sabato 22 dicembre 2012

fra Diego la Matina , Sciascia e l'ex prete


Ci si mette pure il Corriere della Sera , nella sua terza pagina " Ecco la vera Morte dell'Inquisitore " , ad ingarbugliarci  la veridica storia di Racalmuto e a martorizzare la memoria di un nostro esemplare compaesano del Seicento il chierico Diego La Matina. 
Si dirà: ma ci sono le nuove carte scoperte dal prof. Russi Sciuti.   Sì, vero; ma quelle carte che dicono?  che un tale manigoldo sedicente diacono a nome Diego La Matina riesce a farsi dichiarare di precaria salute nel carcere del Sant’Ufficio (udite, udite), marca visita, insomma,  e quella terribile istituzione gli passa subito cibo speciale, mica stupidaggini, no: galline giornaliere (forse cotte nell’acqua e forse spennacchiate , ma sempre galline erano) e per tenere sù il malconcio trentenne gli danno anche la “sangria”. Forse l’amanuense è spagnolo e chiama sangria del vino comune, ma sempre vino dispensato in carcere, è. Il carcere, secondo il mio amico Piero Carbone non è del “Sant’Ufficio”; io non c’ero e non so nient’altro che quello che leggo anche in Sciascia: quel carcere lo rievoca per esserci morto bruciato (per un incendio fortuito) il grandissimo poeta dialettale Veneziano.    Le carte di Russi Sciuti sono carte contabili: registrano il resoconto diligente e puntuale delle spese carcerarie. Siamo nel Seicento e quello che non mi pare si faccia molto bene nella Ragioneria comunale di Racalmuto ove i conti son tanto rappresi che rivenendo dal passato debiti abnormi non documentati, pietosamente commissari della speciale Corte dei Conti siciliani, per non mettere in fallimento il Comune li spalma per i prossimi dieci anni come se si trattasse di una società di calcio mettiamo di un magnate del calibro di Berlusconi: e per dieci anni ancora gli sperperi dei padri li pagheranno con lacrime e sangue gli innocenti figli racalmutesi. Ma perché tanta diligenza nei resoconti carcerari panormitani? Pensiamo perché qualcun altro pagava e voleva  fare il debito controllo di “legittimità”. Mica allora era come per l’attuale fallito aeroporto di Racalmuto!
E così noi pensammo che il munifico dispensiere del criminale diacono racalmutese potesse essere il conte Giovanni del Carretto che se ne stava tronfio a Palermo a complottare contro il re di Spagna così per gioco o per noia. Ma si dà il caso che quel dissennato conte finì lui sulla forca non scappando in tempo come gli altri suoi sodali più furbi e di maggior  grado; quindi negli anni delle vivande a base di gallina e  sangria i fondi non potevano venire dal conte Giovanni del Carretto perché questo era stato giustiziato già nel 1650.
Allora abbiamo pensato che potesse esserci lo zampino del medico Alaimo di nome Marco Antonio.  Era di casa fra i gesuiti e quelli contavano tanto. Non è vero che fosse protomedico , ma il numero due lo era e poi aveva testimoniato inventando miracoli (invero comici) per far beatificare il padre La Nuza di Licata. Il processo resta là, negli archivi segreti vaticani, in sospeso perché dopo che l’ufficio d’oltre Tevere ebbe tanti quattrinelli bloccò ogni cosa perché si trattava di un figlio illegittimo e di un consacrato al Signore, anche se spagnolo molto nobile. Marco Antonio Alajmo – racalmutese  puro sangue – una qualche parola propiziatoria poteva bene spenderla per questo suo compaesano e poteva fare un falso certificato medico per fargli avere i benefici di legge, visto che poi non era manco ostativo  come il mio caro amico Alfredo Sole.
Ma era racalmutese davvero quel dannato là – fuoriuscito e scorridore di campagna; malvagio, heretico formal, reincidivo, homicida, superstizioso, malefico, temerario ,empio; e di non udite malvagità che per modestia si tacciono (nefando, insomma, come dire alla romana ‘rricchione); eretico non solo, e dommatista, ma di sfacciatissime innumerabili eresie svergognato, e perfido difensore; apostata, idolatra, blasfemo, malefico, superstizioso, eretico dommatista e sentina pestilentissima di più orrendi delitti – poteva essere davvero così un racalmutese che era stato cresciuto cristianamente e piamente da quella santa donna di Suor Francesca Randazzo, terziaria carmelitana in vecchiaia, che gira e rigira è mia antenata per linea materna?  Come racalmutese di prischissima data non ho poi tanta voglia di addossarmelo, specie in questi tempi, specie adesso che per decisione di una ministra socia onoraria del Circolo Unione ho la taccia di essere uno della congrega mafiosa infiltratasi ladronescamente nel Consiglio Comunale di Racalmuto.
E poi chi l’ha detto che quel lestofante là era racalmutese? Certo in un recentissimo libro – un libro intero –  un ex prete dubbi non ha; anzi accomuna anche i La Matina Calello tra i lestofanti del Seicento racalmutese (ma buon per lui che avvocati di grossissimo valore con quel rispettabilissimo cognome oggi hanno altre gatte da pelare che far querela per cose di quasi mezzo millennio fa).

Ormai è un coro unanime di gagliardi racalmutesi che si vantano di essere dello stesso lignaggio del monaco agostiniano finto diacono; mettono persino una tronfia lapide marmorea a fianco del celeberrimo stazzuni dei Martorelli.
E tutto perché Sciascia, calligrafico eccelso,  ma storico alquanto claudicante, ebbe a scrivere:  ‘Il tenace concetto: è detto bene. Bisogna convenirne: questo padre Matranga, che scrive da cane, la penna gli si affina, gli si fa precisa ed efficace, appena tocca della forza e resistenza di  fra Diego’.
Beh! Siamo sinceri: il Matranga non voleva dire quello che Sciascia gli vuol far dire. Per il Matranga, fra Diego era ”uomo veramente di sasso”, come dire uno che testardo più di un mulo si incanaglisce in una blasfema eresia. Tenace sta qui per pervicace, insolente, anche un po’ cretinetto “concetto”, semmai la penna al Matranga più che affinarsi si appanna.
Che i Racalmutesi siamo saccenti, tetragoni ad ogni verità che non ci aggrada, è cosa vecchia. Il mio amico Sole sta passando i guai sol perché beffardamente ha voglia di indossare ed ostentare alle guardie una maglietta con su scritto: Io amo l'Ergastolo
Leggo, deliziandomi in Fuoco nel mare, sempre di Sciascia, quanto riesce ad essere sfrontato un racalmutese immigrato a Roma: credo si tratti di un Lillo azzimato ganimede degli anni fine cinquanta, aggirantesi, dice Nanà, attorno a Chiesa Nuova e per noi gravitante nella famosa via di Governo Vecchio, fluente nell’ampia Piazza Navona da un albergo che va raccontato, l’albergo SOLE.
Il Matranga considera il La Matina nient’altro che un povero cocciuto. E Fra Diego al patibolo andò non per il suo “tenace concetto” ma per avere ammazzato, trucidato l’equivalente dell’odierno direttore di un carcere duro. Provate a strozzarlo e l’ergastolo non ve lo leva nessuno, e chi vive quella allucinante sventura afferma che l’ergastolo è venire giustiziato una volta al giorno finché vivi: il gusto di uno Stato sadico che ti fa vivere per una fine pena mai e così mandarti a morte infinite volte. Meglio la pena di morte. Una morte che giunge come pena una sola volta. Me ne scrive Alfredo e Cristo se ha ragione!
Non sono orgoglioso quindi di essere conterraneo di un frataccchiuni di “tenace concetto”. Ma chi dice che Diego La Matina era quel bambinello che “nella Chiesa dell’Annunziata di Racalmuto fu battezzato il 15 di marzo del 1622”? Diciamo subito che risultando a noi che quel bambinello era nato a lu chianu di li Strauli, dovette essere battezzato nella chiesa di San Giuliano per una strana ripartizione in due parrocchie di questo nostro paese natio. 
Ne abbiamo scritto a iosa, ma dopo che Sciascia diede l’anima a Dio. Rettifichiamo poi l’anno: era il 1621  e non 1622. Una copia in brutta ed una in bella non lasciano dubbi nell’archivio parrocchiale di Racalmuto.  Questa di Sciascia è dunque una ‘strammaria’ : Il padre Girolamo Matranga  .. ignorava questa storia: ché avrebbe saputo trarre brillanti considerazioni dal fatto che un parricidio, del servo verso il signore, era stato consumato  nel luogo e nel tempo in cui il parricida era nato.
E no, caro Nanà: il fatto cui alludi sarebbe avvenuto nel maggio del 1622 e Diego aveva già più di un anno. Non è per nulla poi certo che Girolamo del Carretto sia morto in quel giorno che tu scrivi; in Matrice l’atto di morte dice cosa diversa.
 Neppure sappiamo con certezza che sia stato un servo ad uccidere il conte: questo lo dice un altro frate che scrive (o trascrive male) in un cartiglio che si conservava nel grifagno avello del Carmelo «occisus a servo»; ma a nostro avviso è un travisamento di un originale che recitava «occisus a morbo». Lo desumiamo da tanti piccoli segni ma non siamo tanto saccenti da affermarlo con certezza: finché mancano carte specifiche, il silenzio mi si addice.
Tralascio altre faccende anagrafiche: me le riservo per altra occasione.
La grande occasione che ci stiamo trascinando sino a questo punto è che gli atti della Matrice  attestano la presenza a Racalmuto di un pio chierico, che regolarmente si è confessato e comunicato nella Pasqua del 1664 (dico milleseicentosessantaquattro, magari a rettifica di un mio precedente errore).  Quel chierico si chiamava Diego la Matina e non poteva essere altri se non quel piccolo La Matina battezzato nel 1621 e che a 15 anni scorrazzava a lu chianui di li Strauli. Non ci credete? smentite questa registrazione:

con accredito certo l’ex prete che avrebbe la pretesa di sbriciolare Sciascia in forza del testo di Sciascia. Del resto né l’ex prete (con supponenza) né Sciascia dicono cose esatte, manco a proposito del coetaneo (aveva cinque anni di più) il reverendo padre don Federico La Matina (Calello).  Dovremmo dilungarci e spiegare che lì il nefando fu un vescovo mons. Traina, personaggio che espunto dal Seicento e portato da Camilleri nel Settecento, avversa il Re di Girgenti. Davvero daremmo ragione ad un mio caro amico critico, il comunista con i baffetti Totò Sardo che teme che, andando di questo passo ,do “l’impressione di voler svolgere a tutti i costi il ruolo del bastian contrario e del saccente arrogante” giacché così finisco con “attirare su di me le antipatie di chi crede di possedere le chiavi della nostra microstoria”.  Sottoscrivo. Ed allora cosa faccio? Sapendo, me ne sto zitto. Spesso ci provo, ma non ci riesco.



giovedì 20 dicembre 2012

Il Circolo dei Galantuomini : La controversa questione del beneficio del Crocifisso.


Nell’intricata controversia giudiziaria del beneficio del Crocifisso di Racalmuto, i Savatteri vi entrano prepotentemente per due volte: nella prima, è attore il sac. Giuseppe Savatteri e Brutto, a ridosso dell’Ottocento; nella seconda un patetico personaggio: Giuseppe Savatteri, sposato con una Matrona. Siamo nell’ultimo quarto del secolo scorso. In entrambi i casi i Savatteri finirono soccombenti e gabbati. Ma procediamo con ordine.

La vicenda del beneficio del Crocifisso è lunga, tortuosa ed intrigante ed ha dato adito ad almeno un paio di complicate vertenze giudiziarie. Negli atti giudiziari dell’arciprete Tirone avverso i coniugi Giuseppe Savatteri e Concetta Matrona abbiamo la ricostruzione della provenienza di tali beni. Come risulta da un atto del 3 settembre 1659, la Confraternita del SS. Crocifisso di Racalmuto aveva diritto ad un canone di proprietà «primitivo veluti jus pheudi et proprietatis su terre della Menta e Culmitella». Trattavasi, in base a quel che si desume da altri atti, di un fondo di quattro salme e tumoli sei di terre ubicate nel feudo Menta, contrada Fico Amara, detta - secondo l’arc. Tirone - «in quei tempi Mercanti». Del resto aggiunge l’arciprete che «il nome di contrada fico amara e Mercanti andiede in disuso. Questa contrada prese nome di SS. Crocifisso.»
Non essendo stato pagato tale canone per più di un triennio, ed essendo state le suddette terre abbandonate, la confraternita del SS. Crocifisso esperì il diritto domenicale di avocazione del fondo per distruzione di migliorie, mancata corresponsione del canone ed abbandono delle terre dell’enfiteuta che era tal Giaimo Lo Brutto. Essa, pertanto, fu immessa nel pieno possesso delle cennate terre della Menta secondo il rito del tempo con atto notarile del 3 settembre 1659,  redatto innanzi a quattro testimoni.
Gli atti giudiziari tacciono sulle vicende che intercorsero tra il 1659 ed il 1767, un intervallo di tempo in cui si colloca la dotazione dell’Oratorio Filippino. Intanto non so su che cosa basi l’arc. Tirone il ruolo sostenuto dalla Confraternita del SS. Crocifisso. Di questa conosco il vago accenno contenuto nell’elenco della Giuliana della Curia Vescovile - voce Racalmuto, pag. 205 - che riguarda la «conferma della Conf.ta del SS. Crocifisso - reg.tro 1669-70, pag. 488».  
Ma qualche chiarimento lo troviamo in quest’atto del 10 ottobre 1648 del notaio Michelangelo Morreale. 
Trattasi della «recognitio pro Archiconfraternitate SS.mi Crucifixi contra Donnam Vittoriam del Carretto e Morreale». 
In esso la Del Carretto (del ramo collaterale dei locali conti) si obbliga di corrispondere  al 

«Rev. D. Joseph Thodaro .. uti procuratori venerabilis Archiconfraternitatis SS.mi Crucifixi fundatae in Ecclesia Sancti Antonii huius terrae Racalmuti .. uncias quinque red. ann. cens. et red.bus dictae Archiconfraternitatis cession. nomine Petri Piamontesio et alijs nominibus in scripturis debitas, et anno quolibet solvendas supra loco qui olim erat dicti quondam de Monteleone vigore contractus emphiteuci celebrati in actis notarij Nicolai Monteleone die XXIIIJ Maij XII ind. 1584 et contractus solutionis donationis et assignationis  in actis not. Simonis de Arnone die 31 aug. 1605 et aliorum contractum  in eis calendatorum.» inoltre «supradicta Donna Victoria .. solvere promisit .. seque sollemniter obligavit et obligat eidem de Thodaro dicto nomine pro se et pro successoribus in dicta Archiconfraternitate in perpetuum uncias centum quatraginta una p.g. tempore annorum decem in decem equalibus solutionibus et partitis anno quolibet facere numerando et cursuro a die date literarum Civitatis Agrigenti ... Et sunt uncias 141 in totalem complimentum omnium censuum decursorum annorum retropreteritorum enumerandorum ab anno 1608 usque et per annum presentem inclusive , ratione d. unc. quinque anno dictae Archiconfraternitate debitae super dicta vinea.»

Quell’arcicofraternita era dunque operante dentro la chiesa di S. Antonio e siamo nel 1648.
 Ne è procuratore il sac. d. Giuseppe Todaro che muore il 7 maggio 1650. 
Successivamente alla morte del sacerdote Todaro, si rinviene l’atto del 3 settembre 1659 di cui sopra; dopo dell’arciconfraternita si perdono le tracce e tutto fa pensare che si sia estinta: si spiega forse così perché, in un primo tempo i benefici di quel sodaliziom finirono all’Oratorio di S. Filippo Neri, per volere del Vescovo Rini.
Nel 1767 il vescovo Lucchesi Palli si ritrova vacanti quei beni dell’Arciconfraternita del SS. Crocifisso e con bolla dell’8 luglio 1767 li assegna al sac. D. Francesco Busuito. 
La ricostruzione di un successivo beneficiario, il sac. Don Calogero Matrona, fatta il 15 giugno 1870, è particolarmente vivace ed intrigante.

«Con Bolla di erezione in titolo dell’8 luglio 1767 - vi si legge fra l’altro - da Monsignor Lucchesi fu eretto nella Cappella del SS.mo Crocifisso dentro la Chiesa Madre di Racalmuto un beneficio semplice in adjutorium  Parochi di libera collazione da conferirsi a concorso ai naturali di Racalmuto con le obbligazioni di coadiuvare il Parroco nell’esercizio della sua cura, di celebrare in diverse solennità dell’anno nell’anzidetta Cappella numero trenta Messe, costituendosi in dote del beneficio taluni beni, che esistevano nella Chiesa senza alcuna destinazione, dandosene anche l’amministrazione allo stesso Beneficiale. Riserbavasi però il Vescovo fondatore il diritto di conferire la prima volta il beneficio, di cui si tratta, senza la legge e forma del concorso in persona di un soggetto a di lui piacimento.
«In seguito di che con bolla di elezione del 10 luglio 1767 dallo stesso Monsignor Lucchesi fu eletto per primo Beneficiale il Sac. Don Francesco Busuito di Racalmuto, allora Rettore del Seminario di Girgenti dispensandolo dall’obbligo del concorso, e dalla residenza, e facoltandolo ad un tempo a sostituire a di lui arbitrio un Ecclesiastico, per adempire in di lui vece le obbligazioni e pesi tutti al beneficio inerenti.
«Appena verificatasi tale elezione, come risulta da un avviso dato dal Parroco locale di quel tempo, dal Sac. Don Giuseppe Savatteri qual uno degli eredi e successori di D. Giaimo Lo Brutto di Racalmuto impugnavasi la fondazione e ricorrendo al Tribunale della Reggia Gran Corte Civile, otteneva lettere citatoriali contro il detto Reverendo Busuito, affine di rivendicare i fondi constituiti come sopra in dote al beneficio come appartenenti al suddetto Lo Brutto. Sostenevasi dal Savatteri che la Confraternita del SS.mo Crocifisso dentro la suaccennata Chiesa Madre percepiva onze cinque annue per ragion di canone enfiteutico sopra quattro salme di terre esistenti nello Stato di Racalmuto contrada Menta dotate alla moglie del suddetto D. Giaimo Lo Brutto dalla di lei zia D. Vittoria del Carretto, annuo canone destinato per legato di maritaggio di un orfana. Nel 1659 i Rettori della cennata Confraternita per attrarsi di pagamento del canone anzidetto e per deterioramenti avvenuti nei suddivisati fondi, unitamente all’Arciprete e Deputati dei Luoghi Pii senza figura di giudizio e senza le debite formalità giudiziarie s’impossessavano di quei fondi e melioramenti in essi fatti dal predetto Lo Brutto. Si credettero autorizzati a far ciò senza ricorrere alle procedure giudiziarie da un patto enfiteuco solito apporsi in simili contratti, in cui espressavasi, che venendo meno il pagamento o deteriorandosi il fondo fosse lecito all’Enfiteuta di propria autorità ripigliarsi il fondo enfiteuco, come tutto rilevasi dagli atti di possesso presso Notar Michelangelo Morreale di Racalmuto sotto il 3 settembre 13 Ind. 1659. Così postasi la Chiesa in possesso dei fondi, conosciutosi che pagate le onze cinque per legato di maritaggio ed i pesi efficienti, il resto delle fruttificazioni rimaneva senza destinazione, pensavasi dal Vescovo Monsignor Lucchesi per di esse fondare il beneficio anzidetto, che indi conferivasi al sopra indicato Sac. Busuito. Impugnavasi questo fatto dal sac. Savatteri e facevalo come sopra citare a fin di chiarirsi nulla la suddivisata fondazione. Ma il beneficiale frapposti buoni amici persuase il Savatteri a rimettere tutto al saggio arbitrio di S.E. Rev.ma Monsignor Vescovo di Girgenti, il quale tutto riponendo sotto lo esame dell’Assessore Canonico d. Nicolò A. Longe, fattesi varie sessioni inanzi a lui con l’intervento dell’arciprete di Racalmuto per parte del Beneficiale e di altra persona per parte del contendente Savatteri, dichiaravasi dall’Assessore nullo l’impossessamento dei fondi e riconosciuta evidentemente la usurpazione dei fondi fatta dalla Chiesa. Ma protrattosi a lungo l’affare, pria di definirsi pubblicavasi la prammatica della prescrizione del 22 settembre 1798, quindi il Beneficiale avvalendosi di tal legge non volle più fare ulteriori trattamenti della causa, né arrendersi alle pretensioni del Savatteri.

«Morto però il Beneficiale, il cennato Savatteri fece ricorso al Re e dalla Segreteria Reale abbassavasi biglietto alla Giunta dei Presidenti e Consultori per informare. Moriva intanto il Savatteri ed il di costui erede Don Pietro Cavallaro e Savatteri agendo con più di moderazione pensava di mettere l’affare in mano del Vescovo Monsignor Granata, e desiderandosi dal ricorrente che il beneficio rimanesse, si contentava soltanto che divenisse patrimoniale e proprio della di lui famiglia e suoi discendenti.

«Il Vescovo conosciuta la validità delle ragioni e la pienezza del diritto del ricorrente, perché fondato il beneficio sopra beni proprii di D. Giaimo Lo Brutto di lui autore, a vista della patente usurpazione fattasi dalla Chiesa, della non ecclesiasticità del beneficio, perché fondato senza la volontà del padrone dei fondi, pensò accordarne la prelazione ai discendenti della famiglia Brutto. Quindi perché conobbe la verità delle cose per conscienzioso temperamento pensò conferire anche in minore età quel beneficio ad un chierico erede dei beni, che è l’attuale investito Cavallaro. Ed infatti il conferì con decisione del 16 giugno 1804. [...] Ottenne per ciò pria dispensa della Santa Sede, perché al detto chierico avesse potuto conferire il beneficio nella minore età di anni 14, lo dispensò dalla legge del concorso e dell’obbligo della coadiuvazione del Parroco nello adempimento degli offici parrocchiali sino all’età del sacerdozio e gli diede l’amministrazione dei beni dotalizii [...]»
Al beneficiale don Ignazio Cavallaro succede il nipote (figlio della sorella) don Calogero Matrona, con bolla di Monsignor Domenico Turano del 1° marzo 1875. Ma non fu una successione pacifica. Vi si rivoltò contro Giuseppe Savatteri, unitamente alla moglie donna Concetta Matrona, con cause, ricorsi, appelli che durarono decenni. Eugenio Messana, nello scrivere le sue memorie su Racalmuto, risente ancora di quel clima infuocato che in proposito si respirava ancora nella sua famiglia.
Il beneficio del Crocifisso è quindi oggetto di una bolla di collazione nel 1902 (cfr. reg. Vescovi 1902 pag. 703). Viene poi assegnato al padre Farrauto, per passare nelle mani di padre Arrigo. Attualmente è accentrato presso la Curia vescovile di Agrigento.
Due fratelli s’impongono nella società racalmutese, appena Giuseppe Garibaldi, nel 1860, ebbe la ventura di passare come conquistatore per Racalmuto: Gioacchino e Calogero Savatteri. Eugenio Napoleone Messana - loro parente - ne fa la consueta esaltazione nel libro di storia locale qui più volte citato.  Noi ci limitiamo ad alcuni contrappunti.

Calogero Savatteri muore giovane il 5 giugno 1878 “alle ore 10,45 colpito da eresipola” - scrivo di lui i suoi amici in un opuscolo pubblicato a Favara nel 1879 (pag. XX). 
Nato il 17 giugno 1833 da Gaetano Savatteri e Maria Antonia Grillo Cavallaro, non aveva ancora compiuto i 45 anni. A nove anni fu mandato in seminario, ove vi rimase sino a sedici anni, per sette lunghi anni, dunque, assorbendone tutta la cultura clericale di cui ne rimase irrimediabilmente intriso, anche quando ritenne di essere un massone. Vi apprese molto bene il latino e ciò gli fu utile quando notaio - spesso al servizio dell’arciprete Tirone, suo parente - ebbe a decifrare, mirabilmente, gli antichi rogiti in latino dei vari Rolli delle locali confraternite secentesche.
I giovanili ardori nella Sicilia del dopo Quarantotto gli procurano qualche guaio con la polizia borbonica ma la forze persuasiva dei Savatteri racalmutesi era allora già cospicua e dopo 15 giorni di carcere, Calogero Savatteri può tornare libero e tranquillo in paese. 

I meriti “partigiani” furono preziosi con l’avvento di Garibaldi. “Il Savatteri - scrivono gli amici (pag. XV) - ritorna in paese nel 1863 laureato Notaro”, ma qualcosa era cambiato. Non riusciamo a ben comprendere il senso di queste parole: « vide che di governo era cambiata la sola forma ed il solo nome, stante le sorti del comune essere affidate a quelle stesse persone che non avevano idea d’innovazione». Si dà il caso che le “sorti del comune” erano tenute dai neo-convertiti Matrona, dopo essere passati dalle file dei Borboni alle patrie galere per le vicende controrivoluzionarie dei briganti del 1862.
Ma quale davvero il peso politico eversivo di Calogero Savatteri ? 
Abbiamo rinvenuto questa informativa della polizia del tempo :

«Racalmuto 5 agosto 1868 - Associazioni politico-miste.
 «Riservata - Al sig. Ispettore di P.S. Girgenti.

«Dalle avute informazioni, esistono soltanto due loggie (sic) Massoniche, una in Racalmuto diretta dal signor Gioacchino Savatteri ed altra in Grotte diretta dal signor Vincenzo Simone, aventi scopo morale e umanitaria, per come si ha mantenendosi nei limiti del proprio statuto, di cui tuttora chi scrive non è potuto averne copia; come pure ignora i mezzi di cui dispongono non che il numero dei soci e quindi di conseguenza la loro condotta politica e morale, mentre poi l’Ufficio Scrivente non à nulla da osservare in contrario sulla condotta politica e morale dei due detti Presidenti Savattieri e Simone che la P.S. e il Pese ritiene onesti .... Il Delegato Mingo (?)»

«Racalmuto - Ufficio di P.S. - Dicembre 1870 - Relazione politica riservata per i mandamenti di Racalmuto e Grotte ...

«Racalmuto: Non esistono nello stretto senso della parola partiti politici, ma invece dei gruppi più o meno numerosi di varie opinioni. Il primo è composto di uomini amanti delle attualità; il secondo, retrivo, con a capo il clero, ed è il più numeroso; il terzo di principi spinti non è ristrettissimo: tutti però mancanti di individualità positive alla testa, non esercitano forte influenza sulla generalità dei cittadini, i quali sono alieni dalla politica, tanto più che la Gioventù Civile, generalmente parlando, sanno appena leggere e scrivere, e tranne qualche mese all’anno in cui accudiscono ai propri affari di campagna, il rimanente lo passano nei giochi, e nell’ozio per cui il paese non ha avvenire.

«Il partito che esiste realmente è tutto Municipale, ed è diviso in due campi: il primo dominante composto dal Sindaco sig. Alaimo, dei sig. Matrona, Picataggi, Abbate Chiarenza, Sferrazza, Savattieri, ed altri di minor conto, il quale in verità ha dato una spinta di miglioramento al Comune nelle Opere Pubbliche, ma non gode alcuna fiducia negli amministrati:

«Il secondo capitanato dai Signori Grillo, Farrauto, Cavallaro ed altri, i quali riunito (?) quasi alla generalità dei Comunisti accusano l’attuale Amministrazione Comunale di arbitri, rubberie (sic) ed intrighi negli appalti; e ciò specialmente pei maneggi dei Matrona e Chiarenza per cui si agogna lo scioglimento del Consiglio composto per lo più da uomini inetti e deboli, come si asserisce.

«Si lagna pure politicamente il pubblico delle deferenze e ruberie del Ispettore dell’Annona Cavallaro Calogero desiderandosi perciò che gli venga tolto l’incarico.

«La popolazione nella generalità è docile, ed ha di che comodamente vivere coi lavori agricoli, e più specialmente l’industria delle zolfare, però è proclive piuttosto all’ozio, e la massa ha una certa tendenza ai reati di sangue ed alle grassazioni,  ma si è sommamente modificata dal 1860 in qua, colla leva, con la penale e specialmente coll’attività, ed impegno delle autorità preposte al mantenimento dell’ordine pubblico. [...]»

 In altro fascicolo (n.° 24) rinveniamo:

«Racalmuto 14 aprile 1872 - Mene repubblicane - Dal delegato di Sicurezza pubblica di Racalmuto.

«Qui sono pochi che sentono una devozione alla memoria dell’estinto Giuseppe Mazzini, e questi pochi sono troppo onesti da non lasciarsi convincere dalle voci sovversive che potrebbero far correre talune vecchie masserizie borboniche-clericali.
«Trovo al contrario che il pretume ed i borbonici, che sino ad ieri tenevano la via dell’indifferentismo, pare che abbiano levato il capo dopo l’arrivo in Girgenti di Mons. Turano, e sperano nel prossimo trionfo della religione e della Chiesa.
«Il Turano è qui aspettato, e sarei d’avviso che sia impedita ogni manifestazione di piazza, giacché reputo che se non non represse possono produrre tristi conseguenze.»

«Racalmuto 20 giugno 1868 - “Loggie Massoniche”.

«La loggia Massonica di Racalmuto come pure quella di Grotte, fino dai primi di ottobre decorso, fu per ordine del Grande Oriente  di Palermo fatta sciogliere.
«Tanto le significo in riscontro al contrassegnato di Lei foglio. - Il Delegato di Sicurezza pubblica all’Ispettore di P.S. di Girgenti.»
 «Racalmuto 9 dicembre 1871 - Mene Mazziniane.
«In questo mandamento, e molto più in Racalmuto, non ci sono uomini che s’ispirano a massime Mazziniane, e le opere dello stesso Giuseppe Mazzini vengono osservate più dal lato letterario, che dal lato politico. Né qui le dottrine dell’internazionale allignano, giacché la parte Signorile occupasi del miglioramento della sua proprietà, ed il popolo minuto, composto di picconieri e contadini, vive di non iscarsa fortuna, e si mantiene alieno a qualunque idea politica; che d’altronde non sarebbe compresa, in qualunque senso gli si volesse presentare, attesa la crassa ignoranza in cui vive.
«Delegato di Sicurezza Pubblica di Racalmuto - al Prefetto di Girgenti - Il delegato Salonico (?)»

Chi avrà avuto pazienza e seguito questa sfilza di citazioni, avrà chiaro che i fratelli Savatteri bazzicarono sì la massoneria,  ma con tanta accortezza e tanta deferenza verso le autorità da averne il plauso alla fin fine non troppo scoperto. Le rappresentazioni teatrali - nei locali di loro proprietà, se non andiamo errati - avevano più valore prossenetico, alla stregua di quanto avverrà negli anni 50 di questo secolo nel teatrino della Matrice, che vero peso propagandistico di chissà quali idee rivoluzionarie, o mene mazziniane, per usare il linguaggio del delegato di Sicurezza Pubblica.
 I Savatteri avevano una concessione mineraria a Gibillini, che nel 1886 risultava inattiva (cfr. Rivista del Servizio Minerario - anno 1886).  Dopo, con Gioacchino Savatteri - sindaco defenestrato, alter ego dei Matrona - il declino di quella famiglia fu inarrestabile, anche per il tracollo degli affari minerari. Con Eugenio Napoleone Messana - nipote per parte di madre - e con il prof. Calogero Savatteri, le sorti tornarono favorevoli e la famiglia gode oggi di incontrastato rispetto. Quanto al Circolo Unione, la potente famiglia vi fu massicciamente presente nell’Ottocento. Con il declino economico, anche quello presso il pretenzioso sodalizio. La vicenda dei nostri giorni ha ben altra valenza per consentire cifre nobiliari nelle valutazioni e negli apprezzamenti.

Segue : il Sindaco garibaldino





mercoledì 19 dicembre 2012

Il Circolo dei Galantuomini


Alla fin fine questo postumo e forse illegittimo libro dell’Adelphi  Leonardo Sciascia – IL FUOCO NEL MARE , 2010 - consente gratificanti excursus  nella veridica storia racalmutese dal 2 febbraio 1946  al 1975. E specie per il quadriennio ’46-60  se non fosse per questi autografi sciasciani poco o nulla sapremmo della vicenda storica di questo nostro diletto paese. Grazie dunque ancora,Sciascia.
In Paese con Figure – pubblicato, pare, dallo stesso Nanà in Galleria I, n- 1. Agosto 1949. Pp. 21-24 – a parte una faccenda di diritti d’autore che non ci riguarda – abbiamo i prodromi della satira sciasciana del Circolo dei Galantuomini. Ma l’ardire costò qualche grattacapo al Racalmutese, e per riparare scrisse in Illustrazione Italiana un elzeviro  deliziosissimo quanto sussiegoso e in definitiva un tantinello ipocrita , nel 1947.
Il primo personaggio della “Concordia” è Don Giuseppe Savatteri  e Sciascia va subito giù forte “è un imbecille detestabile. La sua voce sembra trascinarsi dietro un’eco molteplice, tanto è violenta e maleducata. Tutte le sue parole ingombrano l’area del luogo in cui ci si trova come un ciarpame confuso, si accatastano come cose inutili dentro un vecchio solaio. Ma non può mancare ; è quasi un simbolo.” Con chi ce l’avesse tanto Nanà non è dato sapere. A quel tempo al Circolo Unione, cessato dall’essere un dopolavoro fascista, sia pure per nobili sfatigati – e ritornato il sacrario della crestomazia paesana – non albergava alcun Savatteri. Nobili davvero i Savatteri, erano in quel tempo molto decaduti. Nessun Savatteri vivente, aveva comunque le stigmate desolanti che ci siamo divertiti  a riproporre. Per quella faccenda che si narra lì del treno gli addetti ai lavori credono in un falso cognome del falso don Ferdinando Trupia delle auree pagine delle Parrocchie di Regalpetra. Ma noi siamo imprecisi. Avremmo bisogno dei lumi di Forbice Lucente ,ma di ‘sti tempi disdegniamo il Circolo Unione per stizza verso giovani rampanti che massacrando l’intangibile statuto grintosamente salvaguardato dall’avvocato Pilllitteri  si sono intrufolati tra i nobili di paese e subito, senza alcuna doverosa anzianità, hanno arraffato persino i posti apicali: roba da ufficiale giudiziario.
Visto che sinora i  Savatteri non  hanno querelato  Sciascia, suppliamo noi riportando vecchie nostre pagine su quella grande, dignitosa ed altera famiglia. Ma, per completezza, occorrerebbe addentrarsi nelle vicende del casato dei Del Carretto e per far ciò necessiterebbe un libro intero - che forse apparirà a suo tempo e luogo. Abbiamo già scritto sulle tante figlie di Girolamo I Del Carretto - il figlio Giovanni, figlie legittime non ne ebbe - soprattutto sulla celebre virago donna Aldonza, quella che dotò il convento di Santa Chiara; queste le altre sorelle: donna Diana, donna Ippolita, donna Giovanna, donna Eumilia e donna Margherita del Carretto. Le del Carretto - antecedenti e successive - non potevano essere assegnate in isposa a Scipione Savatteri, per evidenti ragioni .... di età. Quanto alle altre sbavature del Messana sui del Carretto , è meglio qui sorvolare.

Scipione Savatteri primo (ve ne sarà un altro a fine secolo XVII) è di per sé una figura di spicco: non abbisogna di sicuro di falsi orpelli nobiliari per imporsi all’attenzione degli storici.


I Savatteri a metà del secolo XVII

Il ricco archivio della Matrice di Racalmuto ci ha conservato due “numerazioni delle anime” - cioè a dire due censimenti religiosi - che sono databili, rispettivamente, intorno al 1660 ed al 1666. La compagine racalmutese risulta a quell’epoca arricchita di vari nuclei familiari dei Savatteri. Ci risultano sei nuclei per il 1660 e sette per il 1666. Nuovi nati e nuovi matrimoni spiegano le variazioni dei nuclei familiari. Presso Filippo Savatteri, alloggiava nel 1660 Maria la Bosca. Un personaggio - Isabella la Bosca - che è venuto alla ribalta di recente in studi sulle “magare” inquisite dal Sant’Ufficio. Parente o mera omonimia?
Il padre Girolamo M. Morreale vorrebbe un Gaetano Savatteri donante nel 1627 per devozione verso Maria SS. Del Monte;  pensiamo che il dotto gesuita sia incorso in un duplice errore: quello di considerare donazione un mero obbligo di soggiogazione e quello di leggere in Gaetano un nome diverso, forse Giacomo. A quell’epoca non risultano Savatteri con il nome di Gaetano (ben diversamente da ciò che avverrà nel XIX e XX secolo).

Sac. Giuseppe Savatteri e Brutto (1755-1802)

Bello, elegante, colto, raffinato, ricco, sprezzante - quanto casto non è dato sapere - questo prete svetta sia nelle vicende della famiglia sia in quelle della locale storia. 
Leonardo Sciascia, avvalendosi di dati di seconda mano, tenta di infilzarlo, ma commette una delle sue solite manipolazioni storiche per prevenzioni ideologiche.
 Il sac. Giuseppe Savatteri ha coraggio, cultura e intraprendenza tali da osare un’impari contrapposizione con il suo potente (e dispotico) vescovo agrigentino.
 Entra nell’intricata storia del beneficio del Crocifisso.
Quando, il Tinebra Martorana - un famiglio della discutibile consorteria dei Tulumello - si accinge, nel 1897, a scrivere la storia del paese, non gli sembra vero di dilatare il senso di un documento giudiziario - che invece di venire custodito negli archivi del Comune, sta fra le carte private del barone Tulumello - per dileggiare un Savatteri, la famiglia ostile ai suoi protettori, che fra l’altro lo facevano studiare da medico a spese dell’Amministrazione comunale.
Quello su cu il Tinebra trama è un carteggio del Caracciolo su cui abbiamo avuto modo di effettuare nostre personali ricerche. Iniziano dal 16/2/1785 gli appunti del Caracciolo sulla questione :
«17. La Gran Corte dia le pronte provvidenze di giustizia, onde li cittadini non soffrano aggravij - A febbraio p.p. in die 16 - Li naturali della terra di Racalmuto, sentendosi molto gravati di questo esattore ed amministratore Prete d. Giuseppe Savatteri nell’esigenza del terragiolo dentro e fuori di questo stato, quanto nell’avere agumentato la Baglìa a tutti li poveri giornalieri, formando una Cascia o Statica come anche esatte a forza di prepotenze pignorando sin anco gli utensili delle loro moglie e pratticando molte estorsioni.
«Pregano l’E.V. di ordinare il conveniente per non vedersi pur troppo soverchiati.»

E, quindi, in data 12.3.1785:

«32. L’avvocato fiscale Vagginelli proceda quel che convenga ed avendo di riferirlo, dica- A 12 Marzo detto - Li singoli di Racalmuto: V. E. rimise le pendenze loro col barone all’avv.to sig.re Vagginelli. Innanti a costui facendosi dui contraddittorij vi interviene il Cav.e fratello del principe di Pantelleria, che ha procura. E poiché per rispetto che vuole esigere molte cose  bisognano trovarsi e li professori  concepiscono qualche timore, prega V.E. di ordinare che tal Cav.e non intervenga più nei contraddittori ma con i singoli e il Barone.» 
 Ed in data 22.3.1785:
«12 - L’avv.to fiscale barone Vagginelli informi col parere - 22 marzo - Li singoli di Racalmuto. Il suggello della verità lo tiene in potere il governatore baronale, ed occorrendo di suggellarsi l’investitura questa si deve suggellare dal Barone e si suggella quando a costui piaccia. Ciò essendo un inconveniente molto più quando occorre a singoli di suggellare scritture contrarie al ripetuto Barone.
«Pregano l’E.V. di ordinare che il suggello si riformi con il ricorso al Re, e che debba riservarsi al mastro notaro della Corte Giuratoria.»
E’ del successivo 28 marzo il seguente appunto:
«4. L’avvocato fiscale Barone Vaggianelli disponga perché urgendo le provvidenze che siano convenienti per la superiore, che riferisca col parere - 29 marzo 1785 -  Don Stefano Campanella arciprete di Racalmuto - Dietro un raccolto sterilissimo ed una tirannica esazione fatta dall’arrendatario di questa terra don Giuseppe Savatteri ... trovasi in oggi questa Popolazione in somma necessità a segno che non si può riparare, e si teme di qualche tumultuazione per la fame, e dal ricorrente e da altri preti si à soccorso per quanto debolmente si è potuto, ma si prevede maggior necessità in questi mesi che sono li più poveri.
«E’ perciò da credere opportuno che dovendo dal amministrare pagare per maggio onze 1000 al Principe della Pantelleria gliene paghi medietà, e l’altra medietà distribuirsi per aiuto a poveri, che si obbligano in agosto pagare; prega V.E. di ordinare l’esecuzione di tale distribuzione a quattro persone elette da chi invochi, dapoiché quei Giurati son poveri e senza veruna abilità.»

Il dato di maggior risalto è quello contenuto nel biglietto datato 11 aprile 1785: abbiamo questo richiamo storico:

«13 - L’avvocato faccia quel che convenga per l’accertamento della giustizia e della legalità.  - 11 aprile 1785 -  Li singoli di Racalmuto. - Nel 1559 don Giovanni del Carretto ebbe venduto il mero, e misto impero dal viceré don Giovanni della Cerda sopra la Baronia di Regalmuto per il prezzo di onze seicento, cioè cinquecento l’ebbe allora il Governante, e le onze 100 le dovea dare qualora veniva continuata la vendizione da S. M. fra il termine di un anno.
«Sino al presente giorno non è stato possibile dimostrarsi detta rattifica, o confirma; ed è segno evidente che la M.S. non l’abbia concessa. Che perciò li ricorrenti .. pregano l’E.V. di ordinare che il Barone di Ragalmuto che è oggi il Principe di Pantellaria, che per esercitare il mero, e misto dimostri all’E.V. il titolo.»

Al Tinebra Martorana mancano competenza e penna per fronteggiare la complessa vicenda della lotta al baronaggio siciliano da parte del discutibile Caracciolo (l’agiografica visione dei laici del Settecento e del postumo Sciascia lascia oggi il tempo che trova). Il Tinebra, dunque, compatta scarne e disparate “notizie storiche” in un capitoletto sul Settecento e velenosamente rubrica (pag. 184): «1785 - Soprusi praticati dal sac. Giuseppe Savatteri, arrendatore di Racalmuto, verso i poverelli.» Non parve vero a Leonardo Sciascia di rigonfiare quell’appunto per una delle sue solite tiritere anticlericali.  Nessuna ricerca storica, da parte sua; nessun approfondimento; nessuno spunto critico. Scrive dunque lo Sciascia :
«Ecco il rapporto di un altro funzionario al Tribunale della Real Corte sui “soprusi praticati dal sacerdote Giuseppe Savatteri, verso i poverelli”» e giù, senza analisi critica, il testo di un’evidente lettera anonima, che crediamo essere dovuta alla penna del malevolo arciprete Campanella, o peggio del sac. Busuito, contro cui il Savatteri aveva affilato le armi per l’usurpazione del beneficio del Crocifisso. Per una di quelle strane coincidenze storiche, il Busuito era parente stretto della moglie del notaio Nalbone.

Prosegue Sciascia: «Il bello è che dopo questo rapporto il Tribunale della Real Corte ordinava al giudice criminale di Regalpetra [alias Racalmuto] “di far restituire ai borgesi tutti gli oggetti che il sacerdote Savatteri aveva ad essi pignorati”, forse i lettori non lo crederanno ma la cosa è andata davvero così”.» Con buona pace di Sciascia, a noi pare che le cose erano molto più complesse e coinvolgono la politica dei re Borboni di Napoli, che è quanto dire.

D. Giuseppe Savatteri e Brutto morì nella peste del 1802; il Liber annota: n.° 312, c. 19, D. Giusppe Savatteri e Brutto, 27 februarii 1802 d’anni 47. Il vescovo non lo aveva voluto come beneficiale della Communia. Il Savatteri faceva però parte della neo-confraternita della Mastranza. Non pare molto diligente nell’annotare le messe che era tenuto a celebrare per i confrati defunti: subisce delle sanzioni. Vediamole:

GIUSEPPE SAC. D.
SAVATTERI
n. undeci messe cioè n. 9 per l' ... e n. 2 per pena d'essere stato negligente in scrivere le d. messe.


segue con La controversa questione del beneficio del Crocifisso.



martedì 18 dicembre 2012

Sotto la Barona un micropaese che rievocasse l'ex voto del Monte.


Tempo fa proponemmo di edificare sotto la Barona un micropaese che rievocasse l'ex voto del Monte. Vi si doveva aggiungere un anfiteatro che ora mi si dice progettato entro il poco verde di via Fra Diego La Matina (se non erro, vicino la Fondazione insomma) e giù nello sprofondo un parco floreale ed erbaceo (ne fornivo persino la nomenclatura linnea), anche a risanamento dei fetori delle acque reflue all'aperto.
Apriti cielo! Fui dannato da redenti ex pastori foraggiati dall'AIMA. Dopo se il silenzio si addice ad Elettra, figuramoci alle mie proposte. Il silenzio fu d'oro anche per Regalpetra Libera che manco mi pubblicò per la speciosa motivazione (scrittami in privato) della lungaggine delle mie cose. Se ora ci si lamenta della mancanza di lavoro, un po' di colpa non ce l'ha chi mi ha boicottato? Non ci guadagnavo nulla io. Potevo però agevolare richieste serie di fondi europei. E non è detto che non si possa fare ora. Un progetto? Lo si può redigere GRATIS in quattro e quattro otto. Pensate che lo schizzo è dovuto ai pennarelli del pittore-preside prof. Agato Bruno. Tutte "le favole della dittatura" (inesistente) di Sciascia ha riesumato, dipinto, cromatizzato, poeticamente e pittoricamente rievocate. Gli si concederà di esporre quelle sue tavole nei luoghi deputati (e finanziati) alle cose d'arte dal Comune o il volpino ufficio sarà ancora drasticamente ostativo?

I magnifici Sette : Un'intera famiglia racalmutese, genuinamente Racalmutese


Anno: 1972; nozze d'oro di Giuseppe (u zzi Peppi) e Rosa Saccomando in Taverna. 

Cinque figli. Un coniugio davvero indissolubile. Una di quelle famiglie che non mancano a Racalmuto. Innanzitutto sette fedine penali intemerate. Come per tante altre famiglie. 
Lavoro, probità, studi serrati, successo in varie parti di Italia, e per due anche a Racalmuto. Spazi vitali cercati e trovati a Volpiano in provincia di Torino e prima a Settimo Torinese e prima anche in Svizzera. Conseguito un diploma a Gela, riluttante ad ogni servitù politica o a congreghe clientelari, si fanno le valige e si parte per la Svizzera, la Svizzera xenofoba. Ma il lavoro onorato e remunerativo si trova e quindi si torna in Italia, a Settimo Torinese. Due splendide figlie, non inquinate, onorevolmente coniugate e impieghi di prestigio. Senza alcuna raccomandazione. Un altro dimora nei dintorni di Racalmuto, dopo breve parentesi trai monti delle Alpi. Insegna, è manager scolastico, prima si chiamava PRESIDE poi dirigente scolastico. Apprezzato anche se severo. Nessuna macchia. Professionista pro tempore, intemerato. Rifiuta mazzette e gonfiate prebende. Tre figli, bravi a scuola , di successo nella vita. Un altro ancora, si laurea in giurisprudenza, emigra in Val Padana dalle parti di Schio. Insegna per pochi anni, quindi si afferma avvocato di grido. Non elemosina incarichi politici, anzi sta alla larga delle conventicole partitiche, dispensiere di favori e di assoldamenti. Due figli: illustri professionisti in quel di San Vito di Leguzzano. Un altro ancora, sacrificatosi per il successo scolastico dei fratelli, resta a Racalmuto. Dignitoso, rispettato, lontano da beghe e da cosche di ogni sorta. Un figlio, oggi professionista integro e valido. Chi scrive non osa descriversi. Chi vuole lo legga. Ha da apprendere. Una famiglia a gloria di Racalmuto: né Regalpetra, né apice mafiosa, laboriosa, seria. Non la sola s'intende, anzi la maggioranza dei nuclei familiari racalmutesi. A totale smentita di chi anche di indigeno ceppo vuol tutti farci apparire, infiltrati di chissà che e di chissà chi.

domenica 16 dicembre 2012

Io non sono Maometto


Visto che qualcuno ha avuto sorriso scettico per la mia benemerenza, pubblico qui il diploma. Firmato: Pertini e Fanfani. Non adoro Pertini (mi piaceva solo la sua reboante voce) ho apprezzato Fanfani (all'Agricoltura, ed anche per affinità altitudinale sic!).






A dire il vero, un piccolo imbroglio c'è: il 27 dicembre 1982 ero già giovanissimo pensionato della Banca d'Italia; l'avevo lasciata tra sulfurei olezzi d'eresia; le avevo persino inflitto una super sanzione tributaria per inadempimento dell'art. 18 della precedente Legge Bancaria (articolo che l'ABI voleva desueto). 
Tale enorme potere mi veniva dal fatto che ero divenuto superispettore tributario del SECIT di Reviglio. Ma non come tale venni "ufficializzato": mesi prima ero ancora "ispettore" BI ed era arrivato il mio turno per la segnalazione a "Cavaliere Ufficiale" da parte della Banca d'Italia. Burocraticamante, in BI mi segnalarono ed ecco l'onorificenza. Cose della Repubblica Italiana.
L'altro giorno vado in IBS (libreria romana leader nel procurare libri fuori commercio); vado a ritirare IL SOGNO di FOUCAULT e così mandarlo al mio amico ergastolano ostativo Alfredo Sole che ha deciso di tornare ai prischi studi di psicanalisi. Ritiro anche il secondo volume del teatro di Rosso di San Secondo (introvabile) ma di ciò parlerò in altra occasione. 

Mi aggiro tra i libri a metà prezzo e prendo "sulle regole" di Gherardo Colombo. Lo sbircio: non è un gran libro. Paratattico come a me non piace, descrive in esordio un paese immaginario humus pare di rei dediti ad ordinaria delinquenza. Per farla breve il succo è tutto qui "senza il rispetto delle regole non potremmo vivere in società". Già, perché "la giustizia non può funzionare se il rapporto tra i cittadini e le regole è malato, sofferto, segnato dall'incomunicabilità. La giustizia non può funzionare se i cittadini non comprendono il perché delle regole."




Le REGOLE? Il perché delle REGOLE? Troppo semplice detto così: ma se dietro hai letture che vanno dallo Schmidt, allo Forsthoff. a Max Weber, ai nostri Bobbio e Tony Negri (perché, no?) resti deluso e butti via il testo gherardiano. Invero, anche l'art. 18 l.b. era una regola e che razza di regola. Si diceva, tu Banca d’Italia fai le ispezioni alle banche ma devono essere queste a sopportare le spese. All'ABI non conveniva e le spese se le accollò tutte Via Nazionale 91. Dissi,  fate come volete ma tu soggetto Irpeg BI quelle spese non puoi sottrartele nella dichiarazione dei redditi: sono non inerenti. La mia contestazione finì con uno scandaloso condono; 



in seguito si redasse un nuovo testo unico di legge bancaria e quella regola sparì, senza che alcuno osasse contestare o criticare. Per Colombo, "una legge è giusta quando è emanata dal parlamento". Resta giusta quando confligge con altra norma che ci si dimentica di abrogare esplicitamente? La regoletta della successione delle norme nel tempo fa molta acqua; anche perché il conflitto fra norme non è mai così solare da far dire questa non vale più perché ormai c'è quest'altra che di fatto l'abroga. Non per nulla abbiamo chilometri quadrati di leggi e regolamenti da far disorientare anche il più provetto dei pandettisti. Mi chiedo: il varo del nuovo testo unico della legge bancaria (cui inutilmente cercarono di opporsi fior di magistrati del Consiglio di Stato distaccati presso la consulenza del Presidente Berlusconi) è costituzionalmente idoneo ad abrogare il vecchio art 18 della legge bancaria? Pruriti da legulei, si dirà e sarebbe anche vero se sotto non si nascondesse una grossa vulnerazione delle risorse del nostro per ora non felice Fisco.



Ma un'altra storia tortura la mente di questo qui scrivente UFFICIALE della Repubblica Italiana. Il nostro ex sindaco - magari per livore personale - ci affligge con la buona uscita milionaria (in euro) del figlio della socia onoraria del Circolo Unione, la Ministra Cancellieri. Gnudi lo difesi quando non sapevo quello che assolutamente mi ha voluto far sapere Monti circa la dichiarazione dei redditi di codesto ministro. Ma ancor di più mi stanno facendo pensare in proposito certe confessioni di banchieri di cui stampa, televisioni e persino l'Annunziata si stanno occupando.







Quando dicono che sono a posto con le tasse, ho voglia di sapere come la pensa l'Agenzia delle Entrate (in cui ora militano giovanissime forze universitarie mica tanto tenere). Se contratti non tra dipendenti ed aziende prevedono di ripagare anzianità maturate altrove, la tassazione è ripartibile? Non mi fermo qui: ai miei tempi vi era l'art. 2389 del codice civile secondo il quale "i compensi degli amministratori ... sono stabiliti nell'atto costitutivo o dall'assemblea.". Buona regola alla Colombo, a mio avviso. E chi non la rispettava si beccava il santo carcere ai sensi dell'art. 2630 c.c. secondo comma n° 1. 

Andate a trovarle ora quelle "regole": non ci stanno più; li hanno abrogate nel 2002 Berlusconi, Castelli ed altri e nessuno se ne è accorto o ha fatto finta. Certo ora si parla di compensi "stabiliti all'atto della nomina". Da vecchio ispettore francamente mi riesce difficile comprendere come si possa con onestà, ponderazione, equità "stabilire compensi milionari (in euro)" per un rapporto che già si sa che si scioglierà subito o anzitempo; ed anche  ti riliquido anzianità già lucrosissimamente pagate da altre “aziende" da te apicalmente "amministrate". Non mi risulta che questa nostra agguerrita magistratura - spesso distratta da processi istituzionali di un trentennio fa - abbia avuto mai almeno il gusto di mettere il naso in queste cose qui. Non sarà certo un mio post nel mio profilo di FB a smuovere la montagna e non sono certo Maometto che prende il sacco del pellegrino e va alla montagna.