giovedì 30 aprile 2015

niente cassonetti in mezzo alla strada di Racalmuto

I cassonetti in mezzo alle strade di Racalmuto, specie ora che comincia l'estate, vanno assolutamente eliminati. Sistemi alternativi ce ne stanno quanti se ne vogliono e tutti confermi alle leggi. Tutti possiamo avere bizzarre idee, ma ci stanno leggi ferree perché di mezzo c'è preminente la salute pubblica. Spero che il sindaco grande avvocato ne sia consapevole, specie a cominciare dal primo maggio 2015 con contratti scaduti, ARO in mente Dei e Peppe Guaglino che ci dirà cosa vorrà fare da grande. Mi auguro che non venga qualche babbeo di strapaese a dirmi che apro bocca per darvi fiato, tanto lui chissà quale autorizzazione CONTRA LEGEM potrà ostentare!

e persisto ancora

Riporto in modo anonimo un mio botta e risposta su un paio di tempi di attualità

 
Borsellino era solo un bravissimo uomo (manovrato da Falcone). Non doveva avere quella promozione che poi pagò con la vita. Quelle morti eccellenti sono opera di militari di alto rango. I nostri picciotti da soli sarebbero saltati loro per aria. Manovalanza. Cui prodest l'uccisione di Borsellino? Non lo so; so solo che alla mafia non interessava. Se prestò stupidi picciotti ci dicano a chi e perché li prestarono. Non ce lo dicono non perché non sanno ma perché non vogliono. E voi a quei poveri bambinelli di ieri sera cosa avete insegnato? Un prete qualche bizochera un aspirante sindaco cosa avevano loro da dire per educarli? Li avete frastornati con la menzogna di stato. Corruzione di minori insomma. Tutto per qualche voto in più a Racalmuto. Spero per moltissimi voti in meno a Racalmuto.una signora
Condivido pienamente quello che pensi sulla fiaccolata di ieri sera che si fa solo dopo 21 anni dalla morte in questo paese e guardacaso organizzata da aspiranti sidacelli di paese....Hanno strumentalizzato l'evento per miseri scopi politici e questo mi fa rabbia e senso di schifo proprio come te infatti non ho partecipato perche' non ho condiviso il vero senso della fiaccolata e questo l'ho scritto anche in privato a Peppe Brucculeri proprio ieri. Riguardo alla morte si sa che a uccidere Paolo non e' stata la mafia , ma lo stato che comunque e' sempre mafia...quindi lo ha ucciso lo stato sempre mafioso...quello che non condivido di cio' che hai detto e' che non credo che Paolo fosse un poverello manovrato da Giovanni Falcone ...era un uomo vero capace di rifiutare di essere manovrato da alcuno e tutto cio' che ha fatto lo ha fatto perche' ci credeva..Calogero Taverna
Ne IL CONTESTO, romanzo molto enigmatico, è una intelligentissima PARODIA (sottotitolo) alle due chiese di allora che lui aborriva: la cattolica e la comunista. Rivoluzione violenta borghese (Robespierre) e rivoluzione violenta comunista (Marx) alla berlina. E fin qui capisco. Non capisco perché dileggi San Luigi Gonzaga (non guardava la mamma perché donna). Ma la faccenda dell'incesto che vi lega (considerare la madre una troia perché va a letto col padre fa arricciar la pelle ma son cose profonde. Chi le ha mai capite a Racalmuto? Forse solo un pochino io, purosangue racalmutese come lui. L'anagrafe della matrice attesta un grandissimo numero di incesti, donde una epidemica pazzia). Una piccola speranza alla fine con Stendhal, con la grande cultura francese forse con un piccolo spiraglio del ritorno alla gioia di vivere (ma qui su questa terra). Quando irrido ai preti che coccolavo Sciascia credo di avere qualche ragione mia graziosa Rita, irretita troppo da un biondo nazareno. Buona notte.
 
signora
Io non capisco una cosa di te....la rabbia per questo biondo nazareno...lo mischi dovunque, negli incesti, nella politica , ma che mai ti ha fatto questo Gesu'?
Il mio vedere Gesu' e' ben diverso dal tuo. Gesù ha fondato la Chiesa, ma il male fa ancora parte di essa ...io vedo la chiesa di Cristo, tu vedi la chiesa di Mefistofele che gli si insinua per mettere zizzania..
Calogero Taverna
Quando mi spiegherai cosa ha fatto Paolo Borsellino (se non venire a Racalmuto a fare un discorso sgrammaticato in modo orripilante) ti seguirò. Ho sottomano il libro di Travaglio: L'odore dei soldi. Leggiamolo insieme. Ti spiegherò le cantonate di Borsellino. Doveva indagare su cose finanziarie. Non ci capiva niente. Ora Geronzi spiega il contemporaneo SBARCO IN SICILIA delle banche. C'entra pure l'Interfinanza di Racalmuto. Cosa ci ha capito Borsellino? Oltretutto, se capiva doveva cambiare mestiere. Stava dove stava perché avevano inventato il pool dell'antimafia. Due sono i malanni della Sicilia catoneggiava Sciasca: la mafia e l'antimafia! E cribbio se aveva ragione e cribbio ha ancora ragione (ma solo per l'antimafia: la mafia si estinse con Mori, insegnamento dello stesso Sciascia) Non chiamare Lo stato mafia. E' una contraddizione in termine. Lo STATO è realtà pensata, la cosa più spirituale che esista: Parola di Hegel. Confonderesti tu la notte di San Bartolomeo o l'IOR con il CORPO MISTICO?
signora
Sai perche' chiamo lo stato mafia? perche' li si prendono decisioni che non sempre sono la volonta' dei poveri cittadini e chi prende decisioni in proprio e per il proprio tornaconto io lo chiamo mafia o dittatura..guarda adesso che cosa fanno in parlamento...i porci ...e da porci fanno i loro porcicomodi...questo per me non e' stato e non lo e' mai stato da una 30ntina di anni a questa parte....ma io parlo sempre da povera ignorante. Si , e' vero che Paolo non capiva di roba finanziaria, di quella se ne occupava Giovanni..
 
altro che realta' pensata...lo stato e' una associazione a delinquere di stampo mafioso

 

01:45
 
 Calogero Taverna
No! se ne occupava soprattutto Borsellino (pag. 47 e ss. del libro citato). Tu ripeti sullo Stato cose che in questo momento interessano certi poteri forti (e non sempre a danno dello STATO). Quello che dici te lo posso smontare se e quando vuoi. E dici quello che dici non perché sei "ignorante (che anzi svetti in cultura e scienza) ma perchè non sei informata e non sei informata perché dice Bobbio la Democrazia è l'arte del consenso estorto.
 Calogero Taverna
Quello che stanno facendo è il passaggio soft dalla STATO assistenziale (grande progetto sociale demo-comunista ma ormai obsoleto) ad uno Stato modernissimo di pura razionalità post capitalismo finanziario. Una nuova palingenesi insomma. Il teatrino che stanno inscenando è per le anime "belle", un eufemismo per dire una brutta cosa- In questo senso cerca di non essere anche tu un'anima "bella". Ho molta stima per la tua intelligenza. Ribadisco: lo STATO è UNA REALTA' PENSATA, cosa spiritualissima (ovviamente nell'alveo della filosofia dell'idealismo che parte da Hegel).
signora
Io so che di soldi e banche se ne occupava Giovanni Falcone, magari questo libro che citi tu si sbaglia. Riguardo il mio pensiero sullo Stato -mafia tu puoi anche smontare quello che vuoi ma io ti dico...Quale e' lo scopo della mafia ? arricchirsi (per finanziare la manovalanza)e quale e' lo scopo dello stato ? (dovrebbe essere far crescere il paese invece pare che si arricchiscono per finanziarsi le propagande elettorali e quello che c'e' dietro
Ora ti do la buona notte Calogero. Sono stanca e domani Gesù mi aspetta in chiesa per la messa . A domani Calogero.
io so solo che qualsiasi cambiamento stiano pensando la a Roma, di certo non e' buono per la povera gente comune. Il debito pubblico continua a lievitare e se continua cosi' finiremo come i greci...a morire di fame dietro la saracinesca dei fornai...Stato di merda ...scusa ...Buona notte Calogero.


 
 Calogero Taverna
Carissima Rita tu reiteri quel bombardamento propagandistico che in modo subdolo e subliminale i poteri forti anzi fortissimi, padroni assoluti di mass media, hanno messo in atto per razionalizzare la vecchia struttura sociale dello STATO ASSISTENZIALE. Ripeti due slogan contrastanti senza afferrare la loro contraddittorietà. Dici che coì ssi manda in miseria la povera gente e ce la stanno facendo finire come in Grecia (o potremmo finire che è la stessa cosa) e poi mi sciorini la faccenda che il "debito pubblico continua a lievitare". Parto da quest'ultimo aspetto. Se ti dico che il debito pubblico è posta patrimoniale e non componente netivo del conto economico, non è una spesa, ti sembrerà che ti dica frottole. Se tu non fossi una mia amica ti sghignazzerei in faccia e ti direi: vedi non è roba per te, perché ripeti fasulli slogan di mestatori politici? Un dato per tutti gli Stati Uniti hanno un debito pubblico oltre il 4% del loro PIL mentre in Italia non arriviamo ancora al 3%; in America nessun si scandalizza per un siffatto altissimo coefficiente (l'unico loro problema è che l'hanno in grandissima parte appioppato ai Cinesi che essendo uomini di antichissima civiltà cominciano a pensare a diversificare la loro immensa liquidità pubblica e il mondo dell'altissima finanza sta avendo fibrillazioni che investono anche ikl nostro spread. Dovrei dilungarmi e allora dovrei scrivere un tomo. Se ti convinci ti convinci se fa lo stesso; spero solo che da donna saggia capisca che per parlare di debito pubblico non basta la notiziola del giornale radio). Quanto a noi: due piccole osservazioni: quanto davvero è il PIL? Se commisuro il PIL di Racalmuto a Racalmuto sarebbe fame nera nerissima peggio della Grecia (che poi è un grande bluff). Non mi risulta! Così per l'Italia tutta. Si dà dunque il caso che il numeratore (il debito pubblico) è esattissimo; il denominatore PIL è cosa molto discutibile (di gran lunga minore rispetto al vero). Gli accordi comunitari dunque andrebbero per lo meno ridiscussi. Cosa che in ultimo aveva ben compreso Berlusconi, cosa che Monti dovette trangugiare per superare alla necessità del moment: l'eredita lasciatagli da Berlusconi di quattrocento miliardi di debito pubblico in scadenza che i grandissimi mercati finanziari planetari da economia globale non intendevano rinnovare per manovre loro speculative e come operatori extracomunitari non sono né conoscibili né disciplinabili. Roba da capogiro insomma. Ora invece la musica è cambiata: la fiducia in codesti mercati come si dice extracorporei è enorme, Se il Tesoro mette sul mercato 12 miliardi di BOT i mercati ne chiedono 36. Sarebbe lavoro e benessere per la nostra classe dei "poveri". Ma la Merkel si oppone perché le verrebbe qualche piccolissima refluenza inflazionistica e lei dice: abbiamo fatto sacrifici enormi per mettere a posto i nostri conti che erano saltati per l'unificazione tedesca, non vogliao andare ora noi in difficoltà per far stare meglio quegli italiani poveri che peraltro sono anche fannulloni, tutti al Comune a fare gli LSU in nome di incomprensibili "ammortizzatori sociali": Anzi fate una cosa: licenziateli: sono economicamente inutili e non aumentate il debito pubblico , il vostro STATO ASSISTENZIALE deve cessare (piccolissimo esempio, ovvio, ma molto chiarificatore). Capisci da te: diminuisci il debito pubblico e la disoccupazione esplode. Credo di avere scardinato l'ordito del tuo ragionamento. Non ne hai colpa sia chiaro, sei solo disinformata come quasi tutta la popolazione: perché? perché non devi far sapere al contadino quanto è buono il formaggio con le pere. Hai mai letto le cose che ti ho detto? Ed io credimi non me le sono inventate; le conosco perché sto a Roma, perché ho ispezionato le grandi banche perché frequento anche il PARLAMENTO dove ci stanno i nostri rappresentanti, i nostri eletti (se non ti piacciono quelli di un partito, cambi partito e uomini e non mi rompete l'anima con le preferenze. Certo ipostatizzare la VOLONTA POPOLARE non è agevole, mica è come nella SANTA MESSA dove bastano quattro parole in un banale italiano e ciò avviene). Quanto al mio libro non si sbaglia non foss'altro perché riporta persino interviste di Borsellino: da piangere!



POST SCRIPTUM. Sul biondo nazareno il mio è solo un amare CARDUCCI: una sua ode barbara mi incanta. Cosa ci posso fare? Andrò all'inferno due volte: una volta in braccio al mio amico Mephisto, un'altra in lode dell'ode barbara di Carducci. Ma oh, Dio! quanta incultura in questa Italia! Ci si potrà salvare? Oh Signore, basta una tua parola e saremo salvi! ma quando ce la dice codesta PAROLA codesto Signore? Per la festa del Monte ho dovuto assistere ad una MESSA CATTOLICA 'recitata' sul palco della assente banda. Preti in cotta lunga e predicatore con paramenti in albis dissero parole e parole per farmi credere che c'era quella PAROLA salvifica: se non erro tutto si riduceva all'amore del Samaritano in vena di misericordia xenofila. Sono rimasto deluso!




































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































CONTRA OMNIA RACALMUTO diffusosi oggi in mezzo mondo. Alla faccia di TRS98 che vorrebbe oscurarmi!

Quest'oggi il mio blog contra omnia Racalmuto, anche se un po' da me negletto per ragioni mediche, ha sparso la sua voce in mezzo mondo. Perché TRS98 vuole oscurare questo blog, sol perché blog e non sito web ricolmo di indecente pubblicità Penso persino in grande evasione fiscale)?
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Capizzi, un ignoto pittore racalmutese del '700

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sabato 13 settembre 2014


Antonio Capizzi pittore settecentesco era racalmutensis?


IL PITTORE ANTONIO ANGELO CAPIZZI

 

 

Nel rivelo che Pietro d’Asaro fu costretto a fare, per fini fiscali, nel 1637, viene dichiarato un tale Giuseppe di Beneditto d'anni diecidotto discepolo. Nostre personali ricerche ci portato a credere che si tratti di quel Gioseppi Di Benedetto che il 29 ottobre 1648 sposò Costanza Troisi, figlia del defunto m° Luigi e della defunta sig.a Paola. Nei libri della matrice viene annotato: «contrassero matrimonio in casa publice senza essere fatte le solite denunciatione a lettere del reverendissimo  Sig. V.G. date nella citta di NARO a 22 del presente et presentate in questa terra a 28 dello predetto mese. Questo fu celebrato con la presentia di don Francesco Sferrazza ECONOMO presenti per testimoni don Francesco Macaluso, Giovan Battista Lo Brutto, Petro Pistone et cl. Leonardo di Carlo et fatte le denunciatione doppo a 28 di novembre foro in questa ma matrice benedetti per don Federico La Matina cappellano.»

Il Di Benedetto fu certo pittore, ma ancora non si sa molto della sua produzione artistica. Il p. Morreale – che pure è molto circospetto – si sbilancia, a nostro avviso, un po’ troppo quando scrive [1] «Tra i lavori fatti dal padre Farrauto c’è la sostituzione dell’altare dei santi Crispino e Crispiniano; la tela dei due santi, opera di Giuseppe Di Benedetto, discepolo di Pietro Asaro, fu sostituita da un bassorilievo. …» Non citandoci la fonte, restiamo ancora nel buio. Comunque, l’attribuzione non è poi tanto cervellotica.

Resta però singolare che durante i grandi lavori della Matrice, il Di Benedetto non sia stato mai chiamato a collaborare, a meno che non ostasse quel matrimonio che sembra un po’ fuori dal rigore canonico

 

Il 17 novembre 1660 – e le nostre ricerche d’archivio danno ancora vivo Giuseppe Di Benedetto – viene chiamato da Agrigento Antonio Capizzi  per “stucchiare e pingere” la navata centrale della Matrice: il contratto prevede 29 onze di ricompensa. A riprova ecco quello che si legge nel primo Rollo della “fabrica”:

17.11.1660      A Antonio CAPIZZI della Città di Girgenti onze otto quali ci si pagano in conto di onze vintinovi; si li donano per havere à stucchiare e PINGERE la nave della matrice chiesa di questa terra come il tutto si vede alli atti di notaro Michelangelo Morreale per atto fatto al detto di Capizzi di G. come per mandato et apoca in notar Morreale adi 30 gennaro xjjjj a ind. 1661 appare d.  -/ 8;

.

 

6.6.1661 Ad Antonio Capizzi d. s.a città di Girgenti onze otto quali ci si pagano a complimento di -/ 16. in conto di onze 29. et sonno d. -/ 29. per causa che d. di Capizzi ha da stocchiare seu pingere la nave della matrice chiesa di questa terra come il  tutto si vede all'atti di notar Michelangelo Morreale come per mandato et apoca in d. notaro adi 7. di d. appare d.  --- -/  8;

 

5.9.1661 A Antonio CAPIZZI onze sei, quali ci si pagano in conto di onze vintinovi; si li devono per havere à stucchiare e PINGERE la nave di d.a matrice e sonno di -/ 6. a complimento di -/ 22. stante dell'altri -/ 16. appare in mandati dui: uno di -/ 8. fatto sotto il di 17. 9bre xjjjj a 1660 et l'altro di altre -/ 8. sotto il di 6. di Giugno xjjjj a sud.a 1661 come per mandato et apoca in notar Pietro Bell'homo a 15. d.;

 

19.1.1662 Ad Antonio Capizzi onze tre quali si ci pagano a complimento di onze vinticinque et in conto d'onze vintinovi si li devono per conto della fabrica della matrice come per mandato et apoca in notar Panfilo Sferrazza a 20. d. appare;

 

10.2.1662 Ad Antonio Capizzi onze quattro quali si ci pagano a complimento di onze vintinovi stante l'altri esserci stati pagati in diversi mandati come a libro vede e sonno -/ quattro per havere à stucchiare è pingere la navi della matrice chiesa come il tutto si vede per atti in notar Michelangelo Morreale come per mandato et apoca in d. notaro di Sferrazza a di 10. d. appare.

 

Ventinove onze sono molte di più di quelle 12 che, secondo il Tinebra (p. 144) avrebbe lasciato il rev, Santo Agrò nel 1622 per dipingere il quadro di Maria Maddalena. Sciascia ci delizia con queste annotazioni di costume: «A vedere un’onza nella vetrina di un numismatico ed ad immaginarne dodici una sull’altra, anche se non sappiamo precisamente a quante lire corrispondano nella galoppante inflazione dei nostri giorni [a circa Lit. 7.200.000 all’inizio del 2000, vorremmo pedantemente soggiungere noi, n.d.r.] una pala d’altare di un pittore che non era Guido (Reni per i posteri, ma per i contemporanei soltanto Guido) non possiamo dirla mal pagata.» [2] etc. Chissà cosa avrebbe aggiunto se avesse degnato di uno sguardo questo vecchio libro di contabilità secentesca della Matrice.

Codesto Antonio Capizzi si trova, comunque, bene a Racalmuto; mette su famiglia e lo troviamo con una nidiata di figli ma con una serva nella numerazione delle anime del 1664 (custodita anche questa in Matrice):

708
CAPIZZI
ANTONINO
 
C.
4
6
10
MASTRO
 
 
GERLANDA
M.
C.
 
 
 
 
 
 
GASPARU
 
 
 
 
 
 
 
 
PASQUA
 
 
 
 
 
 
 
 
BARTOLA
 
 
 
 
 
 
 
 
BARTOLOMEO
 
 
 
 
 
 
 
 
GIUSEPPE
 
 
 
 
 
 
 
 
ROSALIA
 
 
 
 
 
 
 
 
NARDA
 
 
 
 
 
 
 
 
CATARINA
 
 
 
 
 
 
 
 
VENA
 
C.
 
1
1
FAMULA DI D.O DI CAPIZZI

 

Ma non ha altro titolo di distinzione che quello di semplice “mastro”: niente “don” dunque; se “pittore” fu, lo fu nel senso moderno di imbianchino. Dal figlio Giuseppe nascerà il 5 maggio 1683 il pittore Antonio Angelo Capizzi, che pittore lo fu davvero, ed anche se non può avere praticato una qualche bottega di pittura degli eredi di Pietro D’Asaro (Giuseppe di Benedetto era morto da tempo quando il Capizzi era ancora in fasce) affinità stilistiche attestano una scuola racalmutese alla Pietro d’Asaro ancora seguita un secolo dopo.

 

ANTONIO ANGELO CAPIZZI, PITTORE RACALMUTESE DEL SETTECENTO

 

Dobbiamo al libro di padre Adamo [3] la nostra piacevole scoperta che racalmutesse fosse Antonio Capizzi che operava a Delia di sicuro dal 1726 al 1731. Francamente non ne sapevamo nulla e reputiamo che pochissimi lo sappiano. Di certo, nessun accenno nella pubblicistica locale che ormai appare decisamente sovrabbondante.

Scrive il p. Adamo, parlando della chiesa dei Carmelitani di Delia: «Aggiungasi che già dal 1712 la parrocchia si era trasferita proprio in questa chiesa, per la ricostruzione della Matrice, e vi rimase fino al 1737. Le date rinvenute vengono a confermare quanto detto. La più antica è il 1731. Si trova fra gli stucchi dell’arco maggiore, accanto al grande affresco della natività di Maria: «Antonius Capizzi Racalmutensis …Anno Salutis 1731»  Nei lavori di costruzioni del tetto e restauro del 1970, gli operai per inavvertenza distrussero l’intonaco con la scritta. Le parole citate costituivano parte della scritta perduta. Di grande importanza è poi la tela di s. Pasquale Bajlon che porta data e firma dell’autore: «A.S. 1731 – Antonius Capizzi Racalmutensis pingebat – Decimoquarto Kalendas Augusti».

A pagg. 164-165 vengono riprodotti particolari degli stucchi attribuiti al Capizzi, molto simili, ci pare, a quelli della Matrice che, pertanto, potrebbero essere dell’omonimo nonno, sempreché la nostra ricostruzione genealogica sia fondata.

L’indubbia origine racalmutese del pittore di Delia è provata da un atto di battesimo che si trova  in Matrice: nacque un Antonio Angelo Capizzi in Racalmuto il 5 maggio 1683 e fu battezzato lo stesso giorno. Il padre si chiamava Giuseppe e la madre Santa. Dopo, non risultano altri dati anagrafici: almeno noi non siamo ancora riusciti a trovarli. Tutto però fa pensare che si sia trasferito da Racalmuto. Forse a Delia, ove pare sentisse profonda nostalgia della terra nativa, tanto da firmarsi come Racalmutensis: a meno che ciò non rifletta l’orgoglio di essere compaesano di quel Pietro d’Asaro che nel Settecento godeva di più o meno merita fama, come comprova l’esteso elogio di p. Fedele da S. Biagio.[4]

Non si può, poi escludere, che taluno dei tanti quadri settecenteschi delle varie chiese di Racalmuto sia dovuto al pennello del Capizzi. Ricerche presso l’Archivio di Stato di Agrigento e consultazioni dei vari rolli notarili ivi conservati potranno fare uscire dall’anonimato le varie pale di S. Giuliano o di S. Pasquale o del Carmine stesso oppure rettificare attribuzioni disinvolte a pittori operanti in quel secolo.

 

Non ci intendiamo d’arte per sbilanciarci in valutazioni estetiche: ad ogni buon conto epigoni della scuola racalmutese di Pietro d’Asaro persistono nel pittore di Delia con gli inceppi dell’appiattimento prospettico, la frustra tavolozza di mero decoro, il paesaggio intruso ed alieno – come dire, per vacuo pretesto – e la composizione prolissa  che si sfilaccia in riquadri disarmonici. E se nel caposcuola eravamo, per dirla con Sciascia, «nell’epigonia manieristica, negli echi baroccisti e caravaggeschi», vi è solo lo stracco imitare, il pedestre eseguire, senza empiti, senza passioni come l’inespressivo sguardo che sembra doversi assegnare alla agiografica rappresentazione dei santi da venerare nei santuari. E per il Capizzi non  disponiamo – diversamente che per l’Asaro – di allegorie profane ove, con Sciascia, potremmo rinvenire «un che di misterioso … da disvelare.» Forse l’eco del recente interdetto, forse la spossatezza di una religiosità soltanto canonicistica, può rinvenirsi in Capizzi; e ciò è pur sempre preziosa testimonianza, attestato del periferico rurale adeguarsi o attaccarsi alla vita, «come erba alla roccia».

 




[1] ) Girolamo M. Morreale, S.J.  Maria SS. del Monte …, op. cit., p. 67.
[2] ) Leonardo Sciascia, Prolusione a Pietro d’Asaro .., cit. p. 20.
[3] ) Giuseppe Adamo, Storia di Delia dal 1596 ad oggi, Palermo 1988, pp. 163; 171 e riproduzione policroma dopo p. 192.
[4] ) P. Fedele da S. Biagio, Dialoghi familiari sovra la pittura col Sig. avvocato D. Pio Onorato palermitano, Palermo 1788.

lunedì 21 aprile 2014


STORIA DEL SETTECENTO RCALMUTESE (seconda parte)


I preti lasciavano i loro beni – come nel Seicento del resto – alle chiese forse terrorizzati per l’incombente acceso agli inferi, per pratiche usurarie. Ma le volevano ampie e nude come il loro vacuo esistere. Il sacerdote Pietro Signorino, dopo avere smunto il suo asse ereditario con tanti legati, «instituisce, fa crea e nomina in sua Erede universale la venerabile chiesa fi S. Maria del Monte». Correva l’anno del Signore 1737 (die decima nona Septembris, prima indictio, millesimo septingentesimo trigesimo septimo.) Si doveva vendere tutto – “formenti, orzi, ligumi, superlettili ed arnesi di casa – ed il ricavato, con il denaro dell’asse, andava speso «nella fabrica della detta ven. Chiesa di S. Maria del Monte.» Ed il pio e talare testatore soggiunge: «li frutti annuatim si percepiranno dalli suoi terreni stabili ed effetti ereditarii, come delle terre, vigne, case, rendite ed altri proventi si ritroveranno doppo la di lui morte si dovessero pure erogare dall’infrascritti suoi fidecommissarii nella fabrica di detta Chiesa di S. Maria del Monte, e questo fintanto che sarrà la medesima chiesa perfezionata tutta solamente di rustico». Il prete non aveva molta fiducia nelle gerarchie ecclesiastiche, e – non nuovo a tali tipi di astiosa riserva – vuole che non vi siano intrusioni della «S. Sede, ovvero della Generale Curia Vescovile di Girginti né d’altra persona.» Da escludere anche «l’Officiali della Compagnia della detta Ven. Chiesa di S. Maria del Monte». Il Signorino ha fiducia solo nel «rev.do sac. D. Baldassare Biondi del quondam don Francesco, del rev.do sac. D. Melchiore Grillo e del rev. D. Elia Lauricella», sempreché agiscano «coniunctim».
Ancor oggi non si sa se il Santuario sia rifacimento o ampliamento o – molto più probabilmente – una nuova costruzione che venne addossata alla vecchia chiesa, divenuta sacrestia. Il padre Morreale è molto meticoloso ed ovviamente agiografico. [1] Propende, alla luce del testo delle disposizioni testamentarie, per una «nuova chiesa» la cui prima pietra sarebbe stata posta il 14 agosto 1736 e solo attorno al 1746 l’antica chiesa si sarebbe venuta «a trovarsi dentro la nuova.» Molto disinvoltamente Internet ci propina questa imprecisa versione, peraltro ingenerosa verso il pio testatore Signorino. Per quell’informatico, la chiesa del Monte: «Sorge sul poggio più alto dell'antico borgo medievale. La chiesa fu costruita nel 1738. Già nel 500 esisteva la chiesetta di S. Lucia. All'interno è ubicata la leggendaria statua in marmo bianco di Maria Vergine di fattura gaginesca. Maria SS. del Monte è la compatrona e regina di Racalmuto ed ogni anno, nella seconda settimana di Luglio, si celebra la festa in suo onore. Durante i tre giorni della festa viene rievocata la vinuta di la madonna con recite, cortei con cavalieri in abiti del 500 e prumisioni che consistono nell'offerta del grano alla Madonna da portare a piedi o su cavalli che, spronati dalla folla, devono salire lungo la scalinata che porta al santuario. Altro momento esaltante della festa è la pigliata di lu ciliu (una sorta di cero alto alcuni metri) che consiste nella conquista della bannera da parte di giovani borgesi scapoli. La lotta per conquistare la bandiera è talvolta violenta, con pugni e calci da parte degli avversari. Tutto si quieta quando uno dei borgesi afferra il drappo
Sciascia, che ebbe ad infilzare proprio il mansueto padre Morreale, forse perché gesuita, a proposito della ricerca storica sulla venuta della statua della Madonna del Monte, ora finge di non dargli peso per codeste ricerche testamentarie del sacerdote Pietro Signorino. Al giovane Tinebra Martorana aveva accordato il peso della sua autorevolezza e in un caso analogo, quello del testamento del sacerdote Santo d’Agrò, non si era lasciato sfuggire il destro per sardoniche bardote  sul prete in “alumbiamento”. Altrettanto poteva fare anche in questa circostanza della Chiesa del Monte, ma se ne è astenuto. E dire che piccante poteva risultare la ricerca del gesuita p. Morreale sulle propensioni a beneficiare una pinzochera da parte del pio testatore. Pudicamente il gesuita annota: «nel testamento – il padre Signorino – determinò alcuni legati a favore della Perpetua». Invero, la preoccupazione a beneficiare Caterina d’Alberto è pressante. «Item il sudetto testatore hà legato – si legge nel corpo delle disposizioni testamentarie – e per ragione di legato lega à Caterina d’Alberto sua serva una casa, prezzo e capitale di onze 10 circa, quale vuole che se li dovesse comprare dalli ssopradetti suoi fidecommissarii» e nel codicillo, in termini ancora più chiari anche se in latino, «item dictus codicillator ligavit et ligat sorori Mariae de Alberto bizocchae Ordinis Sancti Dominici in saeculo vocata Caratina eius famulae ultra illas uncias decem in dicto eius testamento legatas tre infrascripta domus de membris et pertinentiis eius tenimenti domorum » e passando al volgare «nempe la prima entrata, la camera ed il catoio sotto detta camera della parte di occidente, seu della parte di San Gregorio» e tornando al latino «de quibus quidem  tribus corporibus domorum ipsa soro Maria, habet et habere debet solum usum exercitium». Non solo, ma «dumtaxat – cioè vita natural durante – [le si devono] tumuli otto di frumento, un letto fornito, due tacche di tela sottile, il mondello, due sedie di corina, la criva, la sbriga e maiella, ed alcuni arnesi di cocina.»
Almeno, quello svolazzo del codicillo, una funzione la esplica: dà materia per un eventuale museo etnografico.
 
LA SCUOLA PITTORICA DI PIETRO D’ASARO :
IL PITTORE ANTONIO ANGELO CAPIZZI
 
 
Nel rivelo che Pietro d’Asaro fu costretto a fare, per fini fiscali, nel 1637, viene dichiarato un tale Giuseppe di Beneditto d'anni diecidotto discepolo. Nostre personali ricerche ci portato a credere che si tratti di quel Gioseppi Di Benedetto che il 29 ottobre 1648 sposò Costanza Troisi, figlia del defunto m° Luigi e della defunta sig.a Paola. Nei libri della matrice viene annotato: «contrassero matrimonio in casa publice senza essere fatte le solite denunciatione a lettere del reverendissimo  Sig. V.G. date nella citta di NARO a 22 del presente et presentate in questa terra a 28 dello predetto mese. Questo fu celebrato con la presentia di don Francesco Sferrazza ECONOMO presenti per testimoni don Francesco Macaluso, Giovan Battista Lo Brutto, Petro Pistone et cl. Leonardo di Carlo et fatte le denunciatione doppo a 28 di novembre foro in questa ma matrice benedetti per don Federico La Matina cappellano.»
Il Di Benedetto fu certo pittore, ma ancora non si sa molto della sua produzione artistica. Il p. Morreale – che pure è molto circospetto – si sbilancia, a nostro avviso, un po’ troppo quando scrive [2] «Tra i lavori fatti dal padre Farrauto c’è la sostituzione dell’altare dei santi Crispino e Crispiniano; la tela dei due santi, opera di Giuseppe Di Benedetto, discepolo di Pietro Asaro, fu sostituita da un bassorilievo. …» Non citandoci la fonte, restiamo ancora nel buio. Comunque, l’attribuzione non è poi tanto cervellotica.
Resta però singolare che durante i grandi lavori della Matrice, il Di Benedetto non sia stato mai chiamato a collaborare, a meno che non ostasse quel matrimonio che sembra un po’ fuori dal rigore canonico
 
Il 17 novembre 1660 – e le nostre ricerche d’archivio danno ancora vivo Giuseppe Di Benedetto – viene chiamato da Agrigento Antonio Capizzi  per “stucchiare e pingere” la navata centrale della Matrice: il contratto prevede 29 onze di ricompensa. A riprova ecco quello che si legge nel primo Rollo della “fabrica”:
17.11.1660      A Antonio CAPIZZI della Città di Girgenti onze otto quali ci si pagano in conto di onze vintinovi; si li donano per havere à stucchiare e PINGERE la nave della matrice chiesa di questa terra come il tutto si vede alli atti di notaro Michelangelo Morreale per atto fatto al detto di Capizzi di G. come per mandato et apoca in notar Morreale adi 30 gennaro xjjjj a ind. 1661 appare d.  -/ 8;
.
 
6.6.1661 Ad Antonio Capizzi d. s.a città di Girgenti onze otto quali ci si pagano a complimento di -/ 16. in conto di onze 29. et sonno d. -/ 29. per causa che d. di Capizzi ha da stocchiare seu pingere la nave della matrice chiesa di questa terra come il  tutto si vede all'atti di notar Michelangelo Morreale come per mandato et apoca in d. notaro adi 7. di d. appare d.  --- -/  8;
 
5.9.1661 A Antonio CAPIZZI onze sei, quali ci si pagano in conto di onze vintinovi; si li devono per havere à stucchiare e PINGERE la nave di d.a matrice e sonno di -/ 6. a complimento di -/ 22. stante dell'altri -/ 16. appare in mandati dui: uno di -/ 8. fatto sotto il di 17. 9bre xjjjj a 1660 et l'altro di altre -/ 8. sotto il di 6. di Giugno xjjjj a sud.a 1661 come per mandato et apoca in notar Pietro Bell'homo a 15. d.;
 
19.1.1662 Ad Antonio Capizzi onze tre quali si ci pagano a complimento di onze vinticinque et in conto d'onze vintinovi si li devono per conto della fabrica della matrice come per mandato et apoca in notar Panfilo Sferrazza a 20. d. appare;
 
10.2.1662 Ad Antonio Capizzi onze quattro quali si ci pagano a complimento di onze vintinovi stante l'altri esserci stati pagati in diversi mandati come a libro vede e sonno -/ quattro per havere à stucchiare è pingere la navi della matrice chiesa come il tutto si vede per atti in notar Michelangelo Morreale come per mandato et apoca in d. notaro di Sferrazza a di 10. d. appare.
 
Ventinove onze sono molte di più di quelle 12 che, secondo il Tinebra (p. 144) avrebbe lasciato il rev, Santo Agrò nel 1622 per dipingere il quadro di Maria Maddalena. Sciascia ci delizia con queste annotazioni di costume: «A vedere un’onza nella vetrina di un numismatico ed ad immaginarne dodici una sull’altra, anche se non sappiamo precisamente a quante lire corrispondano nella galoppante inflazione dei nostri giorni [a circa Lit. 7.200.000 all’inizio del 2000, vorremmo pedantemente soggiungere noi, n.d.r.] una pala d’altare di un pittore che non era Guido (Reni per i posteri, ma per i contemporanei soltanto Guido) non possiamo dirla mal pagata.» [3] etc. Chissà cosa avrebbe aggiunto se avesse degnato di uno sguardo questo vecchio libro di contabilità secentesca della Matrice.
Codesto Antonio Capizzi si trova, comunque, bene a Racalmuto; mette su famiglia e lo troviamo con una nidiata di figli ma con una serva nella numerazione delle anime del 1664 (custodita anche questa in Matrice):
708
CAPIZZI
ANTONINO
 
C.
4
6
10
MASTRO
 
 
GERLANDA
M.
C.
 
 
 
 
 
 
GASPARU
 
 
 
 
 
 
 
 
PASQUA
 
 
 
 
 
 
 
 
BARTOLA
 
 
 
 
 
 
 
 
BARTOLOMEO
 
 
 
 
 
 
 
 
GIUSEPPE
 
 
 
 
 
 
 
 
ROSALIA
 
 
 
 
 
 
 
 
NARDA
 
 
 
 
 
 
 
 
CATARINA
 
 
 
 
 
 
 
 
VENA
 
C.
 
1
1
FAMULA DI D.O DI CAPIZZI
 
Ma non ha altro titolo di distinzione che quello di semplice “mastro”: niente “don” dunque; se “pittore” fu, lo fu nel senso moderno di imbianchino. Dal figlio Giuseppe nascerà il 5 maggio 1683 il pittore Antonio Angelo Capizzi, che pittore lo fu davvero, ed anche se non può avere praticato una qualche bottega di pittura degli eredi di Pietro D’Asaro (Giuseppe di Benedetto era morto da tempo quando il Capizzi era ancora in fasce) affinità stilistiche attestano una scuola racalmutese alla Pietro d’Asaro ancora seguita un secolo dopo.
 
ANTONIO ANGELO CAPIZZI, PITTORE RACALMUTESE DEL SETTECENTO
 
Dobbiamo al libro di padre Adamo [4] la nostra piacevole scoperta che racalmutesse fosse Antonio Capizzi che operava a Delia di sicuro dal 1726 al 1731. Francamente non ne sapevamo nulla e reputiamo che pochissimi lo sappiano. Di certo, nessun accenno nella pubblicistica locale che ormai appare decisamente sovrabbondante.
Scrive il p. Adamo, parlando della chiesa dei Carmelitani di Delia: «Aggiungasi che già dal 1712 la parrocchia si era trasferita proprio in questa chiesa, per la ricostruzione della Matrice, e vi rimase fino al 1737. Le date rinvenute vengono a confermare quanto detto. La più antica è il 1731. Si trova fra gli stucchi dell’arco maggiore, accanto al grande affresco della natività di Maria: «Antonius Capizzi Racalmutensis …Anno Salutis 1731»  Nei lavori di costruzioni del tetto e restauro del 1970, gli operai per inavvertenza distrussero l’intonaco con la scritta. Le parole citate costituivano parte della scritta perduta. Di grande importanza è poi la tela di s. Pasquale Bajlon che porta data e firma dell’autore: «A.S. 1731 – Antonius Capizzi Racalmutensis pingebat – Decimoquarto Kalendas Augusti».
A pagg. 164-165 vengono riprodotti particolari degli stucchi attribuiti al Capizzi, molto simili, ci pare, a quelli della Matrice che, pertanto, potrebbero essere dell’omonimo nonno, sempreché la nostra ricostruzione genealogica sia fondata.
L’indubbia origine racalmutese del pittore di Delia è provata da un atto di battesimo che si trova  in Matrice: nacque un Antonio Angelo Capizzi in Racalmuto il 5 maggio 1683 e fu battezzato lo stesso giorno. Il padre si chiamava Giuseppe e la madre Santa. Dopo, non risultano altri dati anagrafici: almeno noi non siamo ancora riusciti a trovarli. Tutto però fa pensare che si sia trasferito da Racalmuto. Forse a Delia, ove pare sentisse profonda nostalgia della terra nativa, tanto da firmarsi come Racalmutensis: a meno che ciò non rifletta l’orgoglio di essere compaesano di quel Pietro d’Asaro che nel Settecento godeva di più o meno merita fama, come comprova l’esteso elogio di p. Fedele da S. Biagio.[5]
Non si può, poi escludere, che taluno dei tanti quadri settecenteschi delle varie chiese di Racalmuto sia dovuto al pennello del Capizzi. Ricerche presso l’Archivio di Stato di Agrigento e consultazioni dei vari rolli notarili ivi conservati potranno fare uscire dall’anonimato le varie pale di S. Giuliano o di S. Pasquale o del Carmine stesso oppure rettificare attribuzioni disinvolte a pittori operanti in quel secolo.
 
Non ci intendiamo d’arte per sbilanciarci in valutazioni estetiche: ad ogni buon conto epigoni della scuola racalmutese di Pietro d’Asaro persistono nel pittore di Delia con gli inceppi dell’appiattimento prospettico, la frustra tavolozza di mero decoro, il paesaggio intruso ed alieno – come dire, per vacuo pretesto – e la composizione prolissa  che si sfilaccia in riquadri disarmonici. E se nel caposcuola eravamo, per dirla con Sciascia, «nell’epigonia manieristica, negli echi baroccisti e caravaggeschi», vi è solo lo stracco imitare, il pedestre eseguire, senza empiti, senza passioni come l’inespressivo sguardo che sembra doversi assegnare alla agiografica rappresentazione dei santi da venerare nei santuari. E per il Capizzi non  disponiamo – diversamente che per l’Asaro – di allegorie profane ove, con Sciascia, potremmo rinvenire «un che di misterioso … da disvelare.» Forse l’eco del recente interdetto, forse la spossatezza di una religiosità soltanto canonicistica, può rinvenirsi in Capizzi; e ciò è pur sempre preziosa testimonianza, attestato del periferico rurale adeguarsi o attaccarsi alla vita, «come erba alla roccia».
 
LA PARENTESI SABAUDA E QUELLA AUSTRIACA
 
Se volessimo dare le coordinate degli sviluppi politici dalla fine del dominio spagnolo sulla Sicilia (1713) ed l’avvento dei Borboni (1735), dovremmo fare riferimento al trattato di Utrecht che inventa il regno sabaudo in Sicilia; alla rivolta antisovoiarda con l’assalto di Caltanissetta alle truppe sabaude in ritirata del 1718 ed al quindicennio di dominio austriaco, dal maggio del 1720 al 30 giugno 1735 quando Carlo III di Borbone giurava nel duomo di Palermo l’osservanza dei Capitoli del regno.
 
Il vescovo Ramirez che prima di recarsi in esilio lancia l’interdetto che investe Racalmuto apre questo tumultuoso periodo: l’investitura da parte dei Gaetani della contea di Racalmuto, che cadde il 7 agosto 1735 ed il decesso dell’arciprete Filippo Algozini (20 ottobre 1735) lo chiudono  sotto un duplice profilo: quello feudale, ma in senso involutivo, visto che si ritorna ad una feudalità vessatoria che la morte dell’ultimo conte del Carretto nel 1710 aveva di molto rilassata, e sotto quello ecclesiastico con il ritorno agli arcipreti d’estrazione locale, molto più legati ai loro parrocchiani. Francesco Torretta inizia una serie di racalmutesi al vertice del locale clero (sia pure come “economo-vicario” ) che si protrae – fatta eccezione per la scialba arcipretura di Antonio Scaglione -  sino ai nostri giorni.
Sull’interdetto del 1713 parliamo altrove. Sotto i Sabaudi si intensifica la presenza militare. Ad Agrigento c’è una Sargenzia composta, tra l’altro, da due compagnie di cavalleggeri: una a Naro e l’altra a Racalmuto, nonché da die compagnie di Fanteria a Naro ed a Sutera con 550 soldati. Il contingente di Racalmuto è di 9 cavalli e 65 fanti. L’onere finanziario ricade sulle “università” tra le quale viene ripartito il c.d. “donativo”. [6]
Col passaggio sotto l’Austria, nel 1720 v’è un allentamento della morsa militare e l’ordine pubblico ne risente: resta celebre il caso[7] del bandito Raimondo Sferrazza di Grotte, tra i cui affiliati un qualche racalmutese vi dovette essere. Lo Sferrazza fu giustiziato a Canicatti il 30 aprile 1727. Iniziò la sua attività criminale vera e propria nel 1723. Vittima dello Sferrazza risulta tale Mariano Calci di Racalmuto.
Da Prizzi arriva a Racalmuto il successore di d. Fabrizio Signorino: don Filippo Algozini, che non dura più di un quinquennio. Muore nel 1735 e pare non abbia lasciato un buon ricordo nei suoi confratelli se costoro si limitano ad annotarne la morte sul LIBER, al n° 220 seccamente, senza alcuna sottolineatura. Invero era stato un arciprete alquanto vivace, piuttosto energico e sicuramente preciso ed ordinato. Ci lascia un tariffario che illustra ad abbondanza quanto fiscale fosse la Chiesa di allora: veramente tassava dalla culla alla tomba come abbiamo avuto modo di rappresentare una volta in una nostra mal tollerata conferenza alla Fondazione Sciascia. I balzelli venivano pudicamente denominati diritti di stola; il maggior peso si aveva per i matrimoni per i quali vi è una casistica tanto puntigliosa quanto invereconda; ecco, infatti, l’ampia gamma di aliquote per tasse matrimoniali dovute alla locale Matrice.
1731
Tariffario dei diritti di stola per il matrimonio celebrato in chiesa, a Racalmuto, sotto l’arciprete Algozzini, originario di Prizzi:
Sponsali 1731 al 1738                                                                                                                                                        
LIBER PROCLAMARUM                                                                                                                                                    
PRO NUPTURIENTIBUS ET ORDINIS SACRIS INSIGNIRI CUPIENTIBUS                                                                                                                                                              
E ANNO 1731 QUO FUI IMMISSUS                                                                                                                                                   
IN HAC MATRICI RACALMUTI                                                                                                                                                           
EGO PHILIPPUS ALGOZINI PRITIENSIS                                                                                                                                                            
S.T.D. ARCHIPRESBITER USQUE AD ANNUM 1770                                                                                                                                                           
                                                                                                                                                       
  TASSA PER L'INCARTAMENTI                                                                                                                                                        
se la sposa esiste in questa terra                                                                                                                                                       
LE SPESE SONO CIOE'                                                                                                                                                    
PER LETTA REGOLARE AL PARROCO DELLA TERRA DOVE                                                                                                                                                              
  ABITA IL SPOSO--------                   T.  1                                                                                                                                                          
               SEDE DI DENUNCIE----------    T. 2 10 GRANI                                                                                                                                                      
               ORDINE PER IL COPIARI TESTES T.  1                                                                                                                                                               
               LETTERE ALLA G.C. :  T. 1                                                                                                                                                                 
               P. SOVRATASSA DI DETTA LETTERA                                                                                                                                                
               NELLA QUALE DONA LICENZA                                                                                                                                                           
               DI SPOSARSI     T.  1                                                                                                                                                         
               TASSA                     T.  3  10 GRANI                                                                                                                                                   
                                                                               -----------              ---------------------             -----------                                                                                                                                                               
                                                               T.                 10                             0                                                                                                                                                        
                                                                                                                                                       
                ..                                                                                                                                                      
               LETTERA REG.RE AL PARROCO       T.          0                  10 GRANI                                                                                                                                                    
               TESTI                                                   T .         2                                                                                                                                                                  
                ??                                                        T.          1                                                                                                                                                                  
               LIC. REGOLARE                                  T.          2                  10 GRANI                                                                                                                                                  
               TASSA DELLA LETTERA DI GI.GNTI  T.                              10 GRANI                                                                                                                                                    
                 //                                                                                          15 GRANI                                                                                                                                                 
                                                                               -----------              ---------------------             -----------                                                                                                                                                               
                                                                           T.          7                    5 GRANI                                                                                                                                                  
                                                                                                                                                       
               SE PERO' LA SPOSA E' FUORI PARROCCHIA                                                                                                                                                     
               ORD. DEL COPIARE LI TESTES        T.         1                                                                                                                                                     
               SEDE DI DENUNCIA                           T.         2                  10                                      
 
 
Dobbiamo però alla penna dell’Algozini un preciso inventario  delle ricche suppellettili che ormai dotavano la Matrice; in più abbiamo una descrizione preziosa dell’assetto organizzativo della locale arcipretura, in uno con la raffigurazione dell’interno della chiesa dell’Annunziata, nonché con altri dati di rilievo anche socio-economico.
L’Algozini lascia, comunque, in sospeso la questione del quadro della Maddalena che si continua ad attribuire a Pietro d’Asaro; l’arciprete si limita ad annotare: “Altare di S. Maria Maddalena: item il quadro con la figura di detta Santa” e non ne indica l’autore; per lui – come per noi – l’autore è anonimo. Se una congettura personale è permessa, tendo a credere che il quadro sia stato commissionato dall’Agrò in prossimità del 1637 (molto dopo dunque dalla datazione 1622 di cui a pag. 66 del Catalogo del 1985), in nome e per conto di qualche confraternita della Matrice o della Fabbrica; consegnato agli eredi, costoro con l’accordo del 1641, s’impegnano a sistemarlo nella già operante Cappella della Maddalena, il cui spazio antistante viene acquisito per la “carnalia” del sacerdote defunto e dei suoi eredi, previa destinazione alla “Fabbrica”  di un censo annuo di un’oncia, prescelto tra i legati del sac. Santo Agrò. Singolare è il fatto che nel 1731 si è perso il ricordo della tomba del sacerdote benefattore e l’Algozini si limita ad annotare che «non sono sepolture sotto le predelle dell’altari” e che in tutta la chiesa le gentilizie di specifici “patronati” sono solo quattro ed appartengono ai « fratelli del SS. Sacramento; ai Petrozzelli, ai Lo Brutto ed agli Acquista”». Ma già a partire dal 1654 non si rintraccia nei libri contabili della Fabbrica il cennato censo di un’oncia dell’eredità Agrò[8].
L’elaborato algoziniano che si conserva presso l’archivio vescovile di Agrigento ci fornisce un insostituibile spaccato della comunità racalmutese in pieno regime austriaco. Il 28 giugno 1731, l’arciprete consegna al visitatore pastorale un folto fascicolo di «notizie che dona il Molto Rev. Dr. Filippo Algozini archipresbitere di detta terra, alle dimande nelle istruzioni dell’Ill.mo e Rev.mo D. Lorenzo Gioeni, vescovo di Girgenti per la visita pastorale.» Quel celebre vescovo era di recente nomina (con bolla pontificia dell’11 dicembre 1730, esecutoriata in Palermo il 5 gennaio 1731) e all’inizio dell’estate è già a Racalmuto per un controllo ficcante e pignolo. Fornisce un questionario dettagliatissimo cui l’arciprete deve dare esaustive risposte. Una fatica improba per lui, ma buon per noi che siamo così in grado di disporre di una stratigrafica ricognizione della comunità di Racalmuto a quasi un terzo del Settecento.
Unica la parrocchia, ma quindici le chiese “secolari”, nove nell’abitato e sei nelle campagne; inoltre sei sono quelle dei “regolari”. In totale ben 21 luoghi di culto e cioè:
le n° quindici “secolari” sparse per il paese:
1.     la Matrice chiesa sotto titolo della SS.ma Annunciata ; il Rettore ed Amministratore il M.to Rdo Archipresbitere Dr D. Filippo Algozini;
2.     Oratorio del SS.mo Sacramento sotto titolo di S. Tomaso d’Aquino, il Rettore il sud.o Dr D. Filippo Algozini Archiprete, ed i congionti Mo Scibetta e Mo Giuseppe di Rosa, che l’amministrano;
3.     Chiesa sotto titolo di S. Maria del Monte, il Rettore clerico coniugato Agostino Carlino, Rdo Sac. D. Pietro Signorino ed Onofrio Busuito congionti, che l’amministrano;
4.     Chiesa sotto titolo di S. Rosalia, amministrata dalli Giurati di questa terra come Padroni;
5.     Chiesa sotto titolo di S. Anna, il Rettore clerico coniugato D. Calogero Sferrazza congionto a Sigismondo Borsellino e Diego Emmanuele che l’amministrano;
6.     Chiesa sotto titolo di S. Micheli Arcangelo, il Rettore e Amministratore il Rev. Sac. D. Francesco Pistone;
7.     Oratorio sotto titolo di S. Giuseppe, il Rettore Dr. D. Giuseppe Grillo , notaio Nicolò Pumo ed Ignazio Mantione congionti;
8.     Chiesa sotto titolo di S. Maria dell’Itria amministrata dal Rev.do Sac. D. Pietro Signorino Beneficiale;
Chiesa sotto titolo di S. Nicolò di Bari amministrata dal R.do Sac. D. Gaspare d’Agrò mansionario della Catredale di Girgenti, e per esso dal R.do Sac. Dn Isidoro Amella procuratore.
 
Queste le annotazioni che riguardano le chiese di campagna, denominate “chiese fora le Mura”:
 
1.     Chiesa sotto titolo di S. Maria della Rocca, il Retttore o amministratore Sac. D. Vincenzo Avarello;
2.     Chiesa sotto titolo di S. Maria di Monteserrato, in cui si celebra la povera festa dalli pij devoti;
3.     Chiesa sotto titolo di S. Maria della Providenza amministrata da D. Paolo Baeri Patrono;
4.     Chiesa sotto titolo di S. Marta amministrata da Pietro Mulè Paruzzo procuratore;
5.     Chiesa sotto titolo di S. Gaetano amministrata dall’Ill. Marchese di S. Ninfa come Padrone;
6.     Chiesa sotto titolo del SS.mo Crocifisso, amministrata dal Rev. Sac. D. Antonio La Lomia Calcerano fondatore.
Dichiarato che non vi erano “cappelle ed oratori domestico” (queste saranno di moda alla fine del Settecento e si protrarranno sino alla seconda metà del XX secolo), ecco la descrizione dei monasteri che sono “cinque conventi de’ regolari ed un monastero di Donne”:
1.     Convento di S. Maria del Carmine;
2.     Convento di S. Francesco de Padri Minori Conventuali;
3.     Convento di S. Maria de Padri Minori osservanti;
4.     Convento di S. Giovanni di Dio de’ PP. Fateben fratelli;
5.     Ospizio di S. Giuliano de’ PP. di S. Agostino della Congregazione di Sicilia;
6.     Monastero de Monache dell’ordine di S. Francesco.
E si precisa che all’epoca non vi erano conventi soppressi.
 
A Racalmuto operava un ospedale “sotto la giurisprudenza dei Padri fatebenfratelli giusta li loro privilegi”. Non vi erano ancora monti di pegno.
In compenso operavano due confraternite e cinque “compagnie”.
1.     Confraternità di S. Maria di Giesù, li Rettori sono Pietro Casucci, Pietro d’Agrò, Vincenzo Missana e Giovanne Farrauto; si fanno ogn’anno nella Prima domenica di gennaro;
2.     Confraternità di S. Giuliano, li Rettori sono Giovanne d’Alaymo, Ippolito Fucà, Giuseppe Savarino e Vito Mantione, il loro governo dura anno uno, incominciando dalla Prima Domenica di Gennaro;
3.     Compagnia del SS. Sacramento, Governatore il Mo R.do D. Filippo Algozini, congionti Mo Giacinto Scibetta e Mo Giuseppe Di Rosa, il loro governo dura tre mesi, incominciando dalla domenica infra “octavam Corporis”;
4.     Compagnia del Thaù fondata nella Chiesa di S. Anna, Governatore D. Calogero Sferrazza, congionti Sigismondo Borsellino e Diego Emmanuele; dura il loro officio tre mesi, incominciando dalla Domenica più prossima all’otto che ch’incide del mese, li presenti furono fatti all’8 Giugno 1731;
5.     Compagnia dell’Anime del Purgatorio fondata nella Chiesa di S. Micheli Arcangelo, Governatore Raimondo Borcellino minore, congionti Rev.do Sac. D. Santo Farrauto e Santo La Matina Calello; il loro officio dura quattro mesi incominciando dalla Prima Domenica di Gennaro;
6.     Compagnia di S. Maria del Monte, Governatore Clerico Coniugato Agostino Carlino, congionti R.do Sac. D. Pietro Signorino ed Onofrio Busuito; il loro officio dura anno uno, incominciando dalla Prima Domenica di Settembre;
7.     Compagnia di S. Giuseppe, Governatore Dr D. Giuseppe Grillo, congionti Notaro Pumo ed Ignazio Mantione; il loro officio dura quattro mesi incominciando dalla seconda domenica di Gennaro.
8.      
Ci viene fornito un dato anagrafico di notevolissima importanza: sapendo quanto precisi erano gli uomini della Chiesa, possiamo essere certi che davvero a Racalmuto, nel giugno del 1731, c’erano 1200 famiglie con 5.134 anime o abitanti che dir si voglia (in media 4,28 componenti per ogni nucleo familiare). Nutritissima la compagine ecclesiastica: 28 sacerdoti, di cui però ammalati cronici 24. In ogni modo un sacerdote ogni 42 famiglie oppure ogni 183 abitanti. Ecco l’elenco:


1.     Il Mo Rev. Archipresbiter Dr D. Filippo Algozini;
2.     Il Mo Rev. D. Salvatore Lo Brutto Vicario Foraneo;
3.     Sac. D. Filippo Cino;
4.     Sac. D. Francesco Pistone;
5.     Sac. D. MichalAngelo La Mendola;
6.     Sac. D. MichalAngelo Rao;
7.      Sac. D. Ignazio Laudito;
8.     Sac. D. Paulo Spagnolo;
9.     Sac. D. Gerlando Carlino;
10.   Sac. D. Antonino Macaluso;
11.   Sac. D. Francesco Torretta;
12.   Sac. D. Gaspare Casucci;
13.   Sac. D. Vincenzo Casucci;
14.   Sac. D. Leonardo La Matina;
15.   Sac. D. Calogero Pumo;
16.   Sac. D. Giovan Battista Pumo;
17.   Sac. D. Antonino Mantione;
18.   Sac. D. MichalAngelo Savatteri;
19.   Sac. D. Isidoro Amella;
20.   Sac. D. Vincenzo Avararello;
21.   Sac. D. Francesco De Maria;
22.   Sac. D. Antonio La Lomia Calcerano;
23.   Sac. D. Baldassare Biondi;
24.   Sac. D. Pietro Signorino;
25.  Sac. D. Orazio Bartolotta;
26.   Sac. D. Antonino d’Amico minore;
27.   Sac. D. Ignazio Pumo;
28.    Sac. D. Santo Farrauto.


Ma le vocanzioni non mancavano; erano già diaconi: Melchiore Grillo ed il nostro Servo di Dio padre Elia Lauricella. Baldassare d’Agrò aveva ricevuto l’ordine minore del suddiaconato; c’erano 7 accoliti: Francesco Grillo; Vito Gagliano; Vincenzo Amendola; Antonino Busuito; Giuseppe Alferi; Ludovico Amico; Diego Martorana; semplici esorcisti: Gaetano Raspini e Grispino Tirone; giovani lettori: Emmanuele Cavallaro; Vincenzo Alfano; Santo di Naro; Calogero Vinci; Leonardo Castrogiovanne; un solo ostiario: chierico Ignazio Picone; i chierici tonsurati erano Orazio Sferrazza, Francesco Savatteri e Nicolò Milano. Tutti gli ottimati racalmutesi, o almeno quelli che cominciavano ad esserli nel secolo dei lumi ma anche dell'irrompere di una nuova classe, quella borghese, vi sono rappresentati. Le famiglie escluse, non sono ancora di riguardo. Tra queste i Tulumello che poi domineranno. I Matrona mancano perché ancora non scesi a Racalmuto.

Alcuni signori amano essere chierici “coniugati”, forse per i benefici del Santo Offizio: D. Domenico Grillo; D. Calogero Sferrazza; D. Paulo Baeri. Ad un livello inferiore troviamo i chierici “coniugati” Agostino Carlino, Francesco Farrauto e Giuseppe Chiovo.

 La pletora dei sacerdoti era però eccessiva e non tutti i ministri di Dio erano modelli di santità o almeno disponevano di un pur ristretto bagaglio di nozioni teologiche e morali da potere essere autorizzati al sacramento della confessione: solo cinque, oltre all’arciprete, erano facoltizzati: il vicario Lo Brutto, uno solo dei Casucci: Gaspare, don Francesco Torretta, don Baldassare Biondi e don Leonardo La Matina.

E passiamo ora ai conventi. Iniziamo dai Carmelitani.

Il priore era un racalmutese DOC: il sacerdote padre Carlo Maria Casucci, assistito dal sac. D. Pietro Paolo Roccella. Il padre lettore, il sac. Antonio Monticcioli era in trasferta a Trapani. Stavano al Carmine, a beneficiare delle laute rendite i fratelli – i “fratacchiuna” – fra Elia Salemi, Fra Angelo La Rosa e fra Gerlando Montagna.

 

I francescani conventuali erano quelli del convento di S. Francesco; dovevano essere in quel momento in crisi: un solo sacerdote, padre Giuseppe Cimino – che giureremmo essere di Grotte, e fra Paulo Surci (semplice “fratello”).

 

Non così invece a S. Maria di Gesù: quattro sacerdoti, venuti tutti da lontana via a godersi le tante rendite (P. Michelangelo da Lentini, P. Ludovico da Licata, P. Giovan Battista da Mussomeli e P. Bonaventura da Canicattì) e quattro “fratacchiuna” (fra Pasquale da Racalmuto, fra Gaetano da Cammarata, fra Giiovanni Battista da Racalmuto e fra Geronimo da Racalmuto). Stavano al convento attiguo alla chiesa; appartenevano all’ordine francescano dei Minori Osservanti; coltivavano le feraci terre ove ora c’è il cimitero e sino al 1866 riuscivano a cavarne del buon vino, sia pure con alterna fortuna.

 

A S. Giovanni di Dio, adibito soprattutto ad ospedale, non c’erano sacerdoti ma solo due “fratelli”: fra Bernardo Sassi e fra Vincenzo Mercante, decisamente forestieri. Le lamentele fatte al Papa da parte del vescovo Ramirez non erano poi infondate.

 

Il convento di S. Giuliano doveva essere chiuso da almeno mezzo secolo ed invece eccocelo vivo e vitale – sia pure ora inquadrato nell’ordine di S. Agostino della Congregazione di Sicilia. Quanto sia ricco lo vedremo quando commenteremo una dichiarazione dei redditi, con annesso stato patrimoniale, del 1754. Qui dimorano tre sacerdoti (P. Agostino da Racalmuto, P. Ignazio da Geraci e P. Anselmo da Adriano) e tre “fratelli” (fra Giuseppe da Racalmuto, fra Agostino da Racalmuto e fra Giuseppe da Caltanissetta). I fratelli laici dovevano sguinzagliarsi per le campagne per la “ricerca”, le elemosine in natura, ad onta delle cospicue rendite.

 

Ed ora è il turno del convento delle monache di S. Chiara. Vi pullulano ben 22 recluso, in uno spazio che per quanto ampio costituiva una specie di carcere per donne di diversa estrazione, di diversa età e persino di diversa cultura. Venivano sepolte nella graziosa chiesa della Batia. Ora, il pavimento della vecchia chiesa è ridotto a sala di conferenza. I loro resti umani vengono calpestati senza rispetto alcuno, senza un ricorso, senza un fiore. Almeno quelle derelitte del 1731 ricordiamole qui, con come e cognome.

L’abbadessa era suor Domenica Rizzo ed è dubbio che fosse di Racalmuto. Le fungeva da vicaria suor Rosa Renda. Provenivano da famiglie di spicco: suor Gesua Maria Lo Brutto, suor Maria Stella Sferrazza, suor Maria Lanciata Di Benedetto, suor Maria Grazia Casucci, suor Maria Crocifissa Signorino, suor Claradia Amella, suor Maria Gioacchina Brutto, suor Angelica Maria Signorino, suor Francesca Maria Biondi, suor Maria Scolastica Signorino; da forestieri o da famiglie non altolocate che riuscivano a sistemare le figlie superflue tra le cosiddette clarisse, ove il pane quotidiano era almeno assicurato: Suor Giuseppa Maria Caramella, suor Pietra Margherita Zambito, suor Maria Serafica Zambito, suor Carla Maria Provenzano, suor Antonia Maria Raspini.

E con loro, le novizie Vita Vinci e Orsola Guadagnino. Tre “converse” – all’ultimo gradino di quella opprimente gerarchica monastica – erano tutte del luogo: soro Geronima Martorana, soro Elisabetta La Licata e soro Angela Rizzo. Un tratto di penna dell’Algozini e poi più nulla per queste vite umane, per queste vittime di una condizione femminile settecentesca, echeggiata appena dalla Maraini quando ebbe a raccontare la lunga vita di Marianna Ucria. Ma qui non c’è neppure il benessere del dominio aristocratico.

 

I benefizi ecclesiastici sono appena quattro: uno è in possesso dell’arciprete e gli altri sono semplici: quello di S. Antonio viene goduto da d. Gaspare Casucci; l’altro di S. Maria dell’Itria da don Pietro Signorino, quello che lascerà tanto alla chiesa del Monte; ed infine quello di S. Nicolò di Bari assegnato a don Gaspare d’Agrò.

 

I mansionari, i preti salmodianti a pagamento in Matrice, sono ancora dodici, come aveva voluto il fondatore, l’arciprete Lo Brutto e, a scorrere la lista, ci si sorprende che autorizzati a ricevere le confessioni sono solo d. Salvatore Lo Brutto, d. Gaspare Casucci e d. Francesco Torretta; gli altri (don Filippo Cino, don Francesco Pistone, don Vincenzo Casucci, don Giambattista Pumo, don Isidoro Amella, don Gerlando Carlino, don santo Farrauto, don Antonino d’Amico e Matina e don Antonino d’Amico e Morreale) sono bravi a cantare le ore canoniche ma non sono ritenuti all’altezza delle confessioni, specie delle donne. Per converso don Baldassare Biondi e don Leonardo La Matina vengono ritenuti idonei ad impartire l’assoluzione dai peccati, ma sono per il momento tenuti lontano dai benefici economici che il cantare Vespro e Compieta fa conseguire. Don Nardu Matina non sarà mai beneficiale venendo a decedere nel 1733 (LIBER, n° 216); Baldassare Biondi (+ 29 ottobre 1771) farà carriera, diverrà vicario foraneo e raggiungerà la ragguardevole età di 82 anni (LIBER, n° 284).

 

Racalmuto non ospita eretici o scomunicati; è tutto sommato morigerato e rispettoso della religione e dei precetti della chiesa. L’Algozini può così rispondere all’apposito paragrafo del questionario:

1.     Non vi sono scomunicati, , né sospesi, interdetti o che non abbiano adempito la communione paschale, o non osservato le feste, né publici usurarij, concubinarij, adulteri, solamente Lorenzo Scibetta è diviso da sua moglie che ostinatamente abita in Aragona, Diego di Giglia da Maria sua moglie che pure ostinatamente non lo vuole, siccome Giuseppe Lo Brutto di Gaetana d’Anna sua moglie; né pure vi sono giocatori scandalosi  né inimici;

2.     Vi sono due maestri di scuola, rev.do sac. D. Calogero Pumo ed il Diacono D. Melchiorre Grillo;

3.     Quattro medici fisici dr. D. Giuseppe Grillo, dr. D. Giuseppe Amelli, rev. Sac. D. Ignazio Pumo, ed il clerico coniugato D. Calogero Sferrazza;

4.     Chirurghi dui il clerico coniugato D. Giuseppe Sferrazza e D. Antonino Amelle;

5.     Due levatrici, Angela Rini e Maria Schillaci, ambi di buoni costumi e sanno la forma del Battesimo.

 

Seguiamo ora, passo passo, come l’arciprete Algozini descrive la Matrice:

1.     Il titolo della chiesa è Maria SS.ma dell’Annunciazione ;

2.     Si celebra la festa nel giorno proprio;

3.     Non vi sono abusi;

4.     La chiesa non è consecrata;

5.     Il Padrone è il vescovo;

6.     Fu eretta alli 20 giugno 4a Ind. 1621;

7.     Nella Cappella di S. Maria del Suffraggiov’è la Liberazione dell’Anime ogni lunedì e nell’ottava de morti ad septemnium per breve concesso dalla Stà di Benedetto XIII di fel. mem. a 17 settembre 1728 e nessuno altare ha Padrone.

Della struttura della Chiesa

1.     Questa Chiesa Matrice è construita con due ordini di colonne, con che si forma la nave e due ali;

2.     Ha semplice tetto;

3.     Non dona umidità;

4.     Vi sono sei finestre, cioè tre con vitriate e tre senza;

5.     delle quali entra vento;

6.     le pareti della chiesa in alcune parti sono di piedre quadrati, in alcune con incrostatura in alcune incolte;

7.     senz’erbe;

8.     La fabrica da pertutto ben soda;

9.     senza veruna servitù;

10.  v’è choro situato nell’altare maggiore dell’istesso sito della Cappella;

11.  senza sedili o stalli distinti, ma fra breve vi si faranno ad eccitazione del detto rev. Archiprete;

12.  non v’è separazione di luoco per le donne;

13.  il pavimento è di gisso intiero.

 

Disponibili anche notizie sullo stato dell’edificio e sul suo assetto interno:

1.     Tocca alla Maramma la reparazione che ha onze 3.15.6 di rendite annue e cioè: dal sac. Isidoro Amella onze 2; dal rev.do sacerdote don Vincenzo Casucci e consorti tarì 13.19; da Antonino di Salvo Ruggeri tarì 4.10; dagli eredi di Giovan Battista Petruzzella e consorti tarì 10.10; da Giovanne d’Alaymo Trombetta tarì 8.5; dall’erede di Salvatore Corbo tari 8.2.

2.     S’amministrano dalli quattro deputati della chiesa che sono il rev. Archip. Dr. D. Filippo Algozini, il rev. Vicario Foraneo D. Salvatore Lo brutto, don Francesco Pistone e don Gaspare Casucci.

L’Algozini ci informa che «v’è dentro la Cappella del SS.mo Sacramento di questa Chiesa Madre la compagnia del Santissomo Sacramento; l’officiali sono l’antedetto rev.do arciprete dr. D. Filippo Algozini, M° Giacinto Scibetta e M° Giuseppe di Rosa.»  Aggiunge: «Dentro questa Matrice chiesa non vi sono cappellanie se non le sacramentali che adesso sono il rev.do sacerdote D. Francesco Torretta ed il rev.do sacerdote D. Leonardo La Matina.»

Abbiamo peraltro «un beneficio di S. Antonio Abbate posesso come sopra dal rev.do sac. Don Gaspare CasucciAl servizio della Matrice sono i chierici Pietro Santo Maura e Santo di Naro: il loro stipendio e di 8 onze, quattro pagari dal rev. Arciprete, due dalla Cappella del SS.mo Sacramento, onze 1.10 dalla Cappella di Maria del Suffraggio e tarì 20 «d’altre tre Cappelle in ragione di tarì 6 per una, oltre tarì 10: incirca di venti.»

Ed ecco, di estremo interesse storico, la descrizione e la disposizione degli altari:

1.     Vi sono quattordeci Altari, il Maggiore;

2.     quel del venerabile;

3.     della SS.ma Annunciata;

4.     di S. Maria del Suffraggio;

5.     del SS.mo Crocifisso;

6.     di S. Vito;

7.     di S. Giovan Battista;

8.     di S. Leonardo;

9.     di S. Antonio Abbate;

10.  di S. Ignazio;

11.  della Ss.ma Assunzione;

12.  delli S.ti tré Reggi;

13.  di S. Giuseppe;

14.  di S. Maria Maddalena.

 

«Per quante diligenze s’abbiano fatto – soggiunge l’arciprete – non si sa dell’erezione di ciascheduna.» Nel dettaglio: «Sono l’altaretti conservati nello stipite e non ve ni sono portatili; sono intieri nelli sigilli delle Reliquie; ve n’è uno [altare] privilegiato di S. Maria del Suffraggio; nessun altare ha padrone; non hanno rendite per suppellettili e manutenimento, se non quelli che si devono contribuire dalli celebranti secondo la tassa e reduzione ultimamente fatta. L’altare però di S. Ignazio ha tarì 19 annui dovuti cioè: tarì 12 da Pietro Mulè paruzzo in virtù di contratto per l’atti di not. Michelangelo Vaccaro a 10 settembre 7a 1713, e tarì 7 dal notaio Michelangelo Vaccaro in virtù del contratto per l’atti del quondam notaio Francesco Pumo a 11 gennaio X a ind. 1717.»

Gravano sugli altari vari pesi per messe:

1.     La cappella del SS.mo Sacramento messe n° 163;

2.     Cappella della SS.ma Annunciata messe n° 58;

3.     Cappella di S. Giuseppe messe n° 144;

4.     Cappella delli S. Tré Reggi messe 3;

5.     Cappella di S. Maria del Suffraggio messe n° 914.

 

«Oltre d’altri sei Cappellanie cotidiane trattenute dalla detta Cappella del Suffraggio, secondo denota la Tabella in Sacrestia.»

 

L’inventario del Casucci.

 

Questo l’arredo della chiesa e  degli altari secondo l’inventario del tempo:

«Questo è l’inventario di tutti i beni mobili e stabili semoventi, frutti, rendite, raggioni azzioni e spese di qualsiviglia sorte della chiesa Matrice di Racalmuto, sotto il di Primo Aprile 1731, fatto per me D. Gaspare Casucci Economo di detta Chiesa con la presenza e l’assistenza delli Rev.di Sac. D. Filippo Cino e D. Gerlando Carlino previamente informati dei beni, frutti e rendite, e sono l’infrascritte:

La sudetta chiesa  Matrice è posta nella strada del Castello a frontespizio della Piazza; ha d’un lato le case di M° Giuseppe Di Rosa e dall’altro le case della ven.le Compagnia si S. Giuseppe

Qui il Casucci si addentra in una ricostruzione storica che non sembra avvalorata dai  documenti da noi investigati. Ad ogni buon fine, quella ricostruzione casucciana la riportiamo egualmente:

«Fu finita di fabriche l’anno 1620: benedetta con licenza di Monsignor Vescovo di Girgenti sotto li 20 Giugno di detto anno.» A nostro avviso, c’è qui l’abbaglio della strana ripartizione della parrocchia tra don Vincenzo del Carretto e don Paolino d’Asaro del 1608 ed il successivo ricongiungimento delle due parti in capo alla chiesa dell’Annunciata sotto un unico arciprete che a noi risulta essere don Filippo Sconduto. Il Casucci non ci pare molto ferrato nella storia della sua chiesa.

Attendibile invece quando parla delle Cappelle, di cui curava in definitiva l’amministrazione:

La Cappella della SS.ma Annunciata fu fondata e dotata da D. Gaspare Lo Brutto e Leonora d’Asaro con obbligo di 58 messe. [..] Li superlettili di detto Altare, come di tutti gli altri altari e chiese sono li seguenti:

In primis una Cappella bianca di lama, con sue tunicelle, casubula, cappa, stole manipoli e palio;

Item una Cappella violacea di lama, con suoi Tunicelle, casubula, cappa, stole, manipoli e palio d’altare;

Item una cappella virde, con sue tunicelle, casubula, cappa, stole manipoli e palio d’altare;

Item una Cappella rossa, con sue Tunicelle, casubula, cappa, stole manipole e palio d’altare;

Item una Cappella nigra di felba [9] con scuti ricamati, con sue tunicelle, casubula, cappa, stole manipole e palio d’altare;

Item una casubula di stolfo russa , con sue stola e manipole;

Item una casubula bianca d’asprino con manipola e stola;

Item dui casubuli nigri, con suoi stole e manipoli;

Item dui casuboli violaci usati con stole e manipoli;

Item trè casubuli russi usati con stoli e manipoli;

Item una casubula bianca raccamata di seta usata con stola e manipole;

Item una casubula verde usata con stola e manipole;

Item sei cammisi boni, cioè tre di tela d’Olanda e tre di tela sottile, con suoi cingoli ed ammitti;

Item altri tre cammisi usuali per la giornata, con suoi cingoli ed ammitti.

Altare maggiore

In primis un quadro di S. Pietro e Paulo di Pittura, con cornice scartocciata indorata d’oro;

Item n° sei candilieri con suoi vasi e rami usati;

Item n° sei tabole per ornamento dell’altare, indorate di mostura;

Item una cornice dell’altare indorata di mostura;

Item la carta di gloria, con l’Imprincipio e lavabo;

Item due tovagli d’altare;

Item un tappito vecchio per detto altare.

L’ulteriore precisazione che abbiamo dall’Algozini, datata 1° giugno 1731, parla anche di un dischio foderato di damasco verde usato.

Altare della SS.ma Annunciata

Item la statua della SS.ma Annunciata con l’Angelo, di ligname indorati di mistura;

Item un Reliquario di Ligname indorato di mistura con sue reliquie dentro;

Item due candilieri con sua croce usati;

Item una carta di gloria, con l’Imprincipio e lavabo;

Item due tovaglie usate per l’altare;

Item una cornice indorata di mistura per detto Altare;

Item tré pialli d’altare usati;

Item un lampero di ramo.

In più, stando all’integrazione dell’inventario da parte dell’Algozini: sei candileri con suoi vasi novi indorati di mistura con sei rami di talco novi.

Altare di S. Maria del Suffraggio

Item un quadro di pittura con sua cornice indorata;

Item sei candileri con la croce e sei vasi;

Item sei rami usati;

Item quattro candileri piccoli;

Item una carta di gloria col’imprincipio e lavabo con le cornici indorate di mistura;

Item Item due tovaglie d’altare;

Item un palio di seta violaceo e bianco con cornice indorata di mistura per detto Altare;

Item un lamperi di ramo novo.

Altare del SS.mo Crocifisso

 

Item l’Immagine del SS.mo Crocifisso con la croce indorata;

Item un quedretto di Maria delli Setti Dolori con sua cornice;

Item quattro candileri con sua croce usati;

Item una carta di gloria con l’Imprincipio e lavabo; con “concice indorata” (v. Algozini);

Item un palio d’altare di pittura con cornice indorata, che è “di stolfo violetto e rosso con gallone d’oro, novo” (vedi inventario del 1° giugno 1731).

Integra l’Algozini: sei candileri con sei vasi indorati di mistura novi; sei rami di talco stagnolati novi;

Altare di S. Vito

Item L’imagine di S. Vito di ligname;

Item una tovaglia ed un palio d’altare usati.

Altare di S. Giovanni Battista

 

 Item un quadro con la figura di detto santo con la cornice;

item l’imprincio e lavabo usati, item un palio di pittura;

itemdue candilera vecchi, ed una croce senza pede.

Altare di S. Leonardo

Item un quadro con la figura di detto santo;

Item una tovaglia ed un palio di pittura;

Altare di S. Antonio Abb.

Item la statua del santo di ligname;

Item quattro candileri con sua croce e rami vecchi;

Item la carta di gloria con l’imprincipio e lavabo;

Item una tovaglia per detto altare;

Item un palio d’altare di pittura;

Item un lamperi di ramo.

Altare di S. Ignazio.

Item il quadro con sua cornice indorata di mistura;

item quattro anegli per candeleri;

item una croce usata;

item la carta di gloria con l’imprincipio e lavabo;

item un palio d’altare di pittura con cornice indorata di mistura.

Altare della SS.ma Assunzione

Item il quadro con sua cornice;

item quattro candileri vecchi;

item carta di gloria con l’imprincipio e lavabo vecchi;

item un palio d’altare di pittura con sua cornice.

Altare delli santi tre Reggi

Item il quadro di pittura;

item due candileri con sua croce

item la carta di gloria con l’imprincipio e lavabo.

Altare di S. Giuseppe

Item la statua di detto santo con il suo Bambino di legname indorati

Item sei candileri con suoi vasi e rami usati, e croce;

item la carta di gloria con l’imprincipio e lavabo

item un palio d’altare di seta vecchio con sua cornice;

item due tovaglie per detto altare.

Altare di S. Maria Maddalena.

Item il quadro con la figura di detta santa;

item sei candilera con la croce, quattro vasi e quattrorami;

item la carta di gloria con l’imprincipio e lavabo;

item palio d’altare di seta con cornice indorata di mistura.

Altare del SS.mo Sacramento

Item una custodia di marmo con suo tabernacolo indorato. Item un Padiglione di seta violaceo con sua guarnizione d’argento;

item quattro candileri con sua croce;

item quattro vasi per li rami;

item dui tovaglie per l’altare;

item un palio d’altare di seta con sua cornice indorata.

L’Algozini aggiunge: due padiglioni di tela stampata; un portaletto di damasco rosso con suo gallone d’argento usato; sei candileri con suoi vasi e rami di talco stagnolati, una campanella nova per servizio delle messe e due padiglionetti per l’ogli santi.

 

Ovvio che è la sacrestia ove sono custoditi paramenti sacri, ornamenti vari, addobbi ed altro.  Significativo l’inventario, anche perché potrà un domani servire per un museo parrocchiale veramente rievocativo della vita religiosa dei nostri antenati, contadini e pii.

Item dui crocifissi per la preparazione;

item dui chiomazzelli per detta preparazione verdi usati;

item altri dui di tela per detta preparazione;

item due coverte di tela per detta preparazione;

item uno stipo grande con altri due piccoli a lato novi;

item due coverte per il fonte battesimale di seta violetta con frinza ed altra di coiro con frinza, usati;

item due dischi;

item un’ombrella per il fonte battesimale;

item quattro lanterni novi;

item una coverta di tela rossa sopra la boffetta della cridenza;

item un portale di tela per l’organo;

item una stola di stolfo rossa;

item altra stola di damasco di diversi colori;

item una fodera per l’ombrella;

item un palio d’altare dinnanzi il battisterio;

item una sponza di ramo;

ietm un lamperi di stagno;

item una pisside con il piede di ramo;

item un altro vaso a forma di pegno con il piede d’argento per il stabile;

item un baldacchino d’asprino con li quattro asti indorati;

item un stendardo d’aspino, con altri due palietti del medesimo drappo;

item un ombrello del medesimo drappo d’asprino con n° venticinque campanelli d’argento di bolla;

item altri sei palietti, cioè due di stolfo e l’altri di diversi colori, con suoi lanterni ed asti;

item altro baldacchino bianco ed un stennardo usuali;

item altro tosollino [10] più grande per la sfera;

item una sfera grande con il piede d’argento con la lonetta indorata;

Item l’incensero e navetta con sua cocchiarella d’argento;

item una sponza d’argento ;

item tre calici con piedi di ramo indorati, con tre patene;

item altro calice con il piede d’argento con sua patena;

item una cocchiara d’argento per il fonte battesimale;

item dui vasetti d’argento per l’oglio santo del battesimo;

item altro vaso per l’oglio santo dell’estrema unzione;

item tre paviglionetti per il vaso del SS.mo Viatico;

item tre portaletti per la custodia;

item una tovaglia bianca di taffità con guarnazione d’argento;

item altra tovaglia di taffità bianca vecchia;

item cinque corporali;

item n° undeci veli di calici di tutti colori usuali;

item n° dieci borze con suoi palli di diversi colori;

item cinque messali usuali;

item quattro missaletti;

item una cassetta con tre vasi di stagno con l’oglio santo;

item un rituale e graduale vecchi;

item dui calamara di stagno con una bussola nel battisterio;

item un particolario; item un sicchetto di ramo;

item due boffette nella sacrestia, tre cascie vecchie, un scabello, un genuflessorio, tre tovagli di facci, dui chiomazzella di felba russa usati, un crocifisso per il Pulpito, una cappa e tonicella neri lavorati, item tre incerati, un tisello (o tusello v.s.) di legname, un triangolo di ferro con cilio di cera, altro triangolo per le tenebre;

item quattro campanelli;

item una tela azola per la porta;

item tre confessionarij;

item una seggia per il SS.mo Viatico;

item un organo di cinque registri ed un polpito;

item tre trispiti;

item tre campane nel campanile, cioè una grande di sei cantara, altra mezzana di due, ed il segno.

Si chiude qui l’inventario che reca la sottoscrizione del sacerdote D. Gaspare Casucci, economo e quella del sacerdote D. Gerlando Carlino.




[1] ) Girolamo M. Morreale, S.J. – Maria SS. del Monte di Racalmuto – Racalmuto 1986, sparsim ma in particolare p. 49 e ss.
[2] ) Girolamo M. Morreale, S.J.  Maria SS. del Monte …, op. cit., p. 67.
[3] ) Leonardo Sciascia, Prolusione a Pietro d’Asaro .., cit. p. 20.
[4] ) Giuseppe Adamo, Storia di Delia dal 1596 ad oggi, Palermo 1988, pp. 163; 171 e riproduzione policroma dopo p. 192.
[5] ) P. Fedele da S. Biagio, Dialoghi familiari sovra la pittura col Sig. avvocato D. Pio Onorato palermitano, Palermo 1788.
[6] ) ) Il Regno di Vittorio Amedeo II di Savoia, nell’Isola di Sicilia dall’anno MDCCXIII al MDCCXIX – Documenti raccolti e stampati per ordone della Maestà del re d’Italia Vittorio Emanuele II – Torino, Eredi Botta 1863, pp. 304-305.
[7] ) Calogero Valenti, Grotte – origini e vocende storiche, Grotte 1996, pp. 199-210.
[8]) Tra le carte della Matrice è però custodito un documento che si riporta in appendice che comprova la rendita della Cappella della Maddalena, risalente appunto a don Santo d’Agro, che si continua apercepire ancora nel Settecento e nell’ Ottocento.
 
[9] ) Drappo di seta col pelo più lungo del velluto: felpa.
[10] ) piccolo sopraccielo, baldaccino = dossello.