sabato 7 febbraio 2015

Ma Malgrado Tutto che fa?

Ma Malgrado Tutto pubblicando quell'incitamento che graziosamente pubblica si rende responsabile, almeno moralmente, di tutte le iatture che io, con qualche decennio di esperienze sulle spalle, prevedo per gli ingenui racalmutesi che inseguono vie tortuose, volte - mi pare - soltanto a liberare da pesi sanzionatori passati nostri amministratori. Ripeto: tutto l'accertamento della TARSU 2008 è NULLA per gravi vizi di forma e di sostanza, oltre che tesa ad incidere indebitamente sui cittadini racalmutesi per oltre 1.880 mila euro!

Il caso Sindona e il Sindaco Messana

sabato 7 febbraio 2015

Questo qui lo dico perché mi sembra che il sindaco Messana e l'ufficio tributi di Racalmuto tendono a sottovalutare le capacità ispettive ed accusatorie appunto del suddetto dottore Calogero Taverna, anche se ormai modesto pensionato INPS da ventun'anni.




Senza questo libro della FELTRINELLI la storia bancaria e finanziaria italiana sarebbe stata ben diversa: niente San Mancuto contro Sindona, il Banco di Roma sarebbe ancora vivo e vegeto, Marcinkus non avrebbe avuto i suoi grossi problemi all'IOR, la finanza ambrosiana non avrebbe lamentato il crack della sua banca, il Banco Ambrosiano, e credo che manco Andreotti avrebbe avuto quel  celere oscurarsi dei suoi ultimi decenni. Certo con le ipotesi si può andare all'infinito. Ma dietro questo libro vi era Lotta Continua ancora di Adriano Sofri, ma anche di Boato e De Aglio, per non parlare di Mimmo Pinto e di giovani ignoti (allora) del tipo Cencio o il Malefico etc.
Il libro è firmato LOMBARD: Lombard firmava begli articoli finanziari su taluni fogli di estrema sinistra. Sembravano rivoluzionari, in effetti erano di stampo conservatore del buon nome della Banca D'Italia. Si chiamava in effetti Romano Gattoni ed era ancora Segretario al Sevizio Rapporti col Tesoro della Banca d'Italia.

Sul retro della copertina si diceva che si trattava di "un alto esponente del mondo bancario e finanziario che, pur non potendo uscire dall'anonimato, intende(va) dare battaglia perché il 'Sistena Sindona' non contagi(asse) tutta la vita pubblica italiana".

Lombard era piuttosto noto come Romano Gattoni fra gli addetti ai lavori. Non era lui l'anonimo. La parte centrale del libro, da pag. 37 a pag. 149, non poteva essere stata scritta la Lombard. Era chiaro che proveniva da un  ispettore della Vigilanza sulle Aziende di Credito della Banca d'Italia che aveva angariato sino alla liquidazione coatta amministrativa la banca Privata Finanziaria in quel di Milano. Si trattava -  senza tema di smentita - del dottore Calogero Taverna, ispettore appunto della Banca d'Italia  Ed era originario di Racalmuto. Del resto segno tangibile è la pag. 37 che qui riportiamo.

Questo qui lo dico perché mi sembra che il sindaco Messana e l'ufficio tributi di Racalmuto tendono a sottovalutare le capacità ispettive ed accusatorie appunto del suddetto dottore Calogero Taverna, anche se ormai modesto pensionato INPS da ventun'anni.

Senza questo libro della FELTRINELLI la storia bancaria e finanziaria italiana sarebbe stata ben diversa: niente San Mancuto contro Sindona, il Banco di Roma sarebbe ancora vivo e vegeto, Marcinkus non avrebbe avuto i suoi grossi problemi all'IOR, la finanza ambrosiana non avrebbe lamentato il crack della sua banca, il Banco Ambrosiano, e credo che manco Andreotti avrebbe avuto quel celere oscurarsi dei suoi ultimi decenni. Certo con le ipotesi si può andare all'infinito. Ma dietro questo libro vi era Lotta Continua ancora di Adriano Sofri, ma anche di Boato e De Aglio, per non parlare di Mimmo Pinto e di giovani ignoti (allora) del tipo Cencio o il Malefico etc.

sabato 7 febbraio 2015

Questo qui lo dico perché mi sembra che il sindaco Messana e l'ufficio tributi di Racalmuto tendono a sottovalutare le capacità ispettive ed accusatorie appunto del suddetto dottore Calogero Taverna, anche se ormai modesto pensionato INPS da ventun'anni.




Senza questo libro della FELTRINELLI la storia bancaria e finanziaria italiana sarebbe stata ben diversa: niente San Mancuto contro Sindona, il Banco di Roma sarebbe ancora vivo e vegeto, Marcinkus non avrebbe avuto i suoi grossi problemi all'IOR, la finanza ambrosiana non avrebbe lamentato il crack della sua banca, il Banco Ambrosiano, e credo che manco Andreotti avrebbe avuto quel  celere oscurarsi dei suoi ultimi decenni. Certo con le ipotesi si può andare all'infinito. Ma dietro questo libro vi era Lotta Continua ancora di Adriano Sofri, ma anche di Boato e De Aglio, per non parlare di Mimmo Pinto e di giovani ignoti (allora) del tipo Cencio o il Malefico etc.
Il libro è firmato LOMBARD: Lombard firmava begli articoli finanziari su taluni fogli di estrema sinistra. Sembravano rivoluzionari, in effetti erano di stampo conservatore del buon nome della Banca D'Italia. Si chiamava in effetti Romano Gattoni ed era ancora Segretario al Sevizio Rapporti col Tesoro della Banca d'Italia.

Sul retro della copertina si diceva che si trattava di "un alto esponente del mondo bancario e finanziario che, pur non potendo uscire dall'anonimato, intende(va) dare battaglia perché il 'Sistena Sindona' non contagi(asse) tutta la vita pubblica italiana".

Lombard era piuttosto noto come Romano Gattoni fra gli addetti ai lavori. Non era lui l'anonimo. La parte centrale del libro, da pag. 37 a pag. 149, non poteva essere stata scritta la Lombard. Era chiaro che proveniva da un  ispettore della Vigilanza sulle Aziende di Credito della Banca d'Italia che aveva angariato sino alla liquidazione coatta amministrativa la banca Privata Finanziaria in quel di Milano. Si trattava -  senza tema di smentita - del dottore Calogero Taverna, ispettore appunto della Banca d'Italia  Ed era originario di Racalmuto. Del resto segno tangibile è la pag. 37 che qui riportiamo.

Questo qui lo dico perché mi sembra che il sindaco Messana e l'ufficio tributi di Racalmuto tendono a sottovalutare le capacità ispettive ed accusatorie appunto del suddetto dottore Calogero Taverna, anche se ormai modesto pensionato INPS da ventun'anni.

Questo qui lo dico perché mi sembra che il sindaco Messana e l'ufficio tributi di Racalmuto tendono a sottovalutare le capacità ispettive ed accusatorie appunto del suddetto dottore Calogero Taverna, anche se ormai modesto pensionato INPS da ventun'anni.

Senza questo libro della FELTRINELLI la storia bancaria e finanziaria italiana sarebbe stata ben diversa: niente San Mancuto contro Sindona, il Banco di Roma sarebbe ancora vivo e vegeto, Marcinkus non avrebbe avuto i suoi grossi problemi all'IOR, la finanza ambrosiana non avrebbe lamentato il crack della sua banca, il Banco Ambrosiano, e credo che manco Andreotti avrebbe avuto quel  celere oscurarsi dei suoi ultimi decenni. Certo con le ipotesi si può andare all'infinito. Ma dietro questo libro vi era Lotta Continua ancora di Adriano Sofri, ma anche di Boato e De Aglio, per non parlare di Mimmo Pinto e di giovani ignoti (allora) del tipo Cencio o il Malefico etc.
Il libro è firmato LOMBARD: Lombard firmava begli articoli finanziari su taluni fogli di estrema sinistra. Sembravano rivoluzionari, in effetti erano di stampo conservatore del buon nome della Banca D'Italia. Si chiamava in effetti Romano Gattoni ed era ancora Segretario al Sevizio Rapporti col Tesoro della Banca d'Italia.

Sul retro della copertina si diceva che si trattava di "un alto esponente del mondo bancario e finanziario che, pur non potendo uscire dall'anonimato, intende(va) dare battaglia perché il 'Sistena Sindona' non contagi(asse) tutta la vita pubblica italiana".

Lombard era piuttosto noto come Romano Gattoni fra gli addetti ai lavori. Non era lui l'anonimo. La parte centrale del libro, da pag. 37 a pag. 149, non poteva essere stata scritta la Lombard. Era chiaro che proveniva da un  ispettore della Vigilanza sulle Aziende di Credito della Banca d'Italia che aveva angariato sino alla liquidazione coatta amministrativa la banca Privata Finanziaria in quel di Milano. Si trattava -  senza tema di smentita - del dottore Calogero Taverna, ispettore appunto della Banca d'Italia  Ed era originario di Racalmuto. Del resto segno tangibile è la pag. 37 che qui riportiamo.

Questo qui lo dico perché mi sembra che il sindaco Messana e l'ufficio tributi di Racalmuto tendono a sottovalutare le capacità ispettive ed accusatorie appunto del suddetto dottore Calogero Taverna, anche se ormai modesto pensionato INPS da ventun'anni. 

Senza 



Vedo con mio sommo disappunto che amministratori che non so come possano giustificare la loro passata attività di consulenti fiscali che non è stata neppure idonea a sconsigliare gli uffici tributari comunali e il nuovo sindaco dal prodursi in un accertamento folle teso a spillare ai racalmutesi unmilione e ottocentottantamila euro per il solo 2008, stanno sobillando la platea dei tartassati racalmutesi ad un istituto che secondo me è improprio e che non può non ritorcersi in un atto autolesivo.

Vedo con mio sommo disappunto che amministratori che non  so come possano giustificare la loro passata attività di consulenti fiscali che non è stata neppure idonea a sconsigliare gli uffici tributari comunali  e il nuovo sindaco dal prodursi in un accertamento folle teso a spillare ai racalmutesi unmilione e ottocentottantamila euro per il solo 2008, stanno sobillando la platea dei tartassati racalmutesi ad un istituto che secondo me è improprio e che non può non ritorcersi in un atto autolesivo.

L'ACCERTAMENTO CON ADESIONE applicato da un Comune per il recupero di costi evasi collegati alla TARIFFA di un servizio quale lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani mi appare una bizzarria. Ma mi dicano come possa essere operante codesto istituto per il caso racalmutese della TARSU 2008.

In  altri termini ecco come la dottrina qualifica e articola l'accertamento per adesione e a me pare che sarebbe ozioso ed esiziale farvi qui a Racalmuto ricorso.

Vi è la via maestra della richiesta di annullamento in autotutela di un accertamento viziato in radice da nullità assoluta radice per gli argomenti che ho esposto in TV e si vuole deviare per vie tortuose ove in ogni caso si dovrà ammettere una propria evasione non solo per il 2008 ma anche per gli anni successivi sino ad arrivare al 2012 (tariffa del 5,16 a mq.  ) e 2013 (tariffa del 7,17).

E questi sarebbero i nostri novelli amministratori e questa la nostra stampa più popolare! Boh!!!!!!


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Accertamento con adesione
L’accertamento con adesione consente al contribuente di definire le imposte dovute ed evitare, in tal modo, l’insorgere di una lite tributaria.
Si tratta, sostanzialmente, di un “accordo” tra contribuente e ufficio che può essere raggiunto sia prima dell’emissione di un avviso di accertamento, che dopo, sempre che il contribuente non presenti ricorso davanti al giudice tributario.
La procedura riguarda tutte le più importanti imposte dirette e indirette e può essere attivata tanto dal contribuente quanto dall’ufficio dell’Agenzia delle Entrate nella cui circoscrizione territoriale il contribuente ha il domicilio fiscale.
CHI È AMMESSO TUTTI I CONTRIBUENTI
persone fisiche, società di persone, associazioni professionali, società di capitali, enti, sostituti d’imposta
LE IMPOSTE DEFINIBILI LE PRINCIPALI IMPOSTE DIRETTE
Irpef
Ires
Irap
Imposte sostitutive sulla rivalutazione dei beni delle imprese
Imposta sostitutiva su riserve o fondi in sospensione
LE PRINCIPALI IMPOSTE INDIRETTE
Iva
Imposta sulle successioni e sulle donazioni
Imposta di registro
Imposta ipotecaria e catastale
Invim ordinaria e decennale
Imposta sostitutiva dell’Invim
Imposta sostitutiva sulle operazioni di credito
Imposta erariale di trascrizione e addizionale regionale all’imposta erariale di trascrizione
Imposta provinciale sull’immatricolazione di nuovi veicoli
QUANDO SI PROPONE
dopo aver ricevuto un avviso di accertamento
dopo un controllo eseguito dall’ufficio o dalla Guardia di Finanza (accesso, ispezione, verifica)
I vantaggi dell'adesione
L’accertamento con adesione permette al contribuente di usufruire di una riduzione delle sanzioni amministrative, che saranno dovute nella misura di 1/3 del minimo previsto dalla legge.
Inoltre, per i fatti accertati, perseguibili anche penalmente, costituisce una circostanza attenuante il perfezionamento dell’adesione con il pagamento delle somme dovute prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. L’effetto “premiale” si concretizza nell’abbattimento fino a un terzo delle sanzioni penali previste e nella non applicazione delle sanzioni accessorie.
Il procedimento
Iniziativa d’ufficio
L’ufficio, tramite un invito a comparire, può invitare il contribuente a tentare una forma di definizione concordata del rapporto tributario prima ancora di procedere alla notifica di un avviso di accertamento.
L’invito a comparire ha carattere unicamente informativo e in esso sono indicati i periodi d’imposta suscettibili di accertamento, il giorno e il luogo dell’appuntamento, nonché gli elementi rilevanti ai fini dell’accertamento.
Se il contribuente non aderisce all’invito a comparire non potrà in seguito ricorrere a questo istituto per gli stessi elementi e per i periodi d’imposta indicati nell’invito.
Richiesta del contribuente
Il contribuente stesso può avviare la procedura presentando una domanda in carta libera in cui chiede all’ufficio di formulargli una proposta di accertamento per un’eventuale definizione.
La domanda può essere presentata all’ufficio competente:
prima di aver ricevuto la notifica di un atto di accertamento non preceduto da un invito a comparire;
dopo aver ricevuto la notifica di un atto impositivo non preceduto da invito a comparire, ma solo fino al momento in cui non scadono i termini per la proposizione dell’eventuale ricorso.
La domanda di adesione, corredata di tutte le informazioni anagrafiche e di ogni possibile recapito anche telefonico, deve essere presentata – prima dell’impugnazione dell’avviso di accertamento innanzi alla Commissione tributaria provinciale – all’ufficio che lo ha emesso entro 60 giorni dalla notifica dell’atto mediante consegna diretta o a mezzo posta.
Nel caso di invio dell’istanza per posta ordinaria vale la data di arrivo all’ufficio, mentre vale la data di spedizione se inviata mediante plico raccomandato senza busta con avviso di ricevimento. Entro 15 giorni dal ricevimento della domanda, l’ufficio formula al contribuente, anche telefonicamente, l’invito a comparire.
Il contribuente può avviare il procedimento anche quando nei suoi confronti siano stati effettuati accessi, ispezioni e verifiche, sia da parte dell’Amministrazione finanziaria che da parte della Guardia di Finanza, che si sono conclusi con un processo verbale di constatazione. In questo caso l’ufficio lo inviterà, però, solo se lo ritiene opportuno.
Perfezionamento dell’adesione
Il raggiungimento o meno dell’accordo avviene in contraddittorio e può richiedere più incontri successivi, per la partecipazione ai quali il contribuente può farsi rappresentare o assistere da un procuratore.
Se le parti raggiungono un accordo, i contenuti dello stesso vengono riportati su un atto di adesione che va sottoscritto da entrambe le parti. L’intera procedura si perfeziona soltanto con il pagamento delle somme risultanti dall’accordo stesso. Solo così, infatti, si può ritenere definito il rapporto tributario.
Se non si raggiunge un accordo, il contribuente può sempre presentare ricorso al giudice tributario contro l’atto già emesso (o che sarà in seguito emesso) dall’ufficio.
Dalla data di presentazione della domanda di accertamento con adesione i termini restano sospesi per un periodo di 90 giorni, sia per un eventuale ricorso, sia per il pagamento delle imposte accertate. Anche l’iscrizione a ruolo a titolo provvisorio delle imposte accertate dall’ufficio è effettuata, ricorrendone i presupposti, dopo la scadenza del termine di sospensione. Al termine di questo arco di tempo il contribuente se non ha raggiunto l’accordo con l’Amministrazione può impugnare l’atto ricevuto dinanzi alla Commissione tributaria provinciale.

Versamento delle somme dovute
Il versamento delle somme dovute può essere effettuato, a seconda del tipo di imposta, tramite i modelli di versamento F24 o F23.
Il contribuente può scegliere di effettuare il pagamento:
in unica soluzione, entro i 20 giorni successivi alla redazione dell’atto;
in forma rateale in un massimo di 8 rate trimestrali di uguale importo (12 rate trimestrali se le somme dovute superano 51.645,69 euro), delle quali la prima da versare entro il termine di 20 giorni dalla redazione dell’atto.
Sull’importo delle rate successive sono dovuti gli interessi al saggio legale, calcolati dalla data di perfezionamento dell’atto di adesione.
Entro i 10 giorni successivi al pagamento dell’intero importo o della prima rata, il contribuente deve far pervenire all’ufficio la quietanza.
Il mancato pagamento anche di una sola delle rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva comporta l’iscrizione a ruolo delle residue somme dovute e della sanzione prevista dall’articolo 13 del decreto legislativo 471/1997, applicata in misura doppia (60%), sul residuo importo dovuto a titolo di tributo.
Per il versamento delle somme dovute per effetto dell’adesione il contribuente può effettuare la compensazione con eventuali crediti d’imposta vantati, sempre che gli importi a debito siano da versare con il modello F24 (non è infatti possibile compensare i debiti che devono essere pagati con il modello F23).
Attenzione: il Dl 35/2013 ha introdotto la possibilità per il contribuente di utilizzare i crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, nei confronti delle amministrazioni pubbliche indicate all'articolo 1, comma 2, del Dlgs 165/2001, per somministrazioni, forniture e appalti, per compensare le somme dovute a seguito di accertamento con adesione, adesione all’invito al contraddittorio o al processo verbale di constatazione, acquiescenza, definizione agevolata delle sanzioni, conciliazione giudiziale e mediazione (modalità attuative).

A qualche criticona faccio presente che la vecchiaia è sì un morbus - che non lo auguro naturalmente ai miei nemici - ma è una grandissima ricchezza, arricchisce incommensurabilmente. Padre Puma conosceva i suoi polli, li faceva starnazzare e spesso pareva persino assecondarli.

Padre Puma, mio amico dal 10 ottobre
1945, fu un grande uomo, né santo né demone. Sono oltre che suo amico amico della sua famiglia. Non sono certo obiettivo per farne lo storico. Da amico affermo che padre Puma da gran'uomo qual era ebbe grandi virtù e per le leggi fisiche degli equilibri anche alcuni difetti: quei difetti che me lo rendevano molto simile e quindi tra affini della mente e del pensiero abbiamo solidarizzato, facendo i conti per oltre 60 anni. A qualche criticona faccio presente che la vecchiaia è sì un morbus - che non lo auguro naturalmente ai miei nemici - ma è una grandissima ricchezza, arricchisce incommensurabilmente. Padre Puma conosceva i suoi polli, li faceva starnazzare e spesso pareva persino assecondarli. Padre Puma ha fatto la storia della Racalmuto del dopo-guerra del '40: anzi è la nostra storia recente. Si dà il caso che io più che dovere scrivere la storia di Racalmuto da quasi un secolo in qua quella storia l'ho vissuta e vissuta sulla mia pelle.

Nella intervista che mi concesse nel 1995 (il 5 luglio), P. Puma con una voce stentorea, mentre io zoppicavo, aveva due grandi suoi misteri da occultarmi: l'intimo suo soffrire certe tentazioni cui credo che ben volentieri cedesse in contrasto l'abito che portava e il dovere fronteggiare truci faccende di famiglia che si erano anche listate a lutto per una feroce esecuzione d'indole malavitosa.

Mi sono ascoltata quella intervista. Il cipiglio loquace direbbe Bonanno camuffava ben altri sgomenti esistenziali. Puoi essere prete quanto ti pare, resti disperatamente uomo.

Riporto qui di seguito i passi più trepidi, più sibillini, forse meno schietti.


Le confraternite cinquecentesche
D.: In effetti a Racalmuto sorgono nel 1500 sei o sette associazioni o congregazioni o confraternite. Si chiamano confraternite per la buona morte come dappertutto, perché curano la sepoltura dei morti. Ma, a ben guardare, sono organismi economici, anzi, finanziari. Dispongono di un patrimonio immobiliare immenso. Sono proprietari quasi monopolistici delle case di abitazione; fanno prestiti ad interessi, sia pure conformi ai dettami della Chiesa: talora assurgono a vere e proprie banche moderne. Queste confraternite racalmutesi hanno di particolare due caratteristiche: 1) una loro laicità. C’è il cappellano, ma il cappellano serve solo per dire la messa. Per il resto, c’è una lotta per evitare che vi siano infiltrazioni ecclesiastiche nella gestione sociale ed economica della confraternita, che è retta da un governatore e da rettori laici; 2) vi sono associati indifferenziatamente confratelli di tutte le classi sociali, dai cosiddetti "magnifici" (i moderni "galantuomini") ai "mastri", ai "borgesi" e persino ai "jurnatara".
Da ciò oso desumere una duplice conseguenza:
a) una fede religiosa del popolo di Racalmuto molto profonda, che si accompagna, però, ad un anticlericalismo piuttosto viscerale. C’è la battuta a Racalmuto che dice: «monaci e parrini, vidici la missa e stoccaci li rini».
b) un’abitudine all’interclassismo, quasi l’interclassismo alla De Gasperi. Forse nasce da qui se a Racalmuto mai vi sono stati contrasti sociali atti a suscitare moti rivoluzionari, diversamente, ad esempio, da Grotte.
Dall’alto della sua quarantacinquennale esperienza pastorale, lei che ne pensa?

R.: Prima di tutto debbo precisare che la frase «monaci e parrini, vidici la missa e stoccaci li rini», è diffusa dappertutto in Sicilia. Nasce nei tempi in cui la stampa era espressione della massoneria e del suo anticlericalismo. Erano i tempi delle leggi eversive: quando furono soppressi i monasteri e la manomorta dei conventi. A Racalmuto, in definitiva, non vi sono state tensioni sociali acute anche perché il popolo poté appropriarsi agevolmente dei beni della Chiesa. Peraltro, il clero locale ha sempre parteggiato per la classe meno abbiente. Vedasi la bella figura di padre Elia Lauricella. Abbiamo avuto anche, a dire il vero sacerdoti alla Savatteri - nati magari in famiglie di massoni - ma furono eccezioni, e comunque ininfluenti. I racalmutesi sono stati anticlericali subendo l’astiosa propaganda massone, ma nel profondo sono stati vicini ai loro sacerdoti, almeno quelli migliori come il padre Elia Lauricella, morto in fama di santità.
Figure singolari di sacerdoti racalmutesi si ebbero, ad esempio, a fine dell’Ottocento. Guardiamo all’arciprete Tirone, uomo inflessibile, di profonda cultura anche giuridica, sagace difensore dei diritti della Chiesa. Tanti beni si sono salvati dall’espoliazione governativa per suo merito. E nello stesso tempo, così legato alle autorità ecclesiali da venire prescelto nella salvaguardia della fede fra i fedeli di Grotte, messi in subbuglio da taluni preti finiti nello scisma, non tanto per ragioni di fede, quanto per interessi materiali, legati al gius-patronato della locale arcipretura. Alla fine quei sacerdoti scismatici tornarono nel grembo di madre chiesa e ad accoglierli è stato proprio il padre Tirone.

 
 

Il vescovo spagnolo Horozco e Racalmuto





 

 


D.: Passiamo ad altro. Leggo nelle carte dell’Archivio Segreto Vaticano un furibondo contrasto sorto tra il vescovo spagnolo di Agrigento, Giovanni Horozco Covarruvias y Leyva ed il conte del Carretto. Entrambi si accapigliano per impossessarsi dello "spoglio" dell’arciprete Romano. Siamo alla fine del 1500. Non è detto che lei risponda alla domanda che sto per farle, che potrebbe considerare impertinente. Ho avuto l’impressione che i vescovi di Agrigento guardano a Racalmuto più dalla parte dei ricchi che dalla parte dei poveri. Lungo i secoli sembra che si sia snodato, senza interruzione, un filo conduttore - da Horozco al vescovo Peruzzo - benevole con i ricchi racalmutesi; ostile verso i poveracci. Per converso il clero locale è stato in opposizione a questa condotta ambivalente dei vescovi agrigentini. Quali le sue considerazioni? Quali le sue controdeduzioni?

 
R.: Da precisare che a Racalmuto il clero ha raggiunto la quota di n.° 52 componenti. Quindi fu un clero molto forte. Vi sono anche i monaci. Se diamo uno sguardo ai testimoni che hanno firmato il documento sulla fama di santità del padre Lauricella, notiamo ben n.° 32 sacerdoti firmatari di quell’atto. Ciò dimostra la solidarietà, coesione e serietà di quel folto clero del Settecento Racalmutese. Che in siffatta compagine sacerdotale serpeggiasse ostilità verso i vescovi agrigentini, non risulta. Risulta, invece, una estrema prudenza, una grande cautela dei vescovi agrigentini nelle cose di Racalmuto, che hanno guardato con circospezione ma anche con tanta carità. Si pensi all’autorizzazione accordata dalla curia vescovile di Agrigento ad ipotecare i "giogali" preziosi delle chiese racalmutesi, pur di sfamare il popolo nella tragica congiuntura alimentare di fine Settecento. Più in generale, può affermarsi che in curia vigesse una valutazione positiva del clero racalmutese, cui si lasciavano ampi spazi di autonomia amministrativa; per contro, il clero racalmutese è stato sempre ligio agli indirizzi episcopali in materia di fede e di morale.
 

Che vuol dire essere arciprete a Racalmuto?





 


D.: Essere arciprete a Racalmuto è identico che esserlo in qualunque altra parrocchia dell’agrigentino?

R.: Bisogna intendersi. Una volta l’arciprete era quasi un mezzo vescovo. Al suo presentarsi ci si doveva togliere la "scazzetta" o la "birritta". Era il grande datore di lavoro del luogo. Era il distributore di messe ai tanti sacerdoti che non disponevano neppure di una piccola chiesa (ed a Racalmuto di chiese ce ne erano tante). Oggi, l’arciprete è alla stregua di tutti gli altri parroci. Un primus inter pares, magari, ma niente di più. E questo a Racalmuto, come altrove.
 

Il belato delle pecorelle







D.: Nei confronti della Chiesa, le "pecorelle" racalmutesi belano più o meno rispetto a quelle delle altre parti?.

R.: Beh! se le pecorelle "belano" perché bramano pascoli più ubertosi, allora è ben giusto che belino. Se poi è vezzo critico - molto diffuso in questo nostro paese - allora bisogna rintuzzare quelle critiche. Oggi si parla molto di dialogo. Quindi, con spirito di carità, la dialettica con il popolo di Dio deve essere fervida, reciprocamente rispettosa, missionaria. Diceva papa Giovanni «chi è dentro deve sforzarsi di guardare a quelli che stanno fuori; chi è fuori deve sforzarsi di guardare meglio dentro. » Forse, se Sciascia si fosse sforzato di guardare meglio dentro, non sarebbe incorso in quelle critiche... diciamo, esagerate. Sciascia guardava alla Chiesa dal lato esterno. Anche la Chiesa è un’istituzione, che nella sua componente terrena può venire migliorata. Comunque, quelli che dall’interno ci produciamo, talora, in critiche, tentiamo di migliorarla. A Sciascia, forse, di migliorare la Chiesa con le sue critiche non importò granché. Diceva madre Teresa di Calcutta, a chi parlava male della Chiesa: «Lei che cosa ha fatto per la Chiesa? Niente! Ed allora?».

 
 
Sciascia e gli eretici di Racalmuto: fra Diego La Matina, il notaio Jacopo Damiano e la strega Isabella Lo Voscu.

 
D.: Detto, tra parentesi, che Leonardo Sciascia, immenso scrittore, è stato secondo me, un pessimo politico ed un massacratore della storia locale di Racalmuto, ho da precisare che nei miei studi storici su Racalmuto, che modestia a parte, credo che abbiano una qualche valenza, non ho mai riscontrato moti locali che sapessero di eresia. La vicenda di fra Diego La Matina è tutta da studiare e va totalmente revisionata rispetto all’abbozzo forzato di un testo come Morte dell’Inquisitore. Il notaio Jacopo Damiano - notaio di fiducia del barone Giovanni del Carretto negli anni sessanta del 1500 - ridonda, nei suoi rogiti, di fervore religioso ed irreprensibile ortodossia. Ora si parla di una certa Isabella Lo Vosco (o Bosco) come eretica. Costei, murata viva per dieci anni dall’Inquisizione, appare più che un’eretica, una mondana che ai suoi tempi destava scandalo, specie fra i famigli del Sant’Uffizio. Una questione dunque di morale sessuale e l’ortodossia c’entrava ben poco. Quindi Racalmuto può definirsi un popolo fedele alla Chiesa. Concorda?

R.: Racalmuto è stato sempre fedele alla Chiesa e quando vi è stato il famoso scisma di Grotte, nessun racalmutese è stato coinvolto. Né vi fu, da parte di un qualche sacerdote o di un qualche laico, moto alcuno di simpatia o di fiancheggiamento a quella ribellione di ecclesiastici grottesi. Quanto al protestantesimo - che qua e là nell’agrigentino un qualche proselitismo è riuscito ad avere - qui a Racalmuto esso è stato sempre rigorosamente bandito. Qualche elemento viene ora da Agrigento, ma è fatto trascurabile. Il motivo? Diceva il grande padre Parisi, eccelso predicatore - anche il Circolo Unione si sentì in dovere di accoglierlo come socio onorario -, diceva dunque il padre Parisi: è grazia della Madonna del Monte. La devozione alla Madonna a Racalmuto è stata sempre profonda e radicata. Ciò l’ha preservato dall’apostasia. La bontà, l’attaccamento alla chiesa ed altre doti del popolo di Racalmuto restano comprovati dai tanti documenti d’archivio, che anche tu ed il prof. Giuseppe Nalbone state studiando, con risultati conformi a questa valutazione.

D.: Ma questo è un atto di fede, o di speranza o di carità verso i racalmutesi?

R.: Credo solo che sia un atto di giustizia e di sincerità. Alla carità gratuita, non bisogna indulgere. Cerco solo di essere obiettivo e sincero. Ma i momenti di smarrimento che per avventura vi siano stati a Racalmuto vanno presentati con altrettanta sincerità ed obiettività. Non sono comunque uno storico per avere di siffatti problemi. Tocca a chi cerca la verità storica, essere veridici, a qualunque costo. Amicus Plato, sed magis veritas, mi pare che un tempo si dicesse, quando era di moda il latino. Ed oggi Sciascia appare tanto Plato!

 
* * *
 




Le opzioni umane dell’arciprete




 


D.: Il 25 dicembre 1991 lei diceva: «fare cose utili, dire cose coraggiose, contemplare cose belle: ecco quanto basta per la vita di un uomo». E per quella di un prete?

R.: Per la vita di un prete è immergersi nella preghiera. E’ entrare nel vivo della vita dei propri parrocchiani. Sapere portare gli altri, con la forza dello spirito di Dio, al Padre. Se questo si riesce a fare, si può dire che il prete è riuscito. Se questo non riesce a fare, il prete, pur avendo avuto l’ordine sacro, è sempre un fallito.
 

e quelle dello spirito



 


D.: L’altro giorno, quando è stato celebrato il suo quarantacinquesimo anno di sacerdozio, lei pronunciò un’omelia memorabile. Ci sono stati tre passaggi che mi hanno particolarmente colpito:
1) un oscuro riferimento ad un deserto da attraversare;
2) un ribadire, quasi con rabbia, «io sono comu l’ovu, ca cchiù si coci, cchiù duru addiventa»;
3) un suo non volere scegliere tra l’atteggiamento pratico e conservatore di S. Pietro e l’atteggiamento speculativo ed innovatore di San Paolo.
Vuol commentare?

R.: Io non oso mettermi, sia pure lontanamente, a confronto con tali giganti della Chiesa. Cerco di imitarli quanto più posso, essendo noi i continuatori della loro missione. Quando faccio qualche battuta del tipo «cchiù mi cuociu, cchiù duru mi fazzu» intendo sottolineare la mia ostinazione, il mio attaccamento, il mio volere essere sempre più fedele al sì, a quell’eccomi pronunciato al tempo della mia consacrazione sacerdotale. Voglio perseverare nella grazia che Dio concede giorno per giorno, perché nellamore di Dio si cresce giorno per giorno. Nessuno può presumere di essere arrivato. Nessuno deve adagiarsi. Ed allora ecco il cammino, che può essere un cammino nel deserto, che può portare incontro al proprio Calvario. Sono tappe, anche dolorose, che vanno ostinatamente raggiunte e superate, ad imitazione di Cristo. Con l’andare degli anni, si riflette maggiormente. Ci si accorge di avere avuto dei difetti. C’è bisogno di maggiore ostinazione, ma non basta la buona volontà: occorre la grazia di Dio.
 

Come è cambiato Racalmuto in quest’ultimo cinquantennio.




 
D.: In questi quarantacinque anni, Racalmuto, sotto il profilo della fede, di quello morale e di quello sociale, è migliorato o peggiorato?

R.: Anche Racalmuto, come tutto il resto del mondo, ha subito l’influenza generale. Se Berlino piange, Roma non ride e viceversa. Siamo in epoca di cosiddetta planetarietà. Il mondo è diventato, davvero un paese. Il nostro paese è diventato, in certa misura, il mondo, nel bene e nel male. A Racalmuto - possiamo dirlo - un miglioramento c’è: lo Spirito Santo soffia dove vuole e sta soffiando un po’ dovunque, anche a Racalmuto. Quindi i movimenti che nascono, gli oratori che rinascono. Il bisogno di pace, il bisogno di associarsi, il bisogno anche di rinnovarsi. Si avverte, e questo è già molto. Ma Racalmuto subisce anche l’ondata deleteria del rilassamento dei costumi, del consumismo, del materialismo.

D.: A Racalmuto vi sono molto meno vocazioni di una volta. E’ un segno negativo, è un momento transitorio, è un indice di un certo affievolimento della fede religiosa?

R.: La scarsità delle vocazioni è un segno di crisi, più che del sentimento religioso, della famiglia. Oggi la famiglia è in crisi. I mass-media hanno operato negativamente. C’è stata anche una crisi di fede: non si può negare. Un paese antico come Racalmuto, ha risentito con un certo ritardo degli effetti negativi. Noi preti dobbiamo puntare di più sulla catechesi, sull’istruzione religiosa e sulla vita liturgica.

D.: Racalmuto, il popolo di Dio di Racalmuto, è sincero con i sacerdoti, o no?

R.: Beh! Se vedono un sacerdote che si muove, che agisce con serietà, con purezza d’intenti, sì. Non si guarda più tanto al grado di cultura del prete, perché la gente vuole ed esige un servizio all’insegna della charitas, dell’amore. Dove non c’è amore, scatta la critica. Del resto il Vangelo lo dice: se il sale è insipido, lo si calpesta; se il sale è buono, lo si apprezza.

D.: A Racalmuto la fede è diversa a seconda del sesso, dell’età, delle classi sociali?

R.: Sì. La gioventù, ad esempio, è stata un poco più lontana. Ma qualcosa si muove in senso positivo. Si è costituito un oratorio, si è costituita una consulta giovanile. Cresce il richiamo associativo tra i giovani. Le donne sono più vicine: ciò è stato sempre scontato. Una qualche indifferenza religiosa è atavica fra gli uomini anziani. E qui l’asino zoppica. Dovremmo trovare la maniera come mobilitare anche gli uomini. Abbiamo trovato delle difficoltà anche con questi Centri d’ascolto familiari. Non solo qui a Racalmuto, ma anche in tutta la diocesi. Mi ero permesso di suggerire qualcosa per interessare gli uomini, specialmente la sera.
 

La morale sessuale di Racalmuto




 


D.: Ho l’impressione che la morale sessuale a Racalmuto sia stata una cosa molto relativa e talora inquinata. Si levano dai documenti d’archivio sussurri e grida che fanno intuire scelleratezze consumate qualche volta persino nel chiuso delle famiglie. E’ un mio pessimismo o lei non intende accedere ad una provocazione del genere?

R.: I misfatti di sesso sono capitati ovunque. La verità è un’altra: siamo portati a scandalizzarci oltre misura quando i fatti di sesso investono la vita religiosa. Siamo portati a credere che tutto un edificio crolli. Ma non è soltanto questo il succo della morale cristiana. E’ tutto l’insieme di atti, di comportamenti. Ed allora è erroneo pensare che se si verificano peccati di sesso, non c’è più religione. Assolutamente, no! Ci possono essere grandi convinzioni e ci possono essere grandi cadute.

D.: Ma io non mi riferisco alla sessualità dei preti. E’ un problema troppo grosso e troppo grande per affrontarlo io. Mi riferisco, però, alla morale sessuale corrente del cosiddetto popolo di Dio, che in questo mi sembra troppo poco popolo di Dio, per quanto riguarda Racalmuto. E non tanto per un certo tipo di sessualità, diciamo così sfrenata che può rientrare nell’ordine umano delle cose, quanto per quell’andare al di là, oltre il pentagramma e pigliare certe stecche. E non sono, secondo me, fatti isolati, ma palesano un certo costume di vita che non va criticato - perché nulla che è umano è criticabile - ma sicuramente non va ammirato.

R.: La prevenzione è sempre il problema più difficile. Là dove la prevenzione è stata praticata, si è evitata la frana. Laddove si è fatto di meno, certamente la frana si avverte. Ora qui a Racalmuto occorre praticare un metodo preventivo - ed io come sacerdote credo di averlo fatto nella scuole. Per quanto riguarda il passato gli antichi nostri non ci davano un contributo, per premunirci dai mali che oggi sovrastano. E’ certo, però, che la gioventù di oggi è più preparata e più attenta rispetto al passato. Le coppie degli sposi sono più preparate. Vi sono i corsi di formazione. Certo si suol dire che male comune, mezzo gaudio. E l’opera nefasta dei mass-media, del materialismo dilagante, si fa sentire. E’ in atto una scristianizzazione subdola. La famiglia è stata minata nelle sua fondamenta: vedi divorzio, aborto, etc. che per noi cristiani sono piaghe e piaghe anche sociali.

D.: Racalmuto ebbe certamente una cultura contadina, quindi chiusa e sessualmente repressa e tendente agli eccessi. Questo, però, vale per la Racalmuto antecedente agli anni ’50-’60. Dopo, in coincidenza con la sua arcipretura, Racalmuto - se debbo giudicare dall’esterno - ebbe un salto di qualità. Certe repressioni della società contadina non ci stanno più. Oggi, ci saranno ... peccati, ma normali; prima, i peccati potevano invece apparire ... anormali.

R.: Io, nei primi anni di sacerdozio, ebbi infatti a notare un periodo, definiamolo, preconciliare. Vigeva allora quella moralità antica. Sembrava che stesse bene per tutti. Ma apparvero subito le prime avvisaglie dell’incombente grande corruzione. Abbiamo dovuto provvedere. In Azione Cattolica ed in altre associazioni cattoliche abbiamo intrapreso ad affrontare problemi di morale che prima era azzardato toccare. La questione sessuale, nelle scuole, io l’ho affrontata, naturalmente con le dovute cautele e ... con le pinzette. Allora c’erano le denunzie che si facevano con estrema facilità. Nelle scuole medie - ricordo - c’è stata una preside che mi diceva: meno male che c’è lei a trattare questi argomenti, perché gli insegnanti sono ostili a trattarli, per paura delle denunzie. Il paese nostro era, comunque, un paese chiuso, un paese di montagna. Appena si è affacciato, con i ragazzi che andavano a scuola, non appena cominciarono a muoversi, vi furono le prime vittime che finirono subito ... segnalate. Due periodi a confronto si ebbero, in ogni caso: quello preconciliare e quello successivo in cui le cose cominciarono a vedersi con altra ottica.


D.: Continuo sul piano della provocazione. Nel Settecento, mi è sembrato che ci fosse un atteggiamento differenziato della curia vescovile nei confronti dei matrimoni tra parenti. Quando si trattava di poveri, scattava tutto un processo con l’adozione di provvedimenti che imponevano atti di mortificazione pubblica. I fidanzati dovevano cingersi il capo con una corona di spine e in ginocchio dovevano chiedere perdono sul sagrato delle chiese: dovevano così recitarsi in ginocchio tanti rosari davanti a tante chiese. Veniva dato incarico al Vicario Foraneo affinché vigilasse sul completo adempimento delle penitenze inflitte. Quando, invece, si trattava dei cosiddetti galantuomini, i matrimoni tra parenti, anche tra primi cugini, non solo non venivano osteggiati ma persino favoriti. Ci si guardava bene dal comminare pubbliche penitenze come per i poveri. E questo si trascina fino a certi conclamati gesuiti dell’epoca contemporanea. Questa faccenda, al laico suona molto strana. Si domanda: ma che ci stanno, secondo la curia vescovile, due morali matrimoniali: quella dei ricchi e quella dei poveri? Per converso, il sacerdozio locale mi è apparso piuttosto lungimirante ed equo.

R.: Che in passato ci sia stato qualche inconveniente, è fuori discussione. La Chiesa, si sa, dall’interno ha modificato certi atteggiamenti giuridici. Molti canoni sono stati aboliti, molti canoni attenuati, molti canoni cambiati. Abbiamo un codice nuovo, ben diverso da quello antico. La Chiesa ha dovuto modificare il suo atteggiamento per stare al passo con i tempi. C’è stata una maturità popolare e questa è stata registrata dalla Chiesa. Ricordo che nei primi anni di sacerdozio, per i fuggitivi c’era il matrimonio in sagrestia. Era umiliante, ma serviva anche da deterrente, per evitare gli abusi. Oggi la gente ha più maturità, più coscienza. Una mea culpa ricade sui sacerdoti, che non erano riusciti a far maturare religiosamente i propri fedeli. Ma c’era il peccato per ignoranza della povera gente e bisognava correggerla per evitare il peggio. Le ingiustizie? E dove non sono?
 

Vi è stata una doppia morale matrimoniale?



 


D.: Durante l’arcipretura Puma, ho avuto l’impressione - naturalmente sono un osservatore non qualificato ed esterno - che le due morali matrimoniali, quella dei ricchi e quella dei poveri, si siano finalmente unificate. Non posso dire altrettanto per l’arcipretura del suo predecessore.

R.: Beh! .. il mio predecessore ha avuto grandi virtù: sono stato con lui una vita. Carattere forte, duro, qualche volta, ma a volte era necessario prendere atteggiamenti e decisioni dure. Bisognava creare una certa coscienza. Andare ai Sacramenti senza una preparazione, accostarvisi con leggerezza, erano malvezzi da correggere, anche con durezza. Quell’arciprete andava giustificato. Avrei preferito, invece, meno severità e più disponibilità verso la gente. A ciò ci stiamo uniformando io ed i miei confratelli. Bisognava più convincere che reprimere. Con l’amore si ottiene di più, come diceva don Bosco, della rigidità.
 

Ricchi e poveri, tutti uguali?



 


D.: Perché negli alti prelati c’è una sorta di diffidenza nei confronti dei poveri ed una sorta di intelligenza con i ricchi? Ci si scorda che nel Vangelo sta scritto «è più facile che un cammello entri nella cruna di un ago che un ricco nel regno dei cieli»? Perché invece i parroci, l’arciprete, il basso clero che sono più a contatto con il popolo, sovvertono quell’atteggiamento?

R.: Diceva il servo di Dio padre Elia Lauricella: «bisogna avvicinare i ricchi e tenerseli vicini perché facciano del bene ai poveri.». Credo che questa sia una strategia intelligente, pastorale. Nel Vangelo non c’è scritto che si devono disprezzare i ricchi. Certo non bisogna affiancarsi ai potenti sol perché sono potenti. Occorre comunque stare in mezzo ai poveri, perché la Chiesa è dei poveri. Lo diceva anche papa Giovanni: Ecclesia pauperum. Essere poveri non va considerata una gran bella cosa. La maggior parte del mondo vive in povertà non per sua scelta. Sorge il problema dell’aiuto che occorre approntare. Un aiuto verso i fratelli poveri.
 

I vescovi "rinascimentali" agrigentini.

D.: Premesso che a me i vescovi rinascimentali non piacciono, mi pare che gli ultimi tre o quattro vescovi agrigentini siano di tutt’altra paste. Non sono, di certo, rinascimentali.

R.: Sì, I vescovi di oggi sono diversi, perché è cambiato anche lo stile della Chiesa. I trionfalismi di una volta sono sorpassati. Il tipo di cultura ecclesiale è cambiato. Il vescovo ora è fratello fra i fratelli, per quanto riguarda i sacerdoti. Il vescovo è ora un pastore: gira, si muore, entra a stretto contatto con i fedeli della sua diocesi. Prima, invero, non era così. Ai tempi, il vescovo aveva il potere, aveva autorità e quindi era il vertice. Oggi, con il Concilio Vaticano II, il Pastore sta al centro: la Chiesa non è più verticale, come si pensava una volta; la Chiesa è circolare. Al centro il parroco con le varie entità come il Consiglio pastorale, presbiterale, Consiglio economico. Prima il parroco era il deus ex machina e accentrava tutto, mentre i laici erano scollati. Oggi il laicato ha ripreso il suo ruolo. Rammentiamoci che il laicato ha i doni che abbiamo avuto noi sacerdoti: il laico battezzato è sacerdote, fa parte del regno di Dio, ed ha anche l’ufficio profetico. Quindi i laici predicano, annunciano la parola di Dio e mutano nel tempo.

 

Il laicato racalmutese
D.: A tal proposito, c’è a Racalmuto un laicato fervido?

R.: Grazie a Dio, sì. Anzi, addirittura qualche vescovo mi diceva: «fortunato, perché lei ha collaboratori numerosi». Non possiamo cantare vittoria .. ma, tutto sommato, ci è lecito un moto di soddisfazione. Sotto questo profilo, siamo a posto.

D.: Quando nel 1960 ho dovuto emigrare da Racalmuto, per motivi di lavoro, ho lasciato un paese povero, con grande miseria, con strade sporche, con case invivibili, oggi - a parte il vezzo di piangere miseria, che è vecchia abitudine contadina - il paese mi pare di gran lunga cresciuto, economicamente parlando. A questa crescita economica - se vi è stata - si è accompagnata una crescita religiosa?
R.: Sì, possiamo affermare con certezza che c’è anche una crescita religiosa. Ad esempio, le varie parrocchie - che prima stentavano ed avevano vita grama - ora sono fervide, con varie associazioni, con tante belle iniziative, vi si celebrano incontri parrocchiali ed interparrocchiali. La consulta che già è nata fra i giovani è efficiente. Abbiamo organizzato gli incontri anche col Vescovo. Stanno sorgendo, anche, dei movimenti artistici, lirici. Tutte le occasioni servono per essere anche noi presenti e dire una buona parola, anche di incoraggiamento. Ciò dimostra che cosa? Una maggiore apertura ed una maggiore coscienza da parte delle famiglie che incoraggiano questi ragazzi a vivere la vita della parrocchia. Sarebbe auspicabile che le Amministrazioni comunali concertino con le parrocchie attività a respiro annuale. Su questa lunghezza d’onda ancora non ci siamo.
Fede e preti a Racalmuto

D.: Trenta quarant’anni fa, a Racalmuto - mi consenta una battuta - c’erano tanti preti .. e poca fede; ho l’impressione che ora ci stia tanta fede ma pochi preti.

R.: Ih! ...ih! ... ih! [piccolo accenno al riso]. Vuoi forse dire che è scattato un processo inversamente proporzionale? Beh! Io non vorrei giudicare il passato; comunque mi consta che nel passato vi erano uomini di fede granitica. Se la fede si deve misurare dalle opere, allora dobbiamo dire che in passato attività se ne fecero. Le varie chiese che sono state costruite dalle varie maestranze sono l’attestato più bello. Le varie opere caritative come la casa della fanciulla, la Misericordia (quella della mastranza), il maritaggio dell’orfana, furono edificanti iniziative dei nostri padri racalmutesi, atti bellissimi di fede. Ecco, perché mi sembra un po’ azzardato avanzare riserve sulla fede degli antichi di Racalmuto. Col cambiare dei tempi, certo cambiano le manifestazione di fede. Anche oggi abbiamo tante belle manifestazioni di fede .. specie per l’apporto dei laici che suppliscono alle deficienze numeriche di sacerdoti.

D.: Altra domanda scottante... Come giudica le vicende politiche di Racalmuto?

R.: Beh! .. Racalmuto ha avuto la mala sorte di avere subito amministrazioni poco accorte. Forse elementi non preparati sufficientemente hanno potuto scalare i vertici del potere locale. Ma contro le tristi vicende che abbiamo subito c’è stata una reazione che dobbiamo definire sana. Si è cercato di ovviare alle varie piaghe che si sono aperte. Ma dal punto di vista amministrativo, c’è stata una specie di corsa .... ai beni, più che al bene comune. Ai beni, di vario genere. Quindi il paese si è sviluppato piuttosto caoticamente. Ognuno ha cercato di fare a modo proprio. Tanti hanno cercato di affermarsi con il potere. In case, sono finiti i sudati risparmi dell’onesto lavoro dei racalmutesi, del lavoro degli emigranti. In politica, qualcosa, molto deve cambiare: così il paese non può migliorare.
[Questo passo dell’intervista appare decisamente datato: si riferisce al tempo - trascorso ormai da vari anni - in cui si è svolta la stessa intervista. Non vi si può attribuire valore attuale o riferimento alla presente congiuntura politico-amministrativa del paese, n.d.r.]
 

quarantacinque anni di eventi
D.: In quarantacinque anni di sacerdozio, ne saranno successi di tutti i colori. Ricorda eventi belli, eventi brutti?

R.: Eventi brutti? ... possiamo dire anno per anno. Eventi belli, dopo la guerra? ... quelli a livello nazionale della ricostruzione. Riflessi sul posto, tanti. Poi abbiamo avuto il nefasto blocco dell’attività edilizia. Dei tempi buoni, a respiro nazionale, noi racalmutesi ne abbiamo usufruito, però, tutto sommato, poco. La povera gente è rimasta delusa. Molti dovettero uscire fuori dal paese, per trovare lavoro. Sono dovuti andare a cercare pane altrove. In Germania, ad esempio. E’ stata un’emigrazione dolorosissima. La migliore gioventù è dovuta emigrare. Andare negli Stati Uniti, in Canada. Qualcuno poté emigrare con qualche documento parrocchiale ... vorrei dire un po’ ... truccato. Allora c’era lo spauracchio del comunismo. Qualcuno doveva, per emigrare, rinnegare la propria ideologia, che poteva risultare sgradita e fingere di professare quella ... gradita. Tutto questo non è stato bello. Abbiamo avuto le sciagure minerarie del Belgio che hanno coinvolto anche nostri emigranti. Sono uscito diverse volte: sono stato in Belgio, in Germania, due volte negli Stati Uniti. Ho avuto modo di vedere i nostri emigranti nella loro nuova patria; ho potuto scorgere il buono ed il cattivo, il positivo ed il negativo, della loro nuova vita.
In definitiva, il paese, dal punto di vista socio-economico, non possiamo dire che sia migliorato di molto. Si è soltanto difeso.

D.: .... sono convinto che se si sapesse la verità sui depositi bancari, sulla sottoscrizione dei titoli pubblici, sulle disponibilità, addirittura, in valuta estera, sui depositi postali, di Racalmuto, forse, il giudizio cambierebbe.

 
R.: Sì, perché si tratta di un paese parsimonioso. Noi in definitiva discendiamo dai giudei: risparmiatori, avvezzi alle banche, ai depositi. La gente nostra non è abituata ad investire. Anche perché ha avuto diffidenza verso le istituzioni finanziarie (e talora grosse fregature). Una diffidenza che ha investito anche le istituzioni finanziarie d’ispirazione ecclesiastica.

D.: Padre Puma, lei accennava alla grande emigrazione degli anni quaranta, cinquanta... sessanta. Ne derivò un forte flusso di rimesse degli emigranti... mal convertite in lire dalle banche. L’Italia ha potuto sfruttarle per costruire le sue fortune, per cui oggi, nel bene o nel male, viene considerata la sesta, settima ottava potenza economica del mondo. Queste rimesse degli emigranti, già mal convertite in lire e finite in depositi bancari, sono state quindi polverizzate dall’inflazione galoppante degli anni settanta. Lo Stato quindi è doppiamente debitore nei confronti di Racalmuto. Non riesco a capire perché a livello nazionale si vuole recitare il de profundis allo Stato assistenziale e rompere con ogni forma di sovvenzione al Sud (e quindi a Racalmuto), dimenticando che si debbono atti di risarcimento, di riparazione. Lei è sacerdote e quindi le cose dell’economia le lascia agli economisti. Il suo parere resta però sempre interessante: si tratta pur sempre delle condizioni di vita dei suoi parrocchiani.


R.: Io - per quello che ho potuto constatare, sentire, avvertire - debbo sottolineare che qui la mano del minatore, del bracciante, dell’operaio, del commerciante, è stata sempre defraudata. Il mare di rimesse dall’estero non ha lambito, vivificato le nostre aride terre. Sono d’accordo, dunque, sul fatto che lo Stato è fortemente debitore. Addirittura, se ci rivolgiamo alle banche per prestiti, loro fanno gli indiani verso i racalmutesi. Le banche locali, già assorbite da quelle colossali del continente, sono molto aperte a prendere (i depositi racalmutesi), ma del tutto restie a dare (accordare prestiti, finanziare, etc.). Noi non abbiamo avuto agevolazioni da parte delle banche. Sono scesi come i predatori - mi dispiace dire questa frase - perché sanno dove pescare. E qui hanno sempre pescato un po’ tutti. Nel vicino paese di Grotte, invero, è stato diverso. I grottesi si sono serviti delle banche per i loro investimenti, ma lì vige un’altra mentalità, diversa da quella racalmutese. Non va sottaciuto il ruolo della Regione Siciliana. Essa ha comprato a poco prezzo le miniere: ha fatto sorgere delle società alquanto speculative. Beh! Sappiamo tutti come sono andate a finire le miniere racalmutesi. Quando si è finalmente levata una voce di protesta, questa voce - voce nel deserto - è stata soffocata.

venerdì 6 febbraio 2015

Quel giugno del '74!

Caldo giugno allora come adesso, venerdì pomeriggio arriva un ordine da Via Nazionale 91: allertare tre ben specifici giovani ispettori della Vigilanza bancaria: sono il futuro direttore generale dottor Enzo De Sario, il siciliano dottor Calogero Taverna, l’avvenente dottor Piero Izzo. Stavolta è addirittura il Governatore Guido Carli , di solito così algido e distaccato, a dare direttive e inconsuetamente chiedere che i tre giovani ispettori si accingano ad avere un colloquio propedeutico addirittura con lui nella ormai mitica grande sala del San Sebastianino del grintoso palazzi Koch. E’ la fine di giugno del 1974. Cose vecchie di 38 anni fa si direbbe, ormai archiviate. Sì, se in questo afoso come allora giugno non avessimo un epilogo (in parte assolutorio, in parte scandalosamente accusatorio) di un viluppo conflittuale tra poteri costituzionali: magistratura e governo dell’economia, che ebbe esordio proprio allora, in quell’afoso giugno del ’74.
Quel giugno del ’74 si chiuse con un compiacente decreto Sindona, assolutorio di uomini e cose; il corrente giugno ha tappe capovolte: un’assoluzione ormai non più riparatrice ed una salomonica riduzione di pena da parte di togati inidonei a comprendere le superiori leggi che governano i mercati, le borse, l’ordito bancario, la bilancia dei pagamenti, le sorti dell’economia nazionale. De jure condito e de jure condendo precipitiamo tra vacui e perniciosi lacci e laccioli, che miseramente di taglio privatistico soffocano la superiore salvaguardia dell’economia nazionale dell’intera comunità statuale (se lo Stato è ancora un valore).

REITERO

HO UCCISO MIO FIGLIO, da noi messo in scena nel teatrino credo oggi sventrato della Sagrestia della Madrice di Racalmuto.

Aprile del 1950, credo nei giorni di festa della Pasqua, alla Matrice, in quel simpatico teatrico che allora occhieggiava nel giardino della sacrestia, avevamo messo in scena un lacrimosissimo"ho ucciso figlio"  una pièce   clericale per soli attori maschi, di tal che si poteva recitare anche in seminario. Faccenda stucchevole e inverosimile: un padre che si oppone, contro la volontà della defunta madre, alla vocazione del figlio. La vendetta divina giunge feroce: il figliuolo devia e si perde e muore. Sulla scena di Racalmuto, versione sagrestia della madrice, gigioneggia Guido Picone, sornione un il bel Pino Agrò, comicizza Cosimo La Rocca, imponente Bellomo, Luigi Giudice secondario ma altezzoso, Barba ridotto a cameriere ma la Traviata in sottofondo gli fa strappar lacrime alle gentili signorine assepate nelle sgangherate sedie della platea raffazzonata, fingendo di ignorare che sono oggetto di tante cupide taliate dei giovani attori filodrammatici.
 In questa foto potete mirare attori protagonisti, comprimari, persino un quattordicenne mio fratello che si limita a portare il caffè.
Ne è passata di acqua sotto i ponti. 65 anni non sono poi così pochi. Io facevo da aiuto regista, di un regista che però non ammetteva intrusioni, il bravo fascistissimo Gino Caprera. L'impresario era Giugiu Di Falco, già impiegato al Fisco; aveva soldi da buttare e quindi poté comprare da mio padre tutto il residuo di matapollo per le quinte che ben vedete in foto. L'arredo, prestato da Ernesto Di Naro. Per i tempi  di sicuro una filodrammatica di lusso.  Il mio amico dottore davvero bravo Carmelino Rizzo vuol fagocitare l'evento tra le glorie dell'Azione Cattolica, la Virtus. Ma reputo il suo un atto di pirateria clericale.
Passavo ieri sera davanti al circolo degli anzianotti a lato dell'ex bottega fantasma di Daniele Ciciruni e vi noto il mio carissimo vecchio amico (dal 10 ottobre 1945) Liddru Curtu. Vecchio sì ma non socio, ora continua ad essere il parroco di San Giuliano anche se deve barcollare tra due alte grucce rivestiste di panno bianco. E abbiamo ricordato proprio quell'evento, la storica recita di HO UCCISO MIO FIGLIO  alla Matrice. Quella recita aizzò ancor più la ruggine tra Padre Arrigo e l'arciprete Casuccio, tanto da spingere il focoso don Giovanni Arrigo a chiamare alle armi teatrali il mio parente Totino Scimé e il mio (dopo) sodale anticasucciano Viciu  Farrautu   e mettere in scena in una stalla del Carmine niente meno che la Pastorale del settecentesco padre Fedele. Ferveva ardore filodrammatico in quei tempi nei vari e contrapposti meandri clericali racalmutesi.


Liddru Curtu ieri sera un altro po' si metteva a lagrimare commosso ancora per quel padre ostativo di una chiamata del Signore. Ma io che storico pignolo sono, gli dicevo che non poteva essere presente alle rappresentazioni essendo queste avvenute nell'aprile del 1950,  e Liddru Curto, essendo entrato in seminario nel 1943, doveva vedersela con gli astrusi studi del secondo liceo, sia pure in versione seminario vescovile di Agrigento, non so quale anno dell'impero vescovile di Mons.  Peruzzo.



Ma LiddruCurtu, insisteva; ricordava particolari, insieme abbiamo ravvisato come primo attore Guido Picone, fornitore del disco della Traviata che consentì al cameriere, futuro maresciallo Barba, di declamare tra le lagrime di tanti e soprattutto tante: "quella sera, quando la signora Elena moriva, mi chiamò vicino a sé e mi disse, Beppe, mio caro Beppe .... " Il futuro maresciallo Barba fu molto credibile e sembrò a  tutti saper recitare bene .. ma non fece dopo né il cameriere né l'attore, si limitò a fare, se non erro, il capitano di marina.
Dati tutti questi precisi indizi sono arrivato alla conclusione che quell'anno, contro la tradizione, i seminaristi vescovili furono mandati a casa per le feste pasquali e così  il pio Liddru Curtu, oggi canonico don Calogero Curto parroco ultratrentennale della parrocchia di San Giuliano di Racalmuto, poté commuoversi per il dramma dell'Osvaldo, prete mancato, dell' HO UCCISO MIO FIGLIO, da noi messo in scena nel teatrino credo oggi sventrato della Sagrestia della Madrice di Racalmuto.


Mi si scrive in dileggio della mia senescenza quel che ora riporto qui non essendo io aduso alle imbecillità moderne. Sì la mia scarsa abilità a controllare la tastiera dopo avere abbandonata la penna stilografica è nota e confessata. Vero, senectus ipsa morbus (e non glielo traduco perché mi sta sui coglioni) o per dirla con Luchino Visconti: la vecchiaia è immonda, infatti non gliela AUGURO. Certo io sono vetero comunista tutt'altro che pentito e G... C...  [a famiglia non vuole che lo nomino pur addirittura nell'esaltazione, che debbo fare? obbedisco]  fu, e restò fascistissimo nell'orbita di Giugiu Agrò e di Luigi Di Marco. Se questa era la sua fede perché io dovrei ribattezzarlo? G .... C... lo chiamavo nel 1950 e G ...  C....  continuerò a chiamarlo adesso. Gi Se per  paturnie familiari sono scattate resipiscenze onomastiche, non mi riguardano ed io scrivo come ad 80 anni mi pare. Non credo di dileggiare alcuno. Mi riferisco a chi documentatamente si faceva chiamare G.... C... 

Avendo ubbidito, casso le insolenze di questi signori ::: peccato non resterà traccia della loro piccineria. 


 Mi si accusa di avere amputato non so quale parte del dileggio nei confronti della mia CONCLAMATA senescenza. Siccome, come si potrà constatare, ho cassato tutto non saprò mai di che cosa sono colpevole. Stanotte non dormirò per i miei soliti acciacchi dovuti all'età, ma non certo per siffatte mie manchevolezze.

Vezzo latino: le GEORGICHE

VIRGILIO GEORGICHE


Oscar Mondadori Milano 1980

..ulmisque adiungere vitis ..
[liber I v. 2 p.2]

Chaoniam pingui glandem mutavit arista
[liber I v. 7]
 et teneram ab radicem , Silvane, cupressum
[ibidem v. 19]

accipiat cingens materna tempora myrto
[ibidem v. 28]

croceos ut Tmolus odores
[ibidem v. 55]


aut ibi flava seres mutato sidere farra
unde prius laetum siliqua quassante legumen
aut tenuis fetus viciae tristique lupini
sustuleris fragilis calamos silvamque sonantem.
[ibidem vv.73-76]


urit enim lini campum seges, urit avevae
urunt Lethaco perfusa papavera somno.

[ibidem vv. 77-78]
vimineasque trahit cratis

[ibidem v. 94]

Non ci hanno voluto; per Susanna senza panna eravamo vecchiacci; ora si lecchino le ferite (e le supertasse monnezzare).

LETTERA ad un anziano elettore del mio paese
(ma lucido ed arzillo, ancor più di me)

Carissimo Pippo, scriveva un tale che racalmutese fiero originale non è: facta, non verba. Figurati se non son d’accordo; da vetero comunista tutt’altro che pentito non posso che cercare di rispondere al Che fare? di un certo LENIN. Che fare?
Frattanto costituiamo un comitato civico vigilante e propositivo. Vi dovrebbero far parte over 70 (con qualche eccezione come quella del mio amico Fiero). Tu che il greco lo apprezzi come me, devi esserne il Presidente, il Priamo insomma di quel consiglio di anziani dell’Iliade: …. L’uno e l’altro prudenti,/sedevano – gli Anziani – presso le porte Scee:/ per la vecchiaia avevano smesso la guerra, ma parlatori/ nobili erano, simili alle cicale, che in mezzo al bosco/ stando sopra una pianta mandano voce fiorita. (Iliade, libro terzo, vv. 148-152).
E quel consiglio, forte di pensionati bankitalia, secit, magistratura, ministeri, multinazionali – molti fuoriusciti, ma qualcuno stanziale – saprebbero richiamare alla saggezza “missi dominici” ed eroi in seconda iliaci; gonnelle d’alto bordo e politici insensi; e corpi militari supponenti. Soprattutto, ora (a Consiglio comunale bello e liquidato), a chi avrà il bastone del comando, tra gli spettri monacali della Badia, saprà suggerire, sollecitare, correggere, far scegliere, far provvedere, far progettare, fare adempiere etc.
E visto che non si vota più, inventiamoci un simbolo a futura memoria elettorale con cartigli del tipo
La lista degli anziani
CASTRUM
Racalmuto/domani


Il simbolo? Una stilizzazione del campanile, del castello , del castelluccio e del teatro imbracato, come da una foto di Giuggiu di Falco. Anche fra 18 mesi più sei, noi non vinceremo ma gli inciuci a sinistra verranno sbaragliati. Purtroppo ad avere la meglio sarà qualche mio diletto amico, per convenienza passato al partito dei preti: gli cadrà sul collo un paese stremato dalle amputazioni delle metastasi dei burocrati. Avrà dalla sua parte le preghiere delle anime pie e tutti quanti ci salverà. Auguriamocelo per universale interesse personale, senza distinzione di fede e di credo politico. Non ci resta nessuna altra speranza.

Calogero Taverna

la doppia profanazione della Forestale

Guardate queste due foto sovrapposte. A me viene una rabbia iconoclasta. Penso che persino alla Madonna dei cattolici verranno  le madonne a vedersi immessa in una tomba sicana di circa quattro mila anni fa. E dire che la tomba sicana stava nelle terre espropriate dalla Regione per farci i boschi che poi sono stati reiteratamente bruciati, parlo della Forestale. Le locali autorità che hanno permesso questa doppia profanazione dimostrano anche qui la loro abissale ignoranza. Poveri noi, buoni solo a farci tosare da tasse monnezzare preistoriche persino dall'attuale esile sindaco comunista.

atti notarili del Seicento racalmutese

IANNUZZO SALVATORE FU ANGELO BIGINI Item in et super una vinea in miliarijs novem de aratro cum eius clausura, arboribus, domibus, torculare et alijs universis in ea existentibus sita in feudo Biginorum confinante cum vinea magistri Gerlandi Paci ex una parte et cum via publica parte ex altera et aliis confinibus.
PACE GERLANDO BIGINI
INGRAO FILIPPO BOVO in contrata Bovi secus vineam et clausuram Philippi Ingarao Inperi ex una et secus vineam magistri Mariani Morriale ex altera et alios confines & per constitum tenere et possidere &
MORREALE mastro MARIANO BOVO
GENTILE LUCIANO BOVO Item in et super  quadam clausura arborata cum eius domo et torculare existentein eodem pheudo Racalmuti et in contrata Bovi secus vineam Luciani Gentili et secus vineam Vincentij Parla ex una et secus clausuram heredum condam Ioannis Antonij Piomontisio ex altera et alios confines.
PARLA VINCENZO BOVO
GRILLO GIOVANNI BOVO in et super quadam vinea cum eius clausura arborata cum eius torculare et domo sita et posita in feudo ditti terre Racalmuti et in contrata Bovi secus vineam Philippi Caravello ex una et secus vineam Jualini Pirnici et viam publicam et alios confines.
CARAVELLO FILIPPO BOVO
PIRNICI GIOVANNINO BOVO
MASTROSIMONE Marianus et Joannella de Mastrosimone CASALI VECCHIO quadam vinea de aratro et arborata cum eius domo, turculare, terris vacuis et aliis in ea existentibus, sita et posita in feudo dictae terrae et in contrata di Casali Vecchio, confinata cum vinea Petri Burgio, cum vinea et clausuris Vinc. de Gracio et vinea Mariani Jangreco ex parte de supra cum via publica et aliis confinibus.
BURGIO PIETRO CASALI VECCHIO
GIANGRECO MARIANO CASALI VECCHIO
GRACI VINCENZO CASALI VECCHIO
LA LICATA ANTONELLA CELSO-LOGGIATO-GIBILLINI totum integrum locum nuncupatum Lo Celso cum eius vinea clausuris flomarea canneto domibus diversis generibus arborum aqua et alijs in eius existentibus ac cum omnibus et singulis juribus et perinencijs suis universis situm et positum in pheudo Gibillinarum et in contrata nuncupata di Logiato secus vineam heredum condam notarij Jo: Viti de Amella ex una parte et secus clausuram Petri Aucella et secus locum heredum condam Petri barberio et secus vineam que  olim erat condam Antonini de Alletto parte ex altera et secus alios si qui sunt et invenirentur veriores confines.
AMELLA JO. VITO CELSO-LOGGIATO-GIBILLINI
ALLETTO ANTONINO CELSO-LOGGIATO-GIBILLINI
BARBERI alias MOSSUTO ANTONINO CULMITELLA in contrata Colmitelle secus vineam  magistri Pauli Cachiatore ex una et secus vineam Joannis de Agrò Vento ex altera et alios confines & et hoc per constitum tenere et possidere donec et quovisque &
CACCIATORE mastro PIETRO CULMITELLA
AGRO' VENTO GIOVANNI CULMITELLA
BARBIERI ANTONIA CULMITELLA Item in et super eius vinea existente in feudo dicte Terre et Comitatus Racalmuti et in contrata Culmitelli confinante cum vinea que olim erat condam Pauli Cacciatore ex una et cum vinea Jo: de Agrò Vento et aliis confinibus.
CACCIATORE PAOLO CULMITELLA
AGRO' VENTO GIOVANNI CULMITELLA
LA LICATA LOGIA ANGELO DONNA FALA - PORTELLE contrata Portelle Donna Xhalis secus vineam Aloisij Taybi Chino ex una et secus vineam Joseph La Lactuca ex altera et alios confines & et hoc pro constitum tenere et possidere donec et quovisque &
TAIBI CINO LUIGI DONNA FALA - PORTELLE
LA LATTUCA GIUSEPPE DONNA FALA - PORTELLE
MESSINA ORLANDO GARAMOLI in et super quadam vinea cum eius clausura, domo, torculare et aliis in ea existentibus  sita et posita in feudo ditte Terre Racalmuti et in contrata Garamolis secus vineam Fabii de Palermo ex una et secus vineam Vincentii lo Judici et vineam Joannis Restivo ex altera et alios confines.
PALERMO FABIO GARAMOLI
LO GIUDICE VINCENZO GARAMOLI
RESTIVO GIOVANNI GARAMOLI
MESSINA PAOLINO GARAMOLI CORVO
PALERMO FABIO GARAMOLI CORVO
RESTIVO DRAGO GIOVANNI GARAMOLI CORVO
MULE' VILLICO ANTONINA GARAMOLI CORVO
LUPARELLO LEONARDO GARAMOLI CORVO
MESSINA PAOLINO GARAMOLI CORVO
D'ASARO PIETRO, PITTORE GARAMOLI CORVO Item in et super una eorum vinea cum parte torcularis existente in feudo dicte terre Racalmuti et in contrata Garamulis confinante cum clausuris heredum condam Petri Macalusio ex una parte et cum vinea Francisci Macalusio condam Vincentij parte ex altera et alijs confinibus.
MACALUSO FRANCESCO FU VINCENZO GARAMOLI CORVO
LA LICATA ANTONELLA GAZZELLA 2000 Item in et super una vinea in miliaris duobus cum eius parte clausure existentem in feudo ditte terre Racalmuti et in contrata vocata di Gazella secus vineam Adarij Piamontisio ex una et secus aliam partem vinee Simonis Giandalia ex altera et alios confines
PIEMONTISI ADDARIO GAZZELLA
GIANDALIA SIMONE GAZZELLA
MANTEGNIA PASQUALE GAZZELLE 3000 in et super quadam vinea ditti Pasqualis consistenti in miliaris tribus vel circa cum suis arboribus torculare et alijs in ea existentibus in pheudo ditte terre Racalmuti et in contrata Gazelle secus vineam Adarij Piomontisio ex una et secus vineam Simonis Bucculerio et vineam Hyeronimi Garlisio condam Sancti ex altera et alios confines.
PIEMONTISI ADDARIO GAZZELLE
BRUCCULERI SIMONE GAZZELLE
GARLISI GIROLAMO FU SANTO GAZZELLE
SIGNORINO VITO GIBILLINI Item in et super quadam vinea arborata cum eius clausura doms torculare et alijs in ea existentibus in feudo Gibillinorum secus vineam Sebastiani de Amella secus vineam Joannelle La Lomia uxoris Simonis La Lomia et secus alios confines.
AMELLA SEBASTIANO GIBILLINI
LA LOMIA GIOVANNELLA GIBILLINI
AMELLA GIOVANNI DI FRANCESCO GIBILLINI domibus aqua terris scapulis et arboribus et alijs in eo existentibus sito et posito in feudo Gibillinorum confinante cum vinea Johannis Francisci de Amella ex una parte et cum clausura Antonini Gugliata et clausura et vinea Petri de Salvo parte ex altera et alijs confinibus.
SALVO PIETRO GIBILLINI
CURCIO ANDREA GIBILLINI 4000 Item in et super quadam  vinea in miliaris quatuor cum eius clausura in salma una terrarum sita et posita in feudo Gibillinorum secus vineam heredum condam Michaelis Capoblanco ex una et secus clausuram Orlandi di Messina et clausuram Jacobi La Licata Inferno ex altera et alios confines.
CAPOBIANCO MICHELE GIBILLINI
MACALUSO FRANCESCO DI VINCENZO GRANCI in et super quadam  vinea in miliarijs tribus in ea existentibus sita et posita in feudo ditte terre Racalmuti et in contrata delli Granci secus vineam Jacobi de Poma et vineam Antonij Lauricella et secus trazeram publicam ex altera et alios confines.
POMA IACOBO GRANCI
LAURICELLA ANTONIO GRANCI
COGNOME NOME LOCALITA' N.O VITI NOTE
LA LICATA GIURLANDELLA MALVAGIA
RIZZO MARCO MALVAGIA
BARBA ANTONINO FU PAOLO MANCHI in et super quadam vinea cum suis clausuris arboribus domo torculare in feudo dicti terre Racalmuti et in contrata delli Manchi secus vineam Pauli De Amella Gravuso ex una clausuram magistri Philippi Barberio et secus aliam Gerlandi Pitrocella ex altera et alios confines &
AMELLA GRAVUSO  PAOLO MANCHI
BARBERI FILIPPO MANCHI
PETRUZZELLA  GERLANDO MANCHI
MONTELEONE not. NICOLO' MENTA Item in et super quadam clausura cum eius flomaria existente in feudo Mente confinante cum vinea notarij Nicolai Monteleone ex un parte et cum vinea Zaccanelli, via publica et alijs confinibus.
TAIBBI VINCENZO ED ALESSANDRO MONTAGNA 18000 In primis in et super quadam  vinea in miliarijs decem et octo cum eius clausuris arboribus domo torculare et alijs in ea existentibus sita et posita in feudo ditte terre Racalmuti et in contrata vocata della Montagna secus vineam Antonini Curto Bartholi ex una secus vineam Petri Rizzo Simonis et vineam Sancti Sanphilippo ex altera et alios confines
CURTO ANTONINO DI BARTOLO MONTAGNA
RIZZO PIETRO DI SIMONE MONTAGNA
SANFILIPPO SANTO MONTAGNA
TAIBBI VINCENZO ED ALESSANDRO MONTAGNA Item in et super quadam alia vinea cum eius clausura arboribus et alijs in ea existentibus sita et posita in feudo dicte terre Racalmuti et in contrata predicta vocata della Montagna secus vineam dicti de Tajbbi ex una et secus vineam Antonini Curto Bartoli et vineam magistri Curradi Buxemi ex altera et alios confines vd: vinea quam dictus Vincentius emit a Mariano Sant’Angilo virtute contractus facti in actis meis die &
BUSCEMI CORRADO MONTAGNA
BORSELLINO PIETRO DI ANTONIO MONTAGNA 4000 in perpetuum imposuit et imponit subjugavit et subjugat specialiter et expresse in et super quadam vinea in miliaris quatuor existente in pheudo ditte terre Racalmuti et in contrata della Montagnia secus vineam Alessij Macalusio ex una et secus vineam Bartoli Petrocella ex altera et alios confines.
MACALUSO ALESSIO MONTAGNA
PETRUZZELLA BARTOLO MONTAGNA
LUPARELLO ANTONINO NOCE
DE LIO JACOBO NOCE
LA LICATA ANTONELLA NOCE
D'ASARO PIETRO, PITTORE NOCE Item in et super quadam clausura consistente in salma una terrarum existente in feudo Nucis ut dicitur a lo passo di lo molino di Garamoli confinante cum vinea heredum condam notarij Jo: Guadagno ex una parte et cum vallone dicti molendini Garamolis et via publica parte ex altera et alijs confinibus.
LA LICATA ANTONELLA PIDOCCHIO in contrata vocata di Pidocchio in contrata vocata delli Zubbij
XANDRO CATERINA PIDOCCHIO Item in et super miliaris quatuor vinee existentibus in feudo dicte Terre Racalmuti et in contrata nuncupata  di Pidocchio confinantibus cum vinea heredum condam Alexandri Taybi ex una parte et cum vinea Antonini de Giglia et aliis confinibus.
TAIBI ALESSANDRO PIDOCCHIO
GIGLIA ANTONINO PIDOCCHIO
LA LICATA ANTONELLA PIRO-NOCE-FICOAMARA vineam nuncupatam di lo Piro cum eius domo antro torculare clausura et aliis in aea existentibus sitam et positam in pheudo Nucis secus vias publicas per quas itur versus civitatem Agrigenti  et di Fico Amara secus intratas et tarzereos vinaee quae olim erat condam Petri La Rocca et secus alios confines dicta Antonella supra dittam vineam relittam et legatam per dittum condam Leonardum eiusdem olim virum virtute eius sollemniset suis scriptis codicillarum celebratarum ut asseritur in attis dicti condam Jo: Viti de Amella die & ad quas & et hoc in equali portione quod debeat ipsi fratres de Morreale inter eos dittam vineam dividere comuniter pro una integra mediatate et quoniam sic voluit et vult ipsa donatrix et non aliter nec alio modo.
LA ROCCA PIETRO PIRO-NOCE-FICOAMARA
SFERRAZZA - Gerlandus Sferracza quondam Antonini alias Cannatuni uti tutor Francisci Sferracza eius fratris ROVETTO FONTE 5000
BARBERI GRIXO VINCENZO SAMBUCHI Savuchi  [Sambuchi, ndr.] secus vineam Aloisij de Rogerio ex una et secus vineam Caroli Lo Brutto et secus vineam Joseph Calchi ex altera et alios confines & per costitum tenere et possidere.
RUGGERI LUIGI SAMBUCHI
LO BRUTTO CARLO SAMBUCHI
CALCI GIUSEPPE SAMBUCHI
FIXINA E STAFARACI Filippus de Fixina et Vincentius Stafarachi socer et gener SANTA DOMENICA vinea consistente in miliarijs quinque arborata cum eius sepalibus grutta et alijs in ea existentibus in feudo dette terre Racalmuti in contrata Sancte Dominice secus vineam Petri Bellohomo ex una et secus vineam Simonis Acquista et viam publicam per quam itur in terram Gruttarum et alios confines.
BELLOMO PIETRO SANTA DOMENICA
ACQUISTA SIMONE SANTA DOMENICA
SUTTASANTI PIETRO SCALA
RIZZO MARTINO SCALA
ALAIMO IACUZZO MARCO SCALA
MONTELEONE NICOLO' SERRONE
MACALUSO GIUSEPPE DI VINCENZO SERRONE
GUELI ANTONINO SERRONE
BARBIERI PIETRO SERRONE
SURCI PAOLO SERRONE
FRANCO BARTOLO SERRONE
LO NOBILI mastro GIULIO STALLUNERI 3000 Item in et super quadam vinea in miliarijs tribus cum dimidio existente in feudo ditte Terre Racalmuti et in contrata vocata  di lo Stalluneri secus vineam magistri Francisci Barone ex una et secus vineam magistri Francisci Lo Nobili et vineam heredum condam Joseph de Gueli Gerlandi ex altera et alios confines.
BARONE mastro FRANCESCO STALLUNERI
LO NOBILE mastro FRANCESCO STALLUNERI
GUELI GIUSEPPE DI GERLANDO STALLUNERI

GUADAGNO NOT. GIOVANNI