sabato 6 febbraio 2016


 

 

 

Ill.mi Signori

 

Nel memoriale , che diede il Vescovo di Giorgento à N. S. et dalla S. Sua rimesso à questa Sacra Congregatione fù imputato Giuseppe Contarini Secretario overo Depositario dell’Entrate Regie in detta città per homo di mala vita, et che si sia sempre opposto alla giurisdizione ecclesiastica. Et perché Illustrissimi Signori questa è mera calunnia, perché il detto Contarini è sempre stato ossequente a’gli ordini dei superiori ecclesiastici vivendo da buon cristiano, come è noto à tutta la Città, né ha dato al vescovo mai disgusto alcuno; se non che gli fece più volte instanza come Ministro regio, che reparasse la Chiesa Cattedrale che stà per rovinare, poiché per tal reparatione paga il vescovo 500 scudi l’anno dell’entrate regie. Però premendo molto all’oratore di esser così tacciato nell’honore presso Sua Santità et le Signorie Vostre illustrissime, le supplica humilissimamente che voglino ordinare al Delegato è vicario generali che anderà, che si informi della vita, et attioni sue, et se costerà alla sacra Congregatione che dal Vescovo sia stato calunniato à torto, ne facciano quella demonstratione alle Signorie Vostre Illustrissime la mala vita di detto Vescovo e suoi Ministri in detta amministratione, che per altro fine hora non calunnia detto Signore se non per smorzar che si parli di lui. Che il tutto riveveria per gratia delle SS.VV. Ill.me. Quas Deus ..

Il lugubre fardello di "paese di morti" o "morto" si deve al  profluvio storico dell'avvocato girgentano, [1]Giuseppe PICONE, che  per tutta la seconda metà dell'Ottocento imperversò nella riesumazione della microstoria locale (anche se non senza meriti,  come oggigiorno gli viene sempre più riconosciuto). 

Avventuratosi il PICONE, tardivamente e da autodidatta, nello studio della lingua araba, egli ritenne suo diritto storpiare il toponimo "RACALMUTO"  in RACHAL-MAUT ( Cfr. Giuseppe PICONE:MEMORIE STORICHE AGRIGENTINE, Agrigento, 1982, riedizione anastatica della pubbli‑cazione in Girgenti del 1866 resso Salvatore Montes, pag. 413 e ib. nota n.2)-

Là il termine [1]MAUT[1] e in caratteri arabi, letto in MAUT e quindi traslato i MORTO, il tutto  privo di ogni legittimazione linguistica.

Come dopo   meglio preciseremo, il più antico toponimo di Racalmuto con cui ci siamo imbattuti è [1]RACHALCHAMUT[1] ed appare nei registri della  Corte Angioina di Napoli del 1271 (Reg. 1271 A, f.246 del DE   LELLIS).

 In vari Diplomi del XIII secolo abbiamo: [1]RAHALMUT[1] (Cfr.        DOCUMENTI DA SERVIRE ALLA STORIA DI SICILIA - PRIMA SERIE - DIPLOMATICA a cura di Raffaele STARABBA - PALERMO 1882, pag. 12,  [data di riferimento 10 settembre 1282, XI Ind.]) e [1]RAKALMUTO[1]   (Cfr. ibidem p. 364: anno di rif. 1283).

Nei Registri avignonesi  del XIV secolo - da noi direttamente consultati presso l'Archivio segreto del Vaticano - abbiamo: [1]Rachalmoto[1],  [1]Rachalmutu[1] e [1]Rachalmuto[1].

Nel XVI secolo, il monaco saccense  FAZELLO indica sbrigativamente il nostro paese con il nome [1]RAJALMUTO[1]. 

Il PIRRO - ben conosciuto dal PICONE e che scrive nel XVII secolo – trascrice traducendo in latino “]RAHYALMUTUM”.

Nel DIZIONARIO TOPOGRAFICO DELLA SICILIA[1] di Vito AMICO e Gioacchino di MARZO, tenuto costantemente sott'occhio dal PICONE, il toponimo viene riportato in 13 variazioni, a seconda degli autori citati, ma giammai in qualcosa che potesse in qualche modo giustificare la   storpiatura [1]RACALMAUT[1] necessaria al funambolismo arabico dell'avv. Picone.

Nelle tardive, ma non troppo, trascrizioni degli amanuensi parrocchiali della Matrice di Racalmuto, le più antiche delle quali risalgono agli anni sessanta del 1500, da noi seguite piuttosto attentamente, il nome di Racalmuto viene  spesso storpiato, ma mai in RACALMAUTO o voce simile. [1]RAYALMOTO[1] (10 gennaio 1583), [1]RAULMUTO[1] (7 gennaio 1585), [1]RECALMUTO[1] (28  ottobre 1585), [1]RAYALMOTO[1] (6 febbraio 1594) sono voci presenti negli atti di matrimonio di quel tempo. Sia, però, ben chiaro,   quando l'atto è solenne, l'ortografia può essere discutibile, ma  il toponimo è preciso: [1]RACALMUTO[1] (cfr. annotazioni del 16 luglio 1598, quando "pigliau la possessioni don Vito Bellosguardo e don  Antonio d'Amato procuratori di don Lixandro CAPOZZA per  l'arcipretato di [1]Racalmuto[1] come appare per atto plubico"; o del  14 agosto 1599; oppure del 7 marzo 1600 allorché‚ "di la majori  ecclesia di “Racalmuto” pigliau possissioni don Andria [1]Argumento[1] a li 7 di marzo XIII ind. 1600".

Il Picone, dicevamo, tradusse dall’arabo molto arbitrariamente come Racalmuto=PAESE DEI MORTI.  Purtroppo, a corrergli dietro è stato il nostro storico locale, l'ottocentesco [1]Nicolò TINEBRA-MARTORANA[1]: così  [1]RACALMUTO[1] è divenuto da quel dìsinonimo di "villaggio [1]morto[1], [1]distrutto[1], [1]diroccato[1]" (cfr. pag. 24 dell'edizione racalmutese delle MEMORIE del 1982). Del resto il TINEBRA era, come storico,  succubo dell'avvocato girgentano, come il querulo richiamo a   quella autorità, ricorrente nelle pagine delle "MEMORIE"  del Nostro, sta ad attestare. Il povero TINEBRA, invero, tentòdi fugare la iellatoria etimologia del PICONE e di suo aggiunse,  ma timidamente, quel pudico "distrutto". Dalla sua aveva uno studioso del calibro di Vito AMICO, (     [1]AMICO Vito Maria[1]: fu un monaco benedettino, valente storico e geografo,  nato a Catania nel 1697 e ivi morto nel 1762. Priore di vari conventi, ebbe la cattedra di storia civile presso l'università  di Catania (1743). Dal 1751 fu storiografo regio Carlo III di Spagna. Le sue opere: [1]CATANIA ILLUSTRATA[1] (4 voll. - 1740- 43); [1]LEXICON TOPOGRAPHICUM SICULUM[1] (1757-600. Quest'ultima opera rappresenta il primo dizionario storico della Sicilia e viene tuttora utilmente consultata nella traduzione di [1]G. Di MARZO[1] [1]Dizionario topografico della Sicilia[1], 2 voll. 1855) - [da "[1]LESSICO UNIVERSALE TRECCANI[1]]..

Secondo Vito Amico, Racalmuto "fra gli arabi vale [1]RAHALMUT[1] casale decaduto  o diruto".  Tinebra Martorana poteva, dunque, omettere la lugubre etimologia del PICONE. Non lo fece, pur conoscendo il [1]'Lessico topografico siculo'[1] dell'AMICO (cfr. nota 12 di pag. 24). Solleticava la sua vanità  giovanile il potere scrivere a vent'anni in arabo, sia pure   copiando meccanicisticamente due termini presi in prestito dal  PICONE: "Rahal" e "Maut".

 

 

Si dà il caso che Leonardo SCIASCIA assegni al libro del Tinebra l'insorgere presso i racalmutesi  “di un rapporto più  intrinseco  e profondo  col luogo in cui sono nati, nel riverbero del passato sulle cose presenti-“ (v. PREFAZIONE, pag. 9).

Alle scuole elementari, la maestra MARTORANA e il 'professore' CAVALLARO mi insegnarono oltre mezzo secolo fa che Racalmuto significava 'paese di morti'. Mia madre, mi ripeteva il passo del Tinebra che la sua insegnante elementare, la maestra MACALUSO, le aveva fatto e 'imparare a memoria'. Ma con tutto il rispetto che debbo a SCIASCIA e al suo culto per “l'aura romantica che trascorre  nel libretto del TINEBRA,” debbo dire che quella funerea  etimologia ho voglia di ripudiarla in toto; è davvero stramba, infondata e storicamente insensa. 

        Se una congettura è ammessa, allora più attendibile appare l'ipotesi che vorrebbe l'etimo "RACALMUTO" quale "[1]CASTELLO DI CHAMUTO.   CHAMUTH fu l'ultimo emiro della dominazione araba del territorio tra Agrigento ed Enna. Egli venne vinto, ma non umiliato, dal  conte Ruggiero il normanno nel 1087. Tutto fa pensare che a  Racalmuto vi fosse una fortezza, se non due, vuoi al Castelluccio, vuoi  'a lu Cannuni'. E 'RAHAL' vuol anche dire in arabo fortezza, castello, stazione. Quella fortezza era sotto il dominio di CHAMUTH. In quel tempo, o dopo nella memoria degli arabi umiliati, essa non poteva che venire indicata che come la Rocca  di CHAMUT, donde  - almeno per noi - RACALMUTO.

[Debbo però ora aggiungere che i miei studi e le mie rcerche posteriori mi hanno, e di molto, allontanato da siffatte pur affascinanti tesi. La storia è fatta così: non si dice mai l’ultima parola.]     Conosciamo le gesta di CHAMUTH perché‚ un benedettino normanno,  che fu al seguito del conterraneo RUGGIERI, ce ne ha tramandato  la memoria. Trattasi della cronaca del secolo XI del monaco   [1]Gaufredo MALATERRA[1]. Michele AMARI non lo ebbe in grande stima, ma nel raccontare quegli eventi nella sua [1]Storia dei Musulmani  di Sicilia[1] fa solo l'eco al monaco benedettino. A nostra volta,  noi trascriviamo quel passo di sapido stile ottocentesco. E' una pagina di storia che, in ogni caso, investe la nostra terra di Racalmuto nel frangente della sconfitta araba ad opera dei predoni normanni.

        

        ® Il cauto normanno [il conte Ruggieri] avea occupata Girgenti, - narra appunto Michele AMARI - mentre i marinai italiani si apparecchiavano tuttavolta all'impresa di al-Mahdyah. Sbrigatosi di Benavert nel 1086, radunava a dì primo aprile del 1087 le  milizie feudali, volenterose e liete per la speranza di acquisto; e sì conduceale all'assedio di Girgenti. Ubbidiva allora Girgenti con Castrogiovanni e con tutto il paese di mezzo, a un rampollo della sacra schiatta di Alì, del ramo degli Idrisiti che avevano regnato un tempo nell'Affrica occidentale, e della casa de' Bamì[1]Hammud[1], la quale tenne per poco il califato di Cordova (1015- 1027) indi i principati di Malaga e di Algeziras (1035-1057), ma cacciata dalla Spagna, andò cercando fortuna qua e là. Par che un uomo di codesta famiglia, passato in Sicilia, non sappiamo appunto in qual anno, abbia preso lo stato in quelle province, tra le guerre civili che si travagliarono coi figli di Tamil; portato in alto non da propria virtù, ma dal nome illustre e dalle pazze vicende dell'anarchia. 

Chamut il suo nome, qual si legge nel Malaterra e ben risponde  alla voce che a nostro modo si trascrive Hammùd.  Il quale si rannicchiò tra sue rupi inaccesse di Castrogiovanni, mentre la moglie e i figlioli soggiornavano in Girgenti, e i Normanni circondavano la città , batteano le mura con lor macchine; tanto che occuparonla a dì venticinque luglio del medesimo anno. Ruggiero v'acconciò fortissimo un castello, munito di torri, bastioni e fosso; lasciovvi buon presidio, e battendo la provincia, in breve ne ridusse undici castella: Platani, Muxaro, Guastanella, Sutera,[1]Rahl[1], (su tale toponimo [1]RAHL[1] abbiamo appuntato tutta la nostra attenzione  ritenendo che potesse essere quello del nostro paese. AMARI riduce in RAHL un [1]RACEL[1] che trovavasi nel manoscritto malaterrano che fu trafugato dall'Italia dallo spagnolo ZURRITA e pubblicato a Saragozza nel 1578. Quel manoscritto è andato  perduto. La pubblicazione che resta ancora l'edizione principe fu recepita nella colossale opera di Ludovico Antonio MURATORI, [1]RERUM ITALICARUM SCRIPTORES[1] nel vol. V con il sintetico titolo HISTORIA SICULA, Gaufredi MALATERRAE[1]. Il Muratori dà la lezione [1]RACEL[1] e in calce annota [1]RASEL-BIFAR[1] ad indicazione di altre  lezioni da lui tenute presenti. L'Amari non si produce in ulteriori ricerche paleografiche: distingue RACEL da BIFAR; per lui arabista, RACEL equivale a RAHL [casale]; si confessa incapace di individuare un RAHL nelle pertinenze agrigentine, che ne sono piene. Il PICONE segue la pista dell'AMARI e nelle  sue MEMORIE (cfr. pag. 401) reputa incompleto il toponimo e  segna [1]RAHAL...[1], distinguendolo comunque da [1]BIFAR[1], una località piuttosto nota tra Campobello di Licata e Licata. Si sa che la  raccolta di 'scriptores rerum italicarum' è stata, a cavallo di secolo, oggetto di pregevolissime riedizioni con interventi di personalità della cultura del calibro del CARDUCCI. Il testo del monaco benedettino dell'XI secolo ha avuto nel 1927 una diligentissima riedizione con una illuminante introduzione da parte di Ernesto [1]PONTIERI[1]. Questi venne in Sicilia; trovò altri codici (A=Cod. X. A 16 della Biblioteca Nazionale di Palermo;     B=Cod.II.F 12 della Società Siciliana per la storia patria; C=Cod. 97 della Biblioteca universitaria di Catania e D=Cod. QqE 165 della Biblioteca comunale di Palermo) che, comunque, mutili e scorretti e pur sempre derivanti dalla fonte dell'edizione principe del 1578, non gli furono di molto aiuto. Il PONTIERI adottò la lezione [1]RASELFIFAR[1], legando insieme Racel e Bifar, e  in nota fornì la versione della Biblioteca universitaria di Catania (C): [1]RACEL GIFAR[1]. Nel 1937, Carlo Alfonso NALLINO, nell’integrare le note della [1]STORIA DEI MUSULMANI DI SICILIA[1] di M. AMARI controbatteva al PONTIERI e reinterpretava il passo  malaterrano con questa dissertazione [aggiunta a nota n. 1 di  pag. 177 op. cit.]: In realtà i castelli sono 10 e non 11. L'ed. princeps del Malaterra (Saragozza 1578), e le prime cinque  che la seguirono pedissequamente, hanno 'Ravel, Bifara', come se si trattasse di due luoghi diversi; ciò ingannò V.D'Amico, Diz. topogr. trad. Dimarzo (Palermo 1855-56, l'ed. latina è del 1757-1760), che nel vol. I, pag. 143-144 tratta di Bifara e nel   II, p. 398 di RACEL (dal solo Malaterra), e quindi l'Amari. Nessuno dei due pose mente all'attenzione del Diz. stesso, I, p. 143, che Bifara 'dicesi anche RAGAL BIFARA' (evidentemente  nell'uso locale siciliano). Il traduttore Dimarzo, I p. 144, n.    1, osserva che Bifara ' è un sottocomune aggregato a Campobello  di Licata , in provincia di Girgenti (Agrigento), circondario di Ravanusa'. Campobello dista 50 Km. da Girgenti (Agrigento) e 9 da Ravanusa. E. Pontieri, ultimo editore del Malaterra (1928), trovò nei mss. anche le varianti Raselbifar e Raselgifar e scelse a torto la prima nel testo (p. 88) e nell'indice (p. 153), mentre è certo che il primo componente e  [1]rahl[1] (racel, racal, ragal), come ben vide l'A. [cfr. pag. 178  op. cit.]  Quel che sorprende in entrambi quest'ultimi due studiosi è il fatto che con la loro lezione i casali conquistati da Ruggiero il Normanno diventano dieci in aperto contrasto con  la premessa del MALATERRA che parla di ben undici castelli agrigentini presi all'arabo CHAMUTH: una contraddizione che andava per lo meno giustificata. Come si vede un gran pasticcio e ci scusiamo se l'averlo qui accennato può essere apparso pedante e tedioso. Ma è l'unico proba‑bile appiglio ad una fonte storica delle origini del toponimo RACALMUTO. Alla fine della  fatica, vien però da domandarsi se sia proprio importante trovare  un antico toponimo da assegnare alla storia della nostra terra.  [ed ora aggiungiamo che alla luce di atre nostre ricerche questa è una lezione che abbamo del tutto abbandonata. Noi ne siam certi, Racalmuto sorde e viene denominata alla fine dell’XII secolo. Invero il oponimo già esisteva. Era attribuito ad una località di Sottana , ad un locale convento di Basiliano). Che questi si siano insediatia nache a Racalmuto, magari presso i convento di an Benedetto e si siano partati dietro quel toponimo ben documentato dal Cusa? Noi pensiamo di s, ma esta nostra singola non autorevole congettura. Ai migliori di noi l’ardua sentenza).  

        

Il Malaterra quindi completa l’elenco con Biifara, Micolufa, Naro, Caltanissetta, Licata, Ravaenusa.  A completamento del discorso sui toponimi svolto prima, riportiamo il commento  dell'AMARI nella sua STORIA (pag. 177, n. 1): I nomi delle castella prese nella provincia di Girgenti, sono tolti dal Malaterra, correggendo alcun evidente errore del testo. Rimane dubbio il suo [1]Racel[1], che ho trascritto sicuramente in Rahl (stazione), ma vi manca il nome che dee seguire per determinare quella appellazione generica, il qual nome io non saprei indovinare tra i moltissimi Rahl di quella provincia. Credo avere bene letto Ravanusa il Remise (variante Remunisse) del testo, poichè‚ MICOLUFA sorgea presso Ravanusa. Del resto Simone da Lentini, autore del XIV secolo, il quale copiò Malaterra nel  suo libro 'La conquista di Sicilia' recentemente uscito alla luce (Collezione d'opere inedite e rare, Bologna 1865, in -8),dà otto soli nomi degli undici, dicendo non avere ritrovato gli altri ne' testi; ed un ms. della stessa opera, appartenente alla Bibliothéque de l'Arsenal in Parigi (Ital. N. 68) ne dà sette  soltanto: Platani, Musan, Guastanella, Catalanixetta, Bosolbi,  Mocofe, Ciaxo 'e li altri, aggiunge, non so chi si fusseru e non si canuxirianu, ect.). Intorno i nomi non si trovano nella lista odierna de' Comuni di Sicilia, vi vegga il Dizionario Topografico dell'Amico e l'Indice che io ho messo in fine della 'Carteomparée de la Sicile, [1859], Notice'.

L’Amari così continua la sua storia dei Musulmani:  Ruggero “talché occupava tutto il paese dalla foce del fiume Platani a  quella del Salso ed a Caltanissetta, di che ei compose non guari dopo, con qualche aggiunta la Diocesi di Girgenti, ed or vi risponde tutt'intera la provincia di questo nome e parte della finitima di Caltanissetta.

La moglie e i figlioli dell'Hammudita caduti in suo potere, tenne Ruggiero in sicura e onorata custodia: pensando, così nota il Malaterra, che più agevolmente avrebbe tirato quel principe agli accordi, con servare la sua famiglia illesa da tutt'oltraggio.” ( Cfr. Michele [1] AMARI[1] - STORIA DEI  MUSULMANI DI SICILIA, Catania 1937, Vol. III, parte prima, pagg. 174, ss. Nel trascrivere il CHAMUTH del MALATERRA in HAMMUD, l'AMARI annota [nota 1 di pag. 175]: la [1]h[1], sesta lettera  dell'alfabeto arabico, fu resa per lo più, sino ad uno o due   secoli addietro, con le lettere latine [1]ch[1]; e il [1]d[1], ottava lettera, più spesso con una [1]t[1] che con una [1]d[1]. L'anonimo ha HAMUS [cioè ANONIMO, presso Caruso, Bibl. Sic. pag. 855].

 

Sapendosi dalla storia che Chamuth, fatto cristiano con tutta la famiglia, rimase sotto il dominio del conquistatore, possiamo ben identificare il casato con quello di Ruggiero HAMUTUS, già  proprietario di certi beni che Federico II concedea nel 1216  alla chiesa di Palermo (Diploma presso Pirro, Sicilia Sacra, p. 142) e dell'Ibn Hammud, ricchissimo signore che Ibn GUBAYR vide in Sicilia nel 1185. Questo nobil uomo poteva essere nipote o bisnipote del regolo di Castrogiovanni. Sapendosi ch'ei portasse il soprannome d'Abù al Qàsim, sembra anco il Bucassimus, celebre  per brighe alla corte di Palermo, ne' primordi del regno di Guglielmo il Buono. Ancor oggi, alcune nobili famiglie siciliane vantano discendenze da quel ceppo Hammùdita. Trattasi  dei nobili NICASIO di BURGIO. Impietoso l'Amari contro il libello di Nicasio Burgio, conte palatino XXIII intitolato “Ladiscendenza di Achmet” ultimo potente ammiraglio fra i Saraceni  dominanti in Sicilia, rappresentato in questo medesimo luogo dalla chiarissima famiglia Burgio. pubblicato a Trapani nel 1786. Indulgente il NALLINO che nella stessa nota si dilunga accogliendo le precisazione di una nobildonna di quella famiglia. Costei segnala che i primogeniti della casata Burgio continuano a chiamarsi ACHMET, ( ad. es. ACHMET RUGIERO NICASIO BURGIO, principe di Aragona e di Villafiorita, di Palermo).

Per quel che ci riguarda, un'ipotesi potrebbe avere qualche fondamento. Tra i beni del citato Ruggiero HAMUTUS poteva esserci qualche signoria sul diruto castello di Racalmuto, un tempo appartenuto al nonno, o bisnonno, CHAMUTO. Ma trattasi di congettura che lascia il tempo che trova [e che noi abbiamo del tutto abbandonato come una delle tante cervellotiche congetture che si continuano a contrabbandare per questo paese che essendo di Sciascia dovrebbe essere rigoroso nella ricostruzione delle proprie origini.]

        Il racconto del MALATERRA ([1]l*@4pD?3[1]l*@4H     3     Trascriviamo 

        qui per eventuali cultori delle fonti l'intero passo latino 

        della cronaca del Malaterra: ® Comes ergo Rogerius, omnes 

        potentiores Siciliae a se debellatos gaudens, et nemine, excepto 

        CHAMUTO, seper‑stite, ad hoc assidua deliberatione intendit, ut 

        ipso circumveniendo debellato, omnem sibi de caetero Sici‑liam 

        subdat. Unde, exercitu admoto, ipso apud Castrum-Joannis 

        immorante, uxorem eius ac liberos apud Agri‑gentinam urbem 

        obsessum vadit, anno Dominicae Incarnationis millesimo 

        octogesimo sexto [l'AMARI corregge in 1087], prima die Aprilis, 

        quam undique exercitu vallans, diutina oppressione lacessivit; 

        studioque machina‑mentis ad urbem capiendam apparatis, tandem 

        vicesimaquinta die Julii viribus exahusta, imminentibus hosti‑

        bus, patuit: uxor Chamuthi, cum liberis, Comitis inventa est 

        captione. Comes itaque, pro libitu suo positus, uxorem Chamuti, 

        omni dehonestatione prohibita, suis custodiendam deliberata, 

        sciens Chamutum sibi facilius reconciliari, si eam absque 

        dehonestatione cognoverit tractari. - Urbem itaque pro velle suo 

        ordinans, castello firmissimo munit, vallo girat, turribus et 

        propugnaculis ad defensionem aptat, finitima castra 

        incursionibus lacessens ad deditionem cogit. Unde et usque ad 

        undecim aevo brevi subjugata sibi alligat, quorum ista sunt 

        nomina: Platonum, Missar, Guastaliella, Sutera, [1]Rasel[1], Bifar, 

        Muclofe, Naru, Calatenixet, quod, nostra lingua interpretatum, 

        resolvitur Castrum foeminarum, Licata, Remunisce.¯ [Le lezioni 

        dei nomi sono molte e spesso fortemente differenziate. Chi 

        volesse averne completa conoscenza, deve  consultare l'edizione 

        del PONTIERI, varie volte citata, pag. 88 e ss. A parte RASEL, 

        che ovviamente abbiamo seguito con puntigliosa attenzione, per 

        il resto abbiamo scelto alquanto liberamente, intendendo 

        privilegiare le lezioni che maggiormente si avvicinassero ai 

        toponimi di Platani, Muxaro, Guastanella, Sutera, Racalmuto, 

        Bifara, [1]Milocca[1] (?!), Naro, Caltanissetta, Licata e Ravanusa.]

.CW12

        ?[1]4pDl*@)fornisce altri dettagli sulla sorte  3[1]P(p della  

        famiglia di CHAMUTO che credo non abbiano nulla a che spartire 

        con le vicende del nostro paese. Caduto in un tranello 

        dell'astuto Ruggeri, per salvare moglie e figli, si arrende e si 

        fa cristiano. ® Chamut - precisa Malaterra - enim cum uxore et 

        liberis christianus efficitur, hoc solo conventioni inperposito, 

        quod uxor sua, quae sibi quadam consanguinitatis linea conjunge‑

        batur, in posterum sibi non interdicetur¯ .  In altri termini, 

        CHAMUTO si fa cristiano con moglie e figli alla sola condizione 

        che non gli fosse tolta la moglie, alla quale peraltro era 

        legato da vincoli di parentela. Poi non gli resta che far 

        fagotto per MILETO in Calabria. Un indice di come quei rudi 

        normanni, guer‑rieri e bigotti, imponessero gi… la conversione 

        agli arabi vinti. E qui siano in presenza di quelli nobili. 

        Quelli ignobili e contadini - come dovettero essere i paesani 

        dei castelli agrigen‑tini conquistati, poterono forse 

        risparmiarsi l'onta di una abiura religiosa. Ma restando 

        musulmani furono ridotti ad una sorta di schiavit— , tartassata 

        ed angariata. E tale sorte pianse‑ro per secoli gli antenati 

        nostri di Racalmuto. ® DIMMA, GESIA [o GIZIA], AGOSTALE, ALIAMA, 

        ALGOZIRIO, JOCULARIA, ANGARIA, CABELLA, SECRETO, BAJULO, 

        CATAPANO, CENSO, TERRAGGIO, TERRAGGIOLO etc.¯ , sono termini che 

        sanno di tasse, soprusi, discriminazioni, anghe‑rie, iattanze, 

        arroganza del potere. Sono la lingua  degli uomini del potere  

        che parlano forestiero ma si servono di disponibili figuri 

        locali, ammessi nella loro congrega. E si fanno da padrini nei 

        battesimi, da compari nei matrimoni, in certa familiarit… a 

        danno e scorno degli altri, degli esclusi, del popolino basso e 

        villano. Sono i nomi dell'impotenza, della rabbia e dello sfrut‑

        tamento perduranti sino ai giorni nostri. E l'impareggiabile 

        Sciascia ne coglie gli umori e i malumori quali si aggrumavano 

        al CIRCOLO della CONCORDIA [rectius, UNIONE] negli anni 

        cinquanta. Chi non ha letto 'Le Parrocchie di Regalpetra'? (v. 

        p. 60 e 61 e per quel che riguarda l'argomento, la pag. 17).

        

        

        Il tremendo passaggio dalla libert… araba allo stato servile 

        alle dipendenze di vescovi esattori, santi per i fatti loro 

        eppure vessatori per il bene delle varie 'mense' della chiesa e 

        del canonicato agrigentino, lo si intuisce, lo si pu• 

        ricostruire ma non Š documentabile se non con le poche righe del 

        MALATERRA ([1]l*@4pD‑[1]3[1]l*@4H  3    Sul MALATERRA poche e scarne sono 

        le notizie. Goffredo MALATERRA fu dunque un cronista normanno 

        del esca. XI. Monaco benedettino a Sanie-Evreul-Ouche, pass• 

        nell'Italia meridionale e si stabil in Sicilia. Qui fu 

        incaricato dal gran conte RUGGIERO a scrivere la cronaca delle 

        gesta del Normanno. Il racconto si estende per quattro libri. La 

        sua opera Š variamente intitolata. La riedizione del Pontieri 

        (Bologna 1927), sopra ricordata, titola: ® De rebus gestis 

        Rogerii  .....   et Roberti Guiscardi¯ . [V. Enciclopedia 

        Treccani, o, per puntuali riferimenti, la prefazione dello 

        stesso E. PONTIERI].

        A corto di notizie, TINEBRA MARTORANA ricorre alle imposture 

        dell'Abate VELLA - e SCIASCIA vi indulge con un benevolo sorriso  

        p+30 - e alle frottole di un signorotto della fine del secolo 

        scorso, Serafino MESSANA.[v.pag. 40 n.18]  Son dunque fandonie 

        quelle di un governatore di RAHAL-ALMUT a nome AABD-ALUHAR, 

        servo dell'emi‑ro Elihir, diligente nel censimento del nostro 

        fantomatico Racal‑muto nell'anno 998; di una popolazione di 2095 

        anime [si pensi che nella seconda met… del XIV il solerte 

        arcivescovo Du Mazel contava per la curia papale di Avignone non 

        più di seicento anime nel nostro paese, abitanti in gran parte 

        in case di paglia 'pale‑arum']; e tutte quelle altre amenit… del 

        capitolo III e dintorni. Non sapremo mai dove don Serafino 

        MESSANA abbia preso l'aire per le  bubbole dei due giovani 

        saraceni messisi a strenua difesa di Racalmuto nell'aggressione 

        del gran conte Ruggeri, e del seguito che li vuole, dopo avere 

        inflitto gravi danni al nemico, notturni fuggitivi alla volta di 

        Licata. Ma invano, perchŠ furono l rag‑giunti ed uccisi dallo 

        stesso gran conte, nel frattempo imposses‑satosi e divenuto 

        signore di Rahal-Maut [v. p. 40]. Nulla di storico in quelle 

        pagine del Tinebra-Martorana, salvo le spigola‑ture sulle tasse e 

        sulla 'dsimmi' prese dal lavoro dell'avvocato agrigentino 

        Picone.([1]

 Evidente il supino recepimento di 

        quanto PICONE scrive a pag. 405 e ss. sulla 'dsimma' e sulla 

        'gezia'.

        I gravami, le violenze, le soggezioni, la morte, il pianto, la 

        paura, l'ignominia dell'invasione di Racalmuto nell'XI secolo vi 

        furono, ma solo l'immaginazione pu• ricostruire quelle scene di 

        panico e distruzione. I cronisti del tempo o ebbero il compito 

        di osannare il potente, come il Malaterra nei riguardi di 

        Ruggiero il Normanno, o erano poeti arabi di altri luoghi che 

        non ebbero occasione di tramandare echi, rimpianti o cenni sulla 

        devastata Racalmuto. Non abbiamo neppure il ricordo di quel nome 

        antico. Solo il [1]RACEL[1] del Malaterra, incerto e controverso.

        

        Eppure, furono giorni funesti: i normanni - cavalieri nordici, 

        possenti e biondi - erano famelici di vergini e di prede. La 

        Racalmuto contadina poco bottino potŠ farsi levare; ma le 

        vergini o le giovani mogli furono di certo ghermite da quei 

        predatori dagli occhi cerulei e dai capelli chiari. Ed il misto 

        di razze, di figli nerissimi e saraceni e di figli longilinei e 

        di vezzoso colore, ebbe da allora inizio per durare fino ai 

        nostri giorni, inevitabilmente.

        

        Michele AMARI non ebbe in simpatia il nostro CHAMUTH - quello a 

        cui ci sembra debba ascriversi il toponimo di Racalmuto - e lo 

        descrive come fellone, vile e rinnegato. Prende spunto dal Mala‑

        terra, ma ne stravolge senso e giudizi:

        

        [1]l*@4pD® E veramente - scrive l'A. a pag. 178 della sua Storia dei 

        Mussulmani - [1]Ibn Hammud[1] si vedea chiuso d'ogni banda in 

        Castrogiovanni; occupata da' Cristiani tutta l'Isola, fuorch‚ 

        Noto e Butera; potersi differire, non evitar la caduta; n‚ egli 

        ambiva il martirio, n‚ i pericoli della guerra, n‚ pure i disagi 

        della gloriosa povert… . Ruggiero fattosi un giorno con cento 

        lance presso la r“ cca, lo invitava ad abboccamento; egli scendea 

        volentieri ed ascoltava senza raccapriccio i giri di parole che 

        conducevano a due proposte: rendere Castrogiovanni e farsi 

        cristiano. Dubbi• solo intorno il modo di compiere il tradimento 

        e l'apostasia, senza rischio di lasciarci la pelle: alfine, 

        trovato rimedio a questo, accomiatossi dal Conte, il quale se ne  

        p33pP[1] tornava tutto lieto a Girgenti. N‚ and• guari che il 

        Normanno con fortissimo stuolo chetamente si avviava alla volta 

        di Castrogiovanni; nascondeasi in luogo appostato gi… con 

        musulmano; e questi fatti montar in sella i suoi cavalieri, 

        traendosi dietro su per i muli quanta altra gente potŠ , quasi a 

        tentar impresa di gran momento, usc di Castrogiovanni, li men 

        diritto all'agguato. E que' fur tutti presi; egli accolto a 

        braccia aperte. Allor muovono i Cristiani alla volta della 

        citt… ; la quale priva dei difensori pi— forti, si arrende a 

        parte, e Ruggiero vi pone a suo modo castello e presidio. Ibn 

        HAMMUD poi si battezz• , impetrato da' teologi del Conte di 

        ritenere la moglie ch'era sua parente, n‚ gradi permessi dal 

        Corano, vietati dalla disciplina cattolica. Ma non tenendosi 

        sicuro de' Mussulmani in Sicilia, n‚ volendo che Ruggiero pur 

        sospet‑tasse di lui in caso di cospirazioni e tumulti, il cauto e 

        vile 'Alida chiese di soggiornare in terra ferma; ebbe da 

        Ruggiero certi poderi presso Mileto e quivi lungamente visse 

        vita irreprensibile, dice lo storiogra‑fo normanno.¯ [1]4pDl*@

        

        

        Di quei cento lancieri al seguito di Ruggiero per la consunzione 

        di una resa proditoria e vile, quanti erano stati prima a Racal‑

        muto (la RACEL del Malaterra) a seminare terrore, violenza e 

        morte? A RACEL vi era certo un castello (o entrambi i due 

        castel‑li: il Castelluccio e quello di piazza Castello); vi era 

        una guarnigione di arabi sognatori e disattenti; non erano 

        eroici guerrieri e comunque erano pochi. Piombarono i cento 

        lancieri di Ruggiero da Girgenti, li soppressero e si sparsero 

        per il casale e per le campagne a razziare e violentare. I 

        lancieri erano soprattutto predoni.

        

        L'Amari Š aspro nei giudizi contro il capo degli arabi, CHAMUTH. 

        Ma costui aveva gi… moglie e figli in mano dei Cristiani a Gir‑

        genti. Il Malaterra, monaco benedettino, intorbidisce ancor pi— 

        la sua non chiara prosa per mettere un velo pudico alle insane 

        voglie dei predatori suoi compaesani. Costa fatica al Conte Rug‑

        gieri non far violare la sua eccellente prigioniera. E noi qual‑

        che dubbio l'abbiamo sull'effettivo successo dell'iniziativa del 

        Normanno. I suoi sudditi erano irrefrenabili. Anche lui del 

        resto si era gi… macchiato di molte ignominie, specie in  

        giuvent— . Il suo biografo ufficiale che pure Š chiamato 

        all'osanna del suo committente, ne sente tante a corte da 

        inorridire, fors'anche per la sua mentalit… claustrale. Ed 

        allora la sua settaria cronaca si lascia andare a pesanti 

        giudizi morali contro i suoi.

        

        Quando, per• , si tratta di cose militari, il candido monaco 

        crede alle esagerazioni dei vecchi soldati del Conte. Le forze 

        del nemico - naturalmente sconfitte - si accrescono a dismisura; 

        quelle amiche e vittoriose si assottigliano contro ogni logica 

        ed attendibilit… . L'AMARI, tutto preso dalla simpatia per i 

        musulma‑ni, sbotta e sentenzia che nelle cronache del monaco 

        Malaterra, le cifre sulle forze musulmane vanno divise per otto 

        ed, invece, vanno moltiplicate per otto le cifre che riguardano 

        le forze normanne, quando vincono.

        

        Eppure il Malaterra resta sempre cronista piuttosto attendibile, 

        come dimostra il PONTIERI nell'opera citata. I tanti episodi 

        cruciali della conquista della Sicilia da parte delle orde nor‑

        manne, tra i quali quelli relativi all'assalto della fortezza di 

        Racalmuto (o Racel), hanno una sola fonte storica che Š la 

        crona‑ca del Malaterra. Questo monaco non sempre Š stato 

        testimone oculare. Ormai avanti negli anni, Š onorato ospite 

        della corte di  p73 Ruggiero il quale ormai si ammanta dei fregi 

        regali, anche se non dismette il suo nomadismo ereditato dagli 

        avi vichinghi. Ascolta le fanfaronate dei decrepiti Veterani del 

        Conte. Vantano ora i galloni di generali, si fanno chiamare 

        baroni, si sono arricchi‑ti, hanno possedimenti in Sicilia, ma 

        restano i rudi vandali, incolti ed immorali della loro 

        avventuriera giovinezza.

        

        Il Malaterra ode nefandezze che gli mettono il disagio morale. 

        E' fervente cristiano, di buona cultura ecclesiastica. Scrive, 

        esalta il Conte; indulge, per• , al suo moralismo ed ama moraleg‑

        giare chiosando gli eventi con citazioni bibliche e religiose.

        

        Abbiamo visto l'AMARI irridere a CHAMUTH. Lo ha fatto alla luce 

        degli incisi moraleggianti del Malaterra. Il giudizio sul padre 

        del toponimo - almeno secondo noi - di Racalmuto va corretto 

        leggendo pi— spassionatamente la cronaca del benedettino.

        

        Questi dice che il Conte Ruggiero aveva gi… debellato tutti i 

        potenti di Sicilia, eccetto Chamuto. La voglia di annientarlo 

        era tanta ma l'impresa non era agevole e ci• costituiva un 

        cruccio per il Normanno. Ruggiero ne fa un suo pensiero fisso; 

        sa per• che non Š sul campo che pu• avere ragione del musulmano. 

        Pensa, quindi, a batterlo con l'astuzia e l'inganno. L'ablativo 

        assoluto adoperato dal Malaterra Š efficace: ® ipso 

        circumveniendo debella‑to¯ . Lo si pu• debellare solo circuendolo. 

        Chamuth allora non Š l'imbelle che ama descrivere M. Amari. Per 

        vincere il Saraceno, il conte Ruggiero assalta l'impreparata 

        Girgenti ove sa che dimorano moglie e figli di Chamuth. Prende 

        la citt… , la fortifi‑ca. Principalmente si preoccupa della sorte 

        della moglie di Chamuth. Questa viene sottratta da ogni 

        ® dehonestatione¯ e viene messa sotto diretta tutela del conte 

        normanno, il quale Š consa‑pevole che in tal modo il Saraceno pu• 

        venire ricattato ed essere facile preda del nemico. Il conte 

        Ruggiero Š proprio ® sciens Chamutum sibi facilius reconciliari¯ , 

        afferma il Malaterra; ci• equivale a dire che cos sarebbe stato 

        più facilmente soggiogabi‑le.

        

        Per fare terra bruciata attorno al nostro  Chamuto, tocca ad 11 

        castelli l'ignominia delle scorribande dei lancieri di Ruggieri. 

        Alla nostra Racalmuto Š dato assaggiare le moleste attenzioni 

        dei normanni, come ai citati e sicuri Platani, Naro, 

        Guastanella, Sutera, Bifara, Caltanissetta e Licata o agli 

        incerti Missar, Muclofe e Remise.

        

        Se poi il Chamuto si arrese, non ci sembra proprio che tutto sia 

        da imputare al suo essere un flaccido uomo d'armi. E se anche 

        fosse stato, questo non ci pare un grande demerito.

        

        Lo stesso Amari nella nota di pag. 179 della sua Storia dei  13 

        Musulmani in Sicilia integra, e corregge, le sue impressioni 

        (33[1]l*@4H  3     L'Amari cita prima le fonti: ® Malaterra, lib. 

        IV, cap. 6; Anomimo, presso Caruso, Biblioteca Siciliana, p. 

        855.¯ e quindi aggiunge: ® Secondo fra Corrado, op. cit., pag. 

        48, Castrogiovanni e Girgenti furono occu‑pate nello stesso anno. 

        Ma ci• non Š detto precisamente dal Malaterra; n‚ citato l'anno  

        dell'avvenimento, il quale, secondo la serie dei fatti narrati 

        dallo stesso cronista, tornerebbe al 1087, ovvero ai primi mesi 

        del 1088.  Gli ARABI pongono la resa di Castrogiovanni nel 484, 

        tre anni dopo quella di Girgenti (1088-89)  e le fecero cedere 

        entrambe agli orrori della fame: [1]Ibn al-ATIR, Ab– al-FIDA, 

        an-NUWAYRI e Ibn AbŒ DINAR,[1] nella 'Biblioteca Araba-Sicula', 

        pag. 278, 414, 448, 534 [trad. I, 499, e II, 99, 145, 287

 

[questo è un vecchio mio scritto, redatto con vetusto programma di videoscrittura. Fino ad un certo punto ho dato una limata. Poi mi sono stufato. Ripropongo il tutto così come mi risulta. Se qualcuno si scoccia, pazienza. Nella speranza che futuri ricercatori del prossimo secolo vorranno farmi le bucce, lascio così come ne dispongo a FUTURA MEMORIA, dato che diversamente da Sciascia sono convinto che il FUTURO delle cose storiche è solo memoria del passato]

MOZIONE D’ORDINE DEL SOCIO FERRARA MICHELE

 

Quanto andrò dicendo mi auguro sia preso nella debita considerazione dagli artifici di questo irricevibile bilancio - chiunque essi siano; ovunque essi risiedano; a qualsiasi centro d’interesse appartengano;   specie se espressioni di soci egemoni, impalpabili, romani, rivestiti fors’anche di veste quasi giuspubblicistica; che costoro abbiano l’accortezza di ritirare un documento improprio nell’impostazione, criptico nella delucidazione, carente nelle motivazioni, illeggibile nell’ordito numerico e via dicendo.

Spero anche che i soci di minoranza comprendano il vero gioco consumato da quello dominante e abbandonando le loro ripicche paesane si accingano - almeno in questa sede - a far valere le loro sacrosante ragioni, condizioni indispensabili per sensibilizzare finalmente le autorità tutorie, sinora prese da esigenze di tamponamento di malvezzi bancari territoriali.

Il bilancio che ci viene chiesto di approvare ha un taglio decisamente incomprensibile: nulla si spiega, nulla si dice a chiarimento di tavole e tavole di aridi numeri, men che meno ci vien fatto sapere perché all’improvviso si riesumano fatti e vicende di almeno un quinquennio prima e - divenuto il socio egemone padrone assoluto del consiglio di amministrazione, dopo il defenestramento o le dimissioni forzate dei pur remissivi esponenti della minoranza - si è inferto un colpo esiziale alle residue valenze patrimoniali dei soci minoritari. Non è qui il caso di rammentare che la Banca di Roma diviene all’improvviso padrona assoluta della Mediterranea senza conferire - o quasi - alcun apporto per consolidate plusvalenze della precedente azienda bancaria, benedicente - e stavolta a cuor leggere - l’organo tutorio. Beh! Ora ci viene addirittura chiesto di azzerare il “fondo soprapprezzo azioni” che noi soci di minoranza e noi soli abbiamo costituito, con solo nostri sudati - ed ora dispersi - capitali freschi, strafregandosi di tutti i divieti per conflitto d’interessi e rimettendo alla volontà dittatoriale del socio egemone la decisione dissolvitrice del patrimonio altrui, senza contemplare gli ostacoli anche giuridici che vi si contrappongono. Sapremo noi soci di minoranza difenderci almeno in questo? Per le ragioni che svolgerò dopo? O la voglia di consumare vendette per vetuste beghe personali avrà il sopravvento? Ma alla fin fine - anche se da solo -  credo che riuscirò a salvaguardare i diritti e le aspettative della minoranza.

Tre o quattro cifre sintetizzano la devastazione bancaria che con questo progetto di bilancio - frutto solo dell’inventiva dei rappresentanti del socio egemone - ci si propone addirittura di “approvare”, come se non si trattasse di manovre volte solo a nostro danno, a danno cioè dei soli, indifesi, modesti, potentini, maldestri soci, divenuti proprietari solo del 49% del derelitto capitale della banca - e prima eravamo il 100% e prima i soci di Pescopagano avevano addirittura diritti inalienabili di prelazione - soci retrocessi a comprimari per estranee intrusioni non sbaragliate a suo tempo per interferenze anche autorevoli.

Omnia consumpta! Tutto è consunto: con questo atto (non possiamo chiamarlo di pirateria, per non farci querelare) anche la residua parvenza di essere compartecipi di un’azienda bancaria s’intende dissolvere, consumare: senza renderci avvertiti di nulla, con schematiche incomprensibili note, con sottovalutazioni delle nostre ragioni, con misteriose alchimie contabili, con l’accennare e lasciar cadere la cosa, come si trattasse di cosa minima, scontata, vecchia e nuova a seconda delle convenienze. Artefice palese: un consiglio d’amministrazione evirato dei residui rappresentanti della minoranza; artefice occulto: estranei servizi studi e legali romani (dobbiamo pensare che si tratti di quel soggetto a cui il bilancio dedica un’intera pagina - la n.° 63 - praticamente vuota: un pensatoio romano che fa utilizzare i suoi consulenti, superpagati dalla banca dominata: leggere per credere un’arida posta: quella di pag. 56 “4.2 Composizione voce 80(b) ‘altre spese amministrative’ - (b) Competenze a professionisti esterni: L. 6.413.846.934; e non si è capito male: neppure l’anno prima si era scherzato ma per un miliardo e mezzo in meno; allora l’importo era stato : L. 4.914.115.300)”. I signori del progetto di bilancio si fossero degnati di fornirci un minimo di notizie: mistero assoluto, al contadino non far sapere quanto è buono il formaggio con le pere!)

Dicevano delle tre o quattro cifre strategiche del progetto di bilancio; eccole:

             - perdite di esercizio L. 129.954.978.671 (pag. 38);

             - sofferenze : L. 1.172/miliardi (contro L. 764/miliardi del precedente anno con balzo vertiginoso del 53,40% - vedi pag. 14);

             - partite incagliate ancora per L. 191 miliardi, nonostante i massicci ed improvvidi passaggi a “sofferenze” (pag. 15);

              - devastanti ammortamenti in conto delle sofferenze: L. 186,3 miliardi (vedi fra l’altro pag. 4: voce 120 “rettifiche di valore su crediti e accantonamenti per garanzie e impegni” voce senza dubbio sibillina, non meglio chiarita e che ha avuto questa evoluzione: fine ’97: L. 186.269.955.469.=; fine ’96: L. 87.752.777.851; variazioni + (più) L. 98.517.177.618; incremento del 112,27%.)

Sono cifre buttate lì, nel progetto di bilancio, che sconvolgono ogni logica di economia d’azienda; che vanificano i patrimoni del soci minoritari; che - per converso - lasciano integra la partecipazione del socio dominante che potrà alienare ogni cosa senza nulla perdere (aveva potuto acquistare o sottoscrivere cinque anni prima a L. 8.000, al valore cioè che ora - dopo cinque anni - viene canonizzato anche contabilmente. Conflitti d’interesse a non finire; obbligo di astenersi, per lo meno, dalle decisioni per nulla ottemperato ( e si è sicuri che non si vorrà neppure in questa sede rispettarlo: ma uomo avvisato è mezzo salvato); scivolamento nelle ipotesi degli articoli del 2446 codice civile, 2447 c.c. e 2448, sub 4), senza preoccuparsi minimamente di attivare almeno le procedure indifferibili previste (e anche qui lungi da noi ogni intento intimidatorio; solo un preannuncio di difese a salvaguardia delle nostre ragioni di soci conculcati); omissione di ogni adeguato chiarimento sia in sede di relazione generale sia in sede di doverosa esplicazione di sibilline poste contabili.

Si pensi ad un fatto di esplosivo monito: senza eventi imprevisti ed imprevedibili, senza ragioni inopinatamente sopraggiunte, senza deterioramenti repentini dell’ordinario operarato bancario (del tipo di colossali malversazioni da parte di dipendenti infedeli), la Banca Mediterranea,  che nel 1997 il suo modesto ruolo di azienda creditizia era riuscita a svolgerlo per merito esclusivo della pur numerosa e subalterna compagine impiegatizia, precipta da un risultato positivo ad una catastrofica perdita d’esercizio: dalle L. 2.115.023.261.= di utile del 1996 si finisce nel baratro di una perdita d’esercizio di L. 129.954.978.671.= (vedasi a scanso di equivoci la pag. 4 del progetto di bilancio). Il deterioramento reddituale del 1997 è stato dunque di L. 132.070.001.932.= e - secondo quello che gli anonimi redattori del progetto di bilancio ci segnalano in asettica e quasi irreperibile cifra contabile - ciò ha significato un crollo gestionale del - udite, udite - 6.244,38%, parametro tanto inconsueto, tanto spaventevole, tanto abissale che avrebbe dovuto spingere i responsabili - alla fine tutti portavoce del solo socio dominante - a quintali di giustificazioni e di chiarimenti e di ragguagli e di informazioni tecniche e di spiegazioni giuridiche, e di lezioni di tecnica bancaria, e di   altro ed altro ed altro ancora. Ed invece nulla, o pressoché nulla - visto che quello che si dice, cripticamente, innocentemente, sa di scarica barile. Ci dicono di banca “appesantita da pregressi consistenti crediti problematici” (pag. 1); ci informano che - non in questo esercizio - ma “negli anni più recenti [sono state fatte] onerose svalutazioni di bilancio” (pag. 1); che ciò è avvenuto “in un contesto congiunturale particolarmente depresso” (pag. 1); hanno voglia persino di volerci far credere che la banca avrebbe mantenuto “una capacità reddituale che ha permesso di generare nell’esercizio 1997 un risultato della gestione positivo per oltre 70 miliardi e di perseguire uno sviluppo...” (sì, proprio così!). Ma subito dopo - ignorando la più elementare regola di logica che non ammette che al contempo si affermi il contrario “per la contraddizion che non consente” - veniamo tutti noi soci subalterni gabbati dovendo credere loro che “noti fenomeni di deterioramento della qualità del credito hanno determinato anche in questo esercizio un pesante fardello sul citato margine lordo di gestione, abbattendo e producendo un risultato dell’esercizio ancora insoddisfacente, corrispondente ad una perdita di circa 130 miliardi. (a pag. 1) ” E, no, cari signori, redattori del progetto di bilancio, qui proprio non ci siamo.

 Voi dite: “noti”. Noti a chi? Noti perché? Notificati quando? Con quali modalità. Non è un fatto gestionale di poco conto, un fatto interno, un fatto che non pregiudichi gli interessi legittimi dei soci di minoranza, un fatto che non metta in frizioni le ragioni contrapposte del socio egemone con  quello dominato, non è un fatto coperto dal segreto aziendale o di altra natura. Dovete qui risignificare - invero si tratta solo di informare  sarebbe informazione per la prima volta esternata - questa pretesa notorietà.

“Fenomeni di deterioramento della qualità del credito”, voi dite. Ma verbigrazia vi volete spiegare. Si deteriora qualcosa che una volta era buona: Si deteriora qualcosa perché malconservata. Si deteriora qualcosa perché non si sa gestirla. Si deteriora qualcosa perché, per mille inconfessabili motivi, la si vuol deteriorare, perdere. Volete essere più chiari? Dovete esserlo. Qui è in gioco la sopravvivenza della banca, almeno la sopravvivenza delle partecipazioni minoritarie. Al socio egemone può fare comodo rimpinzare di riserve, se non occulte, di sicuro potenziali questa nostra banca; lasciare un residuo barlume di consistenza patrimoniale che giustifichi la partecipazione al valore di L. 8.000  nel bilancio bancario del socio dominante; vendere a terzi quell’interessenza - magari esteri e meglio ancora se esterovestiti e meglio ancora se con capitali da riciclare - a prezzi di affezione; creare le premesse per un successivo azzeramento del capitale sociale per l’estromissione dei soci dominati e ciò in vista di una ricostituzione del capitale sociale cui non potranno accedere i soci dominati per inidoneità finanziarie e di una locupletazione degli speculatori esteri (cui gratuitamente accederanno le riverse potenziali per sovrabbondanti ammortamenti delle sofferenze). Non è così? Chiarite; rasserenate i soci di minoranza, informate e soprattutto astenetevi dalle improvvide politiche di occultamento di utili con massicce e ingiustificate rastremazioni dei crediti.

Solo ora, solo “in questo esercizio - voi dite - [si è determinato] un pesante fardello sul citato margine lordo di gestione”. Tutto qui? Non volete precisarci natura, tempi, modalità, responsabilità, inadempimenti, azioni ed altro che diano senso al vago ciarlare di “pesante fardello”. Quella vostra deve essere una relazione informativa - e nel caso altamente giustificativa - e non può risolvere in un esercizio letterario, persino di cattivo gusto. A noi sembra oltremodo reticente quel discreto accenno a politiche dissennate e dispersive del patrimonio bancario. A pagare, ora, siamo noi; solo noi soci di minoranza. Non potete negarci anche la magra soddisfazione di sapere. Pensate un po’, è una soddisfazione che è obbligo di legge. Pensate un po’ che nella vostra situazione di espressione - palese - degli interessi del socio dominante, per di più imbrigliato nelle secche di socio-società con azioni quotate in borsa ( e chi sa di leggi recentissime sull’OPA e c. capisce bene), avete più di un motivo di andare cauti, di astenervi da decisioni in conflitto d’interessi, di essere schietti e sinceri fino all’autocrocifissione. Altro che limitarvi ad una fraseologia circospetta e quasi da padri gesuiti. Scarna - questo sì  - ma assolutamente inadeguata.