdomante ad ogni sotterranea malignità”; il signor Munisteri con una voce
“che la mancanza di denti rende come ovattata”; il barone Trupia che “muove le
mani leggere come farfalle, a foggiare nell’aria un gran corpo di donna”, sono
i galantuomini del Circolo Unione, appena appena velati da nomi di fantasia, ma
non tali da non consentire ai più anziani del paese di fornirne ancor oggi i
veri dati anagrafici. La beffa di Arrivano
i nostri - una manipolazione radiofonica per una falsa notia sulla
conquista dell’Italia da parte dei bolscevichi a fine anni ‘50 - è una vicenda
realmente accaduta sempre al Circolo dei galantuomini. Il Circolo Unione ha una
storia di quasi due secoli. Il suo statutorisale al 1839 come può leggersi nel Notamento dei Così detti Caffè e luoghi di
riunione esistente nei vari Comuni di questa Provincia .., Girgenti, 26 agosto
1839, in Archivio di Stato di Palermo, Segreteria di Stato presso il
Luogotenente generale, Polizia, vol. 412 (Cfr. Carmelo Vetro -
L’associazionismo borghese dell’800: le case di compagnie, in Il Risorgimento - rivista di storia del Risorgimento e di storia contemporanea -
Anno XLVI n. 2-3 - Milano 1994 - pag. 301)
19
) Archivio Centrale dello Stato - Segreteria particolare del Duce “Carteggio
Riservato” - Busta n.° 36 - fascicolo 242/r
20 ) Leonardo Sciascia - Le parrocchie di Regapetra - in Opere vol I Bompiani Editore, Milano, IV Edizione giugno 1990, pag. 29 e segg.
21 ) Eugenio Napoleone Messana - Racalmuto nella storia della
Sicilia - Canicattì 1969, pag. 364 e segg.
22
) Archivio Centrale dello Stato - Ministero Interno - Amministrazione Civile -
Comuni - - Busta n.° 2069.
Nessun commento:
Posta un commento