Rapporto Sangiorgi è il nome con il quale è ricordato l'insieme dei resoconti sulla
mafia realizzati dal Questore di
Palermo Ermanno Sangiorgi e inviati al ministero dell'Interno. È composto di 31 rapporti per un totale di 485 pagine manoscritte, stese tra il novembre
1898 e il febbraio 1900
[1].
Il rapporto contiene il primo quadro completo della
mafia siciliana che sia stato delineato ed è il primo documento ufficiale che definisce la mafia come un'organizzazione criminale fondata su un giuramento, la cui attività principale è il "
racket della protezione".
[2]
Di origini
romagnole[3], Sangiorgi arrivò a
Palermo nell'agosto del
1898, dopo aver prestato servizio in altre città
siciliane ed aver conseguito numerosi successi contro le cosche della costa occidentale (un esempio su tutti, la "
Fratellanza di Favara").
Quando il nuovo Questore arrivò a
Palermo, era in corso una guerra di mafia, iniziata due anni prima, nel
1896. Indagando sui delitti commessi dalle cosche della
Conca d'Oro, Sangiorgi capì che gli omicidi non erano il prodotto di iniziative individuali, ma implicavano leggi, decisioni collegiali, e un sistema di controllo territoriale. L'indagine, avviata in un'azienda di agrumi nei pressi dell'
Arenella (il Fondo Laganà), dove in una grotta erano stati scoperti quattro cadaveri in decomposizione, passò successivamente a due ricchissime e famose famiglie palermitane, i
Florio e i
Whitaker[4]. Sangiorgi scoprì che le due dinastie vivevano fianco a fianco con i
mafiosi della
Conca d'Oro, che venivano assunti come guardiani e fattori nelle loro tenute e pagati per ricevere "
protezione"; ma i
mafiosi ricorrevano spesso a minacce e intimidazioni per ottenere queste occupazioni: la famiglia Whitaker aveva subito il rapimento della piccola Audrey, che era stata riscattata solo con il pagamento di una forte somma di denaro.
Sangiorgi scoprì che i cadaveri occultati nella grotta del Fondo Laganà appartenevano a dei "
picciotti" che Francesco Noto, capo della
cosca mafiosa dell'
Olivuzza, aveva fatto inserire presso la famiglia Florio come cocchieri ma li aveva uccisi per vendicarsi di uno sgarbo da loro commesso; lo stesso Noto lavorava nella tenuta dei
Florio come giardiniere mentre il fratello Pietro, vicecapo della
cosca, svolgeva il lavoro di guardiano. Alla famiglia
Florio non venne in mente di collaborare con la procura. Il suo potente status, d'altronde, le permetteva di rifiutare gli inviti di comparire davanti a Sangiorgi anche per rilasciare una semplice testimonianza.
La Questura era alla ricerca di testimoni disposti a collaborare. L'occasione si presentò nell'ottobre
1899, quando un uomo conosciuto dalle forze dell'ordine,
Francesco Siino, sfuggì miracolosamente ad un agguato. Siino era il capo della
cosca di
Malaspina ed era considerato da Sangiorgi il «capo regionale o supremo» della
mafia. Siino iniziò le sue deposizioni dicendo che faceva parte di una "compagnia di amici", ma messo alle strette, confessò risvolti più particolareggiati. Nel
1898 le sue fortune stavano ormai declinando: il suo avversario
Antonino Giammona, capo della
cosca dell'
Uditore, gli contendeva i
racket del commercio di limoni, delle rapine, delle
estorsioni e della falsificazione delle banconote. Nel
1896 Siino aveva scatenato una guerra contro la cosca di Giammona, ma la stava perdendo. Il mandante dell'attentato cui era sfuggito era Giammona. La notte tra il 27 e il 28 aprile
1900 la Questura fece arrestare diversi mafiosi, tra cui Antonino Giammona.
Il rapporto descrive accuratamente i metodi imprenditoriali utilizzati dalla malavita come: commettere rapine, infiltrarsi nelle aziende ortofrutticole, falsificare banconote. Ed anche i suoi metodi repressivi come la sistematica minaccia dei testimoni fino alla loro uccisione. Il questore descrive inoltre, come avviene la gestione congiunta del territorio da parte dei capi cosca e come essi amministrino i fondi utilizzati per le famiglie dei detenuti e per pagare gli avvocati. Siino rivelò che le
cosche che si spartivano la
Conca d'Oro erano otto:
- Piana dei Colli
- Acquasanta
- Falde
- Malaspina
- Uditore
- Passo di Rigano
- Perpignano
- Olivuzza.
Il
dossier conteneva anche dati relativi alla presenza e alla distribuzione mafiosa nella città di
Palermo e nelle
borgate rurali:
| Mafia delle borgate palermitane e mafia rurale: composizione sociale[5]. | Borgate (218 elementi) | Provincia (206 elementi) |
| Possidenti e proprietari | 26 | 23 |
| Soprastanti, campieri, custodi, curatoli e giardinieri | 45 | 19 |
| Trafficanti, intermediari | 25 | 15 |
| Sacerdoti | - | 8 |
|
| Civili e impiegati | 2 | 8 |
| Artigiani, bottegai, lavoratori urbani in genere | 46 | 29 |
| Pecorai, caprari, vaccari | 19 | 17 |
| Operai agricoli, addetti alle macchine | 6 | 2 |
|
| Braccianti | 11 | 5 |
| Contadini | 12 | 44 |
| Borgesi [sic] | - | 20 |
| Non identificati | 19 | 6 |
|
|
Disegno relativo al processo ai presunti mafiosi fatti arrestare dal questore Sangiorgi, pubblicato sul quotidiano
L'Ora (maggio
1901).
Il rapporto venne presentato alla Procura di
Palermo nel quadro della preparazione di un processo. Scopo del lavoro di Sangiorgi era stato raccogliere prove che dimostrassero che il racket, unito ai contatti politici, sono alla base del modus operandi della mafia
[6].
Una sentenza di condanna avrebbe dimostrato che la mafia è un fenomeno organico, quindi unitario. Per questo motivo, la Questura puntava ad utilizzare una specifica legge che puniva il reato di associazione criminale.
Il processo cominciò nel maggio
1901. L'anno precedente, però, Sangiorgi aveva perso il suo appoggio politico a
Roma: nel giugno
1900 era caduto il governo di
Luigi Pelloux. Pelloux, generale dell'esercito, conosceva personalmente Sangiorgi ed era stato lui a promuoverlo nel
1898 Questore di
Palermo. Intuendo il mutato clima politico, Siino ritrattò completamente le sue dichiarazioni. Anche gli altri testi si prodigarono in attestati di stima degli imputati, che vennero descritti come «veri gentiluomini». Dopo solo un mese, giunsero le condanne di primo grado. Soltanto 32 imputati furono giudicati colpevoli di aver dato vita a un'associazione criminale. Tenuto conto del tempo già trascorso in carcere, molti furono rilasciati il giorno dopo.
Sangiorgi commentò laconicamente la sentenza:
« Non poteva essere diversamente, se quelli che li denunziavano la sera andavano a difenderli la mattina. » |
- ^ Salvatore Lupo, Storia della mafia, Donzelli, 2004, pag. 136.
- ^ John Dickie, Cosa Nostra, Laterza, 2005, pag. 93.
- ^ Ermanno Sangiorgi fu battezzato a Riolo (Diocesi di Imola, Legazione di Ravenna), oggi Riolo Terme, il 6 aprile 1840 come Ermanno Carlo Gaspare Sangiorgi di Sante Sangiorgi e Clotilde Costa. Morì a Napoli il 3 novembre 1908 nella sua casa in Piazza Ascensione 21.
- ^ I Whitaker avevano messo radici in Sicilia al tempo delle guerre Napoleoniche, quando le forze britanniche avevano occupato l'isola.
- ^ Salvatore Lupo, Storia della mafia, pag. 142.
- ^ John Dickie, Cosa Nostra, Laterza, 2005, pag. 95.
- Salvatore Lupo, Storia della mafia, Donzelli, 2004.
- John Dickie, Cosa Nostra, Laterza, 2005,