sabato 12 luglio 2025

L'ex convento dei FATEBENE FRATELLI di RACALMUTO con annessa ex chiesa di SAN SEBASTIANO C’è un documento, scritto a mano nel Settecento, che racconta meglio di molte cronache chi fossero i primi veri protagonisti della vita economica di Racalmuto. Un elenco sobrio ma prezioso: nomi e cognomi di famiglie che, alla vigilia dell’Ottocento, possedevano terreni, costruivano patrimoni, gettavano le fondamenta della futura borghesia rurale del paese. A conservarlo con cura e passione, da anni, è Calogero Taverna, storico e studioso locale, che da quel manoscritto ha tratto spunti per ricostruire un pezzo essenziale dell’identità racalmutese. Siamo esattamente nell’ottobre del 1763. Il documento in questione una sorta di dichiarazione dei redditi dell’epoca da affidare al “Supremo Tribunale del Real patrimonio” che aveva chiesto a queste importanti famiglie di Racalmuto di dichiarare in pochi giorni le rese frumentali utile ad applicare il “terraggio” che era un’imposta sul reddito agricolo. Una verifica fiscale dell’epoca, commenta il dottor taverna che indica l’elenco delle famiglie. Riportiamo i maggiori proprietari dell’epoca, dove spiccano naturalmente i Grillo (i veri baroni di Racalmuto, per intenderci i parenti del più famoso Don Illuminato Grillo del palazzo di dell’attuale via Baronessa Tulumello), Calogero Tulumello (che successivamente si sono imposti nel governo e nella vita pubblica del paese, soppiantando la grande famiglia dei Matrona), Don Benedetto Nalbone, i Picone, gli spinola, i fratelli Scibetta (e proprio un Giovanni Scibetta Giudice sarà sindaco nel 1849), l’arciprete Stefano Campanella, i Farrauto, i Savatteri. “Questa era la borghesia terriera rampante che soppiantò la vecchia gestione autocratica e religiosa dei Borboni – sottolinea Taverna – che abbandona il culto di santa Rosalia imposto dai Del Carretto e dirotta il culto del popolo, grazie anche a Padre Signorino che costruì, proprio in quegli anni, la grande Chiesa, verso la Madonna del Monte”. Taverna aggiunge: “Sempre in quel periodo un monaco, Padre Emanuello Catanalotto, pubblicò un canto popolare i cui versi, quasi un secolo dopo, furono disprezzati dal padre Bonaventura Caruselli da Lucca che invece, nel 1856, scrisse il Dramma sacro che tutti oggi conosciamo attraverso la recita della leggendaria Venuta della Madonna a Racalmuto”. Da qui la tradizione dei Ceri, i cosiddetti Cilii, che ancora accendono la festa dedicata a Maria Santissima del Monte compatrona e Regina, risultato di una focosa fede da parte dei ricchi proprietari terrieri. A questi, naturalmente, se ne aggiungeranno altri nel tempo. E ancor prima, nel 1693, a leggere nel documento di rendite della chiesa di San Sebastiano, che si trovava dietro l’attuale chiesa di sant’Anna, emergono altri nomi e cognomi di famiglie facoltose che avevano grosse proprietà di terre e pagavano il censo, la tassa che gravava sulle proprietà a favore della Chiesa. Si tratta dei Brucculeri, degli Sferrazza, dei Casuccio, Di Falco, Di Grado, Savatteri, La Matina, Giancani, Lo Giudici, Mulè, Bartolotta, Scimè, Rizzo, Bisaccia, Torretta, Mastrosimone, Morreale, Picone, Castronovo, Marturana. “Il Cilio è la bandiera etico-morale e politica della borghesia racalmutese. Il Cilio perciò deve essere dei borgesi storici, partendo proprio da questi elenchi storici che nessuno può smentire. “Sono ligio alle vere tradizioni, non mi piacciono le tradizioni a convenienza. Bisogna tornare indietro, a leggere la storia, a rispettarla, a viverla”. “Si è vulgherata la tradizione. Per cui sta accadendo che le famiglie veramente burgisi, classe sociale tipicamente racalmutese, sono estromesse per far subentrare persone degnissime che però nulla anno a che fare con i burgisi” (Taverna) : :