giovedì 12 dicembre 2024
martedì 23 dicembre 2014
Terraggio e terraggiolo: atto finale
Terraggio e terraggiolo: atto finale
Presso la Matrice si conserva un Liber in quo adnotata reperiuntur nomina plurimorum Sacerdotum. Al n.° 292 (col. 16) incontriamo questa dedica a D. Nicolò Figliola: «di Grotte, domiciliato in Racalmuto, eletto nella causa del Terragiuolo, che gli antenati inutilmente tentarono nei tribunali contro il Signor Conte.
«Nell’anno 1783 si cominciò la causa, e nel tempo dell’agitazione il predetto Figliola due volte si trasferì in Napoli al R. Erario e riportò dal Sovrano, che il Conte mostrasse il titolo dell’imposizione del terragiolo, che non poté provare, per cui sotto li 30 luglio 1787, dopo quattro anni di causa dal Tribunale si era designato il giorno di decisione, ma il Figliola nello stesso mese, se ne morì.
«Il sudetto nel 1786 ottenne dal Re, che questa terra di Racalmuto si reluisse il Mero e Misto Imperio, che di più di centinaia d’anni ne godeva il Conte. Morì in corso di causa, con pianto e dolore universale, nell’infermeria dei RR.PP. del Terz’Ordine di S. Francesco nel convento della Misericordia, in cui sta sepolto il di lui cadavere, in Palermo. 14 luglio 1787 d’anni 38.»
Al n.° 297 (col. 17) tocca all’altro protagonista della vicenda: l’Arciprete D. Stefano Campanella, di cui si tesse questo encomio:
«Collegiale-Economo nel 1754-1755 in Campofranco. Successore dell’Arciprete Antonio Scaglione, fatto il concorso nella Corte Vescovile di Girgenti nel 1756 a 19 Febbraio sotto Mons. Lucchese Palli, approvato e raccomandato alla Santità di Papa Benedetto XIV, da cui fu eletto Arciprete Parroco con bolla emanata da Roma 16 giugno 1756 ed in Palermo esecutoriata 8 Agosto 1756 confirmata dal Vescovo di Girgenti 14 Agosto e l’indomani, 15, prese possesso.
«Da principio curò il ristoramento delle Fabbriche della Chiesa. Nel 1760 fece la presente ampia Sacristia, nel 1767 compì il cappellone grande. Nel 1776 si perfezionò con stucchi ed oro fino, si fecero i due campanili ed arricchì la chiesa di arredi sacri nel 1783.
«Egli con altri primari del paese incominciarono a proprie spese la causa per il Terragiolo nel Tribunale di Palermo e dopo quattro anni di strepitosa lite dal Tribunale rotondamente si determinò a 28 Settembre 1787. “Jesus= Jus Terragii, et Terragiolii tam intra, quam extra territorium declaratur non deberi.”
«Finalmente nel 1787 in Favara fu Visitatore eletto dalla Corte Vescovile di Girgenti per quel Collegio di Maria. Morì compianto da tutti il 26 Aprile 1789 d’anni 60, mesi otto, giorni 2 - e di Arcipretura anni 32, mesi 8 giorni 7.
«Fu ancora Vicario di questo Monastero, Delegato dalla Regia Monarchia etc.»
La vicenda del terraggio e del terraggiolo è stata oggetto di nostre apposite ricerche, che, solo di recente per il ritrovamento di importanti documenti da parte del prof. Giuseppe Nalbone, abbiamo potuto approfondire: crediamo di essere riusciti almeno in parte nell’opera di ripulitura di tante incrostazioni ideologiche degli storici nostrani.
Di rilievo, alcune carte della Real Segreteria del 1785 che palesano una settecentesca controversia clerical-sociale nella nostra Racalmuto.
La politica antibaronale del Caracciolo è fin troppo nota per sorprenderci dell’andamento della controversia feudale di Racalmuto.
Non siamo partigiani certamente del Principe di Lampedusa, né del sacerdote locale, don Giuseppe Savatteri, che gli teneva bordone. Ma al di là dei meriti dei sacerdoti Figliola e Campanella, prima rievocati, fu quella del 28 settembre 1787 una sentenza politica, giuridicamente azzardata, storicamente falsa.
Era di sicuro un grande araldista il Requisenz per lasciarsi abbindolare dai legulei di Racalmuto. Avrà esibito i bei diplomi del 500 e del 600, tutti a suo vantaggio, ma contro il Caracciolo naufragò.
Al di là dell’aspetto sociale, che ci vede dall’altra parte della barricata, siamo portati, per amore della storia locale, a credere che il burbanzoso principe di Pantelleria avesse ragione e l’illuminista Caracciolo sbagliasse.
Resta ancora poco chiaro come venissero corrisposti i pesi feudali ai del Carretto, se in natura (come i termini “terraggio” e “terraggiolo” fanno pensare) o in contanti (come tanti atti dell’epoca lasciano intendere) o in forma mista.
Abbiamo notato sopra le varie controversie dei Gaetani sul terraggio e sul terraggiolo. I tribunali gli avevano dato, tutto sommato, ragione, ma erano altri tempi. Ora, alla fine del Settecento la musica è ben altra. Ne fa le spese il buon nome del sac. Savatteri, vilipeso imperituramente da Sciascia.
Sac. Giuseppe Savatteri e Brutto (1755-1802)
Bello, elegante, colto, raffinato, ricco, sprezzante - quanto casto non è dato sapere - questo prete svetta sia nelle vicende della famiglia sia in quelle della locale storia. Leonardo Sciascia, avvalendosi di dati di seconda mano, tenta di infilzarlo, ma commette una delle sue solite manipolazioni storiche per prevenzioni ideologiche. Il sac. Giuseppe Savatteri ha coraggio, cultura e intraprendenza tali da osare un’impari contrapposizione con il suo potente (e dispotico) vescovo agrigentino. Entra nell’intricata storia del beneficio del Crocifisso.
Quando, il Tinebra Martorana - un famiglio della discutibile consorteria dei Tulumello - si accinge, nel 1897, a scrivere la storia del paese, non gli sembra vero di dilatare il senso di un documento giudiziario - che invece di venire custodito negli archivi del Comune, sta fra le carte private del barone Tulumello - per dileggiare un Savatteri, la famiglia ostile ai suoi protettori, che fra l’altro lo facevano studiare da medico a spese dell’Amministrazione comunale.
Quello sui cui il Tinebra trama è il carteggio del Caracciolo su cui abbiamo già detto. Ripetiamo quello che riguarda il nostro sacerdote:
«17. La Gran Corte dia le pronte provvidenze di giustizia, onde li cittadini non soffrano aggravij - A febbraio p.p. in die 16 - Li naturali della terra di Racalmuto, sentendosi molto gravati di questo esattore ed amministratore Prete d. Giuseppe Savatteri nell’esigenza del terragiolo dentro e fuori di questo stato, quanto nell’avere agumentato la Baglìa a tutti li poveri giornalieri, formando una Cascia o Statica come anche esatte a forza di prepotenze pignorando sin anco gli utensili delle loro moglie e pratticando molte estorsioni.
«Pregano l’E.V. di ordinare il conveniente per non vedersi pur troppo soverchiati.»
Al Tinebra Martorana mancano competenza e penna per fronteggiare la complessa vicenda della lotta al baronaggio siciliano da parte del discutibile Caracciolo (l’agiografica visione dei laici del Settecento e del postumo Sciascia lascia oggi il tempo che trova). Il Tinebra, dunque, compatta scarne e disparate “notizie storiche” in un capitoletto sul Settecento e velenosamente rubrica (pag. 184): «1785 - Soprusi praticati dal sac. Giuseppe Savatteri, arrendatore di Racalmuto, verso i poverelli.» Non parve vero a Leonardo Sciascia di rigonfiare quell’appunto per una delle sue solite tiritere anticlericali. Nessuna ricerca storica, da parte sua; nessun approfondimento; nessuno spunto critico. Scrive dunque lo Sciascia :
«Ecco il rapporto di un altro funzionario al Tribunale della Real Corte sui “soprusi praticati dal sacerdote Giuseppe Savatteri, verso i poverelli”» e giù, senza analisi critica, il testo di un’evidente lettera anonima, che crediamo essere dovuta alla penna del malevolo arciprete Campanella, o peggio del sac. Busuito, contro cui il Savatteri aveva affilato le armi per l’usurpazione del beneficio del Crocifisso.
Prosegue Sciascia: «Il bello è che dopo questo rapporto il Tribunale della Real Corte ordinava al giudice criminale di Regalpetra [alias Racalmuto] “di far restituire ai borgesi tutti gli oggetti che il sacerdote Savatteri aveva ad essi pignorati”, forse i lettori non lo crederanno ma la cosa è andata davvero così”.» Con buona pace di Sciascia, a noi pare che le cose erano molto più complesse e coinvolgono la politica dei re Borboni di Napoli, che è quanto dire.
D. Giuseppe Savatteri e Brutto morì nella peste del 1802; il Liber annota: n.° 312, c. 19, D. Giuseppe Savatteri e Brutto, 27 februarii 1802 d’anni 47. Il vescovo non lo aveva voluto come beneficiale della Communia. Il Savatteri faceva però parte della neo-confraternita della Mastranza. Non pare molto diligente nell’annotare le messe che era tenuto a celebrare per i confrati defunti: subisce delle sanzioni. Così risulta annotato in registri della confraternita.
Sciascia ed i Sant’Elia - Conclusione
Sciascia è benevolo verso i principi di Sant’Elia. Leggiamolo assieme: «Con lui [Girolamo IV, ma rectius III] si estingueva la famiglia, l’investitura passava ai marchesi di Sant’Elia, ancor oggi i borgesi di Regalpetra pagano il censo agli eredi dei Sant’Elia: ma certo che fu grande riforma quella che i Sant’Elia fecero centocinquanta anni addietro, divisero il feudo in lotti, stabilirono un censo non gravoso, la piccola proprietà nacque, litigiosa e feroce; una lite per confini o trazzere fa presto a passare dal perito catastale a quello balistico, i borgesi hanno fame di terra come di pane, ciascuno tenta di mangiare la terra del vicino ...» A parte la bellezza della trasfigurazione letteraria, si resta perplessi. Sotto il profilo storico, non sappiamo dove abbia preso Sciascia quelle notizie sui Sant’Elia. A noi risultano fatti, intenti e liti ben diversi da quelli sottesi nella pagina sciasciana. Ad addentrarsi in tali meandri, il discorso porta lontano, ben lontano dalla vicenda feudale racalmutese. Ed in questa sede c’interessa solo il declino del baronaggio in Racalmuto. Riforma borbonica e rivoluzione francese estinsero quell’istituto. I Sant’Elia ne furono, a loro modo, vittime. Divennero semplici proprietari “allodiali” di terre già in enfiteusi perpetua, sminuzzate tra tanti ex vassalli racalmutesi. Gliene venne il magro censo che ancora all’epoca in cui Sciascia scriveva si pagava, svilito ormai per le tante selvagge svalutazioni monetarie, non certo per bontà d’animo di quei signori. Le loro memorie giacciono negli archivi dei tribunali e quando verranno riesumate suoneranno condanna per quegli ultimi virgulti della decrepita società feudale siciliana.
mercoledì 13 novembre 2024
Storia della Sicilia sabauda
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Regno di Sicilia
Regno di Sicilia – Bandiera
(dettagli)
Regno di Sicilia - Stemma
(dettagli)
Motto: FERT
Regno di Sicilia - Localizzazione
Dati amministrativi
Nome ufficiale Regno di Sicilia
Lingue ufficiali latino e italiano
Lingue parlate siciliano, italiano, arberesco, greco di Sicilia
Capitale Palermo
Politica
Forma di governo monarchia
Re Vittorio Amedeo II di Savoia
Organi deliberativi Parlamento del Regno di Sicilia
Nascita 1713
Causa Trattato di Utrecht
Fine 1720
Causa Trattato dell'Aja
Territorio e popolazione
Bacino geografico Sicilia
Economia
Valuta lira, tarì, piastra siciliana
Commerci con Francia, Sacro Romano Impero, Spagna, Antichi Stati italiani.
Religione e società
Religioni preminenti Cattolicesimo
Religioni minoritarie Ebraismo
Evoluzione storica
Preceduto da Regno di Sicilia
(vicereame spagnolo)
Succeduto da Regno di Sicilia
(vicereame austriaco)
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La storia della Sicilia sabauda comprende l'arco temporale in cui il Regno di Sicilia fu al centro dei domini di Casa Savoia. Tale periodo, durato circa sette anni, ebbe inizio il 10 giugno 1713, data che sancì il passaggio del regno da Filippo V al duca di Savoia Vittorio Amedeo II, e si concluse nel 1720, quando Carlo VI prese possesso dell'isola cedendo in cambio la Sardegna.
Indice
1 Storia
1.1 L'incoronazione
1.2 La ripresa spagnola
1.3 L'arrivo degli Austriaci
2 Viceré della Sicilia sabauda
3 Nella letteratura
4 Note
5 Bibliografia
6 Voci correlate
7 Collegamenti esterni
Storia
Carlo Alberto Garufi, Rapporti diplomatici tra Filippo V e Vittorio Amedeo II di Savoia nella cessione del Regno di Sicilia, 1914
In occasione del trattato di Utrecht, dopo varie guerre che avevano messo in difficoltà l'Europa, la Casa Savoia ottenne grandi vantaggi, tra cui il titolo regio di Sicilia e l'intera Sicilia: il 10 giugno 1713, infatti, la Spagna firmò il documento di cessione dell'isola ai Savoia sotto la pressione dell'Inghilterra. Le condizioni imposte da Filippo V di Spagna per la cessione della Sicilia erano le seguenti:
Casa Savoia non avrebbe mai potuto vendere l'isola o scambiarla con un altro territorio.
La Sicilia sarebbe stata mantenuta come feudo della Spagna: estinto il ramo maschile dei Savoia, essa sarebbe tornata alla corona di Madrid.
Tutte le immunità in uso in Sicilia non sarebbero state abrogate.
In realtà, solo gli ultimi due punti furono accettati da Vittorio Amedeo II. All'ultimo momento, Filippo V fece aggiungere un ultimo punto, secondo cui:
il Re di Spagna sarebbe stato in grado di disporre a suo piacimento dei beni confiscati ai sudditi siciliani rei di tradimento.
Vittorio Amedeo II, re di Sicilia dal 1713 al 1720
Vittorio Amedeo volle accondiscendere anche a questo punto, per evitare che una protesta del duca potesse rinviare la stesura dei trattati. Il documento con cui si cedeva la Sicilia ai Savoia venne siglato il 13 luglio successivo. Gli araldi lo stesso giorno percorsero Torino annunciando l'acquisizione del titolo regio da parte di Vittorio Amedeo. Una folla esultante si accalcò davanti al palazzo ducale acclamando il re, che uscì dal balcone brindando insieme alla folla.[senza fonte]
L'incoronazione
Il 27 di quello stesso mese, Vittorio Amedeo II, in procinto di partire per la Sicilia, nominò suo figlio Carlo Emanuele, principe del Piemonte, luogotenente degli Stati di terraferma; ma il ragazzo non aveva che sedici anni e fu dunque assistito da un Consiglio di Reggenza. Il 3 ottobre il nuovo re salpò da Nizza alla volta di Palermo, ove sbarcò circa venti giorni dopo. Il 24 dicembre, dopo una sontuosa cerimonia nella Cattedrale di Palermo, Vittorio Amedeo II e la moglie Anna Maria di Orléans ricevettero la corona regia.
Così egli si espresse al Parlamento siciliano in una delle prime sedute[1]:
«I nostri pensieri non sono rivolti ad altro che a cercare di avvantaggiare questo Regno per rimetterlo, secondo la Grazia di Dio, al progresso dei tempi, riportarlo al suo antico lustro e a quello stato cui dovrebbe aspirare per la fecondità del suolo, per la felicità del clima, per la qualità degli abitanti e per l'importanza della sua situazione.»
I buoni intenti del re vennero messi in pratica nella lotta contro il brigantaggio, nello sviluppo della marina mercantile e nella riorganizzazione finanziaria e dell'esercito (per il quale venne preso a modello quello piemontese).
Il re nel suo soggiorno palermitano si era convinto delle difficoltà opposte dal particolarismo siciliano e di quelle insite nella lontananza dell'isola dal potere centrale.[2]
Dopo l'incoronazione e il re e la regina partirono da Palermo il 18 aprile 1714 accompagnati da gentiluomini da camera siciliani, un ristretto seguito e dalle guardie del corpo, il 19 giunsero a Termini Imerese, poi attraversarono Cerda, Polizzi Generosa, Petralia Sottana e Nicosia e arrivarono a Leonforte il 20; l'itinerario continuò con la visita di Catania, poi sostò due giorni a Taormina e visitò Messina, poi ritornò a Palermo[3].
La permanenza del re in Sicilia durò fino al 7 settembre 1714.
La ripresa spagnola
La pace di Utrecht, con tutto ciò che comportò, fu soltanto un evento transitorio nella storia piemontese. La Spagna, infatti, stava fortemente riarmandosi. Intimorite da tanta potenza, Francia, Paesi Bassi, Inghilterra e Austria strinsero via via legami difensivi tra di loro. Vittorio Amedeo II, quando ricevette la notizia della creazione di una possibile Quadruplice Alleanza, si sentì nuovamente in pericolo.
Era infatti in progetto, tra i sovrani alleati, di mettere a tacere le mire spagnole in Italia, ma tale progetto si scontrava contro le mire di Casa Savoia. L'Austria, in particolare, progettava di eliminare i Piemontesi dalla Sicilia. Vittorio Amedeo decise di agire con astuzia, inviando messi a Vienna e a Londra per essere costantemente informato delle novità nella politica estera. Se i paesi alleati avessero davvero siglato un'alleanza, allora Vittorio Amedeo sarebbe stato seriamente nei guai, circondato da tutti i fronti. Dopo aver in ogni modo cercato di allearsi all'Austria (anche ricorrendo ad una proposta di matrimonio), Vittorio Amedeo venne attaccato sul fronte siciliano dagli spagnoli, che egli considerava alleati.
La Sicilia venne invasa da 30.000 soldati spagnoli sbarcati nei pressi di Solunto nel luglio 1718[4][5] e le poche fortezze piemontesi dovettero desistere dalla difesa, ad eccezione di Siracusa, Milazzo e Trapani.
Incoronazione di Vittorio Amedeo II re di Sicilia, bassorilievo nella Cattedrale di Palermo.
Arrivò a Palermo François de Bette, marchese di Lede - nominato viceré di Sicilia dai palermitani ma non riconosciuto come tale dai siracusani, che rimanevano fedeli al viceré piemontese Annibale Maffei, che aveva lasciato con le sue truppe Palermo per Siracusa. Il 22 luglio si arrese la città di Messina. Nell'agosto successivo però la flotta inglese sconfisse l'Armada spagnola nella Battaglia di Capo Passero (1718) In settembre gli spagnoli occuparono anche la Cittadella di Messina dove si erano ritirati i piemontesi in luglio. Nel maggio 1719 giunse a Maffei da parte degli alleati inglesi l'ordine di evacuare Siracusa: i piemontesi cedevano il posto agli austriaci nella città, ancora bloccata per terra dalle forze ispaniche.
L'arrivo degli Austriaci
Lo stesso argomento in dettaglio: Storia della Sicilia austriaca.
Da Vienna arrivò la proposta di aderire alla ormai siglata Quadruplice Alleanza in cambio del titolo di Re di Sardegna. Con la Convenzione del 29 dicembre 1718 i Savoia scambiarono la Sicilia con la Sardegna. La distruzione dell'imponente flotta spagnola e la conseguente vittoria della Quadruplice Alleanza permise a Vittorio Amedeo di mantenere un titolo regio.
Dovette però attendere il 20 febbraio 1720, all'Aia, quando la Spagna siglava il trattato con il quale si dichiarava, sconfitta, e il riconoscimento delle decisioni prese dalla Quadruplice Alleanza. L'erede di Casa Savoia prese così possesso dell'isola e fu incoronato Re di Sardegna. Benché Vittorio Amedeo avesse accettato il trasferimento a malincuore, la maggiore vicinanza di quest'isola al Piemonte la rendeva meglio gestibile e controllabile della Sicilia.
A maggio le truppe spagnole del marchese De Lede lasciarono la Sicilia. La sorte dell'isola fu quella di ritornare nei domini degli Asburgo, questa volta alle dipendenze dell'Austria.
Viceré della Sicilia sabauda
Lo stesso argomento in dettaglio: Viceré di Sicilia.
Viceré Inizio Fine
Annibale Maffei 1714 1718
Nella letteratura
Il romanzo storico I Beati Paoli di Luigi Natoli è ambientato nella Sicilia sabauda. Vi compaiono come protagonisti minori, tra gli altri, lo stesso Vittorio Amedeo II e il viceré conte Maffei. I numerosi episodi storici del romanzo includono: la cerimonia d'incoronazione di Vittorio Amedeo II come re di Sicilia nel dicembre 1713, la sua partenza per rientrare a Torino all'inizio del settembre 1714 nonché la capitolazione di Palermo alle truppe spagnole i primi di luglio 1718, con il conseguente abbandono della città da parte del viceré Maffei e della sua corte.
Note
^ La Sicilia di Vittorio Amedeo II di Savoia ed il Vicereame austriaco di Fara Misuraca e Alfonso Grasso
^ Vittorio Amedeo II di Savoia sull'Enciclopedia Italiana
^ Vittorio Amedeo II - Un anno in Sicilia di Alberico Lo Faso di Serradifalco Archiviato il 21 luglio 2013 in Internet Archive., la visita di Vittorio Amedeo II nel regno di Sicilia.
^ Isidoro La Lumia, La Sicilia sotto Vittorio Amedeo di Savoia, 1877, p. 208.
^ Centro Studi Piemontesi, Studi piemontesi, vol. 28, ed. 2, 1999, p. 546.
Bibliografia
Simone Candela, I piemontesi in Sicilia, 1713-1718, Caltanissetta, S. Sciascia, 1996.
Lo Faso di Serradifalco Alberico, Piemontesi in Sicilia con Vittorio Amedeo II. La lunga marcia del conte Maffei, in Studi Piemontesi, vol. XXVIII, fasc. 2, 1999, pp. 539-555.
Approfondimenti
Carlo Alberto Garufi, Rapporti diplomatici tra Filippo V e Vittorio Amedeo II di Savoia nella cessione del Regno di Sicilia, Palermo, Scuola Tip. Boccone del Povero, 1914.
Voci correlate
Chiesa cattolica nel regno di Sicilia
Filippo Juvarra, architetto della corte sabauda
Storia di Siracusa in età spagnola (1700 - 1734)
Storia della Sicilia spagnola
Storia della Sicilia austriaca
Sovrani di Sicilia
lunedì 13 maggio 2024
Calogero Taverna, nonagenario, nasce a Racalmuto il Paese di Sciascia. Percorso il normale ciclo scolastico sino alla laurea, entra in Banca d'Italia. Inquadrato nell'Ispettorato Vigilanza, assolve con originalità ed acume ruoli ispettivi topici come quello del caso Sindona. In urto con le alte sfere di Via Nazionale, esplica incarichi apicali nella direzione di banche. Consulente dell'istituto erogatore delle provvidenze comunitarie anche qui determina scombussolamenti. Lasciata ogni collaborazione bancaria e creditizia, si dedica alla ricerca storica: frequenta archivi come quello segreto vaticano o quello centrale di stato o quelli periferici delle varie curie vescovili e parrocchiali. Acquisisce una non usuale visione delle vicende religiose dell'Italia medievale e moderna. In questo volume si sofferma sulle incidenze delle credenze e dei riti sulla vita sociale e politica del suo paese natio. Arriva a conclusioni capovolte rispetto a quelle canoniche di uno Sciascia o degli autori ecclesiastici siciliani.
domenica 28 gennaio 2024
CAMPANE A MARTELLO NEL TRIENNIO 1618e1620
Nel settecento e è da presumere molto fondatamente e il
rilegatore ecclesiastico di Racalmuto mette assieme i fausti
atti matrimoniali dell'ultimo ventennio del XVI secolo ed un
lugubre fascicolo di contabilità mortuaria della Matrice che
riguarda un triennio: 1618e1620. E' proprio
da far scongiuri contro un archivista in tunica tanto
greve ed alquanto iellatore.
Munitici di efficace antidoto scaramantico, possiamo indagare
sull'ultima parte di quel libro di archivio. Dati, circostanze
e notizie assurgono a ghiottoneria storica per la
ricostruzione della Racalmuto secentesca, quella dei Girolamo
del Carretto, tanto per orientarci.
Per il primo funerale del fascicolo, si annota che sono stati
percetti cinque tarì e 10 grani. Le esequie avvennero il 4
ottobre del 1618, presente l'intero clero che sappiamo essere
una compagine numerosa di una ventina di consacrati.
Testualmente è detto con grafia minuta e dimessa: 'a 4 di 8bre
2a Ind. ivi8 (1518) e Paulo Pirrera si morse e fu sepolto a
Santa Maria presente clero ...... tt.5 e 10'. Seguono altre
469 annotazioni, sino al 19 novembre del 1620. La triste nota
finale è per 'Gerlanda di Gerlando Luparello fu morta et
sepulta allo Carmine ........tt. 5 e 10'.
Valore di dati statistici assume il seguente riparto:
fel1
anno n.ro popolaz
1618 49 196 5.000 39,2 28,91
ottobre 18 216 5.000 43 28,91
novembre 17 204 5.000 40,8 28,91
dicembre 14 168 5.000 33,6 28,91
1619 262 262 5.000 52,4 28,91
gennaio 22 264 5.000 52,8 28,91
febbraio 18 216 5.000 43,2 28,91
marzo 11 132 5.000 26,4 28,91
aprile 12 144 5.000 28,8 28,91
maggio 5 60 5.000 12 28,91
giugno 16 192 5.000 38,4 28,91
òluglio 47 564 5.000 112,8 28,91
agosto 51 612 5.000 122,4 28,91
settembre 27 262 5.000 52,4 28,91
ottobre 22 264 5.000 52,8 28,91
novembre 19 228 5.000 52,4 28,91
dicembre 12 144 5.000 28,8 28,91
1620 159 179 5.000 35,8 28,91
gennaio 20 240 5.000 48 28,91
febbraio 25 300 5.000 60 28,91
marzo 16 192 5.000 38,4 28,91
aprile 15 180 5.000 36 28,91
maggio 18 216 5.000 43,2 28,91
giugno 10 120 5.000 24 28,91
luglio 11 132 5.000 26,4 28,91
agosto 9 108 5.000 21,6 28,91
settembre 15 180 5.000 36 28,91
ottobre 10 120 5.000 24 28,91
novembre 10 180 5.000 36 28,91
f+l2 Anche se gli sbalzi negli indici di mortalità sono notevoli di
anno in anno, siamo ancora in situazione di 'mortalità
normale'. Vi saranno nel 600 anni 'infaustissimi', come
vedremo, in cui la morte falcidia con quozienti da capogiro.
Un segno di recrudescenza nella mortalità della Racalmuto del
'600 si ha nel trimestre estivo del 1609 (con luglio
interessato da un quoziente di mortalità del 112,80 per mille
e agosto quando il quoziente svetta addirittura fino al 122,40
per mille). Come sapremo dall'analisi di altra
documentazione più completa relativa ad alcuni decenni dopo,
la calura estiva e gli inquinamenti idrici saranno le cause
scatenanti di una vera strage degli innocenti: la mortalità
infantile, di per sè ferocemente estesa in quei secoli di
scarsa igiene, esplode ancor più virulenta in taluni periodi
estivi. Tra questi, il 1619; l'anno successivo, inceve, la
iattura risulta scongiurata. Notiamo una costante: i mesi più
salubri sono quelli del quadrimestre intermedio marzoegiugno e
di solito la mortalità flette nei mesi che vanno da settembre
a dicembre.
domenica 14 gennaio 2024
domenica 25 gennaio 2015
L'Archivio parrocchiale della Matrice di Racalmuto
Il primo atto di battesimo della Matrice di Racalmuto
Anno 1554 Viene Battezzato il figlio di Gilormo La Licata Inferno
Il sacerdote celebrante è il rev. Presti Vincenzo Colicchia
RACALMUTO NEI REGISTRI PARROCCHIALI
Premessa
Col trepido ricordo della mia prima giuventù trascorsa a
Racalmuto, mi sono applicato alla decifrazione delle carte
d'archivio della Matrice, risalenti al XVI e XVII secolo.
Quando, giovanissimo, ho consultato per la prima volta gli
atti di battesimo e matrimoniali, ho potuto percorrere
all'indietro la mia ascendenza, per parte paterna, sino alle
soglie del XVIII secolo: il diligente archivio parrocchiale lo
consentiva. Dopo, lavoro e personali interessi mi hanno
portato lontano da quelle ricerche, rimanendomi solo vaghe
nostalgie e nebulose idee.
In questi anni novanta, libero ormai dagli assilli di una
professione, ho potuto riannodare il discorso sulla
documentazione racalmutese conservata presso la Matrice di
Racalmuto, interrottosi circa mezzo secolo fa.
Me lo ha consentito l'attuale Arciprete, don Alfonso PUMA.
Prete sensibile ed aperto alle cose della cultura, mi ha
accordato fiducia dandomi libero accesso ai delicati e
preziosi registri della lontana comunità parrocchiale. Gli
sono profondamente grato e lo ringrazio con la stima di
sempre, sentendo più intensa l'antica amicizia che mi lega a
questo sacerdote, zelante nella sua missione eppure non chiuso
in fanatismi e pregiudizi. Se dalle mie ricerche qualche luce
verrà sugli eventi del passato racalmutese, all'Arciprete Puma
va dato il dovuto merito. Ne sottolineamo,
oltre alla riconosciuta bontà d'animo, una intelligenza, una
modernità ed una disponibilità culturale, che senza nulla
togliere alle prerogative del suo militante sacerdozio, lo
arricchiscono d'ascendente oltre i limiti dei fedeli e dei
parrocchiani.
La collaborativa apertura di padre Puma ci ha messo in
condizione di studiare gli atti più antichi dell'archivio
parrocchiale, iniziando da un quinterno cucito e non
rilegato e risalente al 1554. Vi abbiamo rintracciato 105 atti
di battesimo. Dovrebbero essere le più antiche trascrizioni
documentali della Matrice di Racalmuto. Partendo dalla
dodicesima indizione 'anticipata' - gli archivisti di
Racalmuto usavano il sistema 'greco' nella sua versione
originaria bizantina che faceva decorrere l'indizione dal 1°
settembre -, il vetusto quinterno ci certifica dei battesimi
dei nostri antenati dall'8 di dicembre 1553 al 30 di agosto
1554. Mancano dunque i mesi di settembre, ottobre e novembre
del 1553. La media mensile dei battesimi di quell'anno si
attesta su quota undici: risultano assenti all'appello,
pertanto, 30-35 neo battezzati a mezzo del XVI secolo.
Altri atti di battesimo di quel secolo possiamo ricavarli da
altri sparsi quinterni, del tipo di quello prima descritto:
liso e consunto il quinterno relativo al 1564, questo appare
più un resoconto contabile che un registro ecclesiastico dei
battesimi (eppure ci fornisce dati su battesimi solenni e su
quelli 'bassi': 2 tarì i primi, 1,20 i secondi).
L’Algozini fu un solerte arciprete di Racalmuto degli anni ’30 del ‘700. La datazione del 3 aprile 1571. Il corsivo del Cinquecento racalmutese è – come si vede e di ardua decifrazione. Un motivo di pio per un laboratorio paleografico locale, ma a livello universitario.
Più completa la raccolta relativa all'indizione del 1571 (4.a);
alquanto disordinata la documentazione riguardante l'indizione
del 1576 (9.a) e comunque limitata al periodo
(1.11.1575-28.5.1576); del pari monca la raccolta dei
battesimi relativi al 1584. La fascicolazione fatta di recente
(nel decennio del 1980) è piuttosto superficiale e spesso
inattendibile (si ascrivono al 1564 atti che invece attengono
a dieci anni prima: al 1554).
Del tutto spurii e parziali appaiono due inserti documentali:
il primo ci conduce al 1750 ed in gradevole grafia ci attesta
di oltre 140 atti matrimoniali; il secondo, mancante di ogni
tipo di datazione, ha tutta l'aria di un censimento dei nuclei
familiari esistenti in Racalmuto. Parziale, anche questo, è a
nostro avviso collocabile nel XVIII secolo
Rilegato, ben tenuto e con un indice sia pure interrotto e
per ordine alfabetico dei nomi (anzichè dei cognomi), così
appare a distanza di secoli un registro, che ci è stato
agevole consultare; rubricato come 'stato di famiglia e
MATRIMONI 1582-1600', risulta invero una documentazione più
completa. Esordisce con un atto matrimoniale del 2 settembre
XI.a Indizione 1582 e si snoda diligentemente e con dovizia di
dati anagrafici lungo quasi un ventennio, sino appunto al 13
di agosto del 1600. In appendice, del tutto arbitrariamente, è
accluso il conteggio economico dei funerali
(solenni e 'bassi': 5 tarì e 10 i primi, appena un tarì e 20 i
secondi) che si ebbero dal 4 ottobre del 1618 al 19 novembre
del 1620.
Rilegati in carta pecora, presa da chissà quale precedente
documentazione, sono gli atti di morte che dal 3 settembre del
1664 ci conducono sino all'anno tremendo del colera che si
abbattè su Racalmuto nel 1672: la decima indizione, che per il
calcolo 'greco' della Matrice racalmutese va dal 1° settembre
1671 al 31 agosto 1672, è a ben ragione segnata dal locale
archivista 'amarissima e infaustissima'. Si pensi che sono
morti in un anno oltre 1200 racalmutesi, un quarto della
popolazione, quanti ne erano morti nei precedenti sette anni
che non erano certo tempi di lunga vita media. Il registro,
che di tanto in tanto reca chiose di notevole valore storico,
è documento importantissimo per la ricostruzione di un secolo
di storia locale doloroso e sconvolgente.
Agli esordi di questo secolo vi fu un fiorire di ricerche
d'archivio presso il locale - e folto - clero. Mi si dice che
sacerdoti come il Cipolla - l'artefice di sfortunate
iniziative economiche e sociali - e don Gerlando di Falco, lo
stimato e prodigo restauratore della chiesa di san Giuseppe,
si accinsero ad una 'rubricazione' dei battezzati della
Racalmuto del '600 e successivi secoli. Una di queste rubriche
è datata 10 marzo 1914. Dopo, il cataclisma della prima guerra
mondiale, avrà distolto da tali uzzoli archivistici. Noi
abbiamo avuto tra le mani una di queste rubriche e ne abbiamo
fatto la trasposizione nel 'computer'.
E ringraziamo anche di ciòla benevola accondiscendenza dell'arciprete PUMA.
In sintesi, sono quattro i nuclei documentali che, in prima
battuta, abbiamo potuto studiare. Affidandoci al 'Personal
Computer' e ad un programma LOTUS del 1988 e abbiamo seguito
passo passo l'opera degli archivisti di Racalmuto, sicuramente
sacerdoti del XVI e XVII secolo. L'imperio del Concilio di
Trento lascia il suo segno nel lontanissimo territorio di
Racalmuto. La cultura della Chiesa post-tridentina ci consente
oggi uno sguardo non meramente curioso su un mondo
contadino, paesano, corrusco, talora sanguigno, in perenne
lotta con la morte, teso al sopravvivere più che al vivere e,
in un mondo che è nostro perché vissuto dai nostri antenati.
Cognomi, nomi, parentele, mestieri di oggi hanno echi
sorprendenti nei lisi registri di quei tempi che il locale
clero ci ha fatto pervenire, sull'onda - appunto - del
Concilio di Trento.
La trascrizione in 'rubrica' dovuta a
preti del novecento (Cipolla
o Di Falco, poco importa) non è manipolazione e vi è assente
ogni adulterazione: non è quindi spuria quell'opera e ci aiuta
nella ricostruzione del fluire demografico dei primi secoli
dell'epoca moderna della nostra antica terra di Racalmuto.
I quattro momenti della nostra ricerca si snodano lungo l'arco
di due secoli: dalla prima metà del '500 fino alla prima metà
del '700. Sono spunti antologici che ci consentono di spaziare
dai ritmi della locale procreazione ai coaguli familiari delle
combinazioni matrimoniali, alle falcidie impetuose e spesso
impietose delle morti soffocatrici della vita in non tarda
età.
Non abbiamo analizzato con metodo ed esaustivamente
tutta la trafila documentale esistente presso l'archivio
parrochiale di Racalmuto; almeno per ora. Se ne avremo
tempo, lo faremo ben volentieri. Non ci dispiacerebbe per di
avere tracciato un solco, dato l'avvio a ricerche più—
pregevoli da parte di locali esperti. Speriamo Per il
momento, le nostre risultanze si radicano nella seguente
serie di dati d'archivio:
e 1) n. 5 quinterni alti, stretti ed a forma di
colonna relativi ai nati di Racalmuto
delle indizioni 12.a (1554); 7.a (1564); 14.a (1571); 4.a
(1576) e 12.a (1584). Come appendice, abbiamo unitamente
esaminato il quinterno relativo ai matrimoni celebrati nell'
1750 e lo stralcio del censimento ad opera del clero di
Racalmuto che pu• collocarsi nella prima metà del '700;
e 2) il registro degli atti a colonna singola che riporta i
matrimoni dal 1582 al 1600 nella prima parte e i rendiconti
dei funerali dal 1618 al 1620 nella seconda parte;
e 3) il registro dei morti dal 1664 al 1672: un ciclo di otto
anni di grande utilità per studi statistici sulla vita media a
Racalmuto nello scorcio finale del secolo della peste;
e 4) la 'rubrica' redatta alla vigilia della prima guerra
mondiale dai giovani sacerdoti di Racalmuto per catalogare i
battezzati risultanti in archivio relativamente al periodo
1677e1686 ed a quello intercorrente tra il 1704 e il 1708.
LA NATALITA' NELLA RACALMUTO DEL XVI SECOLO.
Il Concilio di Trento si apre il 13 dicembre 1545, viene
sospeso nel 1552, e dopo varie vicissitudini si riapre nel
1562 per concludersi il 4 dicembre 1563. L'ordinamento del
clero e la disciplina degli archivi parrocchiali sono
collegabili alla parte finale del Concilio. Ma, in quel di
Racalmuto, il nostro clero sa persino anticipare i tempi: il
registro dei battesimi e il più antico che siamo riusciti a
reperire presso la Matrice e risale addirittura all'8 dicembre
del 1553. Più che di registro trattasi di un quinterno stretto
ed alto a mo' di colonna, purtroppo amputato dei primi fogli
che sono andati smarriti insieme alla memoria dei battezzati
dal 1° settembre 1553 al 7 ottobre 1553. In base ai nostri
calcoli, oltre trentacinque nominativi dovevano essere stati
registrati in quel periodo.
La formula adottata era la seguente: '' Die....xbris (per
dicembre) lu (e spesso: lo) figlio (per i maschietti) e la
figlia (per le bambine) di ...(nome del padre) e di...(cognome
del padre) nomine ....(nome del battezzato) li c¢pari (i
compari)..... la c¢mari ..... presti (vale per prete o
presbitero) ........''. Il ricorso a contrazioni, simboli ed
abbreviature non è infrequente, specie quando trattasi di nomi
usuali (JO: per Giovanni; Vic. per Vincenzo, etc.). Il cognome
delle madrine viene spesso reso con curiosa forma al femminile
(la Terranova, la Casuccia, la Taverna, etc).
La trascrizione dell’atto di battesimo PIETRO figlio di Giuseppe SANCALOYARO
Da parte del sacerdote presti Dionisi Lombardu
L'intento è quello di servirsi del latino, ma l'intrusione di modi e
termini dialettali rende suggestiva la contaminazione: ci è
dato leggere, ad esempio: 'si batizau'; 'Vartulu'; 'Lu
Bruttu'; 'Vurzillinu'; 'Jugnettu' (per Luglio); etc.)
Correva il 6 agosto del 1554 e la calura estiva doveva essere,
come di consueto, pesantissima. L'archivista doveva forse
essere lo stesso sacerdote ufficiante il battesimo. Se
così, stava nella chiesa madre il sacerdote don Lisi Lombardo.
Alla bambina da battezzare veniva imposto il nome di
'Catrinella'. Se ne dichiarava padre 'mastro Antonino
Petruzzella'. Forse per la 'berretta' che portava, forse per
la barba a pizzo, ma più verosimilmente per certi carogneschi
sospetti sulla partenità, l'annoiato archivista agghindava
'mastro' Antonino con uno schizzo caricaturale dalla
ammiccante 'aureola'. Un messaggio o solo un riempitivo dovuto
alla noia estiva dell'amanuense? Dopo oltre quattro
secoli qualche eco giunge a noi e noi l'affidiamo a queste
note non prive di un intento burlesco simile a quello che
sospettiamo nel prete racalmutese del '500.
Non crediamo che vi siano documenti e almeno tra quelli sinora
noti e che diano generalità di nostri antenati risalenti a
prima del 1554. Nelle registrazioni religiose della Matrice
abbiamo, invece, il primo lungo elenco di racalmutesi. Molti
dei ceppi attuali vi hanno sorprendente riscontro. Famiglie,
oggi note e numerose, vi possono ricercare le loro antiche
origini. Gli AGRO'; gli ALAIMO; gli ALFANO; gli ACQUISTA; gli
ARNONI; gli AVARELLO; gli ARRIGO; i BARBERI; i BURSELLINO; i
CAPITANO; i CARLINO; i CASTRONOVO; i CINCOMANI; i COLLURA; i
CURTO; i FALLETTA; i FERLISI; i GARLISI; i GIANCANI; i GIGLIA;
i GRACI; i GRILLO; i GUELI; i GULPI (poi VOLPE); i LA LICATA e
l'equivalente ceppo dei LICATA; i LA MANTIA; i LA ROCCA; i
LIONE (un Mariano LIONE inteso come INFERNO, figlio di
Girolamo è anzi il primo della lista essendo stato battezzato
l' 8 dicembre del 1553); i MACALUSO; i MILAZZO; i MULE'; i
MURRIALI; i PIRRERA; i PITRUZZELLA; i PUMA; i ROMANO; i SALVO;
i SANFILIPPO; gli SCIASCIA; gli SFERRAZZA (o SFIRAZZA); sono
costoro i casati più antichi e ricorrenti di Racalmuto nelle
carte del 1554. Sposati e fertili hanno bambini da battezzare
tra l'otto dicembre del 1553 e il '30 di agustu' del 1554. In
quel torno di tempo ci imbattiamo in tre cappellani che
benedicono il battesimo: don Vincenzo Colichia, padre Dionisi
Lumbardo e don Antonio La Matina.
Trascrizione di un atto di battesimo:
adi ultimo di aprili
si batticzau la figlia di Orfeu di Grachi, nomine SICILIS. Li compari: Laurenczo Curto; Petru Pitralia; Antonino Curtu di Joanni.
La commari Catrini la Michela.
Presti Vinchenczo COLICHIA.
Per curiosità ma anche per obiettiva rilevanza, trascriviamo
il primo atto di battesimo: ''Die 8 xbris (1553), lu figlio di
Girolamo La Lione alias Inferno nomine Mariano (è stato
battezzato). Li compari: mastro Jacomo Picuni e mastro
Agustino Sarachi; la commari Joanna di Puma di Petro.
Presbiter Vincenzo Colichia''. Quel che rileva è la presenza
di ben due 'mastri' fra i padrini. Racalmuto, dunque, in quel
periodo non è solo un centro contadino o una baronia
strettamente agricola sotto il dominio dei baroni Del Carretto
(questi e si sa e assurgeranno a conti nel 1576) ma un'alacre
cittadina con una diffusa maestranza. E' da pensare che
siffatta maestranza fosse preminentemente edile. Castello
baronale, espansione urbana e costruzione di nuove chiese
determinavano, di certo, un boom edilizio cui soccorrevano
muratori locali e specialisti dei più evoluti centri vicini.
Riscontriamo, così, cognomi che stanno a testimoniare
l'origine di molti immigrati: Giuliano di Girgenti; Agostino
di Modica; Gian Antonio Piemontese; Pietro di Aversa; Vitu lu
Sardu; Giseppi di Milazzo.
E' da escludere, però, che allora Racalmuto fosse un
paese minerario. Lo zolfo diverrà rilevante solo a metà
dell'ottocento, in ispecie dopo l'introduzione dei forni
ideati dall'ing. GILL.
Come nota di costume, è da annotare che ogni battesimo era
assistito da due padrini. Costoro e piuttosto ricorrenti e non
sembrano legati da vincoli di parentela con la famiglia del
battezzato, ma appaiono che altro in veste di notabili: la
gente di rispetto di allora. Se è così, la loro ricognizione
ha un certo peso: Antonio Montiliuni, Nardo Falletta, Bartolo
Brucculeri, Cosimo Macaluso, Paolo Rosina, Pietro Vurzellino,
Nardo di Alaimo, Jacomo Blundo, Mariano Agro', Bastiano
d'Acquista, Lorenzo Curto, Paolo di Vigna, Nardo di Mule',
Santo di Puma, Francesco di Giglia, Nardo La Licata, Antonio
Parisi, Michele Taibi, Pietro Varneri, Cesare d'Acquista,
Stefano Busuito, Pietro di Gueli, Antonino Giglia, Mariano di
Mule', Jacopo Giarrizzo, Paolo Murriali, Girolamo Volpe,
Lionardo La Lumia, Bastiano Macaluso, Pietro di Puma, Giovanni
La Licata, Mariano La Lumia, Andrea Lo Brutto, Antonio Lo
Brutto, Minicu Nalbuni, Pietro Alfano, Nino La Mendola, Pietro
Taibi, questi i maggiorenti della Racalmuto di metà secolo
quindicesimo. Gli atti di battesimo ci dicono anche che il
notaio di allora era Matteo Damiano. Dato che conferma, per
altro verso, l'importanza di Racalmuto ove esercita con
profitto un professionista notaio.
Accanto ai 'compari' di battesimo abbiamo la 'commari'.
Codesta non ha rapporti di parentela o di affinità coi
padrini, non è mai la moglie di uno di questi. La sua funzione
sembra essere tutta religiosa. A lei si affida il compito
della futura educazione del neonato. Talora la
madrina è una suora o una delle tante terziarie (francescane,
agostiniane, etc.) Doveva comunque trattarsi di pie donne,
assidue frequentatrici della chiesa Madre. Quando si aveva una
battezzanda, a costei spesso si
dava lo stesso nome della 'commari' a
comprova che in ogni caso la figura della 'madrina' era molto
considerata. Ne forniamo un primo elenco: Giovanna di Puma;
Paola di Nunzia; Fiuri Salvagio; Girolama La Mantia; Graziella
Murriali; Angela la Guarnera; Angela Vella; Laura Bucculera;
Giovannella La Mantia; Billizza Laudica; Giovannella Sansone;
Sabella Di Liberto; Caterina Laurita; Ioannella Tudisca;
Caterina La Licata; Francesca la Taverna; Betta la Biunda;
Joannella la Puma; Joannella la Belloma; Pitruzza Terranova;
Lorenza la Curdara; Girolama la Miliota; Francisca la
Murriala; Paola Garlisi; Caterina Sanfilippa; Bianca la
Spagnola; Caterina la Garlisa.
Dal dicembre 1553 all'agosto 1554 sono stati dunque registrati
n. 105 battesimi. Non è pertanto infandato pensare che le
nascite annue si aggirassero sulle 140. Il TINEBRA MARTORANA
(cfr. il suo RACALMUTO: memorie e tradizioni, pag. 105)
riferisce che Racalmuto contava nel 1548 890 case e quasi 4000
abitanti (ascesi nel 1595 a 4447). Se così è, il quoziente di
natalità a metà del secolo XVI era del 35 per mille, alla
stregua di quanto registrato nel 1901 per tutta la Sicilia, ma
molto al di sotto del quoziente della stessa Sicilia avutosi
nel 1861 (42,20 per mille), stando allo studio di Gino
Longhitano: la dinamica demografica (in La Sicilia, volume
della Storia d'Italia, ed. Einaudi, pag. 987).
La mortalità infantile dell'epoca era molto alta, come vedremo
analizzando i libri dei morti della stessa Matrice, così come
era breve la vita media. Nell'ambito dei 105 battezzati,
abbiamo una prevalenza di maschietti (55) sulle bambine.
I nomi sono quasi tutti gentili: abbondano i Francesco,
Angelo, Giuseppe, Pietro, Natale, Girolamo per i maschi;
Giovanna, Stefana, Antonina per le donne. Al contempo,
affiorano nomi graziosi come Giovanna Chiara, Palma, Novella;
Giulio, Rodamonte, Barnaba, Marco, Ottaviano, Bartolo.
Non sono ancora diffusi nomi del tipo: Calogero (nome
diffusosi attorno al 1750) o Crocifissa o Salvatrice.
Documento con data coeva del 1554.
Illeggibile in tante parti, specie per quanto attiene al cognome di codesto GIOVANNI.
Leggibilissima invece la firma del “presti Dionisi LUMBARDU”.
Documento indubbio del 1563. Adi 16 ditto
Si batticzau la figlia di Bastiano di Acquista, nomine Catinella. Lu compari fu Antonino Morriali, la commari Catrini La Negla. Presti Dionisi Lumbardu.
Adi 28 V Indictione 1563
RACALMUTO NEL 1564
Il quinterno successivo riguarda il 1564: dunque dieci anni
dopo. E' diviso in due parti: la prima attiene ad alcuni
introiti da matrimoni celebrati; la seconda contiene le
annotazioni sui crediti vantati per battesimi.Illeggibili le
prime due colonne e neppure agevole la lettura delle altre per
la consunzione del tempo. In ogni caso, abbiamo traccia di ben
38 matrimoni che se riguardano un anno intero comportano un
quoziente di nuzialità pari a 9,5 per mille (mantenendo fisso
il numero di abitanti in 4.000) ben superiore a quello del
1861 dell'intera Sicilia (7,33) e del 1901 (7,43), riferendoci
sempre allo studio del LONGHITANO prima citato. Si pagavano 2
tari' e 7 grani per essere 'inguaggiati et spusati'.
A titolo meramente indicativo, trascriviamo due registrazioni
matrimoniali, le quali invero sono le sole che abbiano una
qualche compiutezza; il resto non è apparso suscettibile di
integrale decifrazione. Al n. 39 si ha dunque: '' Matte' di
Noto f. di Luca et Joannella di Noto cum Angiluzza f. di
mastro Jacumu et Betta di Blundo in g. et sp. (inguaggiati et
spusati), p.nti (presenti) Lisi La Regina, Antonino Labbati et
Francesco Bucculeri Chillici.....tt. (tari') 2 e 7 (grani).
PAGAU.' Al n. 36 abbiamo: ''Adi' 26 ditto (26 agosto 1564) e
Petru Sfirrazza f. di Nardu et Pina di Sfirrazza cum Diana f.
di mastro Bastiano et quondam (fu) Sicilia di Nobili, presenti
Santu Curtu, Cesari di Puma et Nardu di Miceli'. Nel
complesso, per quel che si riesce a decifrare, veniamo a
conoscere gli estremi delle nozze fra le seguenti famiglie: un
Falletta con Joannella Alaimo; Juliano di Pani con Vincenza di
Averna; Luciano Pirrera con Antonella di Minico; un Arrigo con
Lauria Puma figlia di Jacomo e Rosa Puma; un La Matina con
Rosa di Blundo; un Casali con una Mule'; un Napuli con Agata
Santangela; un Sanfilippo con una La Rocca; un altro
Sanfilippo (Nardu) con Narcisa Arrigo; Paolino Romano con
Sabella Vulpi; Agustino Facciponti con Cuntissa Lu Portu;
Cesaru Picuni con Lauria La Licata Infernu. Il matrimonio tra
Cataldo lu Porco e Vincenza Pisano dovette essere di rilievo
se tra i testi troviamo 'don Cesaro lo Carretto' che ha tutta
l'aria di appartenere ai locali baroni del Carretto. Tra
genitori e testi rileviamo ben 6 'mastri': mastro Francisco
di Girgenti; mastru Vartulu Raspanti; mastro Antonino
Cacciaturi; mastro Jacumu di Blundo; mastro Pompeo Pisano e
mastro Bastiano di Nobili. Anche da questi dati, abbiamo la
conferma che a Racalmuto del '500 le maestranze erano vaste ed
operose. Se i cognomi sono indicativi, resta fondata l'ipotesi
di tanti immigrati a Racalmuto nel settore dei mestieri.
Cognomi come Jo Antonio Piamontisi, Jo Sequales e Nardo
Montiliuni fanno pensare ad una locale burocrazia proveniente
dal di fuori della Sicilia, ed in un caso di indubbia origine
spagnola. Altre famiglie di spicco sono reperibili fra
quell'incerta documentazione matrimoniale. Segniamo qui: La
Mantia; Carlino; Asaru; Palermo; Cullura; Vaccari (Pietro),
Amella; Tabuni; Taibi; Scibetta; Cavallaru; Costi; Vella;
Virtulino e Castronovo.
Documento comprovante il sacerdozio di presti Antonio Castagna, il quale battezza “die XXVIII 4 indictionis mensis majj,lu figlo di Calojaro Sfiracza, nomine Sancto. Li compari Nardo Firmuso et Mariano di Mulé; la commari Barbula la Migluri”.
La seconda parte del fascicolo è di natura meramente
contabile, anche se concerne alcuni battesimi celebrati nel
1564. E' tenuta a doppia colonna: da una parte la causale e
dall'altra l'andamento del credito. Sembra che si tratti
dell'affitto di alcuni indumenti battesimali: coxini (piccole
cotte), tovaglie; collaricchi (collettini); falde; cordelli
russi (cordoncini rossi); faxe (fasce); vilo di sita (velo di
seta); chiumazzella (piccolo cuscino); falda di pannizzu. La
tariffa è fissa: tt. 1 e 10 (un tari' e 10 grani). Nella
seconda parte del registro, viene segnata una formula usuale:
'divi aviri...tt.1e10'. L'evidenza risulta alla fine cassata
con un grande taglio a forma di 'X'. I dati, riferendosi a
soli n. 34 battesimi che vanno dall'ottobre 1563 all'agosto
1564, fanno pensare, appunto, ad un affitto di indumenti e
fanno arguire che il resto dei battesimi ( per lo meno, altri
110) di quell'anno sia avvenuto con vestiario di proprietà,
oppure, più verosimilmente, senza orpelli.
Il documento testimonia del dialetto siciliano dell'epoca che
non sembra discostarsi di molto da quello attuale. A tal fine
segnaliamo altri lemmi ed alcune espressioni: 'nu morsu di
pezza'; 'si ristau per lu dittu debitu'; 'divi aviri'; 'uno
coxino cun lu pertuso'; 'divi aviri tt.1e10 e l'appi patri
Nicola'; 'un coxino cu li lenzi russi et una tovaglia
intagliata cu li fiuri'; 'uno coxino et una tovaglia vecchi';
'jennaru'; 'maiu'; 'virdi'; 'cu certi pannizzi'.
Se quelli che pagavano un tari' e 10 grani per agghindare i
battezzandi erano gli appartenenti al ceto medio della
Racalmuto del cinquecento, eccone il significativo elenco:
Natali Falletta; Nuzzu Cozzu; Matte' Montiliuni; Jo Macaluso
di Nardu; Antonino di Polito; Pietro La Matina; Francesco
Virguni; Philippo La Licata di Antonino; Andria Chinnirella;
Antonio di Liberto; Pietro di Lintini; Jacomo Casuccia (che
esige 'uno coxino cu li cordelli russi'); Marco Calichi;
Juliano di Pani (che vuole 'una faxa cu certi pannizzi et uno
collaricchiu'); Paolo Amorella; Simuni Vitellu (anche qui si
ha 'uno coxino cu li cordicelli russi'); Antonino Cardala;
Antonino Lu Sardo; Antonino Amella; Francesco Romano; Cola di
Migliuri; Petru Randazzo; Battista Rizzu; Cola Bucculeri;
Pietro Purcello; Antonino Borsillino (che pretende 'un coxino
cu li lenzi russi et una tovaglia intagliata cu li fiuri'
sempre per un tari' e 10 grani); Antonino Rizzo di la Favara;
Jo Antonio di Puma; Bastianu Macalusu; Martinu Catanisi;
Antonino di Benedittu; Girolamo Gargo e Jo Collura.
Padre Dionisi Lumbardu si cimenta in un ingenuo fregio.
Ecco un atto indubbio del 1564. Patrini sono personaggi eccellenti della Racalmuto del ‘500: “lo rev.do don LIONARDO LA LUMIA” e “lo magnifico Ercuri Tudiscu minori” con “lo rev.do don Lelio di Bertuglia”. La commare è “donna Joannella Piamontisi”.
L'ESPLOSIONE DEMOCRATICA DEL 1570e1571
La nostra ricerca si estende
ad un fascicolo di battesimi che dal primo
di ottobre del 1570 ci conduce passo passo fino al 9 ottobre
del 1571. Segue un elenco di donne per la
gran parte coniugate. I primi tre fogli sono illeggibili per
l'inchiostro sbiaditosi nel tempo per effetto di acqua
cadutavi sopra. Il senso di quell'elenco sfugge del tutto.
Eccone alcuni stralci:
e Geronima m. (moglie) di Santo Favara;
e Geronima m. di Nino Barba;
e Vicenza la Pitruxella;
e Antonia la Pantanedda;
.....
e Lauria m. di Nardo lu Sardo;
e Antonella m. di Jacubo Barba;
e Margarita m. di Paulino Boscarino;
......
e Margarita la Manna;
e Catrina la Pitruxella.
Il fascicolo e come altri della specie, del resto e fu
soggetto ad attento esame nel settecento, interpolato e forse
manomesso. In un punto viene così annotato con bella
calligrafia del '700: 'Die 3 Aprilis 1571. ALGOZINI Archip.r
1731'.
Se le manipolazioni del '700 non hanno del tutto falsato la
raccolta di atti battesimali, siamo in presenza di un dato
attestante una vera esplosione demografica in quel frangente:
trattasi di ben 238 atti di battesimo, che, se ristretti ad un
periodo di un anno intero, scendono a 229 battesimi
rappresentanti un quoziente di natalita' e ipotizzando la
popolazione di allora in 4500 abitanti e del 50, 89 per mille
che risulta incrementato del 45,4% rispetto al quoziente prima
calcolato per il 1554.
Notiamo, pure, una inversione di tendenza: la natalità
infantile femminile è, ora, maggiore di quella maschile (il
52,10% sulle nascite complessive del periodo ammontanti a
238). Si snodano, in questo documento, i capostipiti
dell'intero tessuto familiare racalmutese, per la gran parte
ancor oggi presente. Oltre ai cognomi prima annotati,
emergono le varie famiglie dei Gagliano, Vivona, Conti, Vento,
Graci, Russello, Judici, Dinolfo, Micciche', Zauna, Curdaro,
Lo Re, Falarifixi, Falci, Taverna, Ciraulo etc.
Notiamo qui e e ciò varrà per tutto il Cinquecento e che le
grandi famiglie dell'Ottocento quali i Matrona ed i Tulumello
non sono ancora apparse nelle carte parrocchiali della
Racalmuto dell'epoca.
Le maestranze si accrescono vieppi—; emergono, infatti, i
seguenti 'mastri': m.o Mariano Pitruxella, m.o Andria
Castronovo; m.o Giuliano Giglia; m.o Paolo Castronovo; m.o
Paolo Brigantino; m.o Jacomo Puma; m.o Pietro Moranda; m.o
Julio Cannatello; m.o Jo Gulpi; m.o Minico Genua; m.o Carlo
Facciponti; m.o Pietro di Girardo; m.o Giuseppe Blundo; m.o
Gian Battista Romano; m.o Gerlando Arrigo; m.o Antonino
Tabuni; m.o Antonuzzu di Arnuni; m.o Antonino Jacupunello;
m.o Francesco Pitricella, m.o Arrigo Presti, m.o Arrigo
Benigno, m.o Giuseppe Cacciaturi, m.o Francisco Cacciaturi,
m.o Pasquali lu Longu, m.o Mariano Simuni, m.o Antonuzzu
Millardu, m.o Gireri San Mariano. m.o Arrigo Bino
e m.o Antonino Falletta. 29 'mastri' non sono pochi,
oltre il 10% dei nuclei familiari menzionati. Alcuni
di loro e quali il Genua, lo
Jacupunello, il Moranda, il Brigantino e fanno congetturare di
essere 'mastri' immigrati. Racalmuto prospera pu• permettersi
ora per lo meno due notai: il notaro Benedetto di Amella, che
padre di un bambino gli da' l'inconsueto nome di VENTIANO, ed
il notaro Cola Montiliuni. Personaggi di spicco non mancano e
questi vengono ossequiati spagnolescamente anche negli atti
austeri dell'archivio parrochiale con un rispettoso 'don'.
Rientrano fra tali gentiluomini della Racalmuto del 1571 'don'
Filippo La Tona e 'don' Pietro Sabella.
Le testimonianze sul clero di Racalmuto in quel torno di tempo
sono segnatamente esplicative di una presenza assidua e di una
composizione molto numerosa, segno di un centro molto
importante e relativamente ricco di mezzi di sostentamento per
sacerdoti laici e regolari, ed anche per suore. Tra le
madrine, in cinque battesimi figurano religiose. Due di loro
e Soro Palma di Aidoni e soro Palma di Jandridochi e hanno
l'aria di forestiere che dovettero ben trovarsi a Racalmuto,
tanto da venire chiamate a fare da 'commare'.
Il folto clero annovera: don Gerlando e don Vincenzo Averna,
don Giovanni Cacciaturi, don Antonino d'Auria, don Giuseppe
Garambula, don Antonino La Matina, don Antonino Lumia, don
Michele Miccichi, don Filippo Macina e don Giuseppe Nicastro.
Son dieci sacerdoti che hanno officiato nei battesimi e sono
quindi da considerare attivi, in qualità di cappellani.
Qualche volta vengono chiamati a fare da 'compari': capita a
don Vincenzo Averna, a don Michele Miccichi
e a don Giuseppe Garambulo. Un altro
sacerdote è presente talora ai battesimi come 'padrino' senza
officiare e trattasi del 'presbiter' Monsirrato di Agro'.
LA CRESCITA DEMOGRAFICA CONTINUA ANCHE NEL 1576
Risparmiato dalle ingiurie del tempo e giunto fino a noi è un
altro interessante fascicolo che raccoglie di atti di
battesimo dal primo novembre 1575 al 28 maggio 1576. Sono
segnati n. 167 battesimi. In ragion d'anno, pu• sostenersi che
nacquero in Racalmuto sui 285 bambini e cioè vi fu un
quoziente di natalità superiore al 60 per mille (incremento
del 19,69% rispetto a cinque anni prima). L'attendibilità del
calcolo non sembra dubitabile, a meno che la popolazione
dell'epoca fosse ben maggiore dei 4700 abitanti accreditati.
La presenza dei del Carretto è ora testimoniata dalla
circostanza che una Betarice del Carretto acconsente a fare da
'commare' l'11 dicembre del 1575 nel battesimo di una bambina
Vincenza, figlia del notabile Pietro di Agro'. Il padrino è
Vincenzo Canigliaro. Celebra il battesimo padre Vincenzo di
Averna che abbiamo già conosciuto fra i cappellani operanti in
Racalmuto nel quinquennio precedente.
L'espansione demografica porta ad un accentuarsi
dell'omonimia: il soprannome o la 'ingiuria' si diffonde ai
fini di evitare confusione. Tali soprannomi sono spesso
rivelatori di aspetti sociali ed economici non proprio
trascurabili. Qualche Sfiraza è contraddistinto come un
Falchotta (che lascia pensare a qualche feudo di proprietà)
per distinguerlo da un omonimo che viene invece indicato come
Tuminello o da altro chiamato pure Bozaro; un Ruggeri è
soprannominato Scaccia con evidente riferimento alla località
ancor oggi così indicata; Antonella Montana è intesa come 'lu
Caliato'; abbiamo così un SALVOeBRIGALINO.
Altre 'ingiurie' palesano aspetti fisici o morali o
professionali. Gli Amella sono 'Granusi'; Lu Sardu è Polito;
Cesaro di Agro' è Mancuso; un altro Agro' è 'lu Russu'; un
Amella risulta Predicatori; un Graci diviene Fellarangi
(affetta arance ?); Bartolomeo Vitale è Catalano; Girolamo
La Licata risulta 'Critaro'. Alcuni doppi
cognomi stanno a significare l'unione di talune importanti
famiglie con la combinazione di matrimoni: abbiamo così gli
AMELLAeBARTOLOTTA; i DORIAeCASUCCIO (e sembra qui che i DORIA
siano oriundi liguri come i Del Carretto, cui forse erano
legati da vincoli di parentela); i ROTULOeBATTAGLIA; i
MACALUSOeCURCIO, i MARTORANAeRE.
Si diffondono, del pari, cognomi
particolarmente espressivi: La Mendola; Provinzano; Marturana;
Introna; Blundo; Formusa; Pirrera; lu Brutto; lu Maligno; lu
Longo; Curto; Cacciaturi; lu Bello; Gulpi; La Matina; Lu
Chichiro; Bucculeri; La Lumia; Barberi; Bursellino; Balduni;
Bellomo; Pullicino; Gangarussa; Cavallaro; Lumbardo; Burgio;
La Cipolla; Termini; Cavarello; Jacuzzo; Favara; Tudisco;
Ristivo; Falletta; Amurella; Puma; Gagliano; Lu Conti;
Capoblanco; Picuni; Vaccari; Lupo; Pitralia; Picuraro;
Gulisano; Malaspina; Guastella; Crixafo; Firraro; Nalbuni;
Vigna; Cavaleri.
L'antica origine araba sempre comprovata dalla presenza di
cognomi quali gli Alaimo, i Macaluso, i Taibi, i Martorana
etc.: ceppi importanti ma non maggioritari.
Mi sia qui permessa una divagazione molto personale: nel
fascicolo trovo e dopo un accenno ad un appartenente alla
mia famiglia del 1554 e un secondo riscontro della presenza
dei Taverna in quel di Racalmuto. Il 26 febbraio del 1576 i
coniugi Paola e Mariano AmellaeCimbiririllo battezzavano il
loro figliolo Rocco.
Veniva chiamata a far da 'commare' Francesca 'la muglieri di
Jacumu Taverna'. 'Lu compari Rugeri La Scalia'. L'Amella è un
'mastro'. Per altro verso, abbiamo una ulteriore riprova che
la funzione della 'madrina' è essenzialmente di natura
religiosa e non sussiste ancora l'usanza di utilizzare coniugi
o parenti per la coppia di padrino e madrina. Quanto afferma
Maria Pia Demma ( cfr. il suo 'Percorso Biografico e
Artistico' in Pietro Asaro "il Monocolo di Racalmuto",
Racalmuto 1985. pag. 30) non risulta fondato. Nè nel caso
della nostra antenata nè nella copiosa documentazione sulla
composizione delle coppie di 'compare' e 'commare' i 'padrini
erano scelti fra le coppie di sposi, diversamente da quanto
afferma la Demma. Se quindi un Pietro Asaro risulta presente a
Racalmuto 'come padrino di battesimo di una bambina', la
circostanza che vede in quel battesimo come madrina
una certa 'Antonia Fubella' non significa affatto che il
'd'Asaro non era ancora sposato'. La Demma, del resto, non da'
per 'probante' la circostanza. I nostri documenti comprovano
la totale irrilevanza dell'evenienza.
Varie volte è stata sottolineata la peculiarità del ruolo
delle 'madrine' nei battesimi. Fra le più ricorrenti abbiamo:
Vincenza CasuccioeDoria; Vincenza di Salvo; Laura Vinciguerra;
Caterina Pitralia; Betta Capoblanco; Fiuri Camalleri; Mariella
di Giglia; Fiuri di Gasparo; Juannella di Amella; Margherita
la Guastella e Bianca Cavaleri. Sora Palona e Suor Giulia La
Licata sono suore apprezzate se vengono chamate a fare da
'madrine'.
Il clero ministrante è ora composto da: padre Lisi
Provenzano; don Vincenzo Averna (quello operante anche nel
1571) e solo per un paio di battesimi, alla fine di maggio del
1576, ritorno padre Gerlando di Averna.
Giovan Battista Montiliuni è sempre il notaio del paese: è il
'padrino' di Stefanella Caterina, figlia di Antonino e
Marchisa Sauni. La madrina è, invece, 'Maruzza muglieri di
Lixandro La Barbera'.
Si accrescono le maestranze locali. I nomi nuovi sono: m.o
Paolo Bucculeri; m.o Francesco Balduni; m.o Rugeri La Scalia;
m.o Matte' Bucculeri; m.o Antonino Montana; m.o Paolo
Cacciaturi; m.o Gasparo Montiliuni; m.o Rugeri di Salvo; m.o
Pasquale di Lungu; m.o Giacomo Bursellino; m.o Angilo
Favarisi; m.o Antonino Alletto e m.o Paolo La Cipolla.
Una curiosita': il primo gennaio 1576 vengono battezzati due
gemelli Francesco e Giuseppe, figli di Michele Salvagio: la
coppia dei padrini è costituita da Gerlando Marturana e da
Giuliano Lo Sardo; la madrina è Caterina Pitralia.
RACALMUTO NEL 1584
Gli atti battesimali a nostra disposizione per questa prima
ricerca ci portano, con un salto di otto anni, al 1584. Il
relativo fascicolo appare manomesso varie volte (prima nel
settecento e poi in questo secolo). Le registrazioni
riguardano il periodo 30 dicembre 1583e25 ottobre 1584, ma per
disordine iniziale e successiva manomissione non risultano in
regolare successione. Nel primo foglio sono annotati battesimi
relativi ai giorni 21, 24, 25 e 27 'Januarii'. L'indicazione
dell'anno 1584 in testa ed a margine sinistro del foglio è del
'Settecento ma è attendibile. Giunti al 26 settembre 1584 (la
precisazione che trattasi della XIII indizione è autentica e
corretta essendo in uso la periodizzazione 'bizantina') vi è
un salto al 30 dicembre (1583, precisa il notista del
Settecento). Gli atti proseguono quindi regolarmente per il
periodo 30 dicembre 1583e20 gennaio 1584 per riprendere le
interrotte trascrizioni relative al settembre 1584. Il
fascicolo è cucito con tale interpolazione e tutto lascia
pensare che la confusione sia avvenuta nella ricognizione del
diciottesimo secolo. Fu in questo secolo che si ebbe in
Agrigento la visita apostolica del De Ciocchis che impose il
rispetto delle direttive romane in materia di tenuta degli
archivi ecclesiastici (sul De Ciocchis cfr. Paolo Collura e
Le piu' antiche carte dell'Archivio Capitolare di Agrigento e
Palermo 1961, pag. X). Scrive il Collura: '...per trovare il
primo dettagliato, se non completo, inventario del Tabulario
agrigentino bisogna aspettare il 1741e1742, anno della visita
del diligentissimo mons. Angelo De Ciocchis: egli prescrisse
l'applicazione delle sagge norme dettate da Benedetto XIII
nella bolla MAXIMA VIGILANTIA del 1727'. La prescrizione valse
evidentemente anche per l'archivio parrocchiale di Racalmuto.
La bolla, comunque, ebbe in luogo i suoi effetti già prima,
come dimostra l'annotazione dell'arciprete Algozini fatta nel
1731 sul registro dei battesimi del 1571 che abbiamo avuto
modo di segnalare.
Ricostruito l'ordine cronologico di quegli atti battesimali,
abbiamo conferma della crescita demografica di Racalmuto. Dal
30 dicembre 1583 al 25 ottobre 1584 si hanno 194 battesimi,
con un quoziente di natalità in ragione di anno calcolabile
sul 54 per mille (inferiore a quello del 1576, ma pur sempre
elevato).
Ora, per•, sono i maschi ad avere il sopravvento sulle femmine
(108 contro 86). I battesimi si concentrano in gennaio (27),
febbraio (27), maggio (17), settembre (29) e ottobre (21); si
diradano a marzo (14), aprile (12), giugno (13), luglio (15) e
agosto (16). Natalità invernale ed esodo estivo nelle campagne
possono spiegare il fenomeno.
Segnaliamo la nuova composizione delle maestranze tra le quali
ora figurano: m.o Paolino di Conti; m.o Giseppi di Pino; m.o
Antoniuzzu Travali; m.o Paolo d'Amico; m.o Luciano La Manta;
m.o Pietro di Naduri; m.o Nardo di Noto; m.o Baldassaro
Baruni; m.o Paolo Docturi; m.o Currao Buxema; m.o Julio
Castella; m.o Leonardo Carniglia; m.o Cesaru Buxemi; m.o
Josephi Infantino; m.o Angilo Madona; m.o Vincenzo Todaro; m.o
Masi Bonsignore; m.o Francesco Bavemi; m.o Giseppi la Vigna;
m.o Antonio Bosa; m.o Rodolfo Teraso; m.o Vincenzo Barba; m.o
Paolo Roxi, oltre a taluni
'mastri' operanti già nei precedenti anni.
Ma sono i notabili che divengono piu' numerosi e rispettati.
Alla spagnola, alcuni di loro vengono ossequiati con un
altisonante titolo di 'Magnifico': 'magnifico' è Giseppe di
Poma; Josephi La Lumia; Jacobo di Poma; Martino Rizzo.
La diffusione dello spagnolismo pure nella redazione di atti
parrochiali emerge dall'uso di titoli quali 'don', 'magister',
'dominus'. Negli atti del 1584 ci incontriamo con i seguenti
uomini di rispetto: 'dominus' Antonino Ciccarano; 'monsignor'
Raneri Fanara; 'magister' Narciso Giandardone; 'don' Agustino
Galione; 'monsignor' Gasparo Bona; 'monsignor marchese'
Jandodoni; 'missere' Joachin Martino Spagnolo; 'donna Di Lio
Catirnella'. Sono titoli onorifici che sembrano tributati a
'forestieri' eccellenti: quei cognomi erano e sono inconsueti
a Racalmuto.
In pieno stile spagnolesco questo atto di battesimo del 23
maggio 1584: ' Die 23 di majo e Francesco figlio di lu
magnifico Josepi e la magnifica Margaritella La Lumia fu
batizato per me don Paolino Paladino. Lu cumpari fui lu
magnifico Balsamo (punto corroso); la commari fui la magnifica
... la Galioto'. E' presente nella vita cittadina il notaio
Giseppi Curto.
La documentazione del 1584 ci fornisce molti elementi sul
clero locale. Sappiamo per certo che a partire per lo meno
dall' 11 settembre 1584 arciprete di Racalmuto è don Michele
ROMANO. Cappellani sono di certo: don Monserrato di Agro'; don
Francesco Nicastro; don Joseppi d'Averna; don Paolino
Paladino; don Lisi Provinzano. Fra i padrini di battesimo
troviamo: don Jo Macaluso e il 'diacono' Leonardo Spalletta
(che dal febbraio 1584 viene indicato come 'presbiter'). Si
desume che, mancando ancora il Seminario, gli aspiranti al
sacerdozio si formassero presso la locale chiesa madre: in
loco ricevessero gli ordini minori e quindi la consacrazione
sacerdotale. Nel frattempo operavano perfettamente inseriti
nel contesto sociale del centro urbano, tanto da venire
chiamati, ad esempio, quali 'padrini' nei battesimi e,
vedremo dopo, anche quali 'testi' nei matrimoni.
Il crescente inserimento delle monache nel tessuto sociale lo
desumiamo dal diffondersi del costume di chiamarle a 'madrine'
nei battesimi. Gli atti ci testimoniano delle seguenti
'commari' suore: soro Gianna Randazzo; soro Lauria di
Murriali e soro Michelina la Corta.
Il 24 settembre 1584 Lisabetta La Nobili battezza il suo
figlioletto Francesco avuto da una relazione illegittima:
Padre Francesco Nicastro esplicitamente annota che 'lo patri è
incognito'. Di spicco sono i padrini: 'lo compari fui mastro
Cesaro Buxemi et la commari fui Vincenza la Casuccia'. Tra i
cognomi ora invalsi quelli più significativi ci appaiono:
Ragusa; Xangula; Vircico; Fuca'; Cianciana; Modica; Naduri;
lu Grecu; Di Falco; di Capitano; Balgiso; Bordonaro; di
Vutera; Turrimuzza; Castagliuni; Caltanissetta e la Saragura.
Un atto di battesimo ha attirato la nostra attenzione e lo
riportiamo per intero in omaggio a Leonardo Sciascia. 'Die 5
settembris XIII Indictionis 1584: Marta figlia di Filipo e
Marucza di XAXA (id est: Sciascia) fuj batizata per me don
Paulino Paladino. Lu conpari fuj Gilormo lu Conti (il conte
Girolamo del Carretto?); la comari fuj Francesca mj (muglierj)
di Bernardo Bocoleri':
Siamo ora nel 1570. Abbiamo un nuovo cappellano, padre Giuseppi GARAMBULA
NOZZE DEL '500 NELLA TERRA DI RACALMUTO
In bella rilegatura, con una rubrica alfabetica di apertura
(però incompleta e relativa ai nomi, anziche' ai patronimici),
intramezzato da citazioni latine, è conservato nella Matrice
un libro di 'matrimoni' che dal 2 settembre 1582 (inizio della
undicesima indizione 'bizantina') ci conduce passo passo sino
al 13 'agusti' del 1600.
Nella rubrica alfabetica di quegli atti matrimoniali, molte
lettere sono precedute da versetti religiosi in latino che
hanno una qualche attinenza con la lettera dell'alfabeto
interessata. Prima della 'E', crediamo di leggere 'Emmanuel
vocabitque nomen eius ut sciat et probare et eligere natum
hominis'. Alla lettera 'Q' è anteposto il detto 'queretis me
et non invenietis'. Poi, per celia o per sadico astio di
votati al celibato contro nubendi che si vorrebbero iellare, è
scritto, a premessa della lettera 'T': "Tempus eorum breve
est". Suggella l'esordio del registro degli atti matrimoniali
un catastrofico 'et omnes sicut aqua dilabimur'.
L'ordine alfabetico, la rilegatura e le prave citazioni latine
sembrano opera settecentesca, connessa al riordino
dell'archivio parrochiale del 1731 sotto la sorveglianza
dell'arciprete Algozini che abbiamo avuto modo di rievocare.
Ma il latino è ben conosciuto anche dai preti archivisti del
'500 racalmutese. 'Adsit principio virgo beata meo', invoca il
sacerdote che si accinge a trascrivere gli atti di battesimo
della XI indizione (settembre 1582).
Siamo nel 1585, 2 di luglio. Ora la grafia è pie abbordabile. Leggiamo: Francisca figla fi Cola e Barbula di Muncaru fui batticzata per presti Francisco Nicastru. Lu compari lo magnifico signor Petru Tudisco, la commari la signora Francesca Panzica.
Per la curia romana,tutto il 1582 rientra nella decima indizione.
Perche' allora a Racalmuto il 2 settembre 1582 (la prima registrazione del
nostro fascicolo) viene segnato come XI indizione? Non e' un
errore del prete: come abbiamo più volte segnalato, da noi
perdurava l'anno bizantino che era retrodatato al primo di
settembre. Il Cappelli (cfr. A. Cappelli: Cronologia
Cronografia e Calendario Perpetuo, Hoepli e Milano e 1983,
pag. 6) ben ci illustra la questione: 'l'INDIZIONE e precisa e
è un periodo cronologico di 15 anni, originario, a quanto
pare, dall'Egitto e che, dal sec. IV in poi, divenne una delle
più importanti note croniche dei documenti, tanto in Occidente
che in Oriente. Il suo punto di partenza risale ai tempi di
Costantino il Grande e precisamente al 313 dell'Era Cristiana.
Gli anni di ciascuno di questi periodi quindicennali
numeravansi progressivamente dal 1 al 15, poi si ricominciava
da capo, senza mai indicare di qual periodo indizionale
trattavasi. Anche per questo sistema di datazione vari•,
secondo i paesi e i tempi, la data del mese e del giorno da
cui facevasi cominciare una nuova indizione. In origine pare
che il suo punto di partenza fosse al primo settembre, come
l'anno bizantino e questa fu detta INDIZIONE GRECA o
COSTANTINOPOLITANA, perchè molto usata in oriente e
specialmente in Grecia. In Italia la vediamo in uso, sino
dalla fine del sec. IV, specie in Milano e nel dominio
longobardo, tanto pei documenti regi come pei ducali e
privati. Fu pure usata a Venezia, Lucca, Pistoja, Prato,
Napoli, Puglie, Calabria e in Sicilia.'
Anche a Racalmuto, possiamo dunque integrare, con qualche
punta di campanilismo.
Se i coevi atti di battesimi ci appaiono disattenti e sciatti,
non è così per gli atti di matrimonio. Vengono adottate
formule elaborate, con locuzioni latine, non privi di
formalismo giuridico. Ci sono, certo, corruzioni linguistiche
di derivazione dialettale, ma l'ossatura resta pur sempre
dotta, segno di una cultura in seno al clero di Racalmuto non
priva di un qualche valore. Viene fuori uno spaccato del
locale sacerdozio articolato, piramidale, molto alfabetizzato
(pur inflazionato da clerici che riescono poi a raggiungere
gli ordini maggiori).
Il primo atto di matrimonio e dopo perfezionato nella
formulazione ed impreziosito da richiami a sinodi diocesani ed
a dettami tridentini e appare, già, molto paradigmatico e val
la pena di riportarlo integralmente: prove ed indizi di quanto
abbiamo prima asserito vi sono sparsi a profusione. Il nostro
registro, dopo la invocazione latina alla Vergine di prima,
così esordisce: 'Die 2 settembre XIe Ind.s 1582 anni con.nis
(conciliationis) incipientis e Giseppe figlio delli q.dam
(quondam) Antonino et Catherinella Morriale con Catherinella
f. di Paulo e la q.dam Francesca Barba, servatis servandis e
fatte le tre denunciatione inter missarum sollemnia, non si
trovando impedimento alcuno contrassiro matrimonio pp.ce
(publice) in facie ecclesie e gli fo fatta la beneditione per
me don Michele Romano arciprete, p.nti (presenti) clerico
Francesco Nicastro e clerico Orlando di Averna e molti altri
genti'.
Due chierici e un arciprete vengono subito testimoniati. Il
Nicastro sarà dopo prete e cappellano; il Romano è arciprete
abbastanza colto, che sa di latino e di diritto e possiamo
supporlo 'doctor in utroque iure' e e che non disdegna di
benedire le nozze volendo essere attivo nel suo sacerdozio. Ma
tocca a lui compilare la formula di rito per la registrazione
dell'atto matrimoniale: i cappellani, dopo, la ricalcheranno
con errori e adulterazioni. Il successivo 10 ottobre, ecco, ad
esempio, come la formula viene storpiata: ' eodem e Mastro
Joani Lumardo di la cita di Castro Joanj cum Rosella f. di
Agustino e Joanella di m.o Arigo servatis servandindis e fate
le tre denucziacione e jntenter misarum solemnia non si
trovando inpedimento alcono contra essiro matrimonio p.e p.e
jn facie clesie e foru benedetj ne la missa celebrata per me
don Paulino Paladino cappellano di la matri eclesia p.nti
sudiacono Frazinsco Nicastro e lu magnifico Jacobo Piamontisi
e m.o Masi Monsignore'.
Ora abbiamo una paleografia accattivante. Die 24 eodem , Geronimo figlo di Joseppi e di Ioanella di MONTANA fui batticzato per presti Francisco Nicastro. Lo compari fui Marco Pitrucella; la commari frui Monica mugleri di Joanni di Vigna.
Siamo negli anni ’80 del Cinquecento e già si stagliano vive e vivaci personalità che ancor oggi a Racalmuto sono cospicue.
Ma storpiature a parte, quante altre notizie anche qui: il
Nicastro è divenuto 'sudiacono' (il 9 gennaio del 1583
lo riscontremo diacono e poi
prete); Jacobo Piamontisi è un 'magnifico' e ciò ci fa
pensare a un forestiero con inacrichi amministrativi pubblici
in paese. Il Lumando è un 'mastro' che viene da Castrogiovanni
e che pu• accasarsi in Racalmuto sposando la figlia di un
altro 'mastro': Agustino Arigo. Abbiamo un' altra delle tante
conferme di una 'terra' di Racalmuto alacre, industriosa ed
aperta alle maestranze esterne.
La raccolta contiene n. 779 atti di matrimonio relativi ai
seguenti anni o scorci di anno e così statisticamente
inquadrabili:
anno Matrimoni abitanti quoziente nuzialità
n.ro presunti per mille
1582 (2/9e31/12) 14 4300 13,03 (7,33)(1)
1583 45 4300 10,46 (7,33)
1584 50 4300 11,63 ''
1585 28 4350 6,44 ''
1586 41 4350 9,43 ''
1587 54 4350 12,42 ''
1588 62 4350 14,25 ''
1589 38 4350 8,74 ''
1590 37 4400 8,41 ''
1591 22 4400 5,00 ''
1592 58 4400 13,18 ''
1593 50 4400 11,36 ''
1594 61 4400 13,86 ''
1595 40 4447 (1) 8,99 ''
1596 57 4447 12,82 ''
1597 23 4447 5,17 ''
1598 36 4447 8,09 ''
1599 31 4447 6,98 ''
1600 (sino al 13/8) 32 4447 11,51 ''
(1) Dato relativo alla Sicilia del 1861 secondo il Longhitano.
(2) Dato desunto da 'Dizionario Topografico della Sicilia' di
Vito Amico.
Il quadro statistico si arricchisce di elementi chiarificatori
della vita sociale dell'epoca: veniamo a conoscere che tante
spose restano presto vedove, ma non vi è remora alcuna alle
loro seconde nozze. Invero, a sposarle più che i compaesani e
che ci sembrano vittime di pregiudizi sessuali e di gelosie
per la prima notte e sono i 'forestieri'. La chiesa locale un
qualche allineamento alla cultura matrimoniale del luogo
mostra di subirlo. Le vedove che si risposano e e spesso
trattavasi quasi bambine, visto che a quattordici anni le
donne spesso convolavano a 'giuste' nozze e vengono
melanconicamente designate con il termine latino di 'relicta'.
Non rientravano nel patronimico di nascita: ognuno di loro era
solo 'la relicta di lu quondam' con nome e cognome del marito
defunto.
Nella documentazione, il primo di tali matrimoni risale al 22
febbraio 1583. Riguarda: 'Joanj Fadecta figlio di lu condam
Joanj Fadecta con Rosella muglieri di lu condam Antonino Santo
Filippo.....''. Appare un mastrimonio solenne per la
presenza di testi eccellenti. 'P.nti e prosegue infatti l'atto
e lu mang.co Paulo Catalano, Joanj Xortino e Franchico Lupo e
multa quantitati di agente'. Purtuttavia, uno sposo orfano di
padre ed una vedova non celebrano le nozze di domenica: qui è
solo martedì, sia pure il martedì 'grasso' del 1583. Abbiamo
appurato che è una costante il matrimonio di vedove nel corso
della settimana: le nozze veramente solenni avvengono, invece,
di domenica o nei giorni festivi oppure di sabato.
Di un certo rilievo è il riparto per anno dei matrimoni delle
vedove:
Cognome del nome II.o marito Paese di orig.
I.o marito II.o marito
(se diverso da
Racalmuto)
1583
1 SantoeFilippo Rosella Fadecta Joanj
2 Vanilla Juanella La Licata Vicenso
3 Castagna Nuczia Xaviteri Petro SantoeFilipo
4 Capoblanco Francisca Bocoleri Bernardo
1584
1 Lu Broto Joanela Bocoleri Vito
2 Magaloso Contissa Salamoni Petro Groti
3 Castrinovo Vicenza Massaro (lo) Josephi
4 Lu Bello Dama' Alaimo (d') Francesco
1585
1 Micciche' Felicita Suttalanzi Petro Nicoxia
2 Jannuzzo Beatrici Bucculeri Antonio
3 Dinulfo Diana Mule' (di) Franco
1586
1 Casuccia Antonia Chinco Baptista Giorgente
2 Jo:maria Angiluzza Morriali Francesco
3 Lo Bosco Leonora Lonestho Deonisi Maltisi
4 Martorana Antonella Firraro Lixandro Sutera
La Matina
5 Gulisano Cuntissella
Milioto Lisi
6 Modica Marigaritella
Terranova Mariano
7 Marthorana Joannella Marino Antonia
Vulpi
8 Macaluso Joannella
Bocculeri Lauricella Vito Fabaria
9 Lu Conti Joannella Frangiamori Josephi
10 PiazzaeSpinuso Antonella
Bocculeri Agro'eVento Ja:
11 Sanfilippo Lauriella Jangreco Antonino
12 Pitrocella
Casanova Angiluzza Santo Filippo Jo: Juliano
1587
1 Pulisano Ioannella Sutta Santi Joanni P.ro Nicoxia
2 Monteleoni Antonia Alferi m.o Ioseppi Cannicatì
3 Barbo Munda La Licata Jacobo li Grutti
4 Romano Joanella Barberi Petro
5 Vinciguerra Alionorella Alexi (di) Joseph Ayduni
6 Gaglano Margarita Bucculeri Cristofalo
7 Petrocella Caterj Cachi Petro Girgenti
8 Martello Milia Lo Conti Francesco Cirami
9 Milioto Catrinella Saldi' Joseph Grutti
10 Castronovo Catrinella Capuczo Josephi Mussumeli
11 Amedo Vichinzella Noto JoanieAntonj
12 Barberi Antonella Savarino Luca
1588
1 Frangiamuri Janucza Castillano Stefano
2 La Mendola Vincenza Noranti Norato
3 Infantino Beatrici Grachi (di) Andrea
4 Vanchida Antonella Firraro Petro Ciramj
5 Todisco Lauria Mangia m.o Joannj Galisano
1589
1 La Chiana Antona Laviangnio Calogiaro
2 Antroroco Francesca Rocharo Salvo Cannicatì
3 Blundo Catrinj Saguna Antonino
1590
1 Romillo Antonella Galeto Filipo
2 Lo Bosco Antona Agusta Joseppi
3 Agro' (di) Ioanella Grillo Joannj
4 Gulpi Antoninella Alaimo (di) Marco
1591
1 Sanfilippo Vincenza La Mantia Joseppi
2 Amella (di) Antonella Vigna (di) Joanni
3 Curto La Mantia Pitruza Pitrocella Paolo
1592
1 Mirabella Clementia Muzicato Joseppi Castrojo:
2 Caltavuturo Lauria Milioto Petro
3 Gueli (di) Joanella Rotulo Fidirico
4 Lo Sardo Bartula Barba Chiumbuluni
Antonino
5 Ginsuni Joseppa Birtulino Gerolimo
6 La Lomia Biancuza Curto Antonino
7 Tuciolino Prima Di Franco Francesco
1594
1 Romo Joaneda Buxemi mastro Paulino
2 Riczo Frachiscella Zayarigo m.o Antonino Grutti
3 Santofilippo Antoneda Montana Francesco
1595
1 Lumbardo Leonora Galanti (lu) Vito m.o
1596
1 Gulpi Angela Sanfilippo Pietro
2 La Licata Margherita Schillaci Filippo
3 Aleci (di) Helisabetta Pirruni Antonino Ceramj
4 Acquista (di) Angila
Puglisi Barberi Jo:
5 Firraro Angila Mauro Silvestro
6 Arrigo Angilella Fixina (di) Filippo
7 Fachiponti Angela Catania m.o Gerlando Girgenti
8 La Lomia Joanella Amico (di) Aloisio Mussumeli
1598
1 Martura Biatrici Aparo (di) Scanio
1600
1 Virtulino Francisca Fidirico Francesco
f+l2 Le nozze di vedove si attestano sul 9,11% del totale del
campione esaminato. L'andamento non è stato costante.
Riportato ad anno, è calcolabile il seguente sviluppo:
fel1 Anno n.ro matrim.ni nozze di vedove percentuale B*100/B
(A) (B)
1583 45 4 8,89
1584 50 4 8,00
1585 28 3 10,71
1586 41 12 29,27
1587 54 12 22,22
1588 62 5 8,06
1589 38 3 7,89
1590 37 4 10,81
1591 22 3 13,64
1592 58 7 12,61
1593 50 0 e
1594 61 3 4,92
1595 40 1 2,50
1596 57 8 14,04
1597 23 0 e
1598 36 1 2,78
1599 31 0 e
1600 32 1 3,12
f+l2 Le 'relicte' che sposano forestieri sono n. 24 (33,8%), un
terzo dunque. Quattro sono di Grotte; tre di Agrigento; due di
Mussumeli; due di Canicattì; tre di Cerami; altre sposano
gente di Sutera, Favara, Giuliana, Aidone, San Filippo del
Mela ed anche di Malta.
Se racalmutesi sposavano forestiere, fatto del tutto scontato,
i registri della Matrice non ne annotavano il matrimonio,
spettando alla parrochia della sposa. Pur vista dal solo lato
delle donne, l'apertura di Racalmuto all'esterno è, dunque,
ben vasta. A completamento, trascriviamo i forestieri che non
si limitavano a sposare vedove racalmutesi, ma anche le locali
nubili.
fel1 SPOSO Prov.nza SPOSA
1582
1 BONOINFANTI Battista Sutera GRACI Isabella
2 LUMARDO m.o Joanj Castrojo: ARIGO Rosella
1583
1 BONJORNO Gian Antonio Ganci AGRO' (di) Contissa
2 PAPALI Filipo Sutera XORTINO Contissa
1584
1 VALANCA Juliano Mussumeli AQUISTA Gerlandella
1585
1 LA ROCCA Cola Girgenti CIRAULO Joanella
2 LINTINI Gioseppi Girgenti AMELLA Alvara
3 ALAIMO Antonino Grutti TAIBI Mariella
4 GANGI Giseppi Cannicatti' MULE' Rosa
5 D'ALVARO Rafaele Terranova LIXANDRO Marina
6 LASCENATO Jacobo Canicatti' LIMBARDA Angila
1586
1 LO GULLO Paolo Monsmellis ALAIMO Vincentia
2 VINCIGUERRA Giorgio Grutti VACCARO Joanella
3 ALECI Paolino Sutera S.FILIPPO Elisabetta
4 GAGLIANO Cola Villafranca CHIARAMONTI Geronima
5 CINA PANSANO Josephi Giorgenti MOLE' Gentilella
6 SCURSUNI Paolino Fabaria ARMENIO Josepella
7 MOSSUTO Josephi Favara MONISTERI Maruzza
1587
1 VACARO Santo Sutera D'AMEDO Jorlandella
2 FONTANA Joseppi Vicari D'ASARO Catrinella
3 GUARACI Masi Girgenti MOLE' Gintili
4 LANZALACO Antonio Mussumeli S.FILIPPO Antonella
5 LA MOTTA Cola Catania GRILLETTA Joannella
6 LAGO Filippo Girgenti S.ANGILO Petra
7 PAGANI Bastiano Castroioanni LA MENDOLA Antonina
8 PHIMARTI Bastiano Troina LA BRUNA Antonina
1588
1 MARINO Joseppi Tortorici PILLITTERI Letizia
2 DIDOMINICO Jo:Bat.sta Caselli GULPI Sabelluzza
3 D'ALVARO Jolio Terranova LA LICATA Francesca
4 LO PORTO Raineri Vicari SCOZZARO Francesca
5 MONTISANO Mercurio Cirami GUELI Vincenza
6 SFIRAZZA Leonardo Sutera SINACRA Criscentia
7 PUTRICELLO Aloisi Naro GUELI Maruzza
8 CASABRUNO Andria Piazza LA NIVORA Antonina
1589
1 GRAZIA Antonino S.Angelo SPARTI Paola
2 RAMUNDO Jacubo Sutera BURSALINO Maruzza
3 LIBRISI m.o Carlo Pitralia LU NOBILI Juanella
4 LAIACONO m.o Masi Aiduni GUARINO Lucrezia
5 VINEURA Francesco Castrojoanni MODICA Joanella
6 MANCUSO Mariano Naro LU BELLA Chaterina
1590
1 GIGLIA Francesco S.Blasi CHIARAMUNTI Angilella
2 TINEBRA Joseppi Castrojoanni GRACI Agata
3 TINEBRA Angilo Castrojoanni DI FALCO Minichella
1591
1 SCHILLACI Vincenzo Cirami VAVUSA Angila
2 TURANODI Joseppi Caltabellocta GARLISI Catarina
1592
1 GRASSO Pascali Castrojoanni GUELI Francesca
2 SERIO Cesaro Santo Filippo RIZZO Martina
3 MANGIAMELI Ectaro Milillo GUELI Angela
4 VARELLO Gerlando Castrojoanni CIMINI Angila
5 LAURICELLA Antonio Fabaria MACALUSO Vincenza
6 VACCARELLA Andria Fabaria MARTORANA Antonella
7 VARELLO Paolino Castrojoanni MASTROSIMUNI Margaritela
8 AJELLO Marco Ganci VASSO Paolina
9 TERRITU Vincenzo Sutera PALAGRO Franceschella
10 SALDI' Francesco Grutti LA LICATA Sabella
11 VICARI Jacubo Castrojoanni CARLISI Antonella
1593
1 VICARI Signorello Castrojoanni MINICAZZO Paolinella
2 LAZALACO Andria Mussumeli PICICA Joseppa
3 BUXEMI Pietro Jorgenti GRACI Margaritella
4 INGRAO Scipiuni Grutti SCHILACI Joaneda
5 MACARELLA Paolino Sutera LA GREZZA Joannetta
6 CARMELI m.o Filippo Turturici LAUDICO Agata
7 MASELLO Bastiano Gangi TULOMELLO Francesca
1594
1 CHIAZZA Minico Musumeli VINCIGUERRA Josepa
2 STABILI Vicenso Gangi LAUDICO Petruzza
3 DI LUCA Jacubo Palermo GIGLIA Angila
4 CONTI Pietro Cirami MARTURANA Margaritella
5 MIOPLATO Bartolo Genua FAIDA Francesca
6 BURTULINO Matheo Mussumeli MAGRO Maruzza
7 MAGALUSO m. Francesco Petralia PICONI Julia
8 BLASI Minico Mussumeli GUELI Ieronima
9 MAMUNTI Petro Castrojoanni PUGLISI Jacupella
10 LIUNI m.o Francesco Palermo JUSTINIANO Lugrezia
11 SANTOANGILO Vicenso Grutti CARLINO Vatricella
12 FANARA Paolo Favara D'ANNA Paolina
13 AMICO Filippo Sutera CAXA Francischella
14 PALUMBO Jacubo Sutera VIGNORI Joanella
15 TUDISCO Salvaturi Muntalbano BURGIO Filippa
16 CIMINO Marco Grutti DI LURENZA Bettina
17 BUCCULERI Calojro Canicatti' LA LICATA Margaritella
18 MAXILLINI Antonino Mistretta CIMBARDO Maruzza
19 MAZARA Vito Cirami PUMA Jorlandella
1595
1 MISSINA Angilo Canicatti' AMEDDA Catrina
2 TADUTO Filippo Catalniseta MASTROSIMONE Antonedda
3 MIANO Bastiano Cerami FALLETTA Vincenza
4 FORTI (lu) Paolino Camarata PREGADO Francischella
5 PILITERI Marco Sutera AMEDA Vicensa
6 COCHIARA Filipo Grutti FACCIPONTI Jeromedda
7 PECURA Filippo Mussumeli MATTELIANO Vicinsella
8 ZIRAGINA Filippo Girgenti BELGUARDA Maruzza
9 VIRDIRAIMO Pasquali Girgenti DI FACTIO Catarinella
1596
1 MANCUSO Gregorio Castrojoanni SPATA Joannella
2 GARRASI b.ne Francesco Bellocozzo DI UGO Pitronilla
3 MONTIGRINO Vicenso Catania BRANDO Francischella
4 SAJA Vicenso Sutera AGRO' VENTO Magadalena
5 GALATI Caloiro Favara COZZU Juannella
6 CATANIA Joseppi Girgenti FACCIPONTI Joannella
7 SPALLETTA Vincenzo Castrojoanni CIRASA Antonella
8 MARTELLINO Rocco Mistretta ROTULO Caterinella
9 GIRGENTI Giseppi Palermo DI LUCA Lucrezia
1597
1 DI CARLO Marino Sutera FOMENTORO Maruzza
2 CARDELLA Jorlando Giorgenti CACCIATURI Francischella
3 MARTURANA Francesco Caltanixetta LA PAGLIA Iurla
1598
1 BRACCO Francesco Gergenti SALVO Pitruzza
1600
1 RIZZO Antonino Xicli MURATURI Diana
2 RUSSO m.o Guglielmo Palermo FAVARISI Mariella
f+l2 Considerati i 24 forestieri che hanno sposato vedove
racalmutesi, ed aggiunti i 106 predetti, son ben 130 i
matrimoni con non paesani che si hanno a Racalmuto nel
periodo (il 16,69% sui 779 matrimoni complessivi). Da
Palermo, Scicli, Girgenti, Caltanissetta, Mistretta,
Cammarata, Montalbano, Petralia, Tortorici, Troina, Naro,
Piazza, Vicari, Villafranca, oltre a centri prima citati,
nonchè dalla lontana Genua, arrivano partiti che consentono
alle nostre antenate del '500 di accasarsi. Il segno, questo,
di una cittadina con intensi intrecci sociali col circondario,
l'intera Sicilia e persino con la Liguria (a motivo qui della
provenienza dei signori di Racalmuto: i Del Carretto).
Tra il 1592 e il 1594 sono tre i matrimoni che contraggono a
Racalmuto giovani gangitani: Gangi, posta nelle vicinanze
dell'Etna, era ed è alquanto fuori mano per il nostro paese.
Da centri impervi come Petralia, Mistretta, Montalbano
Elicona, Tortorici, approdano a Racalmuto e vi trovano moglie:
sono paesi in gran parte interessati da rimarchevoli presenze
della scuola del Gagini. Se a tale scuola si fa risalire la
statua della nostra Madonna del Monte, si pu• spiegare perchè
quella strana statua sia giunta a Racalmuto e si pu• credere
che essa sia giunta dalle citate località tralasciando
l'ipotesi inverosimile di un viaggio dall'Africa.
In quel tempo, Racalmuto, divenuto granaio spagnolo, è in
effervescenza economica e chiese e castello si agghindano e si
accrescono. Dalla lontana, ma non irraggiungibile, provincia
di Messina, vengono chiamate maestranze specializzate. Opere
murarie, pitture, sculture vengono commissionate. Botteghe
valide mancano ancora in quel di Racalmuto. Il
Monocolo è soltanto un bambino: da quei forestieri avrà tratto
stimoli e spunti per divenire quel non trascurabile
pittore operante un ventennio dopo.
L'importanza racalmutese nell'ultimo squarcio del '500, la
rileviamo anche da un matrimonio di tutto spicco. A Racalmuto
è insediato il chiarissimo don Giuseppe d'Ugo.
Non ha l'aria di essere racalmutese quel personaggio dell'alta
borghesia. La figlia sposa, in pompa magna, un
barone e lo sposa in Racalmuto ove, purtuttavia, la sua
famiglia ha stabile dimora. Come compare di nozze è scelto
il locale 'SEGRETO' monsignor Vincenzo Piamontese, notevole
esponente della burocrazia spagnola. Agli UGO non
mancano i preti e a benedire le nozze è un sacerdote
che non esercita il ministero a Racalmuto ma è di certo
parente della sposa. L'atto di matrimonio è particolare e noi
lo trascriviamo integralmente per la sua esemplarita'.
' Die 18 maij 1596 e il signor
don Francesco GARRASI e Belvis barone di Bello Coczo con la
sig.a donna Pitronilla figlia dello sig.re Joseppi e
Catarinella DI UGO, servatis servandis fatti li tri
denunciazioni in ter missarum solemnia, observatu lu hordini
sinodali e consiglio tridentino, non si trovando jmpedimento
alcuno contra hessiro matrimonio publice in facie ecclesie e
foro benedetti per don Leonardo di Ugo, prenti il signor
Ieronimo Russo e monsignor Vincenzo Piamontese SEGRETO'.
Un'analisi critica dei matrimoni tra forestieri e nubili del
luogo induce a pensare, ove si faccia mente locale ai cognomi
delle spose che appaiono poco racalmutesi e scarsamente
diffusi, che l'apertura sociale fosse meno effettiva di quel
che appare a prima vista. Ove si eccettuino quelli di Grotte o
di Agrigento, i forestieri che si sposavano a Racalmuto
trovano partito tra le vedove oppure tra famiglie da poco
trapiantate. Peraltro, anche da questo lato, Racalmuto è nel
cinquecento paese di grossa immigrazione. Un quadro sinottico
dei matrimoni con forestieri è, in tale ambito, molto
significativo.
anno Matr.ni abitanti q.nte nuz.tà Matr. con %su q. su 1000
n.ro presunti per mille forestieri matr. abitanti
1582 14 4300 13,03 2 14,29 0,47
1583 45 4300 10,46 3 6,67 0,70
1584 50 4300 11,63 2 4,00 0,47
1585 28 4350 6,44 7 25,00 1,61
1586 41 4350 9,43 12 29,27 2,76
1587 54 4350 12,42 16 29,63 3,68
1588 62 4350 14,25 10 16,13 2,30
1589 38 4350 8,74 7 18,42 1,61
1590 37 4400 8,41 3 8,11 0,68
1591 22 4400 5,00 2 9,09 0,45
1592 58 4400 13,18 12 20,69 2,73
1593 50 4400 11,36 7 14,00 1,59
1594 61 4400 13,86 20 32,79 4,55
1595 40 4447 8,99 9 22,50 2,02
1596 57 4447 12,82 12 21,05 2,70
1597 23 4447 5,17 3 13,04 0,67
1598 36 4447 8,09 1 2,78 0,22
1599 31 4447 6,98 0 e e
1600 32 4447 11,51 2 6,25 0,45
f+l2 Sull'intero aggregato abitativo, il numero di nozze con
forestieri non è molto elevato: il massimo si attesta nel 1594
con il 4,55 per mille seguito dal 3,38 per mille del 1587; i
minimi si registrano nel 1599 (nessun matrimonio con
forestieri), nel 1598 (0,22 per mille), nel 1597 (0,67 per
mille) e prima nel 1591 (0,45 per mille) o nel 1584 (0,47 per
mille). Diversa, invece, l'incidenza sul numero dei matrimoni
annui: ben il 32,79% nel 1594 ed oltre il 29% nel 1586 e nel
1587. Gli anni di maggiore intensità matrimoniale furono il
1584 (q. di nuzialità 11,63 per mille); il 1587 (q. di n.
12,42 per mille); il 1588 (q. di n. 14,25 per mille); il 1592
(q. di n. 13,18 per mille); il 1594 (13,86 per mille) e il
1596 (12,82 per mille). In sintonia con tale intensità furono
i matrimoni con forestieri negli anni: 1587, 1588, 1592,
1594 e 1596.
Scarseggiarono i matrimoni negli anni: 1585 (q.nte di nuz.tà
6,44 per mille); 1591 (5 per mille) e, consecutivamente, nel
triennio 1597 (5,17 %o) 1598 (8,09%o) e 1599 (6,98%o).
Parallela la flessione di matrimoni con forestieri:
nel 1591, solo il 9,09%; nel
1598, il 2,78% e nel 1599 nessun matrimonio con non
racalmutesi. Per contro, nella scarna nuzialità degli anni
1585 e 1597, i matrimoni con non indigeni furono
rispettivamente del 25% e del 13,04%, in sintonia con quanto
avvenne negli
anni di magra del 1589 con il 18,42% e del 1595 con il 22,50%.
I matrimoni tra titolati (monsignori, magnifici e
gentiluomini) furono non pochi e l'irrinunciabile
conservatorismo siciliano impediva digressioni dai ceti di
appartenenza. Lo spaccato dell'alta società racalmutese di
allora si coglie intero da quegli atti matrimoniali e val
quindi la pena di schematizzare.
ANNO Sposo Sposa
1583 LA LUMIA magnifico Giseppi D'AMEDA magnifica Margarita
1583 CATALANO magnifico Marino XAXA Blancuzza
1588 CORNIGLIA magnifico Leonardo GAETANO magnifica Natalicia
1588 LAMPOZZO SERAVIGLIO m.co Jo: MIRAGLIA magnifica Joa.lla
1588 D'AFFLITTO magnifico Carlo LU BRUTTO Magnifica Jua.lla
1590 IUSTINIANO magn.co Hieronimo MANTEGNA nobili Beatruzza
1590 CICCARANO magifico Antonino PIAMONTISI magn. Antonella
1592 GRILLO SAURO notaro Joseppi MAGALUSO Antonella
1592 CASTROJOANNI magn.co Angilo CICCARANO mag.ca Elisabetta
1593 ALAIMO Magnifico Pietro MACALUSO magnifica Maruzza
1595 CHIRCO' magnifico Jacubo LA LUMIA magn.ca Vatricella
1595 CASTROJO: Hectaro Micheli MONTELEUNI Costanza
figlio di notaro Hieronimo figlia di notaro Cola
Altri casati di elevato lignaggio sono reperibili tra i testi
alle nozze. Abbiamo i seguenti magnifici: Iacubo di POMA;
Pietro TODISCO; Jacubo PIAMONTISI; Cola MONTELIUNI; Artali
TODISCO; Bernardino BAVERA; Martino RIZZO; misser Filippo
VACCARI; Gasparo MUNTILIUNI; notaro Giseppi CURTO; messere
Giuseppe AGRO'; Francesco SANGUINEO; messer Giuseppe SALVO;
notaro Jo: Vito d'AMELLA; Angelo di UGO; Chimenti MISSINA;
Dario PIAMONTISI; ill.mo don Gerolamo RUSSO; Mariano SCIBETTA
e notaro Joseppi SANTANGILO;
L'infittirsi degli affari fa proliferare un nugolo di notai:
ne contiamo ben 7 : notaro Castrogiovanni
Girolamo; notaro Giuseppe Santangelo; notaro Jo:Vito d'Amella;
notaro Giuseppe Curto; notaro Cola Monteleone; notaro Gasparo
Monteleone e notaro Sauro e Grillo.
I 'mastri' che in quel torno di tempo contraggono matrimonio
sono n. 36 (4,62%); riusciamo ad individuare 11 altri mastri
tra i genitori degli sposi; oltre 20 spose sono figlie di
mastri; tra i testi si annovera almeno una ventina di
elementi della maestranza locale prima non individuati. Non si
è dunque molto lontani dal vero supporre che almeno un quarto
della popolazione attiva maschile era dedita ai più vari
mestieri. Qualche raro nobile, tanti preti, non pochi
professionisti ed impiegati da una parte e, naturalmente, un
predominio degli addetti all'agricoltura dall'altra.
Il ceto sacerdotale emerge in modo vivido e ben delineato
dagli archivi parrocchiali. Presente, attivo e autoritario fu
di certo l'arciprete don Michele Romano, ne fu Vicario don
Giuseppe d'AVERNA. L'arciprete don Michele ROMANO muore
il 28 luglio 1597. Negli atti di matrimonio ci è dato di
leggere: 'DIE 28 Julii X Ind. 1597. Incomensa lo conto delli
inguaggiati dopo la marte del arciprete don Michele Romano'.
Fto: illeggibile. Sono poi sedici
religiosi che, in modo o in un altro, lasciano i segni della
loro presenza nell'ultimo ventennio del '500: Monsirrato di
AGRO'; don Vito ALONGI; frati Antonino AMATO; don Gioseppe di
AVERNA; don Lonardo CASTELLANA; don Paolino PALADINO; don Lisi
PROVINSANO; don Angelo DARDO; don Balthasaro FERRAGUTO; don
Joanni MACALUSO; don Francesco NICASTRO; don Michele ROMANO;
don Giuseppe
SANTOSTEFANO; don Nardo SPALLETTA; don Joseppi SUTOTURISI e
don Leonardo di UGO.
Risale ad un secolo dopo (20 settembre 1699) una RELATIO ad
LIMINA del Vescovo di Agrigento (e cioè una delle relazioni
triennali che i vescovi erano tenuti a fare alla Sede
Apostolica dopo il Concilio di Trento sullo stato della
propria diocesi). Lì troviamo un ampio ragguaglio sulla vita
religiosa di Racalmuto e val la pena di richiamarla
consentendoci un quadro di raffronto con quanto emerso dalla
documentazione d'archivio sotto esame (cfr. Archivio Segreto
Vaticano: Agrigentum, relationes ad limina, B18 e f.314). ''
RECALMUTUM e Cittadina (oppidum) di cinquemila abitanti sotto
la cura di un arciprete, la cui elezione ed istituzione sono
da tanto tempo di diritto comune. Costui ha per il proprio
sostentamento quasi duecento scudi. Nella chiesa maggiore si
recitano quotidianamente le 'hore canonice' da parte di
sacerdoti vestiti con paramenti canonicali (Almutiis
insigniti). Vi sono cinque conventi di religiosi:
e dei Carmelitani, con tre sacerdoti e due laici;
e dei Minori Conventuali, con tre sacerdoti e un laico;
e dei Minori di Regolare Osservanza, con 4 sacerdoti e 3
laici;
e dei Riformati di S. Agostino con tre sacerdoti e due laici;
e una casa addetta ad ospedale in cui stanno i frati di S.
Giovanni di Dio, al momento un sacerdote e due laici.
Reputo qui di rappresentare che questi religiosi, dopo avere
accettato di accudire all'ospedale, non hanno giammai pensato
di rinunciare all'istituto ospedaliero, eppure si sono
limitati a consumare soltanto per sè il reddito dell'ospedale.
Ed essendo esenti dalla giurisdizione del vescovo ordinario,
non vi sono forze per costringerli a rinunciare ed a lasciare
i locali del convento.
Sorge un monastero di monache sotto la regola del terzo ordine
di San Francesco ove servono il Signore otto professe corali;
due novizie e 5 converse.
Oltre alla chiesa maggiore ed a quelle conventuali prima
segnalate, vi sono quindici chiese, con quarantasette
sacerdoti e trentasei laici.''
Siffatta popolazione religiosa era meno vasta alla fine del
'500, ma pur sempre numerosa. Fra i testomini alle nozze
incontriamo: il sudiacono Francesco Lupo; il chierico Angilo
Cimbardo; soro Lauria Morriale; il chierico Pietro Castilano;
il chierico Jacubo d'Avella; il chierico Gioseppi Alberto; il
chierico Simuni Alberto; il chierico Francesco Muntiliuni; il
chierico Santo Agro'; il chierico Pietro Nobili; il chierico
Zacharia Rizzo; il chierico Pietro Macaluso; il chierico
Jurlando Morreale; il chierico Pietro Curobi; il chierico
Antonino Mule'; il diacono Caloyaro di Franco; il chierico
Gasparo Gulpi; il chierico Giuseppe Sanfilippo; il chierico
Pietro Tuzzolino; il chierico Giuseppe Minsau; il chierico
Jacopo Vella; il chierico Giuseppe Lu Sardo; il chierico
Gioseppi di Girgenti; il chierico Pietro Grillo; sudiacono
Fabrizio Muntiliuni; fra' Paolo Fanara; il chierico Filippo
Sabella e fra' Giseppi di Pomo. Ascendono a 22, dunque, i
chierici, cifra non molto lontana dai 36 chierici che
gravitavano sulle chiese racalmutesi nel 1699.
Lo stretto ordine cronologico seguito nell'annotare gli atti
di matrimonio non impedisce agli archivisti parrocchiali di
segnare talora resoconti economici e pagamenti vari
effettuati. Non sono privi di interesse e non è quindi
superfluo riportare quelle note contabili:
fel1 7/1/1592: Mangiameli e 'Pagaro al p.tre arcipreti';
7/1/1592: Lauricella e 'Pagaro al p.tre arcipreti';
19/1/1592: Muzicato e 'Pagaro al p.tre arciprete';
19/1/1592: Casuchia e 'Pagaro al p.tre arciprete';
2/2/1592: Curto:'pecunia habet dominus nostere archipresbiter'
26/8/1596: Spalletta: 'unu anello don Fran.co';
21/10/1596: 'Fin qui son pagato don Michele Romano';
3/11/1596: Muntana: 'Fin qui son pagato don M. Romano';
16/11/1596: Cicala: 'gratis';
25/11/1596: Girgenti:'per un anello inpotere del arciprete';
10/2/1597: Cala': 'fin qui pagato';
'Die 24 ottobris X ind. 1597. Mi detti lu cunto don Leonardo
Spalletta delli sponczalicii a mia don Giuseppe Romano come
procuraturi di mons. ill.mo'
'ADI 6 febraurii 1598 e feci conto de inguagiati don Leonardo
Spalletta con me don Joseppi Romano';
'DIE 16 Julii XI ind.nis 1598: Pigliau la possessioni don Vito
Belloguardo e don Antonio d'Amato procuratori di don Lexandro
CAPOZZA per l'arcipretato di Racalmuto come appare per atto
plubico'.
'DIE 14 agusti XIIe ind.nis 1599 e Pigliao la possessioni don
Vito BELGARDO canonico di Gergenti et don Mariotta di la
magiore ecclesia di Racalmuto per don Lexandro Capocia';
'DIE 15 agusti XIe ind. 1598 e Incomensao don Matteo Gueli a
diri missa ...per ecclesia di Racalmuto';
'Di la majori eccelsia di Racalmuto pigliao pochi fiori don
Andria Argumento a li 7 di marzo XIII ind. 1600'.
f+l2 A don Michele ROMANO sembra dunque succedere don Lexandro
CAPOZZA nell'arcipretura di Racalmuto. Ma questi, conseguita
l'arcipretura forse con concorso, è riluttante a insediarsi
nel lontano 'oppidum'. Non ne prende possesso personalmente,
ma vi manda due procuratori, naturalmente con tanto di atto
pubblico. L'eterna questione agitata dal Concilio di Trento
sulla necessità dello stanziamento in loco dei pastori, pare
che non investa solo i vescovi ma anche le arcipreture nella
Sicilia del Viceregno spagnolo. Di questo Lexandro CAPOZZA,
arciprete latitante di Racalmuto, non troviamo traccia negli
archivi parrochiali per almeno un altro anno. Morto il Romano
nell'ottobre del 1597, si aspetta il luglio per vedere i
procuratori del nuovo arciprete, la cui presenza chissà se mai
c'è stata in Racalmuto ma alla cui borsa affluivano i 200
scudi arcipretorali del nostro 'oppidum', munito di autonomia
antica di diritto comune. Ancora a metà agosto del 1599, di
questo arciprete Capozza o Capocia neppure l'ombra: solo
giungono i canonici agrigentini a riscuotere i lucenti
scudi racalmutesi 'd'ordine e per conto', da buoni procuratori
di quel fantomatico arciprete di cui storpiano il cognome.
Piluccando tra il colorito frasario della documentazione, ci è
consentita una ricognizione di modi di dire e lemmi del
dialetto racalmutese del '500. 'Contrassero' diviene 'contra
essiro'; 'foru benediti nella missa per me..' traduce: furono
benedetti nella messa celebrata da me...'; la Matrice viene
chiamata 'la majori ecclesia'; 'molta gente' viene indicata
con locuzioni approssimative quali 'molti altri genti' o 'et
multa quantitati di agenti'. 'Racalmuto' è spesso scritto
correttamente, ma talora è storpiato in 'Rayalmoto',
'Raulmutu' e 'Recalmuto'. Grotte è chiamata 'la terra di li
Groti' o 'di li Grutti'. Affiorano termini e verbi quali
'Jongno'; 'cunto'; 'inguagiati'; 'pigliao'; incomensao';
'abrili'; 'diri missa'; 'possessioni'; 'sponczalicii';
'habitaturi'; 'essirili stata morta'; 'muglieri'.
Le mie personali radici racalmutesi risultano comprovate dal
seguente atto matrimoniale: '' 18 gennaio 1587 e Jacubo
TAVERNA e Natalina di CAVALARO di la terra di RAYALMOTO,
servatis servandis e fatti li tre denonciationi inter missarum
solemnia, non si trovando inpedimento alcono, contra essiro
matrimonio publice in facie ecclesie e foro beneditti ne la
missa celebrata per me don Paolino Paladino, presenti
Antonuzzo Moriali e presbiter Francesco Nicastro e multa
quantità di agente'. Il matrimonio fu celebrato di domenica e
fu quindi piuttosto solenne.
Nel 1991, tre lustri fa, annotavamo quanto rimane nel registro cinquecentesco della Matrice. Ci piace così testimoniare la nostra antica passione per le carte archivistiche racalmutesi.
Un altro esempio lo riportiamo per la peculiarità della deroga
episcole che occorse data la giovanissima età della sposa, che
doveva avere meno di quattordici anni: quasi una bambina. 'DIE
20 januarii IIIe ind. 1590 e Mariano SANTO ANGILO con
Caterinella figlia di Vincenzo et Antonella DI FALCO, dem.to
delli sp.li e M. R.ss. don Thomasi di Leto e don Francesco
Zangalis in similibus pietatem habentium non obstante etate
non q.pleta ditte Caterinelle viri potentis dato al R.s.
Arcipresbiter, servatis servandis e fatte le tre denunciatione
inter missarum solemnia e servato l'ordine sinodali non si
havendo retrovato impedimento alcuno, publice contrassero
matrimonio in facie ecclesie e foro beneditti per don Paolino
Paladino, presenti lu p. don Joseppi di Averna e padre
Francesco Nicastro e clerico Angilo Limbardo cum multa
quantità di genti''. I curiali don Tommaso Leto e don
Francesco Zangalis forniscono dunque un documento di dispensa
matrimoniale alla giovanissima Caterinella, che non ha ancora
raggiunto l'età per un 'vir potens', spinti da un sentimento
di pietà. La formula, press'a poco dice questo: il senso è
alquanto recondito ed un po' pruriginoso.
Che a quell'epoca, le ragazze si sposassero spesso appena
raggiunto il quattordicesimo anno di eta' risulta provato da
questi ed altri documenti. TAIBI Mariella si sposa nel 1585
con Antoninno Alaimo di 'Grutti' a soli quattordici anni
(meno un mese); a quindici anni si sposa, l'8/9/1585,
Margherita JURDANO; l'orfanella VACCARO Jacobella ha da poco
superato i quattordici anni quando, il 3 novembre 1585, sposa
Paolo La Licata; nelle stesse condizioni, RIZZO Juannella,
andata sposa a Jeronimo Garlisi il 7 gennaio 1586; quindicenne
la sposina Catrinella TERRANOVA (7 gennaio 1587).
Nota dolente è quella della breve vita media: si pensi che
n.109 sposi sono già sicurante orfani di padre (il 14%); n. 29
risultano orfani di madre ( e qui va notato che raramente
viene trascritta la maternità: solo 245 volte e tanto consente
di calcolare attorno al 12% gli sposi orfani di madre);
quanto alle spose, sono 113 quelle sicuramente orfane di padre
(delle vedove non sappiamo nulla in proposito e di tante spose
non viene indicata per nulla la paternità: siamo quindi ben
oltre l'apparente 15%). Quando esamineremo il libro dei morti
avremo, comunque, possibilità più vaste per cercare di stimare
la vita media dei racalmutesi tra i secoli XVI e XVII, nonchè
di effettuare altre misurazioni sulla mortalità infantile ed
altri aggregati demografici. p?
s+l2< nr54nc125np31
CAMPANE A MARTELLO NEL TRIENNIO 1618e1620
Nel settecento e è da presumere molto fondatamente e il
rilegatore ecclesiastico di Racalmuto mette assieme i fausti
atti matrimoniali dell'ultimo ventennio del XVI secolo ed un
lugubre fascicolo di contabilità mortuaria della Matrice che
riguarda un triennio: 1618e1620. E' proprio
da far scongiuri contro un archivista in tunica tanto
greve ed alquanto iellatore.
Munitici di efficace antidoto scaramantico, possiamo indagare
sull'ultima parte di quel libro di archivio. Dati, circostanze
e notizie assurgono a ghiottoneria storica per la
ricostruzione della Racalmuto secentesca, quella dei Girolamo
del Carretto, tanto per orientarci.
Per il primo funerale del fascicolo, si annota che sono stati
percetti cinque tarì e 10 grani. Le esequie avvennero il 4
ottobre del 1618, presente l'intero clero che sappiamo essere
una compagine numerosa di una ventina di consacrati.
Testualmente è detto con grafia minuta e dimessa: 'a 4 di 8bre
2a Ind. ivi8 (1518) e Paulo Pirrera si morse e fu sepolto a
Santa Maria presente clero ...... tt.5 e 10'. Seguono altre
469 annotazioni, sino al 19 novembre del 1620. La triste nota
finale è per 'Gerlanda di Gerlando Luparello fu morta et
sepulta allo Carmine ........tt. 5 e 10'.
Valore di dati statistici assume il seguente riparto:
fel1 Anno (periodo) n.ro (in ragione popolazione %o su media sie
di anno) presunta pop. liana XIX
1618(4.10e31.12) 49 196 5.000 39,20 28,91
ottobre 18 216 5.000 43,20 28,91
novembre 17 204 5.000 40,80 28,91
dicembre 14 168 5.000 33,60 28,91
1619 262 262 5.000 52,40 28,91
gennaio 22 264 5.000 52,80 28,91
febbraio 18 216 5.000 43,20 28,91
marzo 11 132 5.000 26,40 28,91
aprile 12 144 5.000 28,80 28,91
maggio 5 60 5.000 12,00 28,91
giugno 16 192 5.000 38,40 28,91
luglio 47 564 5.000 112,80 28,91
agosto 51 612 5.000 122,40 28,91
settembre 27 262 5.000 52,40 28,91
ottobre 22 264 5.000 52,80 28,91
novembre 19 228 5.000 52,40 28,91
dicembre 12 144 5.000 28,80 28,91
1620(1.1e19.11) 159 179 5.000 35,80 28,91
gennaio 20 240 5.000 48,00 28,91
febbraio 25 300 5.000 60,00 28,91
marzo 16 192 5.000 38,40 28,91
aprile 15 180 5.000 36,00 28,91
maggio 18 216 5.000 43,20 28,91
giugno 10 120 5.000 24,00 28,91
luglio 11 132 5.000 26,40 28,91
agosto 9 108 5.000 21,60 28,91
settembre 15 180 5.000 36,00 28,91
ottobre 10 120 5.000 24,00 28,91
novembre 10 180 5.000 36,00 28,91
f+l2 Anche se gli sbalzi negli indici di mortalità sono notevoli di
anno in anno, siamo ancora in situazione di 'mortalità
normale'. Vi saranno nel 600 anni 'infaustissimi', come
vedremo, in cui la morte falcidia con quozienti da capogiro.
Un segno di recrudescenza nella mortalità della Racalmuto del
'600 si ha nel trimestre estivo del 1609 (con luglio
interessato da un quoziente di mortalità del 112,80 per mille
e agosto quando il quoziente svetta addirittura fino al 122,40
per mille). Come sapremo dall'analisi di altra
documentazione più completa relativa ad alcuni decenni dopo,
la calura estiva e gli inquinamenti idrici saranno le cause
scatenanti di una vera strage degli innocenti: la mortalità
infantile, di per sè ferocemente estesa in quei secoli di
scarsa igiene, esplode ancor più virulenta in taluni periodi
estivi. Tra questi, il 1619; l'anno successivo, inceve, la
iattura risulta scongiurata. Notiamo una costante: i mesi più
salubri sono quelli del quadrimestre intermedio marzoegiugno e
di solito la mortalità flette nei mesi che vanno da settembre
a dicembre.
In due anni e due mesi entrano nelle casse della Matrice e per
funerali, esequie e sepolture dei 470 racalmutesi deceduti e
38 onze e 26 tarì. Al fine di orientarci sul valore della
moneta in quei tempi a Racalmuto, ci avvaliamo del libro di
contabilità del Convento di santa Chiara di Racalmuto (cfr.
Archivio di Stato di Agrigento e Inv. n. 64 vol. 533 e Libro
di exito del Venerabile Monasterio di S. Clara fundato in
questa terra di Racalmuto dell'anno 1649). Una salma di orzo e
due di gesso costavano nel 1649 un'onza e 6 tarì; un quintale
di olio 3 onze e 18 tarì; una 'sola' di cuoio e la relativa
confezione di 10 paia di 'tappini' un'onza e dodici tarì (42
tarì, dunque, per 10 paia di pianelle: se attribuiamo un
valore attuale di L.10/11 mila per ogni paio di pianelle di
cuoio, possiamo stimare in L. 2.500 circa un tarì e in L.
75.000 circa un' oncia, mentre il grano dovrebbe equivalere a
L. 125). Vediamo altri dati:
e '1.12.'49 e a mastro Antonio
Briganti lanaro per canne 50 di lana: onze 9 tt. 17 gg.10'
(una canna equivaleva a m.2,064 e pertanto un metro di lana fu
comprato a tt. 2 e 16 gg. e cioè a L. 4.500 di oggi, secondo
il nostro calcolo);
e '1.12.1649 e mezza salma di 'scebba' ...onze 1 e tt. 6 (pari
a L. 90.000)
e ' 1.1.1650 e vitto per un mese delle Monache ... onze 6' (pari
ad attuali L. 450.000);
e 'una salma di carbone ...onze 0 e tt. 24' (L. 60.000);
e 'a Francesco Barberi per 8 mesi di servizio .... onze 4'
(L. 300.000);
e '27.3.1650 e 4 rotoli di cera lavorata onze 1 e tarì 10'
(L.100.000 e cioè a L. 31.500 a Kg. dato che un rotolo
equivaleva a grammi 793,42);
e '1.4.1650 e a mastro Pietro Tagano per 16 paia di scarpe ...
onze 2 e tarì 4' (pari L.155.000 in totale e a L. 9.700 per
ogni paio di scarpe a conferma dell'attendibilità del nostro
calcolo);
e '1.4.1650 e per cafisi tre di olio ... onze 1 e tt. 26' (in
totale L. 215.000);
e '1.6.1650 e a Francesco Barberi e Pietro Falletta per tre
tumoli di lenticchie e 8 tumoli di fave ... onze 1 e tarì 5'
(pari a L. 87.500 e, quindi, a L. 463 a litro: 1 tumolo =
litri 17,193);
e 'a Francesco Rizzo per 5 rotoli di candele onze 1 e tt. 20'
(pari a L. 100.000 e quindi a L. 25.210 a Kg.).
Ritornando alle entrate da funerali del 1618e1620, possiamo
congetturare, sulla base dei riferimenti contabili precedenti,
che quelle 38 onze e quei 26 tarì non superassero i tre
milioni e mezzo in lire attuali, forse i quattro e mezzo se
supponiamo in un quarto di secolo un'inflazione comulativa del
20/25%. Francamente un p• poco, essendo peraltro ripartiti tra
almeno quattro cappellani accompagnatori: don Mario CURTO, don
Giuseppe d'ASARO, don Giuseppe SANFILIPPO
e padre Francesco Vintura, e e sia pure non sempre e
con l'intero clero.
Sono 122 i funerali a tariffa alta (pari al 25,96%), quelli
definiti dagli archivisti di allora: 'grandi' e che costavano
5 tarì e 10 grani; i 'minori' (da un tarì ad un tarì e 10
grani) sono 328 (69,79%) e 20 quelli gratuiti (4,26).
Il funerale gratuito era talora dovuto all'estrema miseria
della famiglia del defunto, ma spesso era segno di rispetto
per il risalto sociale o per le benemerenze religiose che il
defunto vantava in vita o che riguardavano gli stretti
congiunti. L'intero clero segue 'gratis' i funerali: di
Vincenzo, figlio di Clementi MISSINA;di mastro Giacomo BLUNDO;
di Paula AMORELLA; di Girolamo PILLITTERI; di Pietro LO SARDO
e del sacerdote don Francesco BUSCARINO. Ci sembrano 5
cadaveri eccellenti per i quali la gratuità delle onoranze
funebri è ben segno di distinzione. Tocca di accompagnare
gratis al cappellano don Francesco d'Asaro, Vincenzo COFFARO
della terra di Gibillina che è deceduto allo 'Spitale. Qui è
il caso di parlare di miseria. Così succede a padre Mario
CURTO che gratuitamente accompagna all'ultima dimora (nella
chiesa di S. Giuliano) Brandina LA BELLA, o Antonina LA
SICHILIANA. A don Giuseppe SANFILIPPO tocca di farlo gratis
per Paolo PILLICINO di Raffadali, morto all'ospedale e sepolto
nella chiesa che vi era aperta al culto.
Le annotazioni d'archivio provano che
all'inizio del '600 erano le seguenti chiese quelle adibite
alle sepolture: la chiesa di S.MARIA di GIESU;
la chiesa del MONTE; la
chiesa di S.GIULIANO; la chiesa di S. FRANCESCO; la chiesa
della NUNZIATA; la chiesa del CARMINE; la chiesa di Santa
ROSANA (in sei funerali è citata in tale modo); la chiesa di
S.NICOLAO; la chiesa dell'HOSPITALI. Sono
nove dunque le chiese di Racalmuto documentabili
con le carte parrocchiali in esame: siamo ancora lontani
dalle 15 chiese foranee di cui parla la relazione 'ad limina'
del 1699 fatta dal vesvovo di Agrigento, l'arc. Francesco
Ramirez. Le chiese di S. Francesco, dell'Annunziata (e cioè la
'major ecclesia parochi'), del Carmelo, di Santa Maria de
Jesu e di S. Giuliano sono citate dal PIRRI che scrive proprio
in quel periodo (le sue NOTITIAE SICILIENSIUM ECCLESIARUM sono
del 1630e1633). Quanto alla chiesa che crediamo di leggere in
Santa Rosana, si pu• formulare l'ipotesi che ad essa si
riferisca il Pirri nel seguente passo: ®pervetusta erat aedes
ab an. 1400 circiter ubi, ad annum 1628, dipincta videbatur S.
Rosalia V. in habitu eremitico, crucem et librum prae manibus
gestiens; sed incuria aliquorum ob novum aedificium dicatum
eidem Virgini, cuius colunt reliquias, cum societate animarum
Purgatorii habente unc.70, deleta est. Il Pirri accenna anche
alla 'domus hospitalis' che è dedicata a S. Sebastiano: nei
nostri atti la chiesa è indicata solo come 'hospitali'. Non
viene menzionata dal Pirri solo la chiesa di S. Nicola;
peraltro questi accenna ad un 'coenobium cum Ecclesia S.
Benedicti' che sarebbe sorta in tempo immemorabile 'prope viam
qua itur Agrigentum', presso la via che conduce ad Agrigento;
una chiesa comunque di cui ai suoi tempi si era persa la
memoria. Olim erat, precisa infatti l'erudito abate netino.
Usuale interpolare note di cronaca nel libro contabile: forse
oggi ci è indifferente sapere che 'adì 9 di 9bre (1618) and•
alli Grutti Don Gioseppe Sanfilippo' e che 'a 23 di 9bre venne
in Racalmuto d. Gioseppe Sanfilippo delli Grotti', ma allora
l'interruzione era importante segnarla nel libro dei morti per
don Filippo Acquista. Un'altra chiosa indica che 'adì 20 di
Xbre ho visto le predette somme di denari e ci siamo agiustati
con don Giuseppi Sanfilippo sino al presente giorno, Don
Filippo Acquista'. 'A 8 di luglio (1619) e è annotato altrove
e venne il signor Archiprete di Roma'. Poi, 'a 9 di 7bre
(1619) and• il sig.r Archiprete in Palermo' e, dopo una
settimana, il 14 settembre 'venne il signor Archiprete di
Palermo'. Quest'andare dell'arciprete, prima (a luglio) a Roma
e subito dopo (a settembre) a Palermo fa pensare a qualcuna
delle liti curiali ricorrenti nel Seicento in cui è investito
anche il clero Racalmutese. Memorabile resterà il processo
romano al vescovo Traina, nel 1650e1, intentato da canonici
ribelli di Agrigento (cfr. ASV e Relationes ad Limina 18/A e
f 119 e ss.)
GLI ANNI '60 DEL XVII SECOLO RACALMUTESE
Uno spaccato tragico, triste, accorante, ma pur sempre trepido
ed di marcata puntualità storica, della RACALMUTO del seicento
si coglie in un libro rilegato in carta pecora, ben tenuto e
ben leggibile.
Già l'esordio è un ricordo storico di forte interesse. La
prima pagina è di dedica, di intitolazione e di rilevanza
documentale. ®JESUS.MARIA.JOSEPH e premette il registro, che
riguarda: e LIBER MORTUORUM IN TERRA RACALMUTI, in anno 3:e
IND:s 1664 . 1665 . 1666 . 1667. 1668 . 60 . 70 eee
Archipresbitero S. T. D:re Don Salvatore PETROZZELLA eiusdem
terre qui hodie p:ma die Septembris 3:e Ind.s 1664, virtute
Bullarum Apostolicarum datarum Rome die 18 Aprilis, et in
Regno die 14 Augusti 1664, executarum, ac Agrigenti die 29
eiusdem Augusti per ecc:mum et R:mum D:num D. Fra:cum GISULFO
et USOVIO Agrig.num Antistitem presentatarum et executarum,
possessionem eiusdem Archipresbiteratus Dei gratia est
adeptus.¯ Con altra grafia, ed evidentemente otto anni dopo,
viene annotato: ®usque ad annum 1672 X ind. Die 31 Ag. ...¯.
Racalmuto era dunque un centro ecclesiale di grande
importanza: per avere la sua arcipretura occorreva una Bolla
pontificia (che il racalmutese Petruzzella ottiene il 18
aprile del 1664); la quale doveva essere resa esecutiva dalle
autorità laiche del Regno (e nel nostro caso, da aprile si
deve aspettare sino al 14 agosto del 1664); per essere infine
esaminata ed approvata dal presule di Agrigento (sia pure a
tambur battente, meno di 15 giorni dopo e cioè il 29 agosto di
quell'anno). L'exursus d'esordio ci ragguaglia, in un latino
limpido ed elegante, sulle procedure seicentesche che quanto a
inceppi burocratici sono intricati come quelli d'oggidì.
Facciamo subito conoscenza con un altro eccellente arciprete e
abbiamo avuto modo di apprezzare don Michele Romano e e
apprezziamo che viene dismesso
l'andazzo cinquecentesco di dare la parrocchia
racalmutese a forestieri che, percetti i proventi tramite
procuratori scelti fra i canonici di Agrigento, non avevano
alcuna voglia di raggiungere il nostro altopiano, come quel
non meglio precisato don Lexandro CAPOZZA o CAPOCCIA di chissà
dove che vien citato negli atti matrimoniali del 1598.
Il Petruzzela è dottore in Sacra Teologia e quanto a latino sa
il fatto suo: quel 'possesionem est adeptus (da _adipiscor_)'
è un tocco di perizia quasi ciceroniana. Ci pare più bravo del
suo predecessore cinquecentesco don Michele Romano che qualche
sbavatura se la concedeva. Don Salvatore Petruzzella, dottore
in teologia e nostro arciprete nella seconda metà del
seicento, non ebbe purtroppo vita lunga: moriva a soli 43
anni, il 29 maggio 1666. Fino a pochi giorni prima (l'11
maggio) era sulla breccia nel suo ministero sacerdotale,
confessando ed assistendo moribondi come il marito di
certa Angela, Antonino LA LICATA BUMBOLO morto a 65 anni.
®Anno domini 4.e Ind.is 1666 die 29 Maij Hora X:a e Sacerdos
S. T. Dr. Don Salvator _PETROZZELLA_ Archipresbiter huius
Matricis eccl.e Terre RACALMUTI, annorum 43 circiter, in sua
propria domo huius predicte terre in Commmunionem sancte
matris eccl.e animam Deo redidit cuius corpus eodem die
sepultum est in hac Matrici eccl.a presente clero; confessus
mihi Don Paulino Falletta Cappe.no die 23 eiusdem mensis Maij
ac sanctiss.mo viatico refectus et tandem sacri olei untione
roboratus die 27 eiusdem per D. Libertinum de AGRO' et
Cappellanum.¯ A fianco dell'atto è stato annotato: ®il 6 di
luglio 1666 si hanno agiustati li festuarij delli Ragioni di
quarta per mano di don Libertino di Agro' a tutto il presenti
giorno del 29 di Maggio presenti e Et finis sui
Archipresbiteratus.¯ L'arida logica della contabilità prendeva
il sopravvento, oppure è da ammettere che la vita (specie
religiosa) continuava.
Qualche tempo prima(il 10 marzo 1665)
era morto un altro racalmutese arciprete:
si chiamava don Pietro CURTO e anche lui era dottore in sacra
teologia. L'arcipretura, per•, l'aveva nella diocesi di
Palermo e precisamente a Ventimiglia di Sicilia, ma era nato a
Racalmuto (huius terre Racalmuti, viene annotato) e qui,
assistito dall'arciprete Petruzzella e da don Mariano di
Agro', viene a morire. Ha funerali gratuiti, è presente
l'intero clero ed è sepolto nella Matrice.
Dell'arciprete CURTO parla il nostro Tinebra Martorana (cfr.
pag. 163). Trae la notizia dalla lettera del governatore arabo
di Racalmuto (RahaleAlmut) all'emiro di Palermo che sappiamo
essere un volgare falso dell'abate Vella (sapida è l'ironia
sull'argomento di Leonardo Sciascia che pure degn• della sua
mirabile prefazione il libro del TinebraeMartorana e v. pag. 8
ss.). Sulla fallace scia del malevolo abate Vella, il nostro
storico Tinebra fa dell'arciprete Curto un gesuita autore di
un non meglio precisato Corso filosofico che avebbe pubblicato
nel 1656. A quel tempo il vero e non gesuita arciprete Pietro
Curto era morto già da un anno. Chissà perchè l'abate Vella
fu preso dall'uzzolo di prendere un arciprete vero nato
nella terra di Racalmuto e farne un sussiegoso filosofo
gesuita. ®Di quest'uomo che onor• Racalmuto, poco si conosce¯,
dice il Tinebra. I nostri archivi parrocchiali ci fanno ora
scoprire quando nacque e quando morì e dove fu arciprete. Non
è molto, ma è già qualcosa.
L'arcipretura di Racalmuto rimane vacante per un paio di anni
e la sua amministrazione è affidata ad un padre Economo.
Succede a D. Salvatore Petruzzella,
don Vincenzo LO BRUTTO il 7 novembre 1668. Anche costui è un
dottore in Sacra Teologia: ®Anno D.ni 7.e Ind.nis 1668 Die 7
novembris e precisa il nostro registro e liber mortuorum sub
cura S(acre) T(eologie) D(octor) D. Vincentii _LO BRUTTO_
arch.ri e vidit (segue la firma illeggibile, ma sicuramente
attribuibile al nuono arciprete). Francamente, la sua cultura
non ci sembra all'altezza del predecessore, ma forse è anche
lui racalmutese dato il cognome.
Come si vede, il Seminario di Agrigento sfornava dottori in
teologia e Racalmuto non era da meno nel mandarvi suoi figli
per addottorarvisi in teologia e divenire poi arcipreti che
sappiamo essere ben remunerati. Don Francesco GISULFO e
succeduto al chiacchierato e, pare, avarissimo Mons. TRAINA
che però• istituì il seminario e in una sua relazione 'ad
limina' (cfr. ASV e Realtiones ad Limina, AGRIGENTUM e A 18)
esalta il seminario divenuto meta di studi da tutta la
diocesi. Di tirocinanti ®ad quod seminarium e scrive al Papa
l' 8/11/1661 (cfr. ib. f. 173 e ss.) e magnus ex tota
Dioecesi confluit numerus¯. Tali tirocinanti, che confuiscono
in Seminario da tutta la Diocesi in gran numero, sono in
quell'anno 40 alunni e 34 convittori. Da lì provengono gli
arcipreti di Racalmuto che abbiamo citato.
Dal 3 settembre 1664 al 27 agosto 1671, sono avvenuti a
Racalmuto 1270 decessi. Dopo, si ha un'epidamia funestimma:
®incipit indictio X.a amarissima e scrive in bella grafia il
prete e in anno millesimo sexcentesimo septuagesimo primo
(1.9.1671) infaustissimo¯. E' ancora arciprete don Vincenzo Lo
Brutto che ci tiene a precisare di essere un dottore in sacra
teologia. In quell'anno i morti furono tanti (quanti se ne
erano avuti nei precedenti sette anni) da uscire dalla
normalità. E' il classico anno a 'quoziente di mortalità
anomala'. Per i nostri appunti di statistica racalmutese,
tralasciamo per il momento quei dati 'erratici'. Del resto la
normalità era tutt'altro che confortante: la vita media e
esclusa la mortalità al di sotto dell'anno e era appena di
32,7 anni. Circoscrivendo la statistica a quelli che avevano
superato il decimo anno di età, la vita media non va oltre i
47,2 anni ed anche a prescindere dalla mortalità al di sotto
dei vent'anni, la media della vita nella Racalmuto della
seconda metà del seicento è contratta in appena i 51,4 anni.
Questo non significa che non vi fossero dei fortunati dalla
vita lunghissima. La moglie del fu Paolino Missina, Antonia
visse 102 anni (+ 15.8.1669); novantasei anni vissero Vincenza
de Napoli e soro Francesca Curto una terziaria che era vedova
di Antonino Curto; Geronima Vaccari visse 94 anni; il più
longevo tra i maschi è CIACHA (Sciascia) Vito che visse 90
anni (+ 7/11/1669). Un primo scandaglio ci consente il
seguente riparto:
fel1 anni di vita n. su totale defunti %
da 90 a 102 5 1.270 0,39
da 80 a 87 24 " 1,89
da 70 a 79 64 " 5,04
da 60 a 69 80 " 6,30
da 50 a 59 84 " 6,61
da 40 a 49 97 " 7,64
da 30 a 39 84 " 6,61
da 20 a 29 53 " 4,17
da 10 a 19 70 " 5,51
da 1 a 9 188 " 14,80
fino a 1 anno 521 " 41,02
f+l2 La mortalità infantile, raggiungendo il 55,82% del totale dei
morti nel periodo, è perentoriamente sottolineata nella sua
enorme dimensione. Pur se le donne sono le uniche a sfondare
quota 90, appartiene a loro la preponderanza nel numero dei
morti: 647 (50,94%) rispetto a 623 (49,06%).
Una schematica sintesi dell'andamento della mortalità in
quegli anni pu• essere presentata come dal seguente prospetto:
fel1 Ind.ne Anni morti popolaz. quoz.nte quoz.mor.
1.9e31.8 presunta mortalità Sicilia
(a) per mille 1861 (b)
eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee
III 1664e65 249 5.106 48,77 29,12
IV 1665e66 198 " 38,78 "
V 1666e67 136 " 26,64 "
VI 1667e68 189 " 37,02 "
VII 1668e69 229 " 44,85 "
VIII 1669e70 185 " 36,23 "
IX 1670e71 84 " 16,45 "
eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee
(a) Da Dizionario Topografico della Sicilia, di Vito Amico.
(b) Gino Longhitano, op. cit., pag. 987.
f+l2 L'indice medio di mortalità del triennio 1618e1620 era stato
del 42,47 per mille abitanti: quello del settennio 1664e1671
scende addirittura a 35,54 per mille, di poco superiore al
quoziente calcolato in Sicilia nell'anno dell'annessione
all'Italia. La nona indizione 1.9.1670e31.8.1671 si
contraddistingue per un quoziente di mortalità tanto basso
(16,45 per mille) da rangiungere livelli accettabili da
inoltrato novecento. Si pensi che un siffatto quoziente viene
raggiunto in Sicilia soltanto attorno al 1930 (1931=15,92 per
mille). Ma è segno fallace: col settembre del 1671 arriva la
peste che si protrae sino all'agosto del 1672 uccidendo quasi
un quarto della popolazione racalmutese. Si dovette aprire un
cimitero, non bastando più le chiese per le fitte 1.260
sepolture (con un quoziente di mortalità pari a 247,77 per
mille). Se consideriamo quest'ultimo quoziente, quello medio
del periodo sale da 35,54 per mille a 141,15 per mille:
quoziente tanto anomalo ed inconsueto quanto tragico e
raccapricciante. Dopo quella morìa, a Racalmuto non dovettero
rimanere più di quattro mila persone. Ma la sciagura dette
l'aire per una procreazione più intensa di quella già alta in
uso e in un venticinquennio la popolazione di Racalmuto torn•
sulle cinquemila unità, come ci attesta il vescovo Ramirez nel
1699.
La curva di mortalità nel corso dei mesi si atteggia spesso in
modo non difforme da quella vista per il triennio 1618e1620,
ma frequenti sono le eccezioni che per di più sono molto
chiarificatori della drammatica altalena della salubrità del
nostro paese nel seicento, giusta l'emblematicità del
seguente prospetto:
fel1 _NUMERO DI MORTI PER MESI NEL 1664e1671_
mese _@@@@@@@@@@@@@@i n d i z i o n i@@@@@@@@@@@_ media
'64e5 '65e6 '66e7 '67e8 '68e9 '69e70 '70e71 media 1618e20
III IV V VI VII VIII IX
eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee
set. 15 13 9 17 49 18 7 19 21
ott. 18 14 13 4 33 28 8 17 16
nov. 20 8 13 11 17 19 5 13 18
dic. 24 25 13 14 13 19 9 17 13
gen. 23 29 16 23 15 23 21 21 21
feb. 24 18 15 23 11 13 5 16 22
mar. 28 17 14 15 10 8 3 14 14
apr. 24 11 8 12 16 17 2 13 14
mag. 18 12 8 10 8 9 5 10 12
giu. 17 12 7 9 13 12 5 11 13
lug. 23 22 9 16 12 9 4 14 29
ago. 15 14 11 34 30 10 13 18 30
eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee
f+l2 Innanzitutto, la media dei sette anni è conforme a quella del
triennio 1618e1620 per il mese di gennaio (con un quoziente di
mortalità in ragione di anno pari a 49,35 su mille abitanti,
che è sempre un alto quoziente di mortalità. Inclemenza del
tempo e stenti vari, con problemi anche di nutrizione (si dice
ancor oggi:dopu natali, lu friddu e la fami), il peggioramento
repentino delle condizioni di vita, insomma, falcidiava la
vita di vecchi e bambini. Per gennaio, tale recrudescenza di
mortalità è una costante sia all'inizio del secolo sia verso i
tre quarti. Marzo, aprile e maggio sono pure, conformemente
alla media dei primi decenni del secocolo, mesi flessivi
quanto a mortalità. La primavera giovava proprio ai
racalmutesi. Diverge la media di agosto: le morìe per tifo e
per malattie infettive specie tra i bambini non erano puntuali
in quel caldo mese, ma quando scoppiavano era davvero
devastanti. Nel settennio, l'agosto simile agli anni venti
del 1600 si verific• nel 1668 e nel 1669, con quozienti di
mortalità in termini annui rispettivamente del 79,91 e 70,51,
indici enormi. Il mese di agosto fu però• di bassa
frequenza nei decessi nell'anno 1665 (35,25%o); 1666
(32,90%o); 1667 (25,85%o); 1670 (23,50%o) e 1671 (30,55%o).
Furono mesi di contratta mortalità: novembre 1665 (18,8%o);
settembre 1666 (21,15%o); aprile e maggio del 1667 (18,8%o);
giugno 1667 (16,45%o); luglio 1667 (21,15%o); ottobre del 1667
(9,4%o); giugno 1668 (21,15%o); maggio 1669 (18,8%o); marzo
(18,8%o) maggio e luglio 1670 (21,15%o) e il terzo
quadrimestre di quell'anno (17%o). Il mese che in assoluto
ebbe il più basso quoziente di mortalità fu aprile 1671
(4,7%o), beffardo preludio della peste del successivo mese di
settembre, peste che si protrasse per un anno come abbiamo
prima segnalato.
f+l2s+ e che nella
seconda metà del sec. XII pagava come censo tre libbre
d'incenso. Tenuto conto che i Malcovenant erano signori del
Feudo di Calatrasi (cf. GARUFI: I documenti inediti etc. pp.
85e86) e di Bisacquino (cf. l.c. pp. 190e192) si sarebbe
indotti a pensare che essa possa essere localizzata in quella
zona; tuttavia la nota dorsale ci indica con chiarezza che si
tratta di quella chiesa attorno alla quale nel sec. XVI fu
edificato il paese di S. Margherita Belice (cf. SCATURRO, I,
p. 246)'.
Svanita la prova di un luogo sacro risalente al 1108, quel
documento ci chiarisce almeno come in quel tempo poteva
sorgere un centro agricolo, per esempio, in un castello
saraceno che si vantava di risalire al buon Hammud quale è da
pensare fosse Racalmuto.
Il Malcovenant dona ad un suo consanguineo delle terre con
degli schiavi saraceni. Il parente, un militare in disarmo,
vi costruisce una chiesa (una chiesa di S. Maria vi è pur
sempre a Racalmuto: non risale al 1108, ma nel 1310 è operante
ed il suo presule, MARTUZIO DE SILOFONO, versa un'oncia al
papa per le decime ). Viene dal
vescono fatto chierico per amministrarla. Le terre di
pertinenza sono vaste. Ad accudirle penseranno i saraceni.
Così recita il documento agrigentino: 'hec sunt nomina
rusticorum, quos predictus Robertus Sancte Margarite donavit:
ALIBITHUMEN, HBEN EL CHASSAR, SELLEM EBLIS, MIRRIARAPIP
ABDELCAI, MAIMON BIN CUIDUEN, hii quinque'. Scomunica per chi
vi attenta; benedizioni per chi ne accresce la ricchezza: ' Si
quis e aggiunge il vescovo e vero eccelesiam Sancte Margarite
Agrigentine Ecclesie omnino subiectam circa possessiones eius
in aliquo defraudaverit, anathema sit; qui vero eam aut de
rebus mobilibus aut immobilibus augmentaverit, gaudia eterne
vite cum sanctis peremniter percipiat'.
Con siffatta benedizione, anche Racalmuto ebbe a prosperare.
Nel 1308 e 1310 anche un altro religioso pagava le decime a
Roma. Era meno ricco, ma pur sempre tassato come risulta dalle
RATIONES CALLECTORIE REGNI NEAPOLITANI e 1308/1310
(ASVeCollect. 161 f97v). ®Presbiter Angilus de Monte Caveoso
pro officio suo sacerdotali quod impendit in Casali
RACHALAMUTI solvit pro utraque (decima)......tt. (tarì) IX¯.
Si rammenti che 30 tarì formavano un'oncia. I frutti di S.
Maria valevano oltre tre volte e un terzo quelli per la cura
delle anime dell'intero villaggio o 'casale' secondo la
precisazione del collettore papale. I religiosi di Racalmuto
pagano, dunque, 39 tarì per due decime dei primi anni dieci
del XIV secolo. Nel 1374, l'intero paese pagherà per liberarsi
dall'interdetto 228 tarì, ripartiti tra 136 fuochi. Gli
abbienti dovettero tassari per 3 a fuoco, i 'mediocri' per 2 e
i poveri per 1. Non crediamo che i maggiorenti pii ncisi
dalle tasse siano stati molti, forse non più di 5. I mediocri,
e cioè la bortghesia, dovettero essere dunque molto numerosi
(pensiamo oltre 70 fuochi, pari a circa il 52%). I poveri, con
le loro case fatte di paglia stando alla descizione
dell'arcivescovo du Mazel che parla di 'domus pulee', erano
tanti ma non la maggioranza del paese.
Dei saraceni, fatti schiavi e condannati alla servit— della
gleba, si era frattanto persa la traccia. I pochi nomi che
troviamo negli archivi del cinquecento, seppure eredi di quei
primi contadini indigeni, hanno ora tutta l'aria di essere i
benestanti del paese. Hanno cariche pubbliche. Dominano la
scena e sono l'alta borghesia del paese.
Tra la borghesia cinquecentesca non vi è neppur traccia di
quelle grandi famiglie che hanno dominato nell'ottocento. Nè
baroni Tulumello, n‚ gentiluomini come i Messana, i Matrona, i
Farrauto, i Picataggi, etc. I maggiorenti di allora quali i
D'AMELLA, i LA LOMIA, gli UGO, i PIAMONTISI ed altri si sono
dopo volatizzati da quel di Racalmuto. Alcuni loro eredi
prosperano oggi, ad esempio, a Canicatti'.
Verso la fine del 500, giungono a Racalmuto 'mastri' che vi
attecchiranno ed oggi i loro discendenti costituiscono nuclei
cittadini onorati e di larga diffusione. SAVATTERI, BUSCEMI,
SCHILLACI, RIZZO, BONGIORNO, CHIAZZA,
sono fra questi, per fare solo
alcuni esempi. Lo comprovano gli atti matrimoniali che andiamo
a riportare, sia pure con mero valore antologico:
SAVATTERI (provenienza: Mussumeli)
'7 7bris XIIIe Ind.nis 1586 e Vincenzo figlio di Vito et
Angila Carlino cum Margaritella figlio di Paulino et
Belladonna SAVATERI dilla terra di Mussumeli, servatis
servandis et facti li tri denunciatione inter missarum solenia
et observato l'ordine sinodali et consilio tredentino, non si
trovando inpedimento alcuno, contrassero matrimonio pp.ce in
facie ecclesie et foro beneditti nella missa celebrata per me
presti Francesco Nicastro, presenti li magnifici notari Cola
et Gasparo Montiliuni et notaro Jo:Vito D'Amella et di multa
quantità di personj'.
BUSCEMI (provenienza: Agrigento)
'Die 6 di Jongno 1593 e Petro BUXEMI di la gitati di Jorgenti
cum Margaritella figlia di Jacubo di Graci, servatis servandis
.... contraessiro matrimonio pp.ce e foro benediti per me don
Paolino Paladino, presento presbiter Francesco di Nicastro,
don Michele Romano e multa quantità di agenti'.
SCHILLACI (provenienza: Cerami)
'Die 9 februarij 1591 e Vincenzo SCHILLACI di la terra di
Cirami cum Angila figlia di Calogiaro Savuso, servatis
servandis ...., contrassiso matrimonio pp.ce e foro beneditti
per don Paolino Paladino, presenti Paulino Buscarino et
Antonino di Mole' et multa quantità di genti'.
SCHILLACI (provenienza: Sutera)
'Die 21 di Jongno 1593 e Scipiuni Jngrao di li Gruti cum
Joanedda SCYLACHI di la terra di Sutera, servatis servandis e
fatte le tri denunciationi inter missarum solemnia, non si
trovando inpedimento alcono, contra essiro matrimonio pp.ce e
foro beneditti per me don Paolino Paladino, presenti clerico
Jacubo di Avedda e multa quantità d'agenti'.
RIZZO (provenienza: Scicli)
'Die 30 Januarii 1600 e Antonino RICZO di la terra di Xicli
cum Diana figlia di lu q.dam Minicu et Margarita Muraturi,
servatis servandis et facti li tri denunciationi inter
missarum solemniarum et observato l'ordini sinodali seu
concilio tridentino, non si trovando impedimento alcuno,
contrassiro matrimonio publice et in facie ecclesie foro
benedicti per don Leonardo Spalletta, p.nti Filippo di Graci e
Francesco Furesta'.
BONGIORNO (provenienza: Gangi)
'Die 6 di ferbaro 1583 e Vicenso BONJORNO di Ganci con
Contissa figlia di Petro e Joannella di Antonuczo Caldararo di
Agro', a litre (lettera) di monsignore illustrissimo e
reverendissimo di Jurgenti, servatis servandis e facte li tre
denunciaczioni, la prima a li 9 la 2a a li 16 e la tercza a li
30 di Jnaro inter missarum solemnia, non si trovando
inpedimento alcono contraessiro matrimonio pp.ce in facie
ecclesie e foru benediti jn la missa celebrata per me don
Paolino Paladino, presenti lu magnifico Jacubo Piyamontisi, lu
magnifico Cola Montiliuni, lu magnifico Marino Catalano e
multa quantitati di agenti'.
PIAZZA (provenienza: Mussumeli)
'Die 8 Januarii 1594 e Minico di CHIACZA di la terra di
Musumeli con Josepa di Vinciguerra, servatis servandis ...,
contra essiro matrimonio pp.ce et foro benediti per me don
Paulino Paladino, p.nti Mastro Francesco Sachineo, clerico
Jacubo d'Aveda e multa quantità di agenti'.
LO JACONO (provenienza: Aidone)
'Die XVo Julii Xe ind.is 1589 e Mastro Masi La Iacono della
terra di Daiduni cum Lucretia figlia di Antonj et Hiaronima di
Guarino, servatis servandis .... contrassero matrimonio pp.ce
in facie ecclesie e foro beneditti per presbiter Leonardo
Spalletta, p.nti Ioanni di Vigna et Hieronimo Piruchio et
multa quantità di genti'.
s+l2< nr54nc125np31
CAMPANE A MARTELLO NEL TRIENNIO 1618e1620
Nel settecento e è da presumere molto fondatamente e il
rilegatore ecclesiastico di Racalmuto mette assieme i fausti
atti matrimoniali dell'ultimo ventennio del XVI secolo ed un
lugubre fascicolo di contabilità mortuaria della Matrice che
riguarda un triennio: 1618e1620. E' proprio
da far scongiuri contro un archivista in tunica tanto
greve ed alquanto iellatore.
Munitici di efficace antidoto scaramantico, possiamo indagare
sull'ultima parte di quel libro di archivio. Dati, circostanze
e notizie assurgono a ghiottoneria storica per la
ricostruzione della Racalmuto secentesca, quella dei Girolamo
del Carretto, tanto per orientarci.
Per il primo funerale del fascicolo, si annota che sono stati
percetti cinque tarì e 10 grani. Le esequie avvennero il 4
ottobre del 1618, presente l'intero clero che sappiamo essere
una compagine numerosa di una ventina di consacrati.
Testualmente è detto con grafia minuta e dimessa: 'a 4 di 8bre
2a Ind. ivi8 (1518) e Paulo Pirrera si morse e fu sepolto a
Santa Maria presente clero ...... tt.5 e 10'. Seguono altre
469 annotazioni, sino al 19 novembre del 1620. La triste nota
finale è per 'Gerlanda di Gerlando Luparello fu morta et
sepulta allo Carmine ........tt. 5 e 10'.
Valore di dati statistici assume il seguente riparto:
fel1 Anno (periodo) n.ro (in ragione popolazione %o su media sie
di anno) presunta pop. liana XIX
1618(4.10e31.12) 49 196 5.000 39,20 28,91
ottobre 18 216 5.000 43,20 28,91
novembre 17 204 5.000 40,80 28,91
dicembre 14 168 5.000 33,60 28,91
1619 262 262 5.000 52,40 28,91
gennaio 22 264 5.000 52,80 28,91
febbraio 18 216 5.000 43,20 28,91
marzo 11 132 5.000 26,40 28,91
aprile 12 144 5.000 28,80 28,91
maggio 5 60 5.000 12,00 28,91
giugno 16 192 5.000 38,40 28,91
luglio 47 564 5.000 112,80 28,91
agosto 51 612 5.000 122,40 28,91
settembre 27 262 5.000 52,40 28,91
ottobre 22 264 5.000 52,80 28,91
novembre 19 228 5.000 52,40 28,91
dicembre 12 144 5.000 28,80 28,91
1620(1.1e19.11) 159 179 5.000 35,80 28,91
gennaio 20 240 5.000 48,00 28,91
febbraio 25 300 5.000 60,00 28,91
marzo 16 192 5.000 38,40 28,91
aprile 15 180 5.000 36,00 28,91
maggio 18 216 5.000 43,20 28,91
giugno 10 120 5.000 24,00 28,91
luglio 11 132 5.000 26,40 28,91
agosto 9 108 5.000 21,60 28,91
settembre 15 180 5.000 36,00 28,91
ottobre 10 120 5.000 24,00 28,91
novembre 10 180 5.000 36,00 28,91
f+l2 Anche se gli sbalzi negli indici di mortalità sono notevoli di
anno in anno, siamo ancora in situazione di 'mortalità
normale'. Vi saranno nel 600 anni 'infaustissimi', come
vedremo, in cui la morte falcidia con quozienti da capogiro.
Un segno di recrudescenza nella mortalità della Racalmuto del
'600 si ha nel trimestre estivo del 1609 (con luglio
interessato da un quoziente di mortalità del 112,80 per mille
e agosto quando il quoziente svetta addirittura fino al 122,40
per mille). Come sapremo dall'analisi di altra
documentazione più completa relativa ad alcuni decenni dopo,
la calura estiva e gli inquinamenti idrici saranno le cause
scatenanti di una vera strage degli innocenti: la mortalità
infantile, di per sè ferocemente estesa in quei secoli di
scarsa igiene, esplode ancor più virulenta in taluni periodi
estivi. Tra questi, il 1619; l'anno successivo, inceve, la
iattura risulta scongiurata. Notiamo una costante: i mesi più
salubri sono quelli del quadrimestre intermedio marzoegiugno e
di solito la mortalità flette nei mesi che vanno da settembre
a dicembre.
In due anni e due mesi entrano nelle casse della Matrice e per
funerali, esequie e sepolture dei 470 racalmutesi deceduti e
38 onze e 26 tarì. Al fine di orientarci sul valore della
moneta in quei tempi a Racalmuto, ci avvaliamo del libro di
contabilità del Convento di santa Chiara di Racalmuto (cfr.
Archivio di Stato di Agrigento e Inv. n. 64 vol. 533 e Libro
di exito del Venerabile Monasterio di S. Clara fundato in
questa terra di Racalmuto dell'anno 1649). Una salma di orzo e
due di gesso costavano nel 1649 un'onza e 6 tarì; un quintale
di olio 3 onze e 18 tarì; una 'sola' di cuoio e la relativa
confezione di 10 paia di 'tappini' un'onza e dodici tarì (42
tarì, dunque, per 10 paia di pianelle: se attribuiamo un
valore attuale di L.10/11 mila per ogni paio di pianelle di
cuoio, possiamo stimare in L. 2.500 circa un tarì e in L.
75.000 circa un' oncia, mentre il grano dovrebbe equivalere a
L. 125). Vediamo altri dati:
e '1.12.'49 e a mastro Antonio
Briganti lanaro per canne 50 di lana: onze 9 tt. 17 gg.10'
(una canna equivaleva a m.2,064 e pertanto un metro di lana fu
comprato a tt. 2 e 16 gg. e cioè a L. 4.500 di oggi, secondo
il nostro calcolo);
e '1.12.1649 e mezza salma di 'scebba' ...onze 1 e tt. 6 (pari
a L. 90.000)
e ' 1.1.1650 e vitto per un mese delle Monache ... onze 6' (pari
ad attuali L. 450.000);
e 'una salma di carbone ...onze 0 e tt. 24' (L. 60.000);
e 'a Francesco Barberi per 8 mesi di servizio .... onze 4'
(L. 300.000);
e '27.3.1650 e 4 rotoli di cera lavorata onze 1 e tarì 10'
(L.100.000 e cioè a L. 31.500 a Kg. dato che un rotolo
equivaleva a grammi 793,42);
e '1.4.1650 e a mastro Pietro Tagano per 16 paia di scarpe ...
onze 2 e tarì 4' (pari L.155.000 in totale e a L. 9.700 per
ogni paio di scarpe a conferma dell'attendibilità del nostro
calcolo);
e '1.4.1650 e per cafisi tre di olio ... onze 1 e tt. 26' (in
totale L. 215.000);
e '1.6.1650 e a Francesco Barberi e Pietro Falletta per tre
tumoli di lenticchie e 8 tumoli di fave ... onze 1 e tarì 5'
(pari a L. 87.500 e, quindi, a L. 463 a litro: 1 tumolo =
litri 17,193);
e 'a Francesco Rizzo per 5 rotoli di candele onze 1 e tt. 20'
(pari a L. 100.000 e quindi a L. 25.210 a Kg.).
Ritornando alle entrate da funerali del 1618e1620, possiamo
congetturare, sulla base dei riferimenti contabili precedenti,
che quelle 38 onze e quei 26 tarì non superassero i tre
milioni e mezzo in lire attuali, forse i quattro e mezzo se
supponiamo in un quarto di secolo un'inflazione comulativa del
20/25%. Francamente un p• poco, essendo peraltro ripartiti tra
almeno quattro cappellani accompagnatori: don Mario CURTO, don
Giuseppe d'ASARO, don Giuseppe SANFILIPPO
e padre Francesco Vintura, e e sia pure non sempre e
con l'intero clero.
Sono 122 i funerali a tariffa alta (pari al 25,96%), quelli
definiti dagli archivisti di allora: 'grandi' e che costavano
5 tarì e 10 grani; i 'minori' (da un tarì ad un tarì e 10
grani) sono 328 (69,79%) e 20 quelli gratuiti (4,26).
Il funerale gratuito era talora dovuto all'estrema miseria
della famiglia del defunto, ma spesso era segno di rispetto
per il risalto sociale o per le benemerenze religiose che il
defunto vantava in vita o che riguardavano gli stretti
congiunti. L'intero clero segue 'gratis' i funerali: di
Vincenzo, figlio di Clementi MISSINA;di mastro Giacomo BLUNDO;
di Paula AMORELLA; di Girolamo PILLITTERI; di Pietro LO SARDO
e del sacerdote don Francesco BUSCARINO. Ci sembrano 5
cadaveri eccellenti per i quali la gratuità delle onoranze
funebri è ben segno di distinzione. Tocca di accompagnare
gratis al cappellano don Francesco d'Asaro, Vincenzo COFFARO
della terra di Gibillina che è deceduto allo 'Spitale. Qui è
il caso di parlare di miseria. Così succede a padre Mario
CURTO che gratuitamente accompagna all'ultima dimora (nella
chiesa di S. Giuliano) Brandina LA BELLA, o Antonina LA
SICHILIANA. A don Giuseppe SANFILIPPO tocca di farlo gratis
per Paolo PILLICINO di Raffadali, morto all'ospedale e sepolto
nella chiesa che vi era aperta al culto.
Le annotazioni d'archivio provano che
all'inizio del '600 erano le seguenti chiese quelle adibite
alle sepolture: la chiesa di S.MARIA di GIESU;
la chiesa del MONTE; la
chiesa di S.GIULIANO; la chiesa di S. FRANCESCO; la chiesa
della NUNZIATA; la chiesa del CARMINE; la chiesa di Santa
ROSANA (in sei funerali è citata in tale modo); la chiesa di
S.NICOLAO; la chiesa dell'HOSPITALI. Sono
nove dunque le chiese di Racalmuto documentabili
con le carte parrocchiali in esame: siamo ancora lontani
dalle 15 chiese foranee di cui parla la relazione 'ad limina'
del 1699 fatta dal vesvovo di Agrigento, l'arc. Francesco
Ramirez. Le chiese di S. Francesco, dell'Annunziata (e cioè la
'major ecclesia parochi'), del Carmelo, di Santa Maria de
Jesu e di S. Giuliano sono citate dal PIRRI che scrive proprio
in quel periodo (le sue NOTITIAE SICILIENSIUM ECCLESIARUM sono
del 1630e1633). Quanto alla chiesa che crediamo di leggere in
Santa Rosana, si pu• formulare l'ipotesi che ad essa si
riferisca il Pirri nel seguente passo: ®pervetusta erat aedes
ab an. 1400 circiter ubi, ad annum 1628, dipincta videbatur S.
Rosalia V. in habitu eremitico, crucem et librum prae manibus
gestiens; sed incuria aliquorum ob novum aedificium dicatum
eidem Virgini, cuius colunt reliquias, cum societate animarum
Purgatorii habente unc.70, deleta est. Il Pirri accenna anche
alla 'domus hospitalis' che è dedicata a S. Sebastiano: nei
nostri atti la chiesa è indicata solo come 'hospitali'. Non
viene menzionata dal Pirri solo la chiesa di S. Nicola;
peraltro questi accenna ad un 'coenobium cum Ecclesia S.
Benedicti' che sarebbe sorta in tempo immemorabile 'prope viam
qua itur Agrigentum', presso la via che conduce ad Agrigento;
una chiesa comunque di cui ai suoi tempi si era persa la
memoria. Olim erat, precisa infatti l'erudito abate netino.
Usuale interpolare note di cronaca nel libro contabile: forse
oggi ci è indifferente sapere che 'adì 9 di 9bre (1618) and•
alli Grutti Don Gioseppe Sanfilippo' e che 'a 23 di 9bre venne
in Racalmuto d. Gioseppe Sanfilippo delli Grotti', ma allora
l'interruzione era importante segnarla nel libro dei morti per
don Filippo Acquista. Un'altra chiosa indica che 'adì 20 di
Xbre ho visto le predette somme di denari e ci siamo agiustati
con don Giuseppi Sanfilippo sino al presente giorno, Don
Filippo Acquista'. 'A 8 di luglio (1619) e è annotato altrove
e venne il signor Archiprete di Roma'. Poi, 'a 9 di 7bre
(1619) and• il sig.r Archiprete in Palermo' e, dopo una
settimana, il 14 settembre 'venne il signor Archiprete di
Palermo'. Quest'andare dell'arciprete, prima (a luglio) a Roma
e subito dopo (a settembre) a Palermo fa pensare a qualcuna
delle liti curiali ricorrenti nel Seicento in cui è investito
anche il clero Racalmutese. Memorabile resterà il processo
romano al vescovo Traina, nel 1650e1, intentato da canonici
ribelli di Agrigento (cfr. ASV e Relationes ad Limina 18/A e
f 119 e ss.)
GLI ANNI '60 DEL XVII SECOLO RACALMUTESE
Uno spaccato tragico, triste, accorante, ma pur sempre trepido
ed di marcata puntualità storica, della RACALMUTO del seicento
si coglie in un libro rilegato in carta pecora, ben tenuto e
ben leggibile.
Già l'esordio è un ricordo storico di forte interesse. La
prima pagina è di dedica, di intitolazione e di rilevanza
documentale. ®JESUS.MARIA.JOSEPH e premette il registro, che
riguarda: e LIBER MORTUORUM IN TERRA RACALMUTI, in anno 3:e
IND:s 1664 . 1665 . 1666 . 1667. 1668 . 60 . 70 eee
Archipresbitero S. T. D:re Don Salvatore PETROZZELLA eiusdem
terre qui hodie p:ma die Septembris 3:e Ind.s 1664, virtute
Bullarum Apostolicarum datarum Rome die 18 Aprilis, et in
Regno die 14 Augusti 1664, executarum, ac Agrigenti die 29
eiusdem Augusti per ecc:mum et R:mum D:num D. Fra:cum GISULFO
et USOVIO Agrig.num Antistitem presentatarum et executarum,
possessionem eiusdem Archipresbiteratus Dei gratia est
adeptus.¯ Con altra grafia, ed evidentemente otto anni dopo,
viene annotato: ®usque ad annum 1672 X ind. Die 31 Ag. ...¯.
Racalmuto era dunque un centro ecclesiale di grande
importanza: per avere la sua arcipretura occorreva una Bolla
pontificia (che il racalmutese Petruzzella ottiene il 18
aprile del 1664); la quale doveva essere resa esecutiva dalle
autorità laiche del Regno (e nel nostro caso, da aprile si
deve aspettare sino al 14 agosto del 1664); per essere infine
esaminata ed approvata dal presule di Agrigento (sia pure a
tambur battente, meno di 15 giorni dopo e cioè il 29 agosto di
quell'anno). L'exursus d'esordio ci ragguaglia, in un latino
limpido ed elegante, sulle procedure seicentesche che quanto a
inceppi burocratici sono intricati come quelli d'oggidì.
Facciamo subito conoscenza con un altro eccellente arciprete e
abbiamo avuto modo di apprezzare don Michele Romano e e
apprezziamo che viene dismesso
l'andazzo cinquecentesco di dare la parrocchia
racalmutese a forestieri che, percetti i proventi tramite
procuratori scelti fra i canonici di Agrigento, non avevano
alcuna voglia di raggiungere il nostro altopiano, come quel
non meglio precisato don Lexandro CAPOZZA o CAPOCCIA di chissà
dove che vien citato negli atti matrimoniali del 1598.
Il Petruzzela è dottore in Sacra Teologia e quanto a latino sa
il fatto suo: quel 'possesionem est adeptus (da _adipiscor_)'
è un tocco di perizia quasi ciceroniana. Ci pare più bravo del
suo predecessore cinquecentesco don Michele Romano che qualche
sbavatura se la concedeva. Don Salvatore Petruzzella, dottore
in teologia e nostro arciprete nella seconda metà del
seicento, non ebbe purtroppo vita lunga: moriva a soli 43
anni, il 29 maggio 1666. Fino a pochi giorni prima (l'11
maggio) era sulla breccia nel suo ministero sacerdotale,
confessando ed assistendo moribondi come il marito di
certa Angela, Antonino LA LICATA BUMBOLO morto a 65 anni.
®Anno domini 4.e Ind.is 1666 die 29 Maij Hora X:a e Sacerdos
S. T. Dr. Don Salvator _PETROZZELLA_ Archipresbiter huius
Matricis eccl.e Terre RACALMUTI, annorum 43 circiter, in sua
propria domo huius predicte terre in Commmunionem sancte
matris eccl.e animam Deo redidit cuius corpus eodem die
sepultum est in hac Matrici eccl.a presente clero; confessus
mihi Don Paulino Falletta Cappe.no die 23 eiusdem mensis Maij
ac sanctiss.mo viatico refectus et tandem sacri olei untione
roboratus die 27 eiusdem per D. Libertinum de AGRO' et
Cappellanum.¯ A fianco dell'atto è stato annotato: ®il 6 di
luglio 1666 si hanno agiustati li festuarij delli Ragioni di
quarta per mano di don Libertino di Agro' a tutto il presenti
giorno del 29 di Maggio presenti e Et finis sui
Archipresbiteratus.¯ L'arida logica della contabilità prendeva
il sopravvento, oppure è da ammettere che la vita (specie
religiosa) continuava.
Qualche tempo prima(il 10 marzo 1665)
era morto un altro racalmutese arciprete:
si chiamava don Pietro CURTO e anche lui era dottore in sacra
teologia. L'arcipretura, però, l'aveva nella diocesi di
Palermo e precisamente a Ventimiglia di Sicilia, ma era nato a
Racalmuto (huius terre Racalmuti, viene annotato) e qui,
assistito dall'arciprete Petruzzella e da don Mariano di
Agro', viene a morire. Ha funerali gratuiti, è presente
l'intero clero ed è sepolto nella Matrice.
Dell'arciprete CURTO parla il nostro Tinebra Martorana (cfr.
pag. 163). Trae la notizia dalla lettera del governatore arabo
di Racalmuto (RahaleAlmut) all'emiro di Palermo che sappiamo
essere un volgare falso dell'abate Vella (sapida è l'ironia
sull'argomento di Leonardo Sciascia che pure degn• della sua
mirabile prefazione il libro del TinebraeMartorana e v. pag. 8
ss.). Sulla fallace scia del malevolo abate Vella, il nostro
storico Tinebra fa dell'arciprete Curto un gesuita autore di
un non meglio precisato Corso filosofico che avebbe pubblicato
nel 1656. A quel tempo il vero e non gesuita arciprete Pietro
Curto era morto già da un anno. Chissà perchè l'abate Vella
fu preso dall'uzzolo di prendere un arciprete vero nato
nella terra di Racalmuto e farne un sussiegoso filosofo
gesuita. ®Di quest'uomo che onor• Racalmuto, poco si conosce¯,
dice il Tinebra. I nostri archivi parrocchiali ci fanno ora
scoprire quando nacque e quando morì e dove fu arciprete. Non
è molto, ma è già qualcosa.
L'arcipretura di Racalmuto rimane vacante per un paio di anni
e la sua amministrazione è affidata ad un padre Economo.
Succede a D. Salvatore Petruzzella,
don Vincenzo LO BRUTTO il 7 novembre 1668. Anche costui è un
dottore in Sacra Teologia: ®Anno D.ni 7.e Ind.nis 1668 Die 7
novembris e precisa il nostro registro e liber mortuorum sub
cura S(acre) T(eologie) D(octor) D. Vincentii _LO BRUTTO_
arch.ri e vidit (segue la firma illeggibile, ma sicuramente
attribuibile al nuono arciprete). Francamente, la sua cultura
non ci sembra all'altezza del predecessore, ma forse è anche
lui racalmutese dato il cognome.
Come si vede, il Seminario di Agrigento sfornava dottori in
teologia e Racalmuto non era da meno nel mandarvi suoi figli
per addottorarvisi in teologia e divenire poi arcipreti che
sappiamo essere ben remunerati. Don Francesco GISULFO e
succeduto al chiacchierato e, pare, avarissimo Mons. TRAINA
che però istituì il seminario e in una sua relazione 'ad
limina' (cfr. ASV e Realtiones ad Limina, AGRIGENTUM e A 18)
esalta il seminario divenuto meta di studi da tutta la
diocesi. Di tirocinanti ®ad quod seminarium e scrive al Papa
l' 8/11/1661 (cfr. ib. f. 173 e ss.) e magnus ex tota
Dioecesi confluit numerus¯. Tali tirocinanti, che confuiscono
in Seminario da tutta la Diocesi in gran numero, sono in
quell'anno 40 alunni e 34 convittori. Da lì provengono gli
arcipreti di Racalmuto che abbiamo citato.
Dal 3 settembre 1664 al 27 agosto 1671, sono avvenuti a
Racalmuto 1270 decessi. Dopo, si ha un'epidamia funestimma:
®incipit indictio X.a amarissima e scrive in bella grafia il
prete e in anno millesimo sexcentesimo septuagesimo primo
(1.9.1671) infaustissimo¯. E' ancora arciprete don Vincenzo Lo
Brutto che ci tiene a precisare di essere un dottore in sacra
teologia. In quell'anno i morti furono tanti (quanti se ne
erano avuti nei precedenti sette anni) da uscire dalla
normalità. E' il classico anno a 'quoziente di mortalità
anomala'. Per i nostri appunti di statistica racalmutese,
tralasciamo per il momento quei dati 'erratici'. Del resto la
normalità era tutt'altro che confortante: la vita media e
esclusa la mortalità al di sotto dell'anno e era appena di
32,7 anni. Circoscrivendo la statistica a quelli che avevano
superato il decimo anno di età, la vita media non va oltre i
47,2 anni ed anche a prescindere dalla mortalità al di sotto
dei vent'anni, la media della vita nella Racalmuto della
seconda metà del seicento è contratta in appena i 51,4 anni.
Questo non significa che non vi fossero dei fortunati dalla
vita lunghissima. La moglie del fu Paolino Missina, Antonia
visse 102 anni (+ 15.8.1669); novantasei anni vissero Vincenza
de Napoli e soro Francesca Curto una terziaria che era vedova
di Antonino Curto; Geronima Vaccari visse 94 anni; il più
longevo tra i maschi è CIACHA (Sciascia) Vito che visse 90
anni (+ 7/11/1669). Un primo scandaglio ci consente il
seguente riparto:
fel1 anni di vita n. su totale defunti %
da 90 a 102 5 1.270 0,39
da 80 a 87 24 " 1,89
da 70 a 79 64 " 5,04
da 60 a 69 80 " 6,30
da 50 a 59 84 " 6,61
da 40 a 49 97 " 7,64
da 30 a 39 84 " 6,61
da 20 a 29 53 " 4,17
da 10 a 19 70 " 5,51
da 1 a 9 188 " 14,80
fino a 1 anno 521 " 41,02
f+l2 La mortalità infantile, raggiungendo il 55,82% del totale dei
morti nel periodo, è perentoriamente sottolineata nella sua
enorme dimensione. Pur se le donne sono le uniche a sfondare
quota 90, appartiene a loro la preponderanza nel numero dei
morti: 647 (50,94%) rispetto a 623 (49,06%).
Una schematica sintesi dell'andamento della mortalità in
quegli anni pu• essere presentata come dal seguente prospetto:
fel1 Ind.ne Anni morti popolaz. quoz.nte quoz.mor.
1.9e31.8 presunta mortalità Sicilia
(a) per mille 1861 (b)
eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee
III 1664e65 249 5.106 48,77 29,12
IV 1665e66 198 " 38,78 "
V 1666e67 136 " 26,64 "
VI 1667e68 189 " 37,02 "
VII 1668e69 229 " 44,85 "
VIII 1669e70 185 " 36,23 "
IX 1670e71 84 " 16,45 "
eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee
(a) Da Dizionario Topografico della Sicilia, di Vito Amico.
(b) Gino Longhitano, op. cit., pag. 987.
f+l2 L'indice medio di mortalità del triennio 1618e1620 era stato
del 42,47 per mille abitanti: quello del settennio 1664e1671
scende addirittura a 35,54 per mille, di poco superiore al
quoziente calcolato in Sicilia nell'anno dell'annessione
all'Italia. La nona indizione 1.9.1670e31.8.1671 si
contraddistingue per un quoziente di mortalità tanto basso
(16,45 per mille) da rangiungere livelli accettabili da
inoltrato novecento. Si pensi che un siffatto quoziente viene
raggiunto in Sicilia soltanto attorno al 1930 (1931=15,92 per
mille). Ma è segno fallace: col settembre del 1671 arriva la
peste che si protrae sino all'agosto del 1672 uccidendo quasi
un quarto della popolazione racalmutese. Si dovette aprire un
cimitero, non bastando più le chiese per le fitte 1.260
sepolture (con un quoziente di mortalità pari a 247,77 per
mille). Se consideriamo quest'ultimo quoziente, quello medio
del periodo sale da 35,54 per mille a 141,15 per mille:
quoziente tanto anomalo ed inconsueto quanto tragico e
raccapricciante. Dopo quella morìa, a Racalmuto non dovettero
rimanere più di quattro mila persone. Ma la sciagura dette
l'aire per una procreazione più intensa di quella già alta in
uso e in un venticinquennio la popolazione di Racalmuto torn•
sulle cinquemila unità, come ci attesta il vescovo Ramirez nel
1699.
La curva di mortalità nel corso dei mesi si atteggia spesso in
modo non difforme da quella vista per il triennio 1618e1620,
ma frequenti sono le eccezioni che per di più sono molto
chiarificatori della drammatica altalena della salubrità del
nostro paese nel seicento, giusta l'emblematicità del
seguente prospetto:
fel1 _NUMERO DI MORTI PER MESI NEL 1664e1671_
mese _@@@@@@@@@@@@@@i n d i z i o n i@@@@@@@@@@@_ media
'64e5 '65e6 '66e7 '67e8 '68e9 '69e70 '70e71 media 1618e20
III IV V VI VII VIII IX
eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee
set. 15 13 9 17 49 18 7 19 21
ott. 18 14 13 4 33 28 8 17 16
nov. 20 8 13 11 17 19 5 13 18
dic. 24 25 13 14 13 19 9 17 13
gen. 23 29 16 23 15 23 21 21 21
feb. 24 18 15 23 11 13 5 16 22
mar. 28 17 14 15 10 8 3 14 14
apr. 24 11 8 12 16 17 2 13 14
mag. 18 12 8 10 8 9 5 10 12
giu. 17 12 7 9 13 12 5 11 13
lug. 23 22 9 16 12 9 4 14 29
ago. 15 14 11 34 30 10 13 18 30
eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee
f+l2 Innanzitutto, la media dei sette anni è conforme a quella del
triennio 1618e1620 per il mese di gennaio (con un quoziente di
mortalità in ragione di anno pari a 49,35 su mille abitanti,
che è sempre un alto quoziente di mortalità. Inclemenza del
tempo e stenti vari, con problemi anche di nutrizione (si dice
ancor oggi:dopu natali, lu friddu e la fami), il peggioramento
repentino delle condizioni di vita, insomma, falcidiava la
vita di vecchi e bambini. Per gennaio, tale recrudescenza di
mortalità è una costante sia all'inizio del secolo sia verso i
tre quarti. Marzo, aprile e maggio sono pure, conformemente
alla media dei primi decenni del secocolo, mesi flessivi
quanto a mortalità. La primavera giovava proprio ai
racalmutesi. Diverge la media di agosto: le morìe per tifo e
per malattie infettive specie tra i bambini non erano puntuali
in quel caldo mese, ma quando scoppiavano era davvero
devastanti. Nel settennio, l'agosto simile agli anni venti
del 1600 si verific• nel 1668 e nel 1669, con quozienti di
mortalità in termini annui rispettivamente del 79,91 e 70,51,
indici enormi. Il mese di agosto fu però di bassa
frequenza nei decessi nell'anno 1665 (35,25%o); 1666
(32,90%o); 1667 (25,85%o); 1670 (23,50%o) e 1671 (30,55%o).
Furono mesi di contratta mortalità: novembre 1665 (18,8%o);
settembre 1666 (21,15%o); aprile e maggio del 1667 (18,8%o);
giugno 1667 (16,45%o); luglio 1667 (21,15%o); ottobre del 1667
(9,4%o); giugno 1668 (21,15%o); maggio 1669 (18,8%o); marzo
(18,8%o) maggio e luglio 1670 (21,15%o) e il terzo
quadrimestre di quell'anno (17%o). Il mese che in assoluto
ebbe il più basso quoziente di mortalità fu aprile 1671
(4,7%o), beffardo preludio della peste del successivo mese di
settembre, peste che si protrasse per un anno come abbiamo
prima segnalato.
Il foglio precedente quello del battesimo di fra Diego La Matina reca questa data: 27 di febbraio 4 indizione 1621. In calce siamo a metà marzo.
Il giorno precedente il 14 detto (marzo 1621) viene battezzato Diego La Matina. Questa è la registrazione in un quaderno di annotazioni provvisorio. Vi è poi un registro in bella ove l’atto viene riportato in modo pie leggibile. Qui leggiamo: “ad: [a detto] Diecho figlio di Vincenzo et Francesca fui battezzato per il sudetto [e cioè don Paolino d’Asaro, fratello del piettore Pietro d’Asaro]. Patrini: Jacobo Sferruzza et Giovanna di Gerlando di Gueli.”
Al foglio 77 del registro in bella fra Diego viene registrato sotto la data del 13 marzo 1621. Testualmente abbiamo: A detto – Diego figlio di Vincenzo e Francesca La Matina giugali fu battezzato per lo duetto. Patrini Giacomo Sferruzza e Gioanna di Gerlando di Gueli.
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