HO UCCISO MIO FIGLIO, da noi messo in scena nel teatrino credo oggi sventrato della Sagrestia della Madrice di Racalmuto.
Aprile del 1950, credo nei giorni di festa della Pasqua, alla Matrice, in quel simpatico teatrico che allora occhieggiava nel giardino della sacrestia, avevamo messo in scena un lacrimosissimo"ho ucciso figlio" una pièce clericale per soli attori maschi, di tal che si poteva recitare anche in seminario. Faccenda stucchevole e inverosimile: un padre che si oppone, contro la volontà della defunta madre, alla vocazione del figlio. La vendetta divina giunge feroce: il figliuolo devia e si perde e muore. Sulla scena di Racalmuto, versione sagrestia della madrice, gigioneggia Guido Picone, sornione un il bel Pino Agrò, comicizza Cosimo La Rocca, imponente Bellomo, Luigi Giudice secondario ma altezzoso, Barba ridotto a cameriere ma la Traviata in sottofondo gli fa strappar lacrime alle gentili signorine assepate nelle sgangherate sedie della platea raffazzonata, fingendo di ignorare che sono oggetto di tante cupide taliate dei giovani attori filodrammatici.
In questa foto potete mirare attori protagonisti, comprimari, persino un quattordicenne mio fratello che si limita a portare il caffè.
Ne è passata di acqua sotto i ponti. 65 anni non sono poi così pochi. Io facevo da aiuto regista, di un regista che però non ammetteva intrusioni, il bravo fascistissimo Gino Caprera. L'impresario era Giugiu Di Falco, già impiegato al Fisco; aveva soldi da buttare e quindi poté comprare da mio padre tutto il residuo di matapollo per le quinte che ben vedete in foto. L'arredo, prestato da Ernesto Di Naro. Per i tempi di sicuro una filodrammatica di lusso. Il mio amico dottore davvero bravo Carmelino Rizzo vuol fagocitare l'evento tra le glorie dell'Azione Cattolica, la Virtus. Ma reputo il suo un atto di pirateria clericale.
Passavo ieri sera davanti al circolo degli anzianotti a lato dell'ex bottega fantasma di Daniele Ciciruni e vi noto il mio carissimo vecchio amico (dal 10 ottobre 1945) Liddru Curtu. Vecchio sì ma non socio, ora continua ad essere il parroco di San Giuliano anche se deve barcollare tra due alte grucce rivestiste di panno bianco. E abbiamo ricordato proprio quell'evento, la storica recita di HO UCCISO MIO FIGLIO alla Matrice. Quella recita aizzò ancor più la ruggine tra Padre Arrigo e l'arciprete Casuccio, tanto da spingere il focoso don Giovanni Arrigo a chiamare alle armi teatrali il mio parente Totino Scimé e il mio (dopo) sodale anticasucciano Viciu Farrautu e mettere in scena in una stalla del Carmine niente meno che la Pastorale del settecentesco padre Fedele. Ferveva ardore filodrammatico in quei tempi nei vari e contrapposti meandri clericali racalmutesi.
Liddru Curtu ieri sera un altro po' si metteva a lagrimare commosso ancora per quel padre ostativo di una chiamata del Signore. Ma io che storico pignolo sono, gli dicevo che non poteva essere presente alle rappresentazioni essendo queste avvenute nell'aprile del 1950, e Liddru Curto, essendo entrato in seminario nel 1943, doveva vedersela con gli astrusi studi del secondo liceo, sia pure in versione seminario vescovile di Agrigento, non so quale anno dell'impero vescovile di Mons. Peruzzo.
Ma LiddruCurtu, insisteva; ricordava particolari, insieme abbiamo ravvisato come primo attore Guido Picone, fornitore del disco della Traviata che consentì al cameriere, futuro maresciallo Barba, di declamare tra le lagrime di tanti e soprattutto tante: "quella sera, quando la signora Elena moriva, mi chiamò vicino a sé e mi disse, Beppe, mio caro Beppe .... " Il futuro maresciallo Barba fu molto credibile e sembrò a tutti saper recitare bene .. ma non fece dopo né il cameriere né l'attore, si limitò a fare, se non erro, il capitano di marina.
Dati tutti questi precisi indizi sono arrivato alla conclusione che quell'anno, contro la tradizione, i seminaristi vescovili furono mandati a casa per le feste pasquali e così il pio Liddru Curtu, oggi canonico don Calogero Curto parroco ultratrentennale della parrocchia di San Giuliano di Racalmuto, poté commuoversi per il dramma dell'Osvaldo, prete mancato, dell' HO UCCISO MIO FIGLIO, da noi messo in scena nel teatrino credo oggi sventrato della Sagrestia della Madrice di Racalmuto.
Mi si scrive in dileggio della mia senescenza quel che ora riporto qui non essendo io aduso alle imbecillità moderne. Sì la mia scarsa abilità a controllare la tastiera dopo avere abbandonata la penna stilografica è nota e confessata. Vero, senectus ipsa morbus (e non glielo traduco perché mi sta sui coglioni) o per dirla con Luchino Visconti: la vecchiaia è immonda, infatti non gliela AUGURO. Certo io sono vetero comunista tutt'altro che pentito e G... C... [a famiglia non vuole che lo nomino pur addirittura nell'esaltazione, che debbo fare? obbedisco] fu, e restò fascistissimo nell'orbita di Giugiu Agrò e di Luigi Di Marco. Se questa era la sua fede perché io dovrei ribattezzarlo? G .... C... lo chiamavo nel 1950 e G ... C.... continuerò a chiamarlo adesso. Gi Se per paturnie familiari sono scattate resipiscenze onomastiche, non mi riguardano ed io scrivo come ad 80 anni mi pare. Non credo di dileggiare alcuno. Mi riferisco a chi documentatamente si faceva chiamare G.... C...
Avendo ubbidito, casso le insolenze di questi signori ::: peccato non resterà traccia della loro piccineria.
Mi si accusa di avere amputato non so quale parte del dileggio nei confronti della mia CONCLAMATA senescenza. Siccome, come si potrà constatare, ho cassato tutto non saprò mai di che cosa sono colpevole. Stanotte non dormirò per i miei soliti acciacchi dovuti all'età, ma non certo per siffatte mie manchevolezze.
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