sabato 9 marzo 2013

Viva Rosso di San Secondo


Lettera aperta a Tano Savatteri:

 paga il tuo fio, collabora con me per il recupero di Pier Maria Rosso di San Secondo a Caltanissetta, al teatro Regina Margherita di Racalmuto.

Se, quando deceduto, trovassero qualche mio scritto, celiante la tua famiglia,  cosa diresti?
 Se lo facessi tu con me, mi incazzerei di brutto. Io inizierei con un prete squinternato da Sciascia, l’arrendatario don Savatteri e Brutto. E magari ci metterei la tua stazza fisica, richiamando qualche episodio di nonni maneschi. E ovviamente sarei lieve e quasi giocoso.
Tu, metteresti in berlina la mia statura non eccelsa. Ma noi siamo uomini d’onore, disdegniamo entrambi i fanciulli discoli di una evanescente Regalpetra e passeremmo oltre. Non così fece un certo Orio Vergani  che a babbo morto , nel 1956 (Rosso di San Secondo  o era morto o stava per morire nel novembre del 1956) si mise a scorticare vivo il letterariamente già defunto suo vecchio direttore Rosso. Tu, caro Tano, nel 2005, quasi mezzo secolo dopo gli vai dietro e risillabi: piccolo, olivastro, il colletto duro stretto attorno al pomo di Adamo … con certi astratti furori, sguardi straniti, dolori cupi, e una specie di nera solitudine: Aggettivi a iosa insomma.  “Aveva conosciuto il dolore: un fratello morto suicida”. E non parli di Sciascia, ma di Rosso di San Secondo . Ancor oggi mi chiedo: chi scrisse per la tomba del diletto fratello quegli strazianti versi latini? Sciascia o la prof.ssa Andronico?

 Ma noi non facciamo erudizione, vero Tano?

Ma emendiamoci. Quanto a Rosso di San Secondo io vetero comunista mi porto dentro  l’infamia rossa di un seppellimento di un grande genio siciliano sol perché fu un grande fascistone. Ma sempre genio resta, ad onta dell’estetica desunta da Gramsci ad onta del realismo lukacsiano, ma tu caro Tano pecchi in prima persona. Redimiamoci. Portiamo nel teatrino (che ormai così angusto niente altro è) col suo desueto  nome monarchico “Regina Margherita” (così vollero i racalmutesi) la rivisitazione di tanto grandissimo autore. Facciamo un’operazione culturale. Facciamo recitare a qualche giovane promessa del teatro, con ascendenze racalmutesi, passi sparsi della enorme produzione teatrale del Nisseno; costruiamo una sorta di antologia sulla gracilità dell’esser donna secondo Pier Maria nella Sicilia dell’inizio del secolo scorso. Penso ad eroine  strambe, vaghe, ingenue e peccatrici quali ad esempio la LOTTE del Segno Verde. Ho conosciuto ieri una catanese produttrice cinematografica e teatrale NELLA CONDORELLI che per pochi denari ben si presterebbe a iniziative del genere. A Catania c’e quel nume nascente che ti voleva fare questa estate Podestà di Racalmuto in taluni suoi spunti sul Foglio. Fascista lui, fascista Rosso di San Secondo … io non ho prevenzioni. Un teatrino come quello di Racalmuto a questo è deputato .. ad operazioni culturali senza ritorno economico. E’ il suo vanto, è il mio orgoglio.

Una attrice che scende piumata tra suoni e proiezioni allucinate, ricche di cromatiche sublimità quali ad esempio il mio amico Agato Bruno saprebbe ben dipingere, sepreché il nostro grande Nicolò Rizzo non voglia collaborare, e adeguatamente inquadrata da una scena estrapolata dal testo e magari recitata da una filodrammatica quale io ravvis in quella diretta da Turiddu Bellavia di Grotte , avrebbe l’estro di diffondere ambigue domande quali “Chi mi cullava? Faceva il lago dondolare il battello? O c’era altro?" come dire la gioia dell’amore. Il dolore della vita.

Racalmuto fa riscoprire Pier Maria Rosso di San Secondo, emulo di Pirandello, grande  “nella sua linea fantastica” … che si proietta e ci proietta “ nell’avventura colorata, nella dimensione onirico-metafisica, quella del delirio, quella del mito” echeggando lo scritto incisivo e sagace di Andrea Bisicchia. Altro che Orio Vergani e, permettimi, altro che il SICILIANO ad uso di Gaetano Savatteri.

Seconda parte del parco sconfitto


Il quadro sinottico tracciabile si dispiega lungo queste cifre:

Scuole dell’obbligo
maschi
femmine
totale
50
3
53
Licenza media superiore
maschi
femmine
totale
43
18
61
Laurea
maschi
femmine
totale
3
4
7

 
Totale generale
maschi
femmine
totale
96
25
121


 

Emblema dell’irrazionalità del quadro economico è il seguente prospetto delle licenze commerciali:

1. Commercio fisso: n.° 162;

2. Commerci su aree pubbliche: n.° 143;

3. Produttori agricoli: n.° 51;

4. Pubblici esercizi: n.° 27.

Un terziario così pletorico sarebbe esiziale se non fosse inattendibile. Un velo ipocrita, o peggio, copre dunque una realtà economica ben più viva ed operosa che sfugge alle statistiche ufficiali. Diversamente non si spiegherebbe la massa di mezzi fiduciari in parcheggio presso le banche; diversamente sarebbe dissennatezza la frotta di laureati (nelle più disparate discipline) che Racalmuto annualmente sforna. Oggi, con connotati di disoccupazione totale o di sottoccupazione, questo piccolo centro dell’Agrigentino annovera tecnici laureati o diplomati (ingegneri, architetti, geometri) nel settore scientifico per una settantina di elementi; tecnici dell’area contabile (laureati in economia e commercio e ragionieri) per circa una ventina di soggetti ed altrettanti nell’area giuridica (avvocati o meri laureati in giurisprudenza).

Si guardi l’illuminante foglio di un periodico locale (Vedi fotocopia).

Quantificazione di massima del valore degli investimenti proposti e delle fonti finanziarie

In relazione ai suaccennati “laboratori” può prefigurarsi questo budget di investimenti approntabili dall’Associazione Conte del Carretto:

1 ) organizzazione di itinerari turistici ispirati all’opera di Sciascia con modalità e percorsi inconsueti;
Acquisto di n.° 10 carretti siciliani istoriati
a L. 10.000.000 cadauno
L. 100.000.000
Acquisto di n. 10 giumente
a L. 5.000.000 cadauna
L. 50.000.000
Bardature diverse
L. 20.000.000
L. 20.000.000
L. 170.000.000
Studi e ricerche per la definizione degli itinerari turistici
L. 20.000.000
L. 20.000.000
Retribuzione e compensi ad accompagnatrici/accompagnatori
Anticipo per il primo anno in misura forfettaria di L. 12.000.000 per ciascun componente: sono previsti n. 10 collaboratori, uno per ogni carro. Dopo il primo anno, i proventi della specifica attività dovranno essere sufficiente alla copertura finanziaria
L. 120.000.000
L. 120.000.000
Spese varie
Imposte, tasse, cancelleria, assicurazioni, telefono, fitti, compensi straordinari
L. 60.000.000
L. 60.000.000
Totale laboratorio sub 1°
L. 370.000.000
2 ) istituzione di musei (religiosi, etnografici, storici) che pur rifacendosi alle notazioni sciasciane sappiano valorizzare la sconfinata storia di Racalmuto e dei dintorni (Grotte, Naro, Montedoro, Bompensiere, Milena).
Fitto dell'ex ospedale di San Giovanni di Dio
Il fitto è relativo al primo anno: dopo i proventi dovranno essere bastevoli per la copertura finanziaria
L. 36.000.000
Adattammento dei suddetti locali
sistemi d'allarme; strutture musive, e varie
L. 300.000.000
Recupero del materiale ecclesiastico
Piviali, pianete, statue, quadri ed altro
L. 500.000.000
Allestimento presso un atelier del luogo delle suppellettili antiche di cui ai disponibili inventari
L. 300.000.000
Spese per il personale
limitatamente al primo anno
L. 100.000.000
Spese varie
Cancelleria, tasse ed altro
L. 80.000.000
L. 1.316.000.000
Fitto di case sparse per il museo etnografico
Precedibile un minimo di 10 case caratteristiche di varia dimensione il cui fitto medio non supererebbe le L. 12.000.000 annue. Fitto previsto per il primo anno
L. 120.000.000
Reperimento di arredi popolari antichi
L. 50.000.000
spese per il personale
L. 120.000.000
spese varie
L. 20.000.000
L. 310.000.000
Utilizzo di locali comunali per sistemazione dell'archivio storico racalmutese
Si è certo che i locali si avrebbero in comodato: le spese si limiterebbero dunque alle opere di adattamento
L. 10.000.000
Mobilio ed arredi vari
L. 100.000.000
Spese per il personale
L. 50.000.000
Spese per computer, abbonamenti Internet, telefonia
L. 100.000.000
Spese varie
L. 30.000.000
L. 290.000.000
totale
L. 1.916.000.000
Il preventivo verrebbe coperto dall'eventuale contributo per il parco per non più del 40%; il resto verrebbe reperito con apporti contributivo del Comune, Provincia e Regione; al limite si ridimensionerebbero siffatte iniziative
L. 766.400.000
3 ) scuole di alta specializzazione nei settori della diplomatica, paleografia, archeologia, microstoria, settori di specifico riferimento a Racalmuto ed al suo inestimabile patrimonio archivistico, archeologico e storico;
Nei predetti musei ed archivi si dovranno aprire scuole specialistiche di paleologia, archeologia, storia locale. Limitata la spesa per i locali
L. 10.000.000
Compensi a docenti (specie di livello universitario)
L. 100.000.000
Spese per il personale molto limitate (sarà utilizzato soprattutto quello disponibile per le altre iniziative)
L. 40.000.000
Spese varie
L. 50.000.000
L. 200.000.000
L. 200.000.000
4 ) sofà psicanalitico per una inusitata indagine sui testi di Sciascia e per una concreta fruizione dei risultati a fini terapeutici, specie nel settore della labilità mentale senile;
Si conta sulla circostanza che i locali del vecchio ospedale racalmutese (dovuto a lasciti di apprezzati benefattori locali) - oggi in totale abbandono vengano dati in comodato all'Associazione proponente.
Le spese sono dunque quelle occorrenti per la sistemazione
L. 200.000.000
Attrezzatura scientifica
L. 500.000.000
Personale specializzato
L. 200.000.000
Contributi scientifici universitari
L. 50.000.000
Spese varie
L. 30.000.000
totale
L. 980.000.000
Anche qui prevedibili contributi degli enti locali. A carico del Parco non più del 40%. In caso di insufficienza di fondi, il progetto verrebbe adeguatamente ridimensionato
L. 392.000.000
5 ) concertazione di iniziative volte al recupero del dialetto racalmutese, della tradizione musicale locale, del canto gregoriano quale nei secoli scorsi clero, sodalizi monacali e le peculiari confraternite racalmutesi salmodiavano.
È codesta iniziativa che potrà svolgersi nei locali disponibili per altri laboratori. Si conterà soprattutto sul volontariato, davvero generoso in codesti comparti a Racalmuto.
Le spese sono dunque limitatissime. Si possono pure prefigurare in alcune spese varie non eccedenti
L. 5.000.000
L. 5.000.000
L. 5.000.000
6 ) coordinamento con i centri culturali di Grotte per il recupero della tradizionale teatralità di questa periferia agrigentina;
Le sinergie che s'intendono realizzare con la fervida operosità della contermine Grotte avranno un nodo nevralgico nell'intesa con il Laboratorio teatrale Luchino Visconti di Grotte per un'edizione stabile delle opere teatrali di Sciascia.
Verrà soprattutto utilizzato il Teatro Comunale di Racalmuto, al centro dell'attenzione di Leonardo Sciascia e prossimo alla riapertura dopo anni di restauro
L. 500.000.000
L. 500.000.000
Si presume che solo per il 40% l'onere ricadrà sull'associazione
L. 200.000.000
7 ) collegamento con il locale circolo Unione per un’ardita riesumazione dello sciasciano "circolo della concordia" con i suoi veridici personaggi, le sue atmosfere sociali, il suo scenario, le sue vetuste sale.
Tramite Infotar s.r.l. si procederà ad una serie di CD-ROM interattivi rievocativi della storia, degli usi, delle atmosfere sociali del circolo al centro delle Parrocchie di Regalpetra
Spese di produzione dei CD-ROM
L. 200.000.000
L. 200.000.000
Restauro delle sale del circolo per il ripristino delle tappezzerie e dell'arredamento come da descrizione sciasciana e secondo la disponibile documentazione fotografica
Lavori commissionabili all'atelier specializzato di Racalmuto, ARCON s.r.l.
L. 100.000.000
L. 100.000.000
Scenografica rievocativa dei personaggi e delle "affabulazioni" dei vecchi tempi
Gigantografie fotografiche, pannelli illustrativi, viaggi virtuali (da commissionare ad INFOTAR srl Racalmuto
L. 100.000.000
L. 100.000.000
Spese varie
L. 50.000.000
L. 50.000.000
L. 450.000.000
8 ) compartecipazione maggioritaria in una società mista con il Comune cui demandare iniziative imprenditoriali nel campo del turismo locale;
L'associazione intenderebbe partecipare con fondi propri alla costituenda società mista SIRAC spa Racalmuto cui è compartecipe il Comune di Racalmuto che potrebbe finanziare tante iniziative collimanti con quelle del Parco Leonardo Sciascia
L. 300.000.000
L. 300.000.000
L. 300.000.000
9 ) costituzione di una società di capitali per rilanciare il vecchio progetto di una traslazione cinematografica delle "Parrocchie di Regalpetra" che il regista racalmutese Beppe Cino - discepolo di Rossellini - da tempo agogna di girare;
Partecipazione, nella misura del 50%, alla divisata iniziativa del "Laboratorio Teatrale Luchino Visconti" di Grotte per la realizzazione del film sulle Parrocchie di Regalpetra
L. 500.000.000
L. 500.000.000
L. 500.000.000

10 ) attività traslativa dei disparati risultati conseguiti in CD-ROM o in siti Internet a disposizione del mondo dei navigatori informatici.

Tramite INFOTAR o altre realtà informatiche dell'agrigentino, tutte le risultanze dell'attività scientifica, storica, folkloristica, archeologica, etnografica del Parco andrà trasfusa in CD-ROM navigabili e traslata in siti INTERNET
Preventivare sin d'ora gli investimenti è arduo; approssimativamente si può affermare che non supereranno il miliardo di lire
L. 1.000.000.000
L. 1.000.000.000
L. 1.000.000.000
In sommatoria generale
L. 4.183.400.000
arrotondabili
L. 4.000.000.000
Riconducibili agevolmente nell'ambito dell'eventuale apporto dell'eroganda sovvenzione comunitaria
L. 3.000.000.000

Con cosiffatti apporti scatterebbe in Racalmuto un indotto a progressione geometrica. Già operano varie realtà imprenditoriali che usufruiscono delle agevolazioni della legge n.° 488/92. Altre imprese come INFOTAR (azienda d’avanguardia nell’attività dell’editoria digitale) sono in attesa delle agevolazioni di cui alla menzionata legge. Sarà, poi, possibile che la tormentata vicenda della società mista con il locale Comune abbia finalmente felice esito: codesta società si proietterebbe in campi altamente proficui sotto il profilo dell’esaltazione delle vocazioni turistiche di Racalmuto. In cantiere vi sono già progetti che potrebbero far veicolare su tale società a capitale misto (pubblico-privato) fondi per centinaia di miliardi a valere sulla predetta legge 488 e su altri fondi comunitari per imprese cospicue come campagne di scavi archeologici cui collegare attività turistiche del tipo degli stages per vacanze “intelligenti”, strutture alberghiere che al contempo sviluppino le possibilità di sfruttamento delle locali acque sulfuree o salse ai fini terapeutici e via discorrendo. Il Parco Letterario al nome di Leonardo Sciascia, quale qui concepito, davvero sarebbe di volano per un salto qualitativo dell’addormentata realtà economica racalmutese e per un lancio nei futuri, prevedibilissimi flussi turistici che, in vigenza di moneta unica, esploderanno verso l’incantevole Valle dei templi agrigentina (contermine conRacalmuto) e si dirameranno a margherita inondando la ormai celeberrima terra natia di Sciascia, Racalmuto. Sul TCI questo ameno centro della Sicilia dovrà venire ridisegnato. Oggi è malconciamente ridotto a “grosso centro agricolo che prese nome dall’arabo Rahalmaut.” Ed è subito questa una “cervellotica etimologia” come annota, per altre occasioni, il grande storico Garufi. I nuovi storici locali ecco, ad esempio, come affrontano questa tormentata vicenda dell’etimologia del toponimo di Racalmuto:

“ Normanni del Conte Ruggero, 600 cavalleggeri - pare, depredarono il territorio dell’altipiano ove sembra sorgesse un imprecisato Racel... a dire del Malaterra. Nell’XI secolo, il gaito saraceno Chamuth, signore della vicino Naro, con molta probabilità aveva il dominio del nostro Altipiano e forse vi eresse un fortilizio, un Rahal: da qui il toponimo Rahal Chamuth, a seguire l’acuta congettura del Garufi. I Saraceni furono, specie sotto Federico II, ribelli e violenti: imprigionarono persino il vescovo agrigentino Ursone. Federico II non fu tenero verso di loro, deportò a Lucera i caporioni; gli altri - i più pavidi ed i meno appariscenti - si dispersero assumendo nomi latineggianti o fingendo antica professione di fede cattolica. Per uno o due decenni Racalmuto rimase comunque deserta. Un tale della famiglia Musca - forse Federico Musca - poté appropriarsi del territorio, portarvi fuggiaschi, verosimilmente ex saraceni, dotarli di terra e mezzi di lavoro e far sorgere un nuovo casale. Il suddetto Federico Musca finì però con l’osteggiare il vincitore Carlo d’Angiò e costui lo spogliò di quel casale assegnandolo nel 1271 a tal Pietro Negrello di Belmonte: un diploma degli archivi angioini ne specificava - prima di esser distrutto dai nazisti nel 1943 - termini, modalità e dettagli. Finiva, per altro verso, quella che possiamo considerare la preistoria racalmutese: un periodo buio ed incerto che ebbe a protrarsi per 3271 anni. Quel che per tal periodo si è scritto - ed è tanto ed anche dalla penna più illustre del luogo - è solo cervellotica congettura. Possiamo solo credere a quei radi reperti archeologici di cui si ha conoscenza ed a quel poco, spesso nulla, che riescono a svelarci di tanto defluire umano degli antichi racalmutesi.

Con i Vespri Siciliani, il casale di Racalmuto acquisisce importanza e ruolo perché può fornire tasse e balzelli alla famelica pirateria di un Pietro d’Aragona. Il centro abitato non contava più di 75 fuochi (circa 265 abitanti). Nel 1376 i fuochi erano aumentati a 136 (circa 480 abitanti). Frattanto, Racalmuto - a dire del Fazello - era stato requisito da Federico di Chiaramonte che pare vi abbia costruito le torri del castello nella prima decade del 1300. Si sa che Costanza Chiaramonte, unica figlia di Federico, fu l’erede universale. Che abbia sposato prima il girovago ligure Antonio del Carretto e poi, divenuta vedova, l’avventuriero Brancaleone Doria - forse quello dannato all’inferno da Dante - si dice e qualche documento degli archivi di Stato palermitani sembra confermarlo. Resta comunque certo che sino al 1396 Racalmuto è dominio dei Chiaramonte, in particolare del celebre figlio illegittimo Manfredi Chiaramonte- lo attestano le carte dell’Archivio Segreto Vaticano.

Tocca a Matteo del Carretto rimpossessarsi del feudo, farne una baronia e farsene riconoscere titolare dal re Martino, naturalmente previo esborso di sonanti once. Il figlio Giovanni primo del Carretto è ancor più rapace del padre.

Nel 1404, Racalmuto è ancora fermo a 150 fuochi (540 abitanti). Un secolo dopo nel 1505, al tempo della “venuta” della Madonna del Monte, la sua popolazione sale a 473 fuochi (1670 abitanti). Ora domina il barone di Racalmuto Ercole del Carretto. Il figlio Giovanni II esordisce con un delitto: commissiona a tal Giacchetto di Naro la strage dei Barresi di Castronuovo per vendicare l’uccisione del fratello Paolo, antenato di Vincenzo di Giovanni che nei primi decenni del 1600 scriverà una complessa trattazione su Palermo Restaurato, ove rammenterà quei truci e letali eventi. Dopo, rimorsi e crisi religiose spingeranno quel del Carretto a costruire chiese e conventi ed a chiamare a Racalmuto carmelitani e francescani per una redenzione spirituale sua e del suo popolo. Certo, mero e misto impero, terraggio e terraggiolo ed una pletora d’imposte e tasse feudali fioccarono sui racalmutesi. Un notaio venne chiamato da Agrigento per i tanti atti del barone (e dei suoi vassalli): era quel tale Jacopo Damiano che alla morte di Giovanni II del Carretto finì sotto l’Inquisizione.

A metà del secolo, nel 1548, la popolazione sale a n.° 896 fuochi (3163 abitanti), segno che la politica del barone non era poi così devastante come sembra voler far credere Leonardo Sciascia.

Quello che non fa il barone, lo fa invece la peste del 1576: la popolazione racalmutese viene decimata. Se crediamo ad un documento del fondo Palagonia, dai 5279 abitanti del 1570 si sarebbe passati ad appena n.° 2400 abitanti nel 1577. Ciò non è credibile e si deve alla voglia tutta fiscale di impietosire il viceré per una contrazione delle “tande” in mora e di quelle in atto. Di sfuggita, va detto che la tentata evasione fiscale del 1577 non ebbe effetto. Le “tande” si basavano sulla tassa del macinato: la drastica contrazione della popolazione non consentiva un gettito bastevole a fronteggiare la soffocante tassazione del governo spagnolo. Questo non ebbe pietà e la Universitas fu costretta ad indebitarsi con gli stessi esattori, al contempo strozzini.

Sia come sia, nel 1593 Racalmuto sembra risorta: gli abitanti ora sono in numero di 4448: ovviamente molti fuggiaschi erano rientrati e, soprattutto, si doveva trovare conveniente emigrare dai centri viciniori per sistemarsi nella neo-contea di Racalmuto, le cui condizioni sociali, economiche e giuridiche in definitiva tornavano appetibili.”

Prosegue il TCI: “fino al ‘300 l’abitato sorgeva presso il luogo detto Casalvecchio [è invenzione del tutto infondata, n.d.r.]; l’odierno si venne fondando attorno al castello dei Chiaramonte [anche qui inesattezze a profusione: il primo nucleo databile attorno al 1250 si stabilì nelle grotte sotto il Carmine; il castello sorge postumo verso il 1310 a seguire il Fazello; codesto pur immenso storico del ‘500 non è perspicuo ad ipotizzare l’erezione dell’attuale castello racalmutese da parte di un cadetto dei Chiaramonte e comunque è molto circospetto per suffragare la ricorrente diceria di un castello chiaramontano a Racalmuto, n.d.r.]. E’ patria del pittore Pietro d’Asaro, d. il Monocolo (1597-1647) [è ormai pacifica la data di nascita del Pittore: 1579 e non 1597, n.d.r.]. Sul Corso Garibaldi, al centro sorge la chiesa Matrice (dell’Annunziata), della fine del ‘600, nel cui interno si conservano due dipinti dell’Asaro (Madonna e Santi e Madonna della Catena) [da rettificare: l’Annunciata è chiesa preesistente sin da prima del XVI secolo; l’attuale chiesa Madre ha laboriosa gestazione, ma può dirsi disegnata nel primo trentennio del 1600 e definita negli anni ’60 del XVII quando la fine del ‘600 era lontana; nessun quadro certo di Pietro d’Asaro vi si conserva, men che meno quelli sopra citati, n.d.r.]. A d. della Matrice, in fondo alla piazza Umberto I, è il Castello, fondato tra il ‘200 e il ‘300 da Federico Chiaramonte [banalizzazione di una cauta nota del Fazello: a credere a codesto grande storico il castello andrebbe datato 1310: le torri rotonde - fortezze abbisognevoli di alta perizia indisponibili ai tempi di Federico Chiaramonte - fanno invece pensare a Federico II lo Svevo, cioè al 1240 circa. Quando scavi sotto le torri metteranno alla luce i tanti reperti archeologici della dominazione araba - oggi totalmente oscura sotto il profilo dei manufatti - ampia luce ne promanerà anche ai fini del disvelamento della veridica storia dei musulmani in Sicilia. I locali già sanno di tali reperti; la locale Sovrintendenza sembra ignorarli del tutto, n.d.r.]: ha due torri cilindriche e nell’interno conserva un sarcofago romano del secolo IV, con la raffigurazione del Ratto di Proserpina [inculture passate e presenti hanno oscurato del tutto l’effettivo luogo del ritrovamento dell’importante sarcofago; oggi di certo non è più conservato al Castello ma nel chiostro dell’ex convento di Santa Chiara; la datazione è del tutto cervellotica, n.d.r.]. A sin. del castello si scende alla chiesetta di San Nicolò [in effetti S. Nicola di Bari, e si crede che nessun forestiero sarà in grado di raggiungere la chiesetta con siffatte indicazioni topografiche, n.d.r.], nella quale è una tela del Monocolo, con S. Nicola di Bari (firmata e datata 1603) [c’era una volta, ora non più; sbagliata la data che invece è quella del 1613, n.d.r.]; in Santa Maria di Gesù, fuori del paese, Madonna del Rosario, (firmata dallo stesso 1636). [Il quadro è disinvoltamente dichiarato “completamente distrutto”, n.d.r.] Altre chiese interessanti: la chiesa del Carmelo, con un Crocifissodell’Asaro [pare, invece, che il quadro dati ad almeno mezzo secolo prima della nascita del Pittore, n.d.r.] e la tomba di Girolamo III del Carretto(1600) [Girolamo III del Carretto morì oltre un secolo dopo, nel 1710; quello di cui tratti è il secondo dei Girolami del Carretto, che comunque fu “occisus a servo” nel 1622, un quarto di secolo dopo n.d.r.]; San Giuliano, con una Madonna della Cintura dell’Asaro [si sostiene essere dell’Asaro solo il San Giuliano che si vorrebbe del 1608; codesta “Madonna”non è oggi identificabile ed in ogni casi giammai sembra essere stata esposta in San Giuliano, n.d.r.]; il santuario di S. Maria del Monte, del sec. XVIII, [si dà invece il caso che la chiesa è visitata dal vescovo Tagliavia già nel 1540, n.d.r.] con una Vergine degli Afflitti, [chissà perché la si vuol chiamare “degli afflitti” quando ha un viso radioso!,n.d.r. ], della scuola del Gagini, [mero topos quando non si sa che dire di una statua marmorea di fine secolo XV, n.d.r.], e un altare con rilievi medioevali [ben strano in una chiesa che prima si affermava essere del XVIII secolo; l’attuale altare maggiore è invero databile XVIII secolo. Non si comprende come nessun cenno vi sia a chiese importantissime e di maggior valore storico ed artistico rispetto a talune chiese invece menzionate: ci riferiamo alle chiese del Collegio, di Sant’Anna, dell’Itria, di Santa Chiara, di San Pasquale e soprattutto della chiesa più antica: S. Francesco. n.d.r.]. - A N. e NO del paese, lungo il Vall. Pantano o di Racalmuto, sono numerose miniere di zolfo (oggi tutte inattive, ma intelligentemente riadoperabili per insediamenti turistici o per itinerari folkloristici in tipici carretti siciliani alla scoperta delle fonti d’ispirazioni sciasciane, n.d.r.] e di salgemma [da cui quel Sale sulla piaga, titolo che Sciascia avrebbe voluto per le sue Parrocchie di Regalpetra e che volle per la traduzione in inglese, n.d.r.], fra cui la salina Pantanella [ove il 12 maggio 1955 ebbe a trovare tragica morte il salinaio, i cui funerali vengono angosciosamente e con empiti d’ira descritti da Leonardo Sciascia ne “Le parrocchie di Regalpetra” in quel mirabile squarcio su “i salinari”. Escursione al M. Castelluccio m. 721, ore 1.30 circa. Si segue la strada per Montedoro e a 5 km. C. si sale a d. sul monte ove si trovano avanzi notevoli di una fortezza dei Chiaramonte, del sec. XIV, ma fondata nel ‘200 da Abba Barresi [il quale - normalmente chiamato Abbo - nulla ebbe mai a che fare con Racalmuto e dintorni: la fortezza, sede del feudo (in senso giuspubblicistico) di Gibillini [1], pertiene, a dire il vero, alle nobili famiglie medievali dei Podiovirid; Simone di Chiaromonte, Moncada, Alagona, De Marinis e Telles, Giardina Guerara ed altri, una lunga storia che trascende il dato segnaletico che la pur pregevole pubblicazione turistica fornisce, n.d.r.]. La strada continua per altri km.3,5 alla zolfara Gibellina. Indi prosegue fino, hm. 13,5, a Montedoro.[Nulla sulle interessantissime necropoli sicane; nulla sulle “garbere” del Monte Pernice; nulla sull’ipogeo cristiano delle “grotticelle”; nulla sui cinquecenteschi mulini ad acqua a valle di Racalmuto; nulla sugli “zubbi” di S. Anna (ove esplodono scisti di flora tropicale); nulla sulle “calcarelle” note a Solino e che Brydone cercava ancora nel ‘700; nulla sugli insediamenti bizantini attestati da ritrovamenti numismatici al centro dell’attenzione dei più grandi bizantinisti; nulla sulle“tabulae sulphuris” studiate da Mommsen nell’ottocento ed attualmente motivo di lambiccamento dei più accorti archeologi romanisti; nulla sui fenomeni carsici così atipici in un’isola del mediterraneo e nulla tant’altro, n.d.r.]. ”

Non val la pena - anche per il TCI - attivare un parco letterario in un cosiffatto territorio? Non si reputa del caso propiziare studi storici, scavi archeologici, ricerche paleografiche in una plaga - per sua ventura patria di Leonardo Sciascia - ove dovranno prima o poi affluire scienziati, storici, archeologici alla scoperta di mondi antichi i cui flebili echi si nascondono ancora nel grembo di quella terra e che non è bene che siano negletti o peggio deformati da pur eccelse pubblicazioni turistiche? Noi tentiamo qui una qualche progettazione: senza inquinamenti politici, senza cointeressamenti sospetti, senza padrinati colpevoli.



SEZIONE II

Descrizione delle modalità ipotizzate per la gestione del Parco Letterario

Abbiamo qua e là sufficientemente precisato come intenderemmo gestire il Parco: affidatane la direzione al dott. Taverna, la nostra associazione sarebbe il soggetto “no profit” che veicolerebbe i fondi per dar lavoro alle altre associazioni della specie pullulanti a Racalmuto, per commissionare alle competenti imprese locali (la società a capitale misto, Infotar, Arcon, aziende turistiche operanti già a Racalmuto, etc.) l’esecuzione delle opere e dei manufatti occorrenti in ordine alle finalità dei vari laboratori che ci si accinge a descrivere.

La tempistica può succintamente prefigurarsi nel succedersi delle seguenti fasi:

a) studi e ricerche;

b) commissione delle opere e dei manufatti occorrenti;

c) pratiche burocratiche varie (richiesta del comodato dei locali del vecchio ed abbandonato Ospedale; fitto delle vecchie case; postulazione di comodato di luoghi pubblici, locali comunali oggi in stato di abbandono, etc.);

d) opere murarie occorrenti;

e) attrezzatura di locali per renderli idonei alla realizzazione degli scopi prefissi (musei, esposizioni, registrazioni, allocazione di archivi, installazioni multimediali e via dicendo);

f) concertazioni con Curia, parroci, sindaci, amministratori provinciali, organi pubblici, associazioni teatrali, registi cinematografici, presidente del circolo Unione di Racalmuto per la messa a punto dei progetti di cui in seguito;

g) reperimento delle forze lavoro occorrenti;

h) avvio dei vari laboratori;

i) svolgimento di relativi compiti;

j) afflusso dei risultati nelle collegate società d’informatica;

k) attività editoriale su supporto cartaceo, ma, soprattutto, su CD-ROM;

l) attivazione dei siti Internet per navigare nell’intero mondo del costituendo Parco Letterario intestato a Sciascia.

* * *

Ma ritorniamo a quella che crediamo la nostra idea vincente: i laboratori.

Più che un titolo serve una descrizione anche prolissa ma forse più esplicita. Li abbiamo sopra definiti:

) organizzazione di itinerari turistici ispirati all’opera di Sciascia con modalità e percorsi inconsueti;

) istituzione di musei (religiosi, etnografici, storici) che pur rifacendosi alle notazioni sciasciane sappiano valorizzare la sconfinata - ma per il momento solo parzialmente conosciuta - storia di Racalmuto e dei dintorni (Grotte, Naro, Montedoro, Bompensiere, Milena);

) scuole di alta specializzazione nei settori della diplomatica, paleografia, archeologia, microstoria, settori di specifico riferimento a Racalmuto ed al suo inestimabile patrimonio archivistico, archeologico e storico;

) sofà psicanalitico per una inusitata indagine sui testi di Sciascia e per una concreta fruizione dei risultati a fini terapeutici, specie nel settore della labilità mentale senile;

) concertazione di iniziative volte al recupero del dialetto racalmutese, della tradizione musicale locale, del canto gregoriano quale nei secoli scorsi clero, sodalizi monacali e le peculiari confraternite racalmutesi salmodiavano come i tanti “libri cantorum” custoditi nelle chiese di Racalmuto comprovano ed in certo senso tramandano;

) coordinamento con i centri culturali di Grotte per il recupero della tradizionale teatralità di questa periferia agrigentina;

) collegamento con il locale circolo Unione per un’ardita riesumazione dello sciasciano “circolo della concordia” con i suoi veridici personaggi, le sue atmosfere sociali, il suo scenario, le sue vetuste sale: un micromuseo in un normale e funzionante circolo quale continua ad essere;

) compartecipazione maggioritaria in una società mista con il Comune cui demandare iniziative imprenditoriali nel campo del turismo locale;

) costituzione di una società di capitali per rilanciare il vecchio progetto di una traslazione cinematografica delle“Parrocchie di Regalpetra” che il regista racalmutese Beppe Cino - discepolo di Rossellini - da tempo agogna di girare;

) attività traslativa dei disparati risultati conseguiti in CD-ROM navigabili o in siti Internet a disposizione del mondo dei navigatori informatici.

Descrizione del laboratorio sub 1) organizzazione di itinerari turistici ispirati all’opera di Sciascia con modalità e percorsi inconsueti

Si è visto sopra come in tema di escursioni Racalmuto viene ridotto nelle guide del TCI in una sola (ed invero asfittica) possibilità: andare al Castelluccio, come faceva La Caico Hamilton con la sua macchina fotografica al sorgere di questo ormai tramontato secolo. Invero, escursioni affascinanti, piene del succo gastrico della prosa sciasciana, paesaggisticamente inobliabili, verso il cielo(Castelluccio, “zubbio” di S.Anna, “garbere” di Monte Pernice”, grotta di fra Diego), verso il mare (la celeberrima “Noce” di Sciascia, l’opalescente“scavo morto”; il mistero bizantino della “Montagna”; la visionarietà‘peccaminosa’ del “Cozzo della Loggia”), verso l’ancestralità nichilista(l’adombrato cammino verso gli inferi delle terre della Cicuta o di Cugni Longhi), verso la dannazione sulfurea (Cozzo Tondo, Quattro Fanaiti, Pian della Botte) e quella viscerale del sale (Pantanelle, Sacchitello), verso le radici dei progenitori sicani (dalle necropoli sino ai confini di Monte Campanella nel nisseno, oltre Milena sino alle Raffe), queste ed altre escursioni - con poco dispendio tracciabili e con profitto e gioia dello spirito realizzabili - sono pronte a venire ideate. Ritocchi, momenti d’incontro, concertazioni tra le esistenti associazioni specie di giovani e, subito, siffatte escursioni potrebbero venire segnalate persino dalla ineguagliabile Guida del TCI.

L’effettuazione delle escursioni dovrebbe, però, trascendere dal vieto vedere di frettolosi turistici, stracchi per l'estenuante guida delle loro automobili: carretti siciliani, tradizionalmente istoriati, trainati da giumente bardate più e meglio delle locali, antiche contesse carrettesche, comodi comunque per dissimulata tappezzeria, dovranno accompagnare quei turisti che, a margherita, verranno dall’orgia della spettacolarità agrigentina e che potranno immergersi nella sonnacchiosa civiltà di una plurimillenaria sopravvivenza contadina, sicula anzi inimitabilmente sicana.

Strade da tracciare, ma come le vecchie trazzere; posti di ristoro da approntare, ma con i limiti della radicatissima “avara povertà di Catalogna”; accattivanti ricezioni con suoni e luci di atavica estrazione; modernissimo contrasto con proiezioni di originali “cassette” e con“videate” della rivoluzionaria editoria multimediale (che Infotar, già, per suo conto sta approntando); accompagnatori ed assistenti, colti, giovani, adeguatamente istruiti, tutto ciò rientra nella ipotesi di lavoro che si vorrà attuare con il laboratorio in questione.

Descrizione del laboratorio sub 2) istituzione di musei (religiosi, etnografici, storici) che pur rifacendosi alle notazioni sciasciane sappiano valorizzare la sconfinata - ma per il momento solo parzialmente conosciuta - storia di Racalmuto e dei dintorni (Grotte, Naro, Montedoro, Bompensiere, Milena);

S’intendono realizzare in Racalmuto almeno tre tipi di micromusei:

a) parrocchiale;

b) etnografico, ma a percorso articolato lungo tutte le principali arterie della vecchia Racalmuto;

c) storico con preminente caratteristica della virtualità.

Museo Parrocchiale.

Racalmuto vanta una Matrice ove si custodisce un patrimonio archivistico che è un “unicum” in tutta la Sicilia: i documenti più antichi risalgono al 1550; i dati della locale diplomatica travalicano il secolo XV. Oggi quel patrimonio è criminosamente abbandonato in ripostigli insicuri, in armadi di fortuna, alla mercé del primo venuto. Trasferire questo patrimonio in un museo parrocchiale - giuridicamente, s’intende, sotto l’egida della Curia, cui compete lo jus disponendi per diritto canonico - si rende ormai improcrastinabile.

Del pari, l’immensa quantità di vestiario antico, di paramenti sacri, di labari, altaretti, di ciò che nel gergo ecclesiastico si denominava “iogalia” andrebbe salvato dalle tarme, dall’incuria e dalla idiota pirateria che la stanno devastando, nelle mefitiche, vecchie e malconce sagrestie di tutte quelle chiese che abbiamo prima menzionato, anche ad integrazione delle guide turistiche oggi disponibili.

E’ un salvataggio doveroso che deve avvenire in un museo - ci pare come quello parrocchiale che proponiamo. Ma non basta, dai diplomi, dagli atti notarili, dalle visite diocesane e da altro affiorano termini inusitati di antica biancheria ecclesiastica (camici, amitti, mozzette e via di seguito), nomi di paramenti, indicazione di arredamenti che ben tipicizzano una vecchia chiesa locale, un costume religioso oggi dismesso. Il museo - affidandone la reinvenzione a fabbriche del luogo specializzate del tipo della costituenda ARCON - appronterà sale, esposizioni ove questo perduto materiale tessile o ligneo potrà risorgere almeno in una imitazione attendibile.

Studi, ricerche, foto, percorsi musivi, materiale vario dovrà accedere in CD-ROM navigabili, in siti Internet. Passi dell’opera sciasciana daranno lustro, senso, allusività al museo: Sciascia non fu religioso; fu certo intriso di soggezioni chiesastiche.

Museo Etnografico.

Presi in affitto talune delle tante case dirute che oggi affliggono il vecchio centro storico di Racalmuto, esse, dopo piccoli lavori di restauro, renderanno, come dal vivo, con sceneggiatura, fotomontaggi, arredi contadini originali o ricostruiti, il contesto socio-economico di una civiltà oggi del tutto tramontata. Atti notarili, materiale in disuso,“cantarani”, “currioli”, “pitazzi” etc. consentono una siffatta - per noi suggestiva - rievocazione in loco, nelle vecchie case terrane, in quelle “solerate”, nei “dammusi”, nelle“arcove”, negli anfratti delle annesse, inverosimili stalle; coi letti all’antica, con le “frazzate”, con i “catoj” - e non è questa la sede per continuare.

I “riveli” del 1595 consentono individuazione delle vecchie contrade, delle case dei vecchi notabili, dei miseri giacigli dei“jurnatara”, delle case terranee“coniunctae et collegatae” nei caratteristici cortili dei ”burgisi”, dei“mastri”.

Sappiamo persino qual era il peculio del citatissimo pittore Pietro d’Asaro:

389 - Rivelo che il Cl. Don Pietro d'Asaro, clerico coniugato di questa terra di Racalmuto presenta con giuramento nell'officio del signor D. Giacomo Agliata capitano d'arme del Regno nella nuova numerazione delle anime, e facultà in virtù di bando d'ordine di d. sig. cap.no d'arme in detta terra a 25 novembre Va ind. 1636 [cfr. Maria Pia Demma: Percorso biografico ed artistico, in Pietro d'Asaro “il Monocolo di Racalmuto” - Racalmuto 1985, p. 23 e pag 30 - "Archivio di Stato di Palermo - Tribunale del Real Patrimonio, Riveli del Comune di Racalmuto, anno 1637, vol. 607, f. 389 r.]

Anime

m Cl. d. Pietro d'Asaro c. di casa d'anni cinquantasette

o Vincenza moglie

m. Michel Angilo d'anni dodici

m. Gio:battista d'anni quattordici

o. Rosalea

o. Dorothea

o. Ninfa figli

o. Gioanna madre

m. e. Giuseppe di Beneditto d'anni diecidotto discepolo

m. Angilo Lo Sardo garzone d'anni dodici

o. Caterina e

o. Natala zitelle

Beni stabili

Una casa in otto corpi solerati e terrani in questa terra, quartieri di S. Giuliano confinante con la Casa di Pietro di Giuliana e via publica dove habita, quale un anno per l'altro franca di conti si potria locare onze quattro che à 7 per 100 il capitale di cinquantasette e quattro........................ 57. 4

Una casa terrana in un corpo di detta terra, quartieri predetto,confinante con la casa di Pietro di Giuliana e via pubblica, quale un anno per l'altro franca di conti l'hà soluto e suole locare tarì quindici che à 7 per cento. il capitale onze 7 e tarì quattro............................................. 7. 4

Altra casa terrana in tre corpi in detto quartieri confinante con la casa di Giovanni Lo Sardo quale un anno per l'altro franca di conti l'ha soluto e suole locare onza una e tarì 12 che à 7 per 100 il capitale onze 21 e tarì 12 ..........................21.12

Una vigna di cinque migliara nella contrada del Serrone territorio di questa predetta terra confinante con la vigna di Giacomo Xibetta e vigna di Francesco di Laurenzo, della quale un anno per l'altro ricava botti quattro di musto che ragionato ad onze 2.18. la botte importa onze diece e tarì dodici delli quali deduttine onze sette per tutti conti a ragione di onze 1.12. per migliaro restano onze tre e tarì dodici che à 7 per cento. il capitale onze quarantotto e tarì sei .....................................48.6

[390]

Terra lavorativa salme due con migliara sei di pianta infruttifera dentro nella contrata della Montagna territorio predetto confinante con la Chiusa di Stefano d'Agrò, e chiusa di Giuseppe Casuccio quale ragionata ad onze 2.20. la salma importa onze cinque e tarì diece che à 7 per 100 il capitale settantasei e tarì cinque..............................................76.5

e più terra lavorativa salma una nella contrada di Garamoli territorio predetto confinante con la terra di Salvatore d'Acquista e con la Chiusa di Giuseppe Ferraro, quale ragionata come sopra importa onze due etarì venti che à sette per cento il capitale onze trentotto e tarì due ........................38.2

Rendite

Dà Mario Morreale di questa predetta terra onze tre e tarì quindici iure sub.nis s.a una sua vigna e chiusa nella contrata di la fico territorio di detta terra che à 10 per 100 il capitale onze trentacinque .........................................35.

Dalle infradette persone di d.a terra onze due e tarì quindici sopra l'infrascritti loro beni in detta terra e suo territorio iure subiug.nis cioè onze 1.2 da Francesco la Matina sopra una sua vigna e chiusa et tt. 28 da Maria Macaluso rel. del q.m Vincenzo sopra una sua chiusa e tt. 15 dà Pietro Sferlazza Marramao, su una sua vigna che à 10 per 100 il capitale onze venticinque................................................25.

--------------

onze [/'] 308.3

====================

Beni mobili

Prezzo di detta pianta infuttifera importa onze trenta ...30

Una giumenta di sella di pelo baio di prezzo onze 8 ...... 8

frumento seminativo dentro la suddetta prima chiusa

tt.na [tummina] dudici che ragionata ad onze 4.26 la

salma importa onze tre e tarì venti........................3.20

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41.20

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Gravezze stabili

Paga ogni anno s.a tutti li suoi suddetti beni onze sei e tarì sei iure prop.tis all'Ill.mo conte di detta terra che à 7 per cento il capitale onze ottantasette e tarì due ...................87.2

e più paga sopra detti beni iure subiug.nis cioè onze 1.18 alla Cappella della SS.ma Nunziata tt.24 alla Cappella del SS.mo Sacramento e tt. 18 alla Compagnia del Suffraggio che a 10 per 100

[391]

il capitale importa onze trenta.........................30.

-------

onze 117.2

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Gravezze mobili

Deve onze ducento a Leonora d'Asaro di detta terra re: dal q.m Bartholo d'Asaro per causa et compenso delle sue doti assegnatele per testamento di d.o q.m Bartholo in notaio Simone d'Arnone di detta terra di onze....................................200

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Ristretto

Maschi d'età 1

d'altri 4

femine 7

_____

anime 12

======

Giumente di S. .....1

Beni stabili .........308.03

Beni mobili........... 41.20

----------- 349.23

gravezze stabili......117.2.

gravezze mobili.......200

----------- 317.2.

----------

liq. onze 32.21.

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(Trombino)

Terra Racalmuti die 14 dicembris V ind. 1636

Fonte, questa di sopra, come tant’altre per ricostruzioni intelligenti, di grande risalto storico, per un peripatetico museo insolitamente etnografico, entro le cinta muraria del vetusto paese di Racalmuto. Le case contadine come Sciascia qua e là rievoca; gli arredi miseri come Sciascia sussume nei suoi amari apologhi: “... quel 6 maggio 1622, i regalpetresi certo mangiarono con la salvietta, come i contadini dicono per esprimere solenne soddisfazione.”; i posti ove le donne si“spicciano e fanno cannola”, proprio come vuole Sciascia in Occhio di Capra; le cucine affumate e soffocanti all’interno delle case con gli arredi del tempo, con i vecchi arnesi, ed anche i forni a paglia di vecchia data che tutto affumavano, anche le lenzuola quelle rare volte che si mettevano nelle sgangherate “trabacche” (Occhio di Capra dà spunti, suggerimenti, richiami per una memoria demente). Qui bastano solo accenni: disposti sempre a fornire una lunghissima dissertazione, un eruditissimo intreccio tra letteratura sciasciana e tradizione popolare, tutta rievocabile in queste sparse sedi del nostro agognato museo etnografico racalmutese.

Museo Storico

Del pari, in una sorta di collaterale del museo parrocchiale, dovrà essere organizzato un piccolo museo storico racalmutese ove raccogliere la breve silloge di carte risorgimentali, ma soprattutto, ove convogliare i tanti microfilm di documenti relativi a Racalmuto che si annidano nell’archivio notarile di Agrigento, negli archivi statali di Palermo, negli archivi spagnoli.

Si scrive con rabbia che ad Agrigento giacciono polverosi i rolli notarili di Racalmuto, pressoché incolsultabili. Si afferma infatti:

Agrigento con il suo Archivio di Stato - nella speranza che il suo direttore si decida ad aprirlo agli studiosi - custodisce ben n° 69 Rolli di atti notarili che minuziosamente scandiscono la vita paesana di Racalmuto dal 1561 al 1608; n.° 71 per il periodo 1600-1707, n.° 195 per il tempo 1700-1816; n.° 56 per il tratto 1801-1860.

Quel materiale archivistico è praticamente ignoto. Tolta qualche curiosità di padre Alessi che ebbe a cercarvi con l’ausilio di un paleografo atti per il suo Pietro d’Asaro, la cronaca diuturna di Racalmuto si sta polverizzando nell’Archivio di Stato di Agrigento - sbarrato l’anno scorso agli studiosi dalla protervia burocratica.

La vendita di un mulo, la cessione di una “jnizza”, la suggiogazione di una casa, il “pitazzu” di un“inguaggiu”, vita, morte, sposalizio, tasse, risse, organizzazioni sociali, ruolo di preti monaci e chierici, rettori e governatori di confraternite, il pulsare della vita economica, sociale e religiosa di ogni giorno della Racalmuto del tempo, il suo espandersi demografico ed il suo drammatico falcidiarsi per l’esplodere di pesti, tutto ciò è il vivido quadro che i polverosi registri notarili non rivelano per la neghittosità degli storici racalmutesi.

Ed i politici, oggi, anche quelli di sinistra che oggi per la prima volta siedono sugli scranni assessoriali di Racalmuto, potrebbero ovviarvi: penso a cooperative di giovani, a prestiti pubblici comunali - la mia passata professionalità in questo campo mi rende in ciò particolarmente avvertito -volti a finanziare ricerche d’archivio, scuole di paleografia - giacché leggere quei documenti non è da tutti - , ad incentivi economici; a borse di studio etc ...”.

E’ superfluo precisare che sbocco di un siffatto micro-museo è quello informatico: dai soliti CD-ROM, agli ipertesti, ai siti Internet, ai percorsi virtuali nella strumentazione d’avanguardia da installare nelle sale del Museo, specie per i giovani, specie per i turisti non disattenti.

Descrizione del laboratorio sub 3) scuole di alta specializzazione nei settori della diplomatica, paleografia, archeologia, microstoria, settori di specifico riferimento a Racalmuto ed al suo inestimabile patrimonio archivistico, archeologico e storico;

Trattasi di laboratorio che discende spontaneamente dalle precedenti iniziative: nei locali dei musei dovranno venire approntate sale - a precipua conformazione multimediale - ove l’insegnamento sarà immancabile, di sicuro efficace, presumibilmente affollato.

Descrizione del laboratorio sub 4) sofà psicanalitico per una inusitata indagine sui testi di Sciascia e per una concreta fruizione dei risultati a fini terapeutici, specie nel settore della labilità mentale senile

E’ il punto clou del Parco ma è anche quello più ostico. Sciascia ebbe problemi familiari di non poco momento: non manca di farvi esplicito, coraggioso riferimento in “Fuoco all’anima” che è poi il suo vero testamento; la sua ultima confessione. La Vedova ne ha proibito la diffusione. Là, invero, Sciascia è esplicito: il suicidio del suo giovane fratello; il delirio senile del padre; l’ossessività delle vecchie zie e molt’altro. Lasciano traccia queste alienanti vicende nell’opera letteraria di Sciascia? Noi siamo convinti di sì.

Nei vetusti locali di un ospedale che i trambusti espoliativi della riforma sanitaria hanno sottratto ai racalmutesi, alle volontà testamentarie di antichi e recenti benefattori locali, l’opera letteraria sciasciana può essere davvero oggetto “unico” per una sperimentazione psicanalitica. I tanti giovani laureati in psicologia, in medicina - che come si dice in loco: passeggiano - potrebbero esemplarmente dedicarvisi. L’associazione si premurerebbe di ottenere dalla preoccupatissima USL - oggi in ambasce per avere fatto deperire locali e dotazioni sanitarie - il “comodato” dello stabile: lo potrebbe riconvertire con spesa tutto sommato modica.

Ma non in un mero esercizio sperimentale d’indole psicanalitica dovrà esaurirsi l’iniziativa. Collegati con i centri universitari siciliani, i giovani del luogo dovranno porre in essere una inconsueta casa di cura. I vecchi di labile mente - e Racalmuto purtroppo abbonda di siffatti disgraziati, lasciati al ludibrio di una pubblica piazza, ora insofferente, ora indifferente - potranno trovarvi asilo, cure, assistenza discreta, scientifica, forte dei risultati di una per il momento non intentata ricerca medica.

Descrizione del laboratorio sub 5) concertazione di iniziative volte al recupero del dialetto racalmutese, della tradizione musicale locale, del canto gregoriano quale nei secoli scorsi clero, sodalizi monacali e le peculiari confraternite racalmutesi salmodiavano come i tanti “libri cantorum” custoditi nelle chiese di Racalmuto comprovano ed in certo senso tramandano

Il titolo di per sé chiarisce e giustifica il tipo di laboratorio che s’intende porre in essere.

Si vuole innanzitutto salvaguardare il dialetto racalmutese che Sciascia tanto amo e spesso trasla nella sua opera letteraria: termini come “esperiente”, “mi stranizza”, “salinari” catoneggiare” ricorrono nei suoi lavori proprio nell’accezione del dialetto “veicolare” racalmutese. Qualcuno vorrebbe polemizzare con il defunto Sciascia usando proprio il comune dialetto natale:

“Littra a Nanà, Provessuri sabbenadica, - questo un esempio che ci pare molto esplicativo del concetto -

Occhiu di crapa - mi scusassi - mi pari chi avi l’occhiu tanticchia fanzu. Ddruoccu, Vossia dici cca è racarmutisi, sin’ad un certu puntu: che è racarmutisi - cioè - sino a lu nannu di sò nannu e cca iddru si chiamava Leonardo. Ma è propriu accussì, provessu’? Cuminciammu a diri ca lu nannu di so nannu si chiamava Caliddru, Caliddru com’a mia. ’N’talianu, mastro Calogero Sciascia. Si taliammu li libbra ca cci stannu ancora a l’Itria, vidiemmu ca iddu era uno di la mastranza, era piu e divotu e quannu murì, li missi griguriani a l’Itria ci li diciva lu parrinu Peppi Pirrera. Mastru Liddru Sciascia era racarmutisi originali: si marità lu 24 frivaru di lu 1802, sempre a Racarmuto cu na racarmutisa, la figlia di mastru Pasquali Scibetta e di la gnura Lillina Nalbone. Sò pà, nni lu 1802 era già muortu; ma sò matri, nò. Chista era una Alfano e si chiamava di nomu Nucenzia.

E lu patri di lu nannu di sò nannu, cu era? Si chiamava mastru Leonardu Sciascia. Omu ancora cchiù piu di lu figliu. Nzumma, ’un gn’era comu a Vossia, ca ci piaci dire di esseri scumunicato come lu fratacchiuni fra Ddecu.

Era piezzu grossu di la mastranza: zelatore, si firma o miegliu fu lu figlio Cicciu ca si firmà pi iddu e pi sso pà.

Si talia ’n’antica carta di l’Itria unni si ddicidi pi la bona morti (ccu li dovuti scongiuri), m’havi a dari raggiuni. ’Un ci l’haiu pi ora ccà ssa carta, ma la prossima vota cci la puortu.

Lu patri di lu nannu di sò nannu era anch’iddu racarmutisi, e racarmutisi era lu nannu: mastru Giovanni, sapi chiddu ca si marità, sempri a Racarmutu, cu la figlia di li Scibetta, gnura Anna e ca murì a 68 anni lu 28 di marzu di lu 1766; e fu seppellitu ’ntra la fossa cumuni a S. Franciscu. Faciennuci li cunti, happi a nasciri attorno a lu 1698. Chistu forsi nun gn’era di Racarmuto ma di Giurgenti. Sò pà: mastru Leonardo, maritatu cu la gnura Vicenza Quagliata, era giurgintanu e si nni vinni a Racarmuto ma nni li primi di lu 1700, ddu seculu inzumma chiamatu di li lumi e ca a Vossia pari ca cci piaci assà. Se nun mi cridi, taliassi chi scrivino li parrina di Racarmuto, in occasioni di lu matrimoiniu di lu figliu di ’ssù primu Scascia racarmutisi, lu capostipiti di la sò famiglia:

1726 - 29.9.1726: SCIASCIA GIOVANNI M.° del fu m. Leonardo e Vincenza Quagliato vivente olim jugati Civitatis Agrigenti et Parochiae S. Petri, [sposa:] SCIBETTA ANNA.

Vossia è sicuru ca lu nannu di sò nannu era nadurisi e si chiamava Nardu, mastru Nardu. ’Un gn’è bberu, provessu. Lu ‘mbrugliaru. Sapi cu era ddru nadurisi? era chiddru ca nni li libra di la matrici è accussì scrittu:

../6/1799 Sciascia Giuseppe de' furono Onofrio di Buonpensiero e Giovanna [sposerà]Borzellino Anna di Vincenzo (al presente abitatrice di Buonpensiero) [e figlia di] Maria. Registro degli Sponsabili: pubblic. giugno 1799 - 16,23,24.

Lu zzi Peppi Sciascia, nadurisi - iddu sì -, cu la sò famiglia nun cci trasi propriu nenti. M’havi a cridiri provessu’. Mi scusassi e sabbenadica.

Liddru Taverna.”

Editare periodici in stretto dialetto racalmutese sarebbe intento della nostra associazione.

Il laboratorio poi dovrebbe dare vita ad una schola cantorum di giovanissimi che diretti dai maestri che a Racalmuto non mancano riediti i tanto celebri canti gregoriani, nella versione del tesoro archivistico della Matrice in campo della secentesca editoria musicale.

Descrizione del laboratorio sub 6) coordinamento con i centri culturali di Grotte per il recupero della tradizionale teatralità di questa periferia agrigentina

Quanto abbiamo detto sopra sul punto, specie allorché abbiamo tracciato il budget, è del tutto esaustivo sulla latitudine dell’iniziativa: più che altro s’intende supportare il centro teatrale della vicina Grotte (terra anch’essa presente nell’opera sciasciana) sotto il profilo economico acciocché sia in grado di mettere in scena - in via permanente - il teatro dello scrittore racalmutese.

Nel 2000 verrà aperto quel gioiellino che è il teatro comunale di Racalmuto: sarà aperto alla lirica, che Sciascia non sembra avere amato più di tanto; dovrà ospitare la prosa, questa sì cara a Sciascia. Il Laboratorio Teatrale Luchino Visconti di Grotte sembra creato apposta per supplire alle carenze del genere che oggi si lamentano a Racalmuto. A Racalmuto, recitare stabilmente - come si dice - Sciascia sarà doveroso e dovrà avvenire nel Teatro prediletto dallo Scrittore. Supplent Cryptae! Supplisca Grotte.

In Occhio di Capra una sapida ironia: vi si legge “gruttisi. Grottesi. Di Grotte, paese a tre chilometri da Racalmuto; e più piccolo. I grottesi che venivano a Racalmuto erano derisi dai ragazzi con questa strofe, variamente scandita o cantata:“Grutti gruttisi/ cu li corna tisi/ scorcianu cani/ e fannu cammisi” [..] Si irrideva così alla povertà dei grottesi: e davvero il paese deve essere stato poverissimo; ma nella sua povertà, più vivo di Racalmuto. [ ...] E oggi, per l’intraprendenza commerciale di alcuni, Grotte è più ricco di Racalmuto.” Grato il paese celebra un premio dall’ammiccante nome di Racalmare. Vi ebbe un riconoscimento Vasquez Montalban. Con accondiscendenza ora la vedova Sciascia -lei così ritrosa - presiede il premio Racalmare: Racalmuto le è invece ostico, ma in fin dei conti, viene da lontano. (Dice il marito in Fuoco all’anima: “D. E poi ti sei sposato, presto se non sbaglio - R. Avevo ventiquattro anni. -D. Ed era insegnante anche tua moglie Maria? - R. Sì, a Racalmuto. D. Ma lei non è di Racalmuto. - R. No, ha vinto il concorso per insegnare lì, ma è originaria della provincia di Catania ed è nata a Petralia. Suo padre era maresciallo dei carabinieri, e allora si spostavano da un paese all’altro. - D.E l’hai conosciuta quando insegnavi a Racalmuto. - R. No, perché io, prima di fare l’insegnante, sono stato impiegato al Consorzio agrario di Racalmuto.)

I grottesi amano alla follia Sciascia. Antonio Carlisi scrisse nel 1995: “il nostro paese [cioè Grotte] ha sempre amato considerare Sciascia, oltre che di Racalmuto anche di Grotte: tant’è che il Consiglio Comunale, nella seduta del 27 giugno 1986, gli conferì la cittadinanza onoraria. Un amore verso la sua persona, che Sciascia ricambiò altrettanto amorevolmente, lasciando alla nostra comunità tanti bei ricordi. Come quando gli venne proposto di aiutarci ad istituire e addirittura a presiedere il Premio Racalmare e Lui, già conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo, con la semplicità e la modestia di cui tanto si è parlato e scritto, ma soprattutto con quella dolce affabilità che lo distingueva, disse di accettare[...].” Siamo scivolati sul patetico, ma tant’è: tanto quanto rende convincente una concertazione con Grotte per alcuni laboratori del Parco.

Descrizione del laboratorio sub 7) collegamento con il locale circolo Unione per un’ardita riesumazione dello sciasciano “circolo della concordia” con i suoi veridici personaggi, le sue atmosfere sociali, il suo scenario, le sue vetuste sale: un micromuseo in un normale e funzionante circolo quale continua ad essere;

Il Circolo Unione può considerasi la fucina ove si forgiò il giovanissimo Sciascia nell’approccio alla “blasfema ironia” che ne fece uno scrittore di peso mondiale. Si sa: ascoltava le salaci parodie di tal don Luigi Messana - velato appena dalle sembianze raffigurative di don Ferdinando Trupia - e prima in Galleria, poi nelle “Parrocchie” il parodistico sproloquiare su tutti e su tutto del socio nato solo per lasciare“un’affossatura” nelle poltrone del Circolo della Concordia divenne anima di un fare letteratura oltre il formalismo dei Rondisti, in cui Sciascia, adolescente, stava affogando. (“Ma a parte l’affezione che ho sempre avuto per l’opera di Savarese - ebbe una volta a polemizzare il Nostro - e specialmente là dove tocca i miti e le storie della terra siciliana, debbo confessare che proprio sugli scrittori “rondisti” - Savarese, Cecchi, Barilli - ho imparato a scrivere. E per quanto i miei intendimenti siano maturati in tutt’altra direzione, anche intimamente restano in me tracce di un tale esercizio.”)

Si è detto in sede d’inventario cosa s’intende fare per restituire quella realtà locale all’intelligenza dei vecchi e nuovi cultori di Sciascia. Pubblicazioni in CD-ROM, traslazione in Internet del ricco patrimonio fotografico del Circolo, restituzione dell’ambiente alla raffigurazione sciasciana, ristrutturazioni di sale ed arredi, come ai tempi della frequentazione del giovanissimo Sciascia.

Si vuole, in altri termini, un minimuseo compresente con il reale dimorare di nuovi soci, per tanti versi simili a quelli stilizzati ed ibernati nelle “forme ipotattiche” che Pasolini credeva di riscontrare in Sciascia. Un socio del Circolo Unione sta stendendo note e cenni storici esordendo: “ Il circolo Unione l’anno venturo, nel 1999, compie 160 anni: è il più vecchio circolo di Racalmuto, il più glorioso, quello maggiormente emblematico di una classe media con aspirazioni nobiliari. Oggi è di certo meno pretenzioso, più riservato, amante del pettegolezzo d’alto bordo - tra il politico, il sociale, l’irriverente, il caustico, il miscredente. A sera pochi soci ormai cercano di perpetuare il cicaleccio arrogante, impietoso ed ilare dei personaggi passati alla storia (letteraria) per la penna di Leonardo Sciascia. Ma di don Ferdinando Trupia, di Martinez, di Lascuda, di don Carmelo Mormino, del dott. La Ferla, di don Antonio Marino ormai neppure l’ombra. I loro eredi - quasi tutti professionisti affermati in Continente o a Palermo -hanno ritenuto di potere sbeffeggiare il circolo dei loro sbeffeggiati (da Sciascia) antenati facendosi espellere per morosità da una deputazione post-sessantotto, di estrazione non nobile e talora persino proletaria. La fuoriuscita dei virgulti degli antichi galantuomini vorremmo dire è persino fisiologica.

A sera, ora, tocca alla facondia suadente e beffarda di Guglielmo S. mantenere viva la conversazione al circolo: gli fa eco il tranchant assiomatismo di Calogero S.; sorride con intelligente silenzio Gioacchino F.; fino a qualche anno fa scoppiava l’ira funesta dell’avv. Salvatore C.; al dott. Gioacchino T. il compito del divertito spettatore; Ignazio P. ascolta silente, ma si arrabbia se gli toccano la sua Democrazia; il Presidente non è faceto: se occorre stigmatizza; Salvatore S. arriva tardi, in tempo per un paio di sorrisi se Guglielmo S. è in vena nelle sue sforbicianti allusioni. Quando vado a Racalmuto, partecipo anch’io a tali dibattiti serotini: nessuno ha voglia di prendermi sul serio: provoco, sono provocato, insolentisco, vengo insolentito: la serata passa piacevole: val la pena di pagare quel piccolo contributo quale socio con “dimora precaria”.

Di tanto in tanto arrivano poesie in vernacolo: sono composizioni miserande, cattive, senza gusto: sono intollerabili. I soci però sembrano divertirsi lo stesso.

Leonardo Sciascia trasse motivi ed argomenti per il suo iconoclasto deridere i poveri galantuomini di Racalmuto. Vi era associato; lo eleggevano deputato e persino cassiere. Ma amava stroncare quei figuri nati effettivamente per lasciare “un’affossatura nelle poltrone del circolo”. Ebbe il cattivo gusto di morire lasciando in sospeso il pagamento dei “buoni”associativi: inflessibili i membri della deputazione non mancarono di verbalizzare nel 1992 la circostanza.

Lo scrittore è disinvolto nell’accennare alle gloriose origini del circolo: “Il circolo della concordia - annota quasi con prosa burocratica [2] - prima denominato dei nobili, poi della concordia poi dopolavoro 3 gennaio, sotto l’AMG sede della Democrazia Sociale (il primo partito apparso in questa zona della Sicilia all’arrivo degli americani e dagli americani protetto) e infine ribattezzato della concordia, pare sia stato fondato prima del 66, se appunto nel 66 la popolazione infuriata contro le sabaude leve, istintivamente trovando un certo rapporto tra la leva che toglieva i figli e i nobili che se ne stavano al circolo molto volenterosamente vi appiccò il fuoco; ma pare ne ricevessero danno soltanto i mobili, le persone si erano squagliate al primo avviso, le sale restarono superficialmente sconciate.”

Quanto a storia locale ci reputiamo più fortunati di Sciascia e siamo in grado di retrodatare di almeno un trentennio la fondazione dello storico circolo. Se si spulcia l’Archivio di Stato di Palermo, Segreteria di Stato presso il Luogotenente generale, Polizia vol. 412, si rinviene il“Notamento dei Così detti Caffè e luoghi di riunione esistenti nei vari Comuni di questa Provincia ..., Girgenti, 26 agosto 1839.” Sotto tale data abbiamo dunque la consacrazione ufficiale del nostro circolo o se si vuole il riconoscimento giuridico. Scrive Carmelo Vetro [3]“In provincia i sodalizi si registrano a Licata (due circoli), Palma, Racalmuto, Ravanusa, Bivona, Villafranca, S. Giovanni, Santa Margherita, Montevago, Sciacca, Naro, Canicattì, Alessandria, Campobello, Cammarata, Caltabellotta, Menfi, Sambuca, Burgio ed Aragona: tutti con i loro bravi regolamenti, autorizzati dalle autorità di polizia, ... E’ da dire che molti di questi circoli erano favoriti dall’autorità locale che in tal modo poteva registrare gli umori politici e gli orientamenti prevalenti. Non a caso parecchi sodalizi nascono negli anni Trenta dell’Ottocento dopo la tempesta politica del 1820-21 ed il tentativo borbonico di riavvicinarsi agli intellettuali e borghesi.” Siamo pressoché certi che il circolo sorgesse in piazza su un marciapiede “sopraelevato rispetto al resto della piazza, ove era vietato, per inveterata consuetudine, passeggiare alla ‘gente comune’ ... Si aveva così un effetto quasi grottesco, che sottolineava la gerarchia feudale, essendo i notabili una ‘spanna’ più alti degli altri”. Il Vetro soggiunge: “Un rigido cerimoniale regolava l’ammissione dei nuovi soci ai vari circoli.... si poteva essere ammessi riportando la maggioranza di “voti segreti per bussoli”,nell’assemblea dei soci. Ogni due anni venivano eletti quattro deputati, il più giovane dei quali faceva da segretario. Nelle assemblee avevano diritto di voto i soli contribuenti. Ai deputati erano affidati la “polizia interna” e il “buon ordine della conversazione. Nelle sere di gala la conversazione era illuminata“a cera”. Al circolo erano ammessi solo “gli associati, le loro mogli, i figli e le figlie nubili e fratelli conviventi nella stessa casa”. Infine gli ospiti non si dovevano “permettere di discorrere e discutere di cose” che si allontanavano “dallo scopo di una onesta conversazione”. Parimenti vietata era la lettura di fogli, giornali, libri o stampe non autorizzati dalla polizia. ... I contribuenti avevano la facoltà di presentare alla conversazione “forestieri distinti e di loro conoscenza, chiesto il permesso ai Deputati, salvo alla deputazione di deliberare in seguito l’esclusione se non li avesse riconosciuti “meritevoli”. ... Il circolo era provvisto dei “fogli officiali” di Palermo e di qualche altro giornale letterario. Un cameriere ed un “bigliardiere” si occupavano di servire i soci con un vestito decente e a testa scoperta”. Un puntuale tariffario stabiliva le quote da versare per i diritti di gioco. Le illuminazioni “a cera” erano ordinariamente previste nella sera di gala ed in talune ricorrenze. ... Leonardo Sciascia ci introduce nello spazio dorato, quasi senza tempo del Circolo della concordia di Regalpetra, dove vecchi e nuovi notabili vengono a celebrare il rito della fedeltà al passato ed alimentare inutili sogni di difesa dei propri privilegi. Il circolo è situato nella parte centrale dei corso: “Consiste di una grande sala di conversazione, con tappezzeria di color pesco e poltrone di cuoio scuro, una sala di lettura, tre sale da gioco”. I soci del circolo non sono, ormai, più i ricchi: “I ricchi si trovano nel circolo del mutuo soccorso, una società operaia che è venuta trasformandosi ...; il più ricco dei “don” non possiede più di dieci salme di terra” ma i soci del circolo della Concordia“continuano ad essere il sale della terra”. Anche qua si discute di politica“scienza di cui molti soci del circolo si sentono al vertice e fanno previsioni che, verificandosi poi fatti esattamente opposti, si possono considerare attendibilissime.” Dopo la politica, le donne. E allora “le mani si muovono a plasmare nell’aria grandi corpi di donne, donne si gonfiano nell’aria come mongolfiere. Non è più uno scherzo ora, tutti ci sono dentro, lo studente ascolta le confidenze del giudice di corte d’appello in pensione”. Nella rappresentazione letteraria la ritualità della “conversazione”, che autogratifica con la sua immobilità l’Olimpo paesano, dà quasi un senso alla stessa esistenza: ci si sente, allora, “lievi e giustificati, d’aver vissuto tutta la giornata soltanto per attendere, come una novità, come una grazia insolita e particolare, quest’ora che compendia le ragioni ideali del mondo, che chiarifica e motiva finalmente l’esistenza, rianima l’immoto flusso dei giorni, riattacca la morta gora dell’abitudine al canale della continuità”. Una continuità che nell’illusione di molti esercita, ancor oggi, come un fossile vivente, esercita il fascinoso richiamo di un’elitaria società che più non esiste.”

Un Parco Letterario cui si concede un piede dentro un cosiffatto Circolo, appena appena rifatto il consunto maquillage, sarebbe “fantasmatico”, termine che tal Onofri conia - a spese della ormai decennale spettralità di una Fondazione locale che si rifà a “Sciascia” -per la nostra vitalissima Racalmuto.

Descrizione del laboratorio sub 8) compartecipazione maggioritaria in una società mista con il Comune cui demandare iniziative imprenditoriali nel campo del turismo locale;

E’ in fase di gestazione una società mista tra il Comune di Racalmuto ed i privati con intenti altamente sociali. La nostra associazione intenderebbe partecipare alla sottoscrizione del capitale sociale al fine di farne punto di sbocco di tante iniziative connesse al Parco Letterario, specie con particolare riguardo a quelle a sfondo turistico.

La società dovrebbe denominarsi SIRAC spa - Racalmuto ed avrebbe per scopo sociale:

“ogni iniziativa volta alla valorizzazione delle risorse artistiche, archeologiche, paesaggistiche, paleologiche, archivistiche ed affini concernenti, anche in via indiretta, il paese di Racalmuto. A tal fine potrà venire svolta ogni attività sussidiaria sia pure a carattere finanziario per la realizzazione di studi e ricerche e conseguenti pubblicazioni a stampa o su base informatica, come pure per il tramite di Internet.”

La contiguità tra Parco e tale società di capitali a partecipazione comunale è di tutta evidenza: sinergie tra le due entità sono facilmente ipotizzabili. Per la nostra associazione - non avente scopo di lucro - appoggiarsi su tale entità semipubblica è basilare per efficaci interventi in campi in cui non è agevole operare senza strutture societarie di natura capitalistica.

Descrizione del laboratorio sub 9) costituzione di una società di capitali per rilanciare il vecchio progetto di una traslazione cinematografica delle “Parrocchie di Regalpetra” che il regista racalmutese Beppe Cino -discepolo di Rossellini - da tempo agogna di girare;

L’argomento è stato sopra adeguatamente rappresentato per doverne qui ripetere i tratti salienti. Un lancio cinematografico che renda visibile al grande pubblico la simbiosi tra Sciascia e Racalmuto avrebbe imponderabili effetti pubblicitari, quanto alla esplosione di flussi turistici di massa. Sembra ciò di tutta evidenza: sarebbe davvero un felice battesimo per il Parco letterario.

Descrizione del laboratorio sub 10) attività traslativa dei disparati risultati conseguiti in CD-ROM o in siti Internet a disposizione del mondo dei navigatori informatici.

Si è detto in esordio della presente seconda sezione: tutta l’attività del Parco deve sfociare in elaborati informatici. Le scuole professionali di Racalmuto, Favara e Caltanissetta - al presente particolarmente operanti nella didattica del settore - potranno fornire tecnologie d’avanguardia, personale specializzato, docenti agguerriti nel campo della multimedialità ed in misura tale da assicurare la buona riuscita del progetto che qui si è illustrato.



SEZIONE III

Descrizione delle potenzialità imprenditoriali e di sviluppo locale, che devono contenere indicazioni sia sulle ipotesi di imprese che possono nascere attorno al Parco, sia sui soggetti che eventualmente possono costituire tali imprese.

Il Parco - ove finanziato - coopererebbe al sorgere della società mista SIRAC, una novità assoluta nel mondo addormentato della finanza locale siciliana. Con criteri di sana imprenditorialità la SIRAC sarebbe di sicuro in grado di attivare un turismo di massa a Racalmuto, determinando in vario modo un preziosissimo indotto per corone circolari di imprese similari di una nuova, efficiente imprenditorialità privata. Questa, oggi a Racalmuto, nell’agrigentino, nel nisseno, latita o si arrabatta maldestramente. Non vogliamo qui tornare su quanto detto con toni anche aspri prima, nella sezione introduttiva. A quelle note qui ci rifacciamo. Quelle note qui richiamiamo: un rinvio ricettizio, si direbbe in diritto

Giovani industriali racalmutesi, giovani artigiani, mostrano intenso interesse - e lo attestano formalmente - a questa nostra visione del Parco: richiamarsi a Sciascia che tanto sfruttò, letterariamente parlando, questo centro dell’altipiano di Racalmuto, è contropartita anche di natura economica. Sciascia che trasformò la misera Regalpetra de “la neve, il natale” in un apologo mondiale - arrecante a lui solo fortune cospicue -Sciascia, ora defunto, è tenuto a risuscitare la Racalmuto economica, con il turismo con un Parco al suo nome. Certo vi è una Fondazione a suo nome a Racalmuto, ma un suo corifeo - tal Di Grado - strilla su un foglietto locale: “... fra quanti hanno disertato ... i prestigiosi eventi promossi dalla Fondazione, [tanti] ora lamentano scarse attività e presenze: ma quali? Frizzi e la carrà? Il poeta incompreso di Villafranca Sicula e il preside in pensione di Montalbano Elicona? E’ fatale. Il villaggio globale telemediatico e, all’inverso, l’eterno Strapaese delle sagre della ricotta (e della poesia) reclamano i loro idoli. Non li avranno, naturalmente: non dalla Fondazione, che non è una Pro-loco né un’azienda del turismo[da sottolineare e ricordarsene se si vorrà premiare un qualche parco, a questo alternativo, sotto l’egida di una tale Fondazione, n.d.r.], non è un assessorato allo spettacolo, né un ufficio di collocamento. Che cos’è allora? ... La Fondazione è un’istituzione culturale, un luogo di studio e di produzione scientifica.” Tanta spocchia che frattanto ha succhiato improduttivamente una decina di miliardi a carico dell’Erario, di quel mondo “della ricotta” che le tasse le paga, del disprezzato “villaggio globale telemediatico” e nulla ha prodotto. Si parla della giapponese Takeya. Chi è? Si accenna ad Heydenreich. L’euro ce ne svelerà forse la fisionomia. Invero, si è prodotto solo un libricino che stravisa, con lo stesso Sciascia, un’accusa di testardaggine ad un nostro secentesco frate (con propensioni verso il delitto di nefando) con un tenace concetto di ereticale sublimazione. Dieci miliardi spesi per cercare di capire quali furono i rapporti tra Sciascia ed il settecento o tra costui e (l’odiato) dilettantismo.

Il nostro Parco intende bypassare tale Fondazione (forse pronuba di un progetto concorrente), tale verginale concetto della supercultura.

Per contro andiamo cercando nella scuola, in quella professionale, le nuove spinte per una svolta economica a Racalmuto. Nei giovani neo-laureati - tanti e massicciamente disoccupati - vogliamo scoprire forze latenti per avveniristiche ricerche nel settore della psichiatria. Vogliamo convogliare a Racalmuto quelle squadre di archeologi che hanno reso noto in tutto il mondo la contermine Milena. Racalmuto e Milena si adagiano nella stessa plaga sicana. Milena, assegnata nel secolo scorso alla provincia di Caltanissetta, si è potuta sottrarre alle angustie archeologiche dei responsabili agrigentini (propensi solo a discettare sulla Magna Grecia, sulle vie del sale dei Micenei, sui romani); ha investigato l’autoctono mondo dei sicani. Un monumento appare il lavoro testé pubblicato: si guardi la raccolta di scritti intitolata: Dalle Campagne alle Robbe - La storia lunga di Milocca-Milena. Ci piace qui citare passi dell’introduzione di Vincenzo La Rosa: “Il motivo del nostro interesse scientifico per il territorio alla confluenza fra il Platani e il Gallo d’Oro, era costituito [il 4 dicembre 1977] dalle scarne testimonianze micenee, segnalate un decennio prima da E. De Miro. [...] Ma la ricerca si è fatalmente allargata ai diversi periodi della preistoria, non disdegnando neanche età più recenti, almeno sino alla medievale. [..] Le ricognizioni di superficie ... rivelarono ben presto la funzione strategica dell’area, vero e proprio crocevia nei diversi momentidell’età preistorica.”

Ora Milena vanta uno schema geomorfologico interpretativo del territorio (e Racalmuto a ridosso, no); il suo fenomeno carsico sotterraneo è stato studiano (quello del tutto simile di Racalmuto, no); studiosi ci ragguagliano sui suoi lineamenti floristici e vegetazionali (per Racalmuto dobbiamo accontentarci delle belle ma vaghe fotografie di un dilettante). Sappiamo ora tanto dell’insediamento preistorico di Serra del Palco sito a Milena (gli analoghi di Piana di Botte, del Ferraro, di Fra Diego, del Castelluccio, del Canalotto, di Grotticelle giacciono ignoti e, come nel caso delle Grotticelle, frettolosamente sotterrati, per volontà superna dei BB.CC. di Agrigento, se per avventura e per lavori abusivi vengono alla luce.)Milena vanta scavi sistematici che hanno portato alla luce un insediamento neolitico a Serra del Palco con le sue belle ceramiche dell’età del Rame, che hanno consentito di studiare alcuni resti umani eneolotici provenienti dal deposito funerario di contrada Menta e dalla località Pirito, che hanno fatto luce sulla stazione di Mezzebbi risalente al Bronzo Antico, che hanno scoperto le tholoi di Monte Campanella, che hanno rinvenuta la nuova stazione preistorica allo zubbio di Monte Conca. Racalmuto, lì a due passi, deve per il momento accontentarsi della sbiaditissima corrispondenza dell’ottocentesco ing. Mauceri o di queste volenterose note di un dilettante:

L'immigrazione agricola di popoli che vengono fatti risalire al XVIII secolo a.C. venne documentata durante i lavori della ferrovia nel 1879. (Cfr. L. Mauceri: Notizie su alcune tombe .. scoperte fra Licata e Racalmuto, in Ann. Inst. Corr. Arch., 1880). I pochi reperti fittili finirono dispersi nei sotterranei di un qualche museo siciliano. Le tombe a forno dei pressi della stazione ferroviaria di Castrofilippo sono del tutto sparite per la distruzione delle successive cave di pietra.

L'altro insediamento è quello che l'ingenuità delle cartoline illustrate locali definisce 'tombe sicane', site attorno alla grotta di Fra Diego. In mancanza di ufficiali campagne di scavi - che le competenti Autorità continuano a denegare, anche se la patria di le imporrebbe - dobbiamo accontentarci delle intuizioni dilettantesche e delle tante segnalazioni che dal '700 in poi si rincorrono. Il cospicuo numero di tombe a forno dimostra l'esistenza di gruppi estesi, dediti ai culti mortuari dell'inumazione in forma fetale, con i cadaveri forse spolpati a bagnomaria e forse legati per la paura di una vendicatrice resurrezione che i nostri antenati pare nutrissero. (Cfr. S. Tine': L'origine delle tombe a forno in Sicilia, in 1963, p. 73 ss.).

Quei cosiddetti antichi Sicani, installandosi attorno alla grotta di Fra Diego, avranno trovato il salgemma delle vicinanze e fors'anche lo zolfo, all'epoca sicuramente reperibile anche in superficie. Risale alla tarda età romana lo strambo passo di Solinoche il Tinebra Martoran riferisce - a nostro avviso fondatamente - al territorio di Racalmuto. Ma rispecchia, di certo, una tradizione millenaria. Solino scrive che il sale agrigentino, se lo metti sul fuoco, si dissolve bruciando; con esso si effigiano uomini e dei (C.I. Solinus, 5\ 18;19). Ancora nel '700 il viaggiatore inglese Brydone andava alla ricerca di quei fenomeni. Sommessamente pensiamo che v'è solo confusione tra sale e zolfo, entrambi già conosciuti dai nostri preistorici antenati. Con lo zolfo si foggiavano statuette del tipo dei 'pupi', dei 'cani', delle 'sarde' di 'surfaro' che ai tempi della mia infanzia circolavano ancora.

Sale, zolfo e gesso Racalmuto li avrebbe ereditati dagli sconvolgimenti del, quando alle “grandi lacune terziarie progressivamente evaporate <sarebbe seguito> un processo di sedimentazione che avrebbe avuto per protagonisti non solo i principi della fisica e della chimica, ma addirittura uno straordinario microscopico batterio, il desulfovibrio desulsuricans capace di nutrirsi di petrolio greggio e di rubare ossigeno al solfato di calcio dando luogo ad idrogeno solforato che, attraverso una normale ossidazione, avrebbe partorito lo zolfo nativo” (Pratesi e Tassi, Guida alla natura della Sicilia, Milano 1974, p. 21 ss). Ci diverte alquanto l'idea che le ricchezze della rampante borghesia ottocentesca di Racalmuto si debbano a quel geologico vibrione.”

Il Parco Letterario potrebbe davvero ovviare a queste (gravissime) indolenze delle autorità di settore: anche a Sciascia sarebbe piaciuto conoscere sulla base di campagne di scavi scientifiche le sue ancestrali origini, il suo vero DNA, il suo battesimo sicano. Forse non avrebbe congedato questa pagina - sublime letterariamente, ma vagola concettualmente -che così suona: “A Racalmuto sono nato [..] E così profondamente mi pare di conoscerlo, nelle cose e nelle persone, nel suo passato, nel suo modo di essere, nelle sue violenze e nelle sue rassegnazioni, nei suoi silenzi, da poter dire quello che Borges dice di Buenos Aires: “ho l’impressione che la mia nascitasia alquanto posteriore alla mia residenza qui. Risiedevo già qui, e poi vi sono nato”. Mi pare cioè di sapere del paese molto di più di quel che la mia memoria ha registrato e di quel che dalla memoria altrui mi è stato trasmesso: un che di trasognato, di visionario, di cui non soltanto affiora - in sprazzi, in frammenti - quella che nel luogo fu vita vissuta per quel breve ramo genealogico della mia famiglia che mi è dato conoscere (e tutto finisce, nel risalire il tempo, a un Leonardo Sciascia, nonno di mio nonno, che nei primi dell’Ottocento venne a Racalmuto dal vicino paese di Bompensiere per esercitarvi il mestiere di conciatore di pelli), ma anche tutta la storia del paese dagli arabi in poi. Ed ecco un fatto di per sé borgesiano, del Borges di natura e quotidiano: non riesco ad immaginare, a vedere, a sentire la vita di questo paese prima che gli arabi vi arrivassero e lo nominassero. Ed è piuttosto facile scoprirne la ragione: la mia residenza qui, quella residenza che di molto precede la nascita, è cominciata con gli arabi, dagli arabi.”

Di sicuro avrebbe saputo che il nonno di suo nonno non era né Leonardo, né di Bompensiere, né conciatore di pelli. Era sì un mastro, pio e devoto, colonna della locale Maestranza, ma figlio e nipote e pronipote di racalmutesi: si chiamava, manco a dirlo, Calogero ed il mestiere era ben diverso da quello di conciapelli. Gli archivi della Matrice che si vogliono rendere accessibili agli studiosi con un apposito laboratorio avrebbe fugato ogni incertezza genealogica. Il pessimismo sciasciano forse non sarebbe stato neppure scalfito, ma qualcosa di diverso il Nostro avrebbe di sicuro scritto: di meno allucinante, di meno confessorio dell’oscurità del suo profondo Ego.

La presente fioca potenzialità imprenditoriale del luogo può allora essere di insormontabile ostacolo ad un Parco Letterario di così pregnante validità?

Non mancano comunque imprese già operanti o in corso di costituzione che potrebbero efficacemente coadiuvare il Parco. Abbiamo accennato ad Infotar. Abbiamo parlato di ARCON. Stralciamo dallo statuto di INFOTAR: “ Art. 4. - La società ha per oggetto la produzione di strutture informatiche (hardware e software) con particolare riguardo all’edizione di ipertesti scientifici, storici, legali, didattici ed affini in cd-rom corredati da adeguati supporti a stampa. A tal fine potrà venire svolta ogni attività sussidiaria sia pure a carattere finanziario per la realizzazione anche in propri stabilimenti degli elaborati in oggetto. La società potrà svolgere operazioni per il reperimento o l’investimento di fondi - nel rispetto delle leggi vigenti - sia in connessione dell’oggetto sociale sia per un più agevole conseguimento dello scopo. La società potrà quindi rilasciare fideiussioni attive e passive per l’ottenimento di finanziamenti e contributi pubblici e privati volti all’attività sociale. In collegamento, alla società non è interdetta ogni iniziativa di studio, ricerca anche archeologica , s’intende nel rispetto delle leggi e previe le debite autorizzazioni, volta allo studio ed alla valorizzazione della realtà archeologica, storica, archivistica e documentale sia di profilo laico che religioso avente riguardo a Racalmuto ed al suo territorio.”

La costituenda ARCON sarà un atelier racalmutese ad alta tecnologia informatica: si avvarrà di hardware e software per la confezione di capi di abbigliamento d’alta moda, ma soprattutto cercherà di creare articoli tessili d’antiquariato specie nel campo ecclesistico. Si legge nel testamento di una bizzarra benefattrice racalmutese, Donna Aldonza del Carretto sorella del conte Giovanni Del Carretto, di una ricca veste di stile spagnolo, regalata ad una serva, che val davvero la pena di ricostruire.

Dall’inventario di don Giovanni del Carretto, trucidato in quel di Palermo nel 1608, ARCON trarrà dati e suggerimenti per confezioni di costumi antichi. Trascriviamo passi da cui trarre i costumi predetti:

Inventarium bonorum repertoriatorum

in domo illustris d. Joannis del Carretto

Comitis Regalmuti & intro una Camera

Item un paramento di cojro dorato vecchio di pezzi quindici e piccoli.

Item un’altra littera con quattro tavole e dui trispiti ad un pede.

Et cinque matarazzi quattro pinti di tila azola bianca ed uno bianco pieno di lana siciliana.

Item dui para di lenzuoli uno grosso ed altro sottile.

Item un altro paviglione di tila vecchio.

Item cinque frazzati tri biamchi, et una russa ed una virdi.

Item un pezzo di paramento nigro.

Item tri baulli russi con fodera gialna dentro la quale vi sono l’infrascritti robbi cioè:

Uno stuccio di testa d’ebbano.

Un paviglione di tila di lenza con suo intaglio lavorato di seta carmicina.

Item un altro paviglione di tela bianca con suo cappello.

Item un cortinaggio di raso carmicino frinzato d’argento consistente in pezzi dodeci con suo tornialetto incluso.

Item un stipo di legname verde dentro lo quale vi sono li robbi infrascritti.

Item un paviglione di tirzanello leonato con li suoi frinzi di sita di lo medesimo colore consistenti in pezzi cinque usato.

Item dui paviglioni di taffità, seu bagattelli di Napoli di diversi colori con li suoi frinzi bianchi di sita rusata virdi e gialna ed altri colori.

Item una culltra di tila d’argento bianca per tabuto.

Item un cortinaggio di tirzanello giallo vecchio con li suoi pezzi inclusa la cultra e tornialetto.

Item un altro cortinaggio di damasco foderato con sua frinza d’oro minuto consistente in otto pezzi inclusa la cultra e tornialetto.

Item un altro cortinaggio di damasco torchino con frinza di seta torchina ed argento usato consistente in otto pezzi come l’altri.

Item uno cortinaggio di damasco russso vecchio con suoi frinzi attorno di seta russa consistente in otto pezzi come l’altri.

Item una coperta di Tem.to di velluto nero con passamani d’oro fino e chiodi d’oro.

Item un paramento di bagattello di Napoli di diversi colori russo, verdi, usato.

Item quattro barrachani di cuttuni bianco torchisci usati.

Item un paviglione di mezza raxia murata con sui frinzi attorno consistente in pezzi cinque inclusi lo tornialetto, cultra e cappello.

Item cinque cappi di raxia nigri con suoi cappucci vecchi, uno gippone di panno di galbo di Fiorenza misto con li fasci attorno di raso murato straziato usato et una canzuna del proprio panno.

Item una cascia di tavole d’abito grande dentro la quale vi sono ventiquattro frazzate bianche e russe usate e vecchie.

Item un’altra cascia simile dentro la quale vi sono diversi strazzi di nessun valore.

Item un’altra cascia simile dentro la quale vi sono l’infrascritti robbi cioè li coxini di velluto nigro con li suoi giombi.

Item una coltra bianca di tila di lenza di battista usata.

Item un’altra cultra murisca vecchia.

Quattro casci di tavole veneziane di scritture.

Tri altre vacanti.

Quattro forceri seu baulli tri fo.ni ed uno di cojo nero.

Item diecisetti casacche di lo conti cioè sette di panno e dieci di seta e tiletta ed unocoijretto d’umbra foderato di tirzanello bardiglio dentro li quali vi sono li robbi infrascritti cioè tri vestiti di velluto nero di raso e tirzanello vecchi e straziati.

Item quattro camisi quattro para di calsuni, di tila usati e vecchi.

Otto para di peduni vecchi di tila.

Cinque casci di abito vecchi, quattro pieni di scritture ed una vacante.

Una fiaschera di cojo alleonato con 8 fiaschi di vetro dentro.

Item una balestra coperta di vacchetta gialna con suo coccano simile.

Una cucuzza con suo collo e coperchio di stagno tundu fatta a fiasco.

[112]

Quattro zagaglie dove sono appisi li casacchi.

Item quattro con la figura di scandarbeccho.

Uno scrittorio di nuci vecchio picciolo in altra stanza di detto guardarobba.

Item una buffetta grande di noce e cerasa con suoi piedi et item un letto di camino con suo cortinaggio di damasco giallo con finzi allionati con suo tornialetto in pezzi vecchi.

Un altro letto di camino vacante vecchio.

Item una lettica di camino indorata di velluto seu damasco russo e tila.

Item una sigetta di camino a mano.

Item due forzeri dentro le quali vi sono da uno trenta canni di tovaglie di tavola in pezzi sottili tessuti ad occhio, otto altri tovagli di tavola sottili ed ottanta stuiabocchi parti in lotto e parti per uno del medesimo modo.

Item quatro di tila di cera della cruci con sua guarnizioni.

Tre fiaschi di rame rosso di tenere acqua rosa.

Intra l’altra stanza longa della guardarobba:

Ventidue matarazzi di diversi tili, gravi, azzoli, e bianchi vecchi pieni di lana siciliana.

Item quattro trabacchi di nuci con suoi fornimenti.

Intro quattro casce di tavola di abito longhe:

Tre altre trabacche simili.

Intro tri altri casci intro le quali vi è una porta deorata.

Item una buffetta di nuci grossa pinta vecchia.

Due vanchi di tavola vecchi infoderati di cojo.

In primis dudici seggi di nuci con li coiri azoli retropuntati con li frinzi capicciola torchina usati.

Quattro altri seggi simili.

Item quattro lenzuoli di tela sottile usati.

Item una tovaglia di tavola frandanisausata.

Item quattro tovaglie piccoli, una cultra di tila imbuttita bianca ed una cultra di taffità carmicino canciante, dui cannati e dui piatti di porcillana.

Item un baullo dui linzola di tela sottile, quattro cammisi, dui tuvagli di testa, un quatro dell’annunciata di capizzo di argento piccolo, ed un’altro quatretto, una capizzana, uno marzapano con cose minuti, una scatola con cosi di donna piccola.

In lo terzo baullo vi sono quindeci pezzi di tila grossa di circa canni 35.

Item uno cascione di tavola veneziana, quattro dentro la quali vi sono l’infrascritte robbe cioè una coperta di cocchio di velluto negro infoderato di plattina d’oro, un cappotto di raso pardiglio infoderato di tila d’argento, una borzetta di raso pardiglio infoderato di selba, una ciucca nigra, otto gipponi di seta ed altri cosi e guarnito d’oro, uno faudellino di velluto a fondo d’oro, una fakdetta tirzanello d’oro, una faudetta di tirzanello giallo, altro faudellino di tirzanello nigro alionato, una robba di velluto d’oro torchino.

Una robba di tirzanello lavorata nigra inforrata di taffità, una faldetta di tila d’argento bianca, con cottetto russo nigro interpato, un cottetto di tila d’argento bianco, un cottetto di raso bardiglio cappellato foderato di tirzanello zollino, una robba di taffità seu velo nigro, dui manti di donna di sita, una faudillino vecchio nigro, una cultra torchina e russa e taffità, una cultra di tila d’oro russo.

Item una robba di sita nigra, un pezzo di panno russo per commoglio. Item una cascetta di velluto torchino con passamani d’oro e piedi e cornici dorati dentro la quale ci sono li cosi infrascritti cioè: un cannistro di figlianda di diverse cose di tila bianca e sita lavorati consistenti in corticelli, tovagli, fasci, collaretti ed altri cosi minuti lavorati di sita ed oro. Item una scrivania di sita gialna e vecchia. Item un scrittorio d’ebbano lavorato d’avolio ed argento vacanti.

Item un’altra stanzia di detto guardarobba.

Item due matarazzi di tila azola e bianchi grossi pieni di lana siciliana, usati.

Item otto spati con suoi foderi e guardie tra li quali vi sono tre adorati e dui pugnali.

Item otto piomazzi delli medesimi di tila e lana.

Item una littera di vento distanti.

Item dui cento pezzi di libri di diversi sotti e storij grandi e piccoli.

Item un firriolo nero di panno di spagna usato.

Item una conca grande di fuoco alla napolitana con suo coperchio lavorata di rame rosso.

Item un’altra conca piccola del medesimo modo lavorata.

Item quindeci pezzi di panni di arazza cioè setti virdini e le otto signati di Mercurio.

Item dui tappiti di tavola usati cioè l’uno di lana e l’altro di seta.

Item cascia d’abito grande di dentro la quale vi sono l’infrascritti robbe cioè:

Item un paramento di damasco paglino e carmisino usato consistenti in pezzi undici. Item un altro paramento di damasco turchino con suoi zinefi di velluto del proprio colore. Item un paviglione di lanetta di Calabria gialna, con suoi zinefi attorno gialni e neigri in pezzi tre.

Item sei portali ..torchini con l’armi di russo del Carretto usati. Item una copetta longa con la toppa alla tedesca. Item una piccola boffetta di plattina d’argento con li piedi di legname.

Item un’altra cascia d’abito di teniri paramenti dentro li quali vi sno diecidotto pezzi di cojro dorati tra piccoli e grandi.

Item dodici quatri con l’effigie di diversi personaggi piccoli in tila.

Item quattro littere di tavola con suoi trispiti ad un piede. Item un scarfatore di rame rosso.

Item dodici altri patretti simili.

Item un [116] bragiero d’argento gisillato di peso libb: 20.....................................come l. 20

asserisce mastro Giovanni Cappino stente essere ingessato con lo rame e ligno con una testa di coiro. Item un cortinaggio di panno di Cultrac con suoi frinzi di capicciola consistenti in cinque pezzi vecchio; item dentro un’anticamera che si va suso alo guardarobba.

In primis dodici quatri dell’effogie dell’Imperatori Romani. Item setti pezzi di cojo dorati tra piccoli e grandi vecchi strazzati.

Entro la retrocamera un paramento di panno di razza inverditia e personaggi vecchi consistenti in pezzi sei.

Item una trabacca di nuci vecchia picciola usata. Item un paviglione di damasco verde con suo cappello di velluto verde con li frinzi parti d’oro in li frinzi a lo cappello grande d’oro e sita virdi e a lipedi di lu pavigliuni frinzetta piccola.

Item tri matarazzi di tila bianca suttili pieni di lana siciliana, un paro di lenzuoli di tila sottili. Item una culta bianca di vento. Item dui frazzati bianchi usati. Item una littera con quattro tavole con suoi trispiti ad un piede. Item dui maratazzi di tila bianca pieni di lana siciliana. Item un paviglione di saja rosato vecchio. Item un altro paro di lenzuola,

Item una buffetta di nuci quatra con suoi piedi et un tappito sopra vecchio. Item dodici seggi di nuci vecchi di coiro. Item se quatri piccioli di diversi personaggi. Item dui quatri grandi cioè uno di San Francesco di Paola e l’altro di caccia e verdure. Item un lettro, quatro di sita gialna. Item un portale di panno verde.

Item una cascia di nuci ferrata e foderata d’abito dove vi sono riposti l’infrascritti robbi cioè:

In primis cinque para di coniali con suoi calsi dorati di raso stampato con li suoi trappi doderati di russo vecchi

Item un cappotto di murmorino usato.

Item un paviglione di tela bianca lavorata alli punti di sita carmicina e suoi fascetti di sita e di Napoli usata. Item un altro paviglione di tila bianca usato con suo gruppo. Item undeci cappelli inforrati cioè otto di feltro, tre lavorati, dui di tirzanello usati. Item quattro berrette di tela e villuto usati. Item sei monteri di seta vecchi. Item un vestito di Baratto usato. Item un cappuni di Giambilotto di levanti inforrato di velluto lavorato ed usato. Item firraiolo di rasetto nigro inforrato di taffità usato. Item un altro firraiolo di tiletta inforrato di taffità. Item un arbonus bianco murisco usato. Item una cascia di tirzanello di armari nigro foderata dell’istesso usato. Item un altro firraiolo di muc

ajale nigro usato. Item un altro firriolo di Buratino infoderato di taffità nigro usato.

Item un altro firraiolo di Giambello di levanti foderati di taffità seu baratto usati. Item un cammisolo alla guglia di seta carmicina lavorato allo petto di oro usato. Item novi para di calsoni di mocajali terzanello e gambilotto usati. Item venti gipponi usati di diversi drappi, site, mucajale terzanelle, russo e gambilotto, inforrato di tila bianca usati. Item un cabubo di lanetta di Calabria guarnito di passamani d’oro in foderato di panno di baetta russa. Item una robba di casa di panno di Barsalona inforrata la mettà di villuto nigro guarnita di passamano d’oro fino usata. Item una robba di casa fatta a firriolo di Macajali usato. Item un Agnus Dei di cira lavorato atorno di seta ed oro. Item un trucco foderato di panno verde con suoi piedi. Item quattro portali di Barsellota vecchi. Item un pezzo di panno di raso vecchio. Item un orologio di ferro con suoi fornimenti. Item una carrozza di nuci coperta di cojo di cavvhetta di Fiandra inforrata di velluto nigro nova tutta con suoi guarnimenti. Item un altra carrozza di nuci coperta di vacchetta di Fiandra nigra. Item una lettica di camino coperta di vacchetta ed infoderata di tila azola con li suoi fornimenti e selloni vecchi.

Item un’altra lettica di legname vecchia.

Item cinque selle vecchi con suoi freni e guarnizioni.

Item due selle di velluto vecchi con suoi guarnizioni e freni.

Item lo paramento di Vincenzo di Settimo per cui pignorato di damasco turchino.

Item novi piatti piccoli d’argento senz’armi novi.

Robba della Camera di Leonardo Campisi.

Item una maldrappa di punto dalla nuona memoria plana.

Un’altra di panno con la sua frinza nigra di detto Signore.

Un’altra di velluto nigro di d.° Signore con la sua frinza.

Un’altra di tiletta con la sua frinza della Nuona Memoria.

Un’altra maldrappa di villuto con sua frinza, parte lavorata. Un’altra di tila vecchia con li suoi passamani e frinze. Un’altra di velluto vecchio con suoi passamani. Una sella di velluto nuova guarnuta di passamano con suoi guarnimenti di velluto. con suoi giumbi della buona memoria. Dui selle nuove guarnute di velluto con due fascie con li suoi guarnimenti di coiro. Una sella bardiglia guarnuta di velluto con le sue staffe e con il suo guarnimento simile di velluto nigro. Item una sella vecchia con suo guarnimento di panno nigro con le staffe e maldrappa con suo freno di cavallo . . . . Item una sella di coiro invellutato di mezamina col suo guarnimento senza staffe. Un’altra sella di velluto nigra guarnuta con suo passamano d’oro, con suo guarnimento di velluto senza staffe. Altra sella alla giomenta con suo guarnimento e staffe con la sua coperta alla moresca.

Item una sella di coiro di posta; dui para di staffi alla giannetta; un guarnimento di tila vecchio; un guarnimento alla moresca con sue drappe di ramo dorate; due para di tavolette di velluto carmicino per cavalcare le donne. Due assettiti di velluto carmicino con la sua frinza simili per una lettica; quattro bandilori di damasco carmicino con li suoi giumbi e capi per detta littica; un paro di staffi nigri; cinque spati delli quali ne tiene una Liberanti per ordine del sig.re d: Vincenzo Sette Capardi, delle quali ne tiene una Marsilio con uno scuto dorato; un capizzuni; un coccano di scopettina; sei freni di coiro guarnuto per servizio; un fiasco di stagno; quattro per annivare acqua e vino. Item una sella di coiro vecchia con suo guarnimento; dui staffi vecchi; una cascia grandi pri teniri robba; due banchetti di ligno; dui selloni; altre due li tiene il Principe di Rabia; quattro selle vecchi per diverse genti; dui bardoni per ammanzare muli; dui fusti di ligno; un fusto rotto di ligni; una sella di villuto vecchia con sua frinza; una sella bianca per cavalcare; una sella azzariata guarnuta; un’altra di velluto gialna.

Sei butti e dui carratelli.

Una cascetta per fiaschi.

Due landoni di ferro per stalla.

Dui para di ferri.

Dui catini grossi per detti.

Una catina di testali di cavallo.

Una botte di racina.

Un sopracollo di carrozza.

Un baullo vecchio.

Una lettica vecchia con sua scala.

Novi casci vecchi.

Tre altri casci piccoli.

Dui vasi di legno.

Quattro seggi vecchi.

Una sigetta guarnuta di sella bianca.

Quattro . . . bianchi vecchi.

Un letto con due matarazzi con due frazzate, una vecchia e l’altra minuta e linzola vecchi. Tre silleri dove stanno li selli.

Una tavola dove stanno li freni.

Dui tavoli dove stanno li lapardi.

Quattro puppi guarnuti d’oro e seta del coccio deorato.

Lo cocchio deorato; l’altro cocchio senza cartali, senza sopraceli, di coiro; due tovagli grossi.

Arcon e artigianato locale sapranno bene fronteggiare le richieste del Parco in tema di costumi ed attrezzi di foggia antica, consentendo la realizzazione dei musei di cui si è detto.



SEZIONE IV

Documenti che dimostrino la disponibilità alla concertazione locale e l’adesione da parte di più soggetti sociali, quali enti locali, associazioni di categoria, gruppi organizzati, associazioni culturali o di volontariato, ecc.

Si allega la documentazione richiesta, che ci appare del tutto idonea a corrispondere all’avvertita esigenza di estendere il Parco alle realtà sociali racalmutesi e a quelle dei centri del circondario. Si noteranno assenze di enti autarchici territoriali: è una esclusiale intenzionale. Evitare inquinamenti di ogni sorta è assillo di questa associazione, specie in un territorio non esente da infiltrazioni malavitose. Gli appetiti politici sono altresì fonte di preoccupazione: fomentare il clientelismo elettorale con fondi apparentemente destinati ad iniziative culturali o sociali è vezzo diffuso nelle classi dirigenti di queste parti. L’associazione vuole starne lontano, anche a costo di vedere vanificare il suo progetto che con tutta franchezza reputa meritevole di ogni attenzione.



NOTA FINALE

Purtroppo si è venuti a conoscenza del “concorso di idee” per un parco letterario molto tardi: pur di inviare la nostra adesione entro il termine di scadenza, si sono affrettati i tempi di lavorazione. Testi non ricontrollati adeguatamente, difetti formali, precipitose concertazioni appannano la formulazione della nostra proposta. Ce ne scusiamo e ce ne rammarichiamo. Vogliamo sperare nella comprensione e nella benevolenza dei nostri esaminatori. Pronti, comunque, come siamo a fornire ogni ragguaglio, a produrci nelle debite rettifiche a semplice richiesta. In ogni caso ringraziamo per l’attenzione che ci verrà riservata.



[1]Emerge come il feudo di Gibillini sia cosa ben diversa dalla contea racalmutese. Per Gibillini, s’intende il territorio degradante tutt’intorno al castello - oggi denominato Castelluccio - e non soltanto la contrada della omonima miniera, che forse un tempo non faceva neppure parte di quella terra feudale.

Il primo accenno storico a Gibillini risale al 21 aprile 1358 ;[1] il diplomatista così sintetizza il documento che non ritiene di pubblicare:

Il Re concede al milite Bernardo de Podiovirid e ai suoi eredi il castello de GIBILINIS, vicino il casale di Racalmuto e prossimo al feudo Buttiyusu [feudo posto vicino SUTERA, v. doc. prec., n.d.r.], già appartenuto al defunto conte SIMONE di CHIAROMONTE traditore, insieme a vassalli, territori, erbaggi ed altri dritti; e ciò specialmente perchè il detto Bernardo si propone a sue spese di recuperare dalle mani dei nemici il detto castello e conservarlo sotto la regia fedeltà: riservandosi il Re di emettere il debito privilegio, dopoché il castello sarà ricuperato come sopra.

Pare che Bernardo de Podiovirid non sia riuscito a prendere possesso di Gibillini: il feudo ritorna prontamente in mano dei Chiaramonte. Simone Chiaramonte è personaggio ben noto e fu protagonista di tanti eventi a cavallo della metà del XIV secolo. Michele da Piazza lo cita varie volte. Il fiero conte ebbe dire recisamente a re Ludovico“prius mori eligimus, quam in potestatem et iurisdictionem incidere catalanorum”: preferiamo morire anziché finire sotto il potere e la legge dei catalani. Mera protesta, però; il Chiaramonte è costretto a fuggire in esilio presso gli angioini. Scoppia la guerra siculo-angioina che si regge sull’apporto dei traditori. Per Michele da Piazza, i chiaramontani, che pur vivevano nella loro tirannica fede, non contenti né soddisfatti di tanta immensa strage, da loro inferta ai siciliani, si rivolsero agli antichi nemici della Sicilia per spogliare dello scettro re Ludovico.

Nel marzo del 1354 i primi rinforzi angioini pervennero a Palermo e Siracusa. In tale frangente fame e carestia si ebbero improvvisi in Sicilia, favorendo gli invasori. Ne approfittò Simone Chiaramonte “capo della setta degl’italiani - secondo quel che narra Matteo Villani - [promettendo] ai suoi soccorso di vittuaglia e forte braccia alla loro difesa: i popoli per l’inopia gli assentirono”.[1] Prosegue Giunta [1] “queste premesse spiegano il rapido inizio dell’impresa dell’Acciaioli, il quale accanto a 100 cavalieri, 400 fanti, sei galere, due panfani e tre navi da carico, si presentò “con trenta barche grosse cariche di grano e d’altra vittuaglia”, sì da ottenere festose accoglienze da parte dei Palermitani “che per fame più non aveano vita”, nonché il rapido dilagare della insurrezione a Siracusa, Agrigento, Licata, Marsala, Enna “e molte altre terre e castella””.Tra le quali possiamo includere tranquillamente Racalmuto e Gibillini.

Simone Chiaramonte muore a Messina avvelenato nel 1356, un paio d’anni prima del citato documento. Ma da lì a pochi anni, Federico IV, detto il Sempliceriuscì a riconciliarsi con i Chiaramonte e nel febbraio del 1360 accordava un privilegio tutto in favore di Federico della casa chiaramontana.

Il feudo di Gibillini appare sufficientemente descritto nell’opera del San Martino de Spucches .[1] Secondo l’araldista il feudo di Gibillini, quello di Val Mazara, territorio di Naro, da non confondersi con l’altro ancor oggi chiamato di Gibellina, appartenne, “per antico possesso”alla famiglia Chiaramonte. Fu Manfredi Chiaramonte a costruirvi la fortezza, quella che ora è denominata Castelluccio. L’ultimo della famiglia a possedere il feudo fu Andrea Chiaramonte, quello che, dichiarato fellone, ebbe la testa tagliata a Palermo nel giugno del 1392, nel palazzo di sua proprietà, lo Steri.

Re Martino e la regina Maria insediarono quindi Guglielmo Raimondo Moncada, conte di Caltanissetta. Il feudo divenne ereditario, iure francorum, con obbligo di servizio militare e cioè con due privilegi, il primo dato in Catania il 28 gennaio 1392 (registrato in Cancelleria nel libro 1392 a foglio 221) [1]; col secondo diploma, dato ad Alcamo, li 4 aprile 1392 e registrato in Cancelleria nel libro 1392 a foglio 183, fu dichiarato consanguineo dei sovrani, ebbe concessi tutti i beni stabili e feudali, senza vassalli, posseduti da Manfredi ed Andrea Chiaramonte, dai loro parenti e dal C.te Artale Alagona, beni siti in Val di Mazara, eccetto il palazzo dello Steri ed il fondo di S. Erasmo e pochi altri beni. Nel 1397 ad opera del cardinale Pietro Serra, vescovo di Catania e di Francesco Lagorrica, il Moncada fu deferito come reo di alto tradimento, avanti la gran Corte, congregata in Catania; ivi con sentenza 16 novembre 1397 fu dichiarato fellone e reo di lesa maestà ed ebbe confiscati tutti i beni. Morì di dolore nel 1398.

Subentrò Filippo de Marino, fedelissimo vassallo del Re (1398); non abbiamo la data precisa della concessione; per quel che vale il de Marino figura possessore del feudo di Gibillini nel ruolo del 1408 dello pseudo Muscia.[1]

Il feudo pervenne successivamente a Gaspare de Marinis, forse figlio, forse parente. Da questi, passa al figlio Giosué de Marinis che ne acquisì l’investitura il 1° aprile 1493 more francorum, [1] per passare quindi a Pietro Ponzio de Marinis, investitosene il 16 gennaio 1511 per la morte del padre e come suo primogenito. [1] Costui sposò Rosaria Moncada che portò in dote i feudi di Calastuppa, Milici, Galassi e Cicutanova, membri della Contea di Caltanissetta, come risulta dall'investitura presa dalle figlie Giovanna e Maria il 22 settembre 1554 (R. Cancelleria, III Indizione f.96).

Succede Giovanna De Marinis e Telles, moglie di Ferdinando De Silva, M.se di Favara con investitura del 15 gennaio 1561, come primogenita e per la morte di Pietro Ponzio suddetto (Ufficio del Protonotaro, processo investiture libro 1560 f. 271).

Maria De Marinis Moncada s'investì di Gibillini il 26 dicembre 1568, per donazione e refuta fattale da Giovanna suddetta, sua sorella (Ufficio del Protonotaro, XII Indiz., f.479) .

Beatrice De Marino e Sances de Luna s'investì di due terzi del feudo il 17 ottobre 1600, per la morte di Alonso de Sanchez suo marito, che se l'aggiudicò dalla suddetta Giovanna, M.sa di Favara (Cancelleria libro dell'anno 1599-1600, f. 15); peraltro v’è pure un’investitura di questo feudo, datata 7 agosto 1600, a favore di Carlo di Aragona de Marinis, P.pe di Castelvetrano, figlio di detta Maria de Marinis (R. Cancelleria, XIII Indiz., f.160); un’altra investitura la troviamo in data 28 agosto 1605 a favore di Maria de Marinis per la morte di Carlo suo figlio (R. Cancelleria, III Indiz. , f. 491); dopo non ci sono investiture a favore dei Moncada.

Diego Giardina s'investì di due terzi il 24 gennaio 1615, per donazione fattagli da Luigi Arias Giardina , suo padre, a cui le due quote furono vendute da Beatrice suddetta, agli atti di Not. Baldassare Gaeta da Palermo il 5 dicembre 1608 (Cancelleria, libro 1614-15, f. 265 retro). Vi fu quindi una reinvestitura in data 18 settembre 1622, per la morte del Re Filippo III e successione al trono di Filippo IV (Conservatoria, libro Invest. 1621-22, f. 283 retro).

Subentra - sempre nei due terzi - Luigi Giardina Guerara con investitura del 28 febbraio 1625, come primogenito e per la morte di Diego, suo padre (Cancelleria , libro del 1624-25, f. 214); viene quindi reinvestito il 29 agosto 1666 per il passaggio della Corona da Filippo IV a Carlo II (Conservatoria, libro Invest. 1665-66, f. 119). Il Giardina morì a Naro il 24 novembre 1667 come risulta da fede rilasciata dalla Parrocchia di S. Nicolò.

Diego Giardina da Naro, come primogenito e per la morte di Luigi suddetto, s'investì dei due terzi il 7 ottobre 1668 (Conservatoria, libro Invest. 1666-71, f. 89).

Luigi Gerardo Giardina e Lucchesi prese l’investitura il 9 settembre 1686 dei due terzi, per la morte e quale figlio primogenito di Diego suddetto (Conservatoria, libro Invest. 1686-89, f. 17).

Diego Giardina Massa s'investì il 26 agosto 1739, come primogenito e, per la morte di Luigi Gerardo suddetto, nonché come rinunziatario dell'usufrutto da parte di Giulia Massa, sua madre, agli atti di Not. Gaetano Coppola e Messina di Palermo, del 1° ottobre 1738 (Conservatoria, libro Invest. 1738-41, f. 58).

Giulio Antonio Giardina prese l’investitura dei due terzi il 3 dicembre 1787, come primogenito e per la morte di Diego suddetto (Conservatoria, libro Invest. 1787-89, f. 25).

Diego Giardina Naselli s'investì dei due terzi del feudo di Gibellini il 15 luglio 1812, quale primogenito ed erede particolare di Giulio suddetto (Conservatoria vol. 1188 Invest., f. 124 retro); non ci sono ulteriori investiture o riconoscimenti.

Ma a questo punto scoppia il caso Tulumello. Il San Martino de Spucches non segue bene le vicende feudali di Gibillini. Comunque nel successivo volume IX - quadro 1454, pag. 221 - intesta: “onze 157.14.3.5 annuali di censi feudali - GIBELLINI- Cedolario, vol. 2463, foglio 204” ed indi rettifica:

Giulio GIARDINA GRIMALDI, Principe di Ficarazzi s'investì di due terzi del feudo di GIBELLINI a 3 dicembre 1787 come figlio primogenito ed indubitato successore di Diego GIARDINA e MASSA (Conservatoria, libro Investiture 1787-89, foglio 25).

1. - Quindi vendette agli atti di Not. Salvatore SCIBONA di Palermo li 22 luglio 1796 a D. Giovanni SCIMONELLI, pro persona nominanda annue onze 157, tarì 14, grana 3 e piccioli 5 di censi sopra salme 57, tumoli 11 e mondelli 2 di terre, dovute sul feudo di Gibellini; e ciò per il prezzo in capitale di onze 3500 pari a lire 44.625. Il detto Scimoncelli dichiarò agli atti di Notar Giuseppe ABBATE di Palermo che il vero compratore fu il Sac. D. Nicolò TOLUMELLO. Per speciale grazia accordata dal Re a 29 aprile 1809 fu confermato lo smembramento di dette onze 157 e rotte dal feudo di GIBELLINI già effettuate senza permesso Reale (Conservatoria, libro Mercedes 1806-1808, n. 3 foglio 77).

2. - D. Giuseppe Saverio TOLUMELLO s'investì a 7 giugno 1809 per refuta e donazione a suo favore fatte dal Sac. D. Nicolò sudetto agli atti di Notar Gabriele Cavallaro di Ragalmuto li 22 aprile 1809 (Conservatoria, libro Investiture 1809 in poi, foglio 40). Questo titolo non esce nell'“Elenco ufficiale diffinitivo delle famiglie nobili e titolate di Sicilia” del 1902. L'interessato non ha curato farsi iscrivere e riconoscere.”

[2]) Leonardo Sciascia: Le parrocchie di Regalpetra - Morte dell’Inquisitore, Bari 1982, pag. 51.

[3]) Carmelo Vetro - L’associazionismo borghese nella Sicilia dell’800: le case di compagnia - in Il Risorgimento, anno XLVI n. 2-3 - Milano 1994, pag. 301