venerdì 10 gennaio 2014

ANCHE QUI, molto rumore per nulla!

Mi sono trovato in bacheca questo enigmatico riquadro contabile con commenti ove addirittura vi è un'accusa gravissima: estorsione. Mi sono detto: debbo piangere o debbo ridere? Sarà questa di sicuro una delle tante specifiche a corredo della complessità che è la sintesi ragioneristica della parte contabile del bilancio. Nasce la necessità di esplicitare una compendiosa posta. Lo si fa nella relazione esplicativa con dispiegamento dei parziali di una singola voce di bilancio. Nelle normali società questo avviene considerando un unicum parte contabile e parte narrativa. Vi può anche essere una posta sintetica corretta, ma se nella parte narrativa vi sono falsità scatta il falso in bilancio. E per i Comuni? In definitiva resta ancora in piedi il vecchio testo unico di fine Ottocento anche se ormai la filosofia del bilancio è tutta cambiata perché per usare certi aforismi dell'Onida il bilancio è una realtà pensata e voler dare normative è come voler dare la formula chimica dell'acqua sporca che soccre in strada quando piove.
Carissimi AMICI, VI DICO CHE MAGARI QUESTA CHE "CHIAMATE ESTORSIONE" fosse la verità tutta la verità. Racalmuto sarebbe il paese del bengodi. Ben più grave è la realtà econoimica finanziaria effettuale di un bilancio che sconta inevitabilmente un ventennio per lo meno di mala gestio. Non vedo nel bilancio quello totale e ufficiale tutta una marea di spravvenienze passive, Ma al contempo non mi risluta che la maggiore entità di sopravvenienze attive abbia la debita e ineludibile evidenziazione. Se il comune di Racalmuto fosse una banca istantaneamente chiederei la liquidazione coatta amministrativa per omissione di partite attive e passive atte a ribaltare persino la vera consistenza patrimoniale dell'aziensa e in connessione la effettività del suo conto economico per non parlare dell'assoluta omissione del quadro degli impegni e rischi. Quindi ragazzi attenzione a sparare giudizi di valore che detti così credo che persino superino gli estremi della calunnia di un ente pubblico e di intemerati pubblici ufficiali. State accorti. (Lo dico per il vostro bene: se certe accuse di "estorsione" le facevate a me in veste di commissario, vi facevo vedere i sorci verdi: resta però ovvio che lo dice il vangelo: Signore perdona loro perché non sanno quello che dicono.)
Peoprio oggi facendo una certa operazione finanziaria un esperto mi dice: "lei che crede di sapere tutto, mi vuol dire chi è il proprietario dell'Ospedale Maria Santissima del Monte"? (Eredità Ferdinando Martini tanto per intenderci,) Dico: "ma il Comune!!!". "Illuso - mi fa - guardi in catasto". "E che dovrei vedere?", "! ma... pare si dice forse che sia una vecchietta di oltre settanta anni- allora - la neo proprietaria in catasto di appartamenti, plessi e camere con vista". "Ma dimmi il nome diversamente come faccio a controllare". Risposta: "ho già detto anche troppo, se è vero che lei è un bravo ispettore come dice deve sapersela sbrigare da sè".
 
Io tra breve cerherò di sapere e se non riuscirò vorrà dire che ai sottoufficiali dell'antimafia dimoranti nel palazzo di un noto professore in Racalmuto passerò la palla. Credo che ne verrebbe fuori un putiferio - se è vero. Ma se è verò quanti di quelli che ora mi stanno annoiando con le loro minchiate calunniatrici si dovrebbero evangelicamente appendersi una macica al collo e buttarsi dal ponte borbonico del pizzo di Padre Elia?
Ragazzi con questo chiasso che state facendo dove volete approdare? E' evidente il vostro intento elettorale. Contro chi? I commissari? Ma quanto gliene frega a lor signori!! Non cercheranno di farsi rieleggere nel prossimo Maggio. Ma a favore di chi? In questo caso a favore di tutti quelli che si vorranno portare a Maggio. Come dire a tanti, a troppi e quindi a nessuno.

ANCHE QUI, molto rumore per nulla!

 

Archeologia


giovedì 9 gennaio 2014

La visionaria vuole sminuirmi a motivo della mia prostata (che grazie a Dio sta bene)

Quando qualche visionaria crede di sminuirmi  a motivo della mia prostata (che grazie a Dio sta bene) cozza contra l'irriducibile forza degli eventi. Ecco cosa mi scrive un titano della cultura, il nostro grandissimo compaesano p. Angelo Sferrazza S.J. - appena sindaco gli tributerò gli onori che merita - ringraziandomi dei contributi che gli avevo rimesso  a seguito delle mie ricerche presso l'Archivio Segreto Vaticano.

E' paesaggio dipinto da Asaro?

Ai tempi in cui facevo ricerche su Pietro d'Asaro riesco a farmi ritrarre questo squarcio di un quadro attribuito al Monoculus Racalmutensis. Il quadro si trova a Racalmuto. Pala d'altare, subisce danneggiamenti osceni. Dico che l'hanno restaurato. Ecco i risultati. E' ancora recuperabile? Ma per quanto molto liso il paesaggio affiora. Una cosa è certa: non è paesaggio locale. Ed allora?

Un bel quadro attribuito a Pietro D'Asaro.. Indubbia l'influenza di Caravaggio. La cesta di frutta rientra nel indirizzo pittorico delle nature morte. Il tondo resta ancora di ardua attribuzione? Il committente? E perché no il padre Fanara?


un quadro di Padre Puma


Padre Puma Pittore

Ovvio vi fu atto di ruffianeria: padre Puma, dilettante e basta, non era pittore da mostra. Uno scultore locale si rifiutò di farmi una mostra con padre Puma. Se c'è lui, io non ci sto. Non scendo a sì bassi livelli mi insolentì: sufficiente per togliergli il saluto.
A Padre Puma  in una certa svolta della sua via chiedono di fare una mostra.
Alquanto cinico come qualche volta era, accetta e redige di suo proprio pugno questo catalogo. Sono 32 opere. Alcuni titoli la dicon chiara su che cosa intendeva Padre Puma quanto alla sua poetica ed anche estetica pittorica. "Paesaggio racalmutese", "libertà di colombe" "terra e luna". Ma se titola "in frigore calor vitae" c'è da smarrirsi. Che cosa intendeva l'arciprete Puma per "Frigor"? la solitudine di un uomo vivo e vitale costretto ad un nero ed algido abito talare? I quadri non saranno opere d'arte, ma testimonianze estreme di una esistenza estrema dell' uomo folgorato dallo Spirto Santo. Gelo nella solitaria stanza delle lunghe notti, "calor vitae" nel dispensare salvifici sacramenti. Era il 1972, 42 anni fa.

Che il suo Dio la perdoni!

Seconda importantissima chiosa. Non occorre sprecare inchiostro per ricordare che io a Totò, giovane giornalista, l'ho spesso molto insolentito. L'ho sempre fatto per la grande stima che ho sempre nutrito nei suoi confronti e a modo mio per stimolarlo. Ieri sera mi sono reso conto che non ha più bisogno dei miei stimoli. Il dottore Salvatore Picone oggi è un maturo uomo, un grandissimo giornalista, una sapidissima penna. Avevo lasciato un rampante giovane che doveva trovare spazio lavorativo in questo arido e ostico paese; e mi sono trovato un gigante dell'informazione: una immensa cooperativa,  e non qualche avventuriera impresa da subappalto, lo nomina addetto stampa per tutte le iniziative imprenditoriali in Sicilia. Questo  questo la dice lunga sulle capacità anche imprenditoriali, manageriali di Totò Picone. Sarebbe il sindaco ideale secondo la mia visione efficientista  che ho per quelle che ormai sono le imprese principe di un territorio, parlo dell'istituto COMUNE. Se qualche uterina visionaria scende al basso livello di detrattrice di siffatti valori, che il suo Dio la perdoni.

Rispostaccia ad una mia spasimante ripudiata (in termini fbeistici s'intende)


Sutor ne ultra crepidam, Cara visionaria non andare oltre la scarpa. L'economia non fa per te, le questioni monetarie poi non sono bazzecole come le tue false apparizioni. Il linguaggio turpe tra una avemaria e l'altra non ti dà decoro, rivela tendenze peccaminose che portano nell'orbita del tuo insenso credo dritti dritti all'inferno dove forse aspiri d andare per goderti ciò che qui vorresti agganciare e non ti riesce. Sì io sono vecchio, fisicamente vecchio ma di spirito sono immortale in termini che le isterie uterine non potranno mai attingere. Quanto alla mia vecchiaia fisica che tu e la rua improbabilissima amica Pennacchioni irridete beh, vi dico senectus ipsa morbus e quindi siccome vi voglio bene non ve l'auguro proprio. Parli, confusionaria come sei, della "BANCA DI PADRE CIUCIA" ma il mio caro padre Diego con le banche non ha nulla a che vedere. Io parlo dell'IOR di papa cicciu ed io so che cosa è la banca di padre Cicciu, perché questo vecchietto a suoi tempi ha fatto vedere i sorci verdi a codesto falso istituto di opere di religione, pure finanziatore con Marcinkus dei grandi criminali dittatori dell'America Latina, verso cui qualche indulgenza plenaria l'ha dispensata l'incolto gesuita ora papa. Sono maleducato? Sì moltissimo perché io della tua ipocrita educazione (ammesso poi che ce l'abbia) me ne sbatto. Francamente che io sia noioso e sconclusionato me lo dici solo tu: permettimi di dubitarne e pensare perché sei una di quei "beati che poveri di spirito di loro è il regno dei cieli". Tutti (quelli che mi conoscono e mi leggono e sono tanti e mi leggono in tutto l'orbe terraqueo) sanno che non nutro nessuna simpatia per Napolitano. Ma rispetto a tanti pur acclamati tromboni suoi predecessori questo sta per essere un presidente della Repubblica di estremo decoro, molto ascetico e saggio amministratore dell'appannaggio adeguato presidenziale. Domanda all'esercito di sanculotti famelici del Quirinale come sono incazzati. Ma tu paesanuzza alquanto complessata cosa ne puoi sapere di queste cose? E nemmeno questo uruguaiano da strapazzo che misura la sua moneta nazionale risibilissima nella più forte moneta mondiale: l'euro. Dovrei dirti: medice cura te ipsum e con dati di fatto ma io non scendo sul personale come sacrestanamente hai fatto tu.

Fermateli --- il nuovo PRG va rifatto!

Il primo marzo 1980 partiva dalla "Sovrintendenza alle Antichità di Agrigento" per Racalmuto la nota n. 1598 che veniva recepita nella Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana del 31 maggio 1980, Parte I n. 25. Nella nota finivano vincolate contrade di notoria percezione quali: Serrone - Villa Nalbone - monte Castelluccio - contrada Bove (recttius Bovo) - Contrada Castelvecchio - contrada Fra Diego - Località Fico Troina (forse Troiana) - [viene erroneamente inclusa Pietralonga che si trova nel territorio del Comune di Castrofilippo] - Località Rocca Rossa tra i confini dei Comuni di Grotte e Racalmuto - località Grotticelle o "Grutticieddi".

Tra lasciamo qui i particolari delle succecssive inclusioni tra i vincoli archeologici o la singolare vicenda della zona di Grotta Fra Diego ove stranamente si invertono i vincoli tra la parte descrittiva e la parte desunta dai dati catastali.
Nasce certo un problema di ermeneutica giuridica di non breve momento; indicati così i vincoli sono troppo generici. Ma da qui a considerarli del tutto nulli ce ne corre. Credo che il Comune di Racalmuto e le autorità di vigilanza di settore abbiamo non poche colpe nel non avervi ovviato in 33 anni.

Ho dato una scorsa al nuovo piano regolatore; vi trovo ad esempio bene specificata la zona di Villa Nalbone. Non mi pare che alcuno dei sullodati vincoli sia stato rispettato. Naturalmente zone storiche sottratte  ad ogni sorta di vincolo come Zaccane.llo e dintorni ove si estendeva un'ampia Statio delle vie romane di congiungimento  di Agrigentum con  la Villa del Casale di Piazza Armerina restano ancora del tutto ignorate.
Io non ho titolo alcuno per fare osservazioni al nuovo Piano Regolatore di Racalmuto, ma le autorità di vigilanza che ci stanno a fare?

Moralismo da strapazzo

Foto: (Ataru)


Perché diffondere minchiate? L'Uruguay è una economia da sottosviluppo, l'Italia è una società opulenta di una opulenza che tutti stigmatizzano ma nessuno ne può fare più a meno, manco papa cicciu che senza l'IOR non avrebbe neppure la veste bianca che va ostentando in tutta povertà (apparente). Penso che con 800 euro in Uruguay, presumibilmente tutto spesato, si è ricchi; Napolitano che sicuramente ha un cachet molto più ricco ha spese di rappresentanza imposte dal decoro di uno Stato che è settima potenza industriale del mondo (le statistiche dei piagnoni fanno appunto solo piangere). Nel mio piccolissimo, io per tornare a vivere gli ultimi mesi della mia vita ho dovuto sborsare 500 euro solo per avere una autorizzazione di abitabilità/agibilità. Sì, questo è un altro bubbone di questa amministrazione tutto da investigare. Mandano i vigili per compilare un questionario ove è pure ammesso che si possa abitare in una grotta e poi si pretende l'impossibile. Francamente sono stomacato dallo pseudo moralismo dei miei compaesani. Vogliono moralità assoluta dagli altri e poi me li ritrovo nella lista dei 548 evasori catastali che stasera hanno non so se divertito o preoccupato Totò Picone mio ospite per stilare il vademecum di una serie di trasmissioni televisive a sfondo storico.

mercoledì 8 gennaio 2014

Viva il sindaco di Racalmuto

Io credo che finirò col fare una lista quadripartizan anche se forse porterà un simbolo di partito (DR per la Sicilia) per evitare la raccolta delle firme. Spero che il paese capisca che si offre una opportunità diversa. un management una squadra un intellettuale collettivo. In fin dei conti dal primo Petrotto al Restivo "sindaco baby" ha afferrato le novità e le ha votate  ... poi purtroppo le grandi delusioni. Penso che a Maggio vincerà una ipotesi sconvolgente perché la stragrande maggioranza silenziosa si trova in  uno stato di grosso ribellismo, è esasperata. Una lista che magari non vincerà ma costringerà a pensare in termini non usuali forse un ruolo potrebbe avercelo.

Sciascia affabile, tenero, unaniSsimo, paziente anche se ironico

I nostri mali
Cinque o sei aggettivi, cinque o sei imbecillità. Sciascia gelido? Sciascia antipatico? Sciascia antipirandelliano? Sciascia misogino? Chi l'ha conosciuto direbbe: si parla di altri. Sciascia affabile, Sciascia tenero, Sciascia umanissimo, Sciascia ironico (questo sì), Sciascia paziente (a noi pare che si sia adirato solo una volta e contro Nando Della Chiesa ed aveva ragione, tanta ragione Sciascia). Allora ecco un vacuo che tenta di apparire sapiente inventandosi la vacuità di chi sostanzialmente invidia. Mafia ed antimafia ammoniva Sciascia, l'apparente antitesi dei mali di Sicilia. La Mafia si è dissolta, l'antimafia dura a morire; i suoi quattro o cinque cadaveri eccellenti siamo costretti ad adorare come miti ad onta del vero, delle miserie, e forse per qualcuno dei crimini  tutti dannati ad occultare.

Proposta a Sindaco

Finito di parlare inglese, dammi una qualche risposta sulle candidature a sindaco che io propongo. A dire la verità stasera sono per Totò Picone, abbandonata l'ipotesi della donna sindaco: sono troppo isteriche, quindi largo ai giovani, anzi al giovane Totò Picone a meno che Giovanni Salvo non mi dica di sì.

Un pree ardimentosi

Storia di un prete imprenditore nella Racalmuto dell’Ottocento

Il padre Antonino Burruano non fu certo un prete esemplare della Racalmuto ottocentesca: tutto preso da enfiteusi, miniere di zolfo, francesi ed inglesi, re borbonici, calcheroni, sconfinamenti nel sottosuolo del Dammuso, mulini d’Ercaro e di San Mattè, ed anche amanti prolifiche, fratelli maldestri, padre gravato da figlioli non eccelsi e tante figlie femmine da maritare ed altre beghe, cause, rapporti di mal vicinato ed altro ancora (prima di una peste esiziale contratta a Palermo), aveva ben poco da dedicare agli uffici divini (meno le messe per i morti dei legati a suo beneficio ed anche a suo carico) ed ai doveri verso il suo abito talare, che spesso non portò o portò trasandatamente.


Il mio carissimo amico Giuggiu Di Falco (clericale intelligente ma intransigente) ebbe a passarmi un documento fotocopiato dagli archivi dell‘ufficio del Registro, che dirigeva, ed ebbe a passarmelo più a discarico della sua invero adamantina coscienza che per scambio della nostra culturale ricerca sulla storia di Racalmuto.

Ed io protervo – cattolico non credente – mi premuro qui di pubblicarlo, impavido dinnanzi a rischi di scomuniche ecclesiali.

Vi fu davvero la grande evasione catastale a Racalmuto?

Il 10 marzo del 2012 parte dalla Agenzia del Territorio per il comune di Racalmuto un malloppo molto inquietante. Arrivano tre gruppi di documenti, di atti, di accuse: una sfilza di segnalazioni di "fabbricati non dichiarati in catasto": la stessa lista ma secondo l'elenco alfabetico "dei soggetti degli intestatari degli immobili" evasi e terzo: una serie di "accertamento di attribuzione della rendita presunta, liquidazione di oneri e irrogazione  sanzioni per gli immobili non dichiarati".
QUESTO SCABROSO ELABORATO doveva rimanere riservato.
Occorreva tutta un'attività di riscontro. Data la mole dei documenti, io penso da tecnico, che ci sarebbero voluti mesi e mesi, se non anni. Invece il 5 maggio del 2012 finiscono in on line, nell'albo pretorio come evasori catastali accertati ben 548 partite; mezza Racalmuto vi affluiva.
Faccio i miei calcoli; tra evasioni, arretrati, sanzioni, sovrattasse etc. scattava qualcosa come oltre due-tre milioni di CREDITI d'IMPOSTA atti a ribaltare come sopravvenienze attive di crediti liquidi ed esigibili ogni bilancio e inibenti supertassazioni o aliquote massime per quanto attiene ogni tipo di oneri tributari comunali.
Vi furono i tre mesi per le debite consultazioni  e contestazioni (dal 3 aprile al 2 luglio 2012). Cosa si trattò, si concordò, con quali criteri non è dato di sapere (mi pare).
A fine luglio del 2012 Racalmuto è bello e commissariato. Vengono da Roma superprefetti a contarci i nostri peli (mafiosi) del sedere. Ci vogliono rendere noti i risultati? Per il fatto che poi sempre codesti commissari abbiano applicato le aliquote massime su ogni forma di tributi comunali sia a fine 2012, sia a fine del 2013, ci sarebbe da pensare che il tutto sia finito in una sorta di beffe (ma senza cena).
Questa mia è una modesta nota. Ma come cittadino ho diritto ad una risposta, ad una precisazione dai signori GALEANI-SALERNO-BUDA? Se come per altre mie doglianze civili tutto è finito nel cestino, cosa dovrò fare? Cosa potrò fare? Non me ne starò di certo con le mani in mano. Aggiungo che tantissimi aspiranti alle prossime cariche amministrative elettive appaiono implicati in siffatte censure dell'Agenzia del Territorio. Sicuramente si sono adeguati ai grossi connessi gravami. Se no, finirebbero in un increscioso conflitto d'interesse. Finirebbero ineleggibili.

martedì 7 gennaio 2014

Così tornerà il Castello se divengo sindaco di Racalmuto

e ne farò un museo di concezione moderna (meglio antica) come dire a corridoi esterni continui ed a temi monotematici ad illustrazione dell'evolversi della civiltà indigena. I soldi? Vi sono 15 milioni di euro di crediti d'imposta monetizzabili presso strutture bancarie del Liechtenstein. Non si può fare? Io so   ... non per nulla ho fatto carriera fra gli ispettori di Vigilanza bancaria della Banca d'Italia e voi "stanziali" anche se donne non sapete, non potreste
Quante superfetazioni! Era chiesa a tre navate? Quella finestra lì sopra con due antefisse quanto è genuina? Tutto quel ducotone è un obbrobrio. Stavano davvero lì quelle due antefisse? Abbiamo poi due bassorilievi "osceni" per dei francescani: due donne o ninfe poppute. Reperti archeologici romani fuor di dubbio. Dov'erano? perché sono state elevate tanto in alto. Sono sicuro che gli studi propedeutici che hanno consentito finanziamenti  a suon di milioni di vecchie lire del pubblico erario per il restauro, tutto ci chiariranno di sicuro tutti questi commissari, prefetti, controllori etc. hanno tutto appurato ed ogni cosa denunciato per l'accertamento delle responsabilità (eventuali).

La facciata di Santa Maria di Giesu

Quante superfetazioni! Era chiesa a tre navate? Quella finestra lì sopra con due antefisse quanto è genuina? Tutto quel ducotone è un obbrobrio. Stavano davvero lì quelle due antefisse? Abbiamo poi due bassorilievi "osceni" per dei francescani: due donne o ninfe poppute. Reperti archeologici romani fuor di dubbio. Dov'erano? perché sono state elevate tanto in alto. Sono sicuro che gli studi propedeutici che hanno consentito finanziamenti  a suon di milioni di vecchie lire del pubblico erario per il restauro, tutto ci chiariranno di sicuro tutti questi commissari, prefetti, controllori etc. hanno tutto appurato ed ogni cosa denunciato per l'accertamento delle responsabilità (eventuali).

La maledizione ... i frammassoni egemoni della Racalmuto di fine Ottocendto hanno cancellato con atti nefandi il convento di Santa Maria di Giesu-

E qui era vita, era preghiera, erano passi felpati di miti monaci in saio e sandali. Negli anni '80 dell'Ottocento, nostri atei e massoni caporioni hanno cancellato quest'eremo sacro e inviolabile. Di sicuro hanno attirato i fulmini del buon Dio. Quanti guai da allora ha avuto Racalmuto per siffatta condotta blasfema di chi allora cinicamente ci ha governato. Altrove doveva essere il camposanto: si doveva distendere lungo la fiancata di quella che ora si chiama Villa Nalbone  e sotto lambisce Piedi di Zichi. Ma si toccavano interessi proprietà di un granmassone. Erano beni intoccabili e per non danneggiare dei terreni scapoli sono andati a fare di un chiostro come questo una necropoli profanatrice... ho la certezza che se non ripariamo a siffatti peccati per cui sono scattate scomuniche nel vero senso della parola  difficilmente Racalmuto avrà lustru.

Viva Leonardo Sciascia

Sciascia è sublime, perfetto, inattingibile, irraggiungibile, genio di incomparabile intelligenza, sapidissimo prosatore: solo che è inestricabilmente schiacciato al suo tempo. Non è neppure profeta: cosa ha previsto in ordine al fenomeno Berlusconi; e cosa sull'attuale congiuntura del tecnocrate Monti (che è cosa seria molto più seria e complessa di quello che certi miei amici di FB vogliono talora accreditare); e cosa poi sulle contemporanee vicende di quella che lui chiamava Regalpetra, a partire dal ruolo di un Petrotto a quello dell'interludio di mio cugino Restivo Pantalone, per non parlare del succedersi di poco gloriose triadi, di cripto sindacalesse al Tramonto e di tanti loro repentiti laudatores); e che dire dei novelli poetastri di casa nostra o dei loro cugini scrittorelli che anonimamente si mettono a insolentire calunniando con la compiacenza di susssiegosi blog di paesana scrittura? Lasciamo Sciascia al suo tempo; gloriamocene (sempreché ci guadagniamo). Lui ci ha descritto come un paese di folli, di facinorosi, di gente iniqua: noi invece lo esaltiamo come la nostra più grande gloria, come il genio dei geni, come l'inventore di una fondazione cui nulla ha fornito oltre al nome e carte stracce e qualche acquatinta, acquaforte o che so io. Se il vangelo mi dice: lascia che i morti seppelliscano i morti, divento ultraevangelico. Ai miei stimati amici della locale intllighenzia dico: affidiamo Racalmuto alle nuove leve, aiutiamoli a far risorgere questa strana araba fenice che è Racalmuto a proiettarsi in un nuovo ciclo di glorie non solo letterarie, ma culturali, di grande avvedutezza, di sapienza nelle cosiddette professioni liberali. Ne sono certo, fra qualche anno si avrà una meravigliosa cittadina gelosa del suo storico nome: RACALMUTO, senza orpelli di sorta, senza pseudonimi letterari, non più insulsa pietra regale ma civilissima STATIO pluriculturale: araba, normanna, bizantina, greco-romana, sicana e soprattutto pre-sicana. L'archeologia ci aiuta; la storia va corretta; i microstorici redurguiti. I blog ossequienti, negletti.

I nostri mali

Cinque o sei aggettivi, cinque o sei imbecillità. Sciascia gelido? Sciascia antipatico? Sciascia antipirandelliano? Sciascia misogino? Chi l'ha conosciuto direbbe: si parla di altri. Sciascia affabile, Sciascia tenero, Sciascia umanissimo, Sciascia ironico (questo sì), Sciascia paziente (a noi pare che si sia adirato solo una volta e contro Nando Della Chiesa ed aveva ragione, tanta ragione Sciascia). Allora ecco un vacuo che tenta di apparire sapiente inventandosi la vacuità di chi sostanzialmente invidia. Mafia ed antimafia ammoniva Sciascia, l'apparente antitesi dei mali di Sicilia. La Mafia si è dissolta, l'antimafia dura a morire; i suoi quattro o cinque cadaveri eccellenti siamo costretti ad adorare come miti ad onta del vero, delle miserie, e forse per qualcuno dei crimini  tutti dannati ad occultare.

lunedì 6 gennaio 2014

FRA QUALCHE GIORNO COMPIO IL MIO 45° COMPLEANNO QUALE SOCIO DI UN CIRCOLO CHE NON AMO PIU'

mercoledì 26 dicembre 2012

Il mio 45° Compleanno...

FRA QUALCHE GIORNO COMPIO IL MIO 45° COMPLEANNO QUALE SOCIO DI UN CIRCOLO CHE NON AMO PIU'



Guardo con acuta nostalgia, con scoramento anche, il mio libretto 166° Genetliaco [del] Circolo Unione e a pag. 54 mi ritrovo: il 1° gennaio 1967 facevo finalmente parte del Circolo Unione. Avevo doppiato lo scoglio arcigno ed inflessibile dell'avv. Pillitteri. Avevo avuto le palline bianche più che sufficienti. Tanti - migliori di me - non l'avevano avute nel passato; neppure chi ora si crede il santone intoccabile di un sodaliziao ex nobiliare, divenuto con un colpo di mano statutario tutt'altra cosa con signorini né nobili né ignobili che sembrano più intenti a cantar messa e portarvi mistici preti che mantenere la grintosa aria laica (per non dire massonica) di questa mirabile congrega elitaria della Racalmuto ottocentesca ed anche novecentesca e persino della prima decade di anni di questo nuovo millennio.
Mi accoglievano allora presidenti del calibro del p.a. Nicolò BARTOLOTTA; deputati come il rag. Luigi Cutaia, l'ins. Guglielmo Bellavia, l'ins. Felice Caratozzolo, il longevo dottore Salvatore Restivo Pantalone, l'ins. Gaetano Mattina, l'ins. Alfonso Farrauto: meno il padre dell'ex sindaco, tutti di là e da tempo. Sbircio tra quelli che mi precedevano e trovo una istituzione come il dottore Ettore Vinci, il mio simpantico e sfortunato amico il geometra Alfonso Delfino, l'austero prof. Domenico Romano, e quindi, amici da sempre, Nicu Piazza, 'Ngilino Morreale, Nnazziu Pillitteri e chi ancora ci serba trepido affetto come ma cuscinu Totinu Scimè e il mio vicinu di casa là a la Funtana, il dottore Jachinu Trumeddu (per non dire Catallo). Seguono i miei coevi SESSANTASETTINI e siamo diciannove (o meglio eravamo: vivi meno della metà. Chi ricordare? :  l'avv. Garlisi e l'avvocato Buscarino. 
Ma tanti pur viventi non bazzicano più le sale del Circolo dei Galantuomini: non è più per i loro gusti.
Io avevo deciso, quest'anno, di tagliare la corda. Che ci sto più a fare in un sodalazio paraclericale, in mano a rampanti che vogliono affermarsi in nome di uno Sciascia che poi non amava tanto quel circolo come sta a dimostrare qualche carta che tenuta segreta, post mortem la famiglia ha ritenuto di dare ad Adelphi per un impropabile FUOCO sul MARE (attendo l'apprezzabile opinione del prof. Di Grado). Ne ho scritto, ma è come parlare a sordi: ho credo chiarito che il frate (veramente semplice chierico) DIEGO LA MATINA nato a Racalmuto nel marzo del 1621 era ancora vivo e vegeto nella pasqua del 1666; non poteva quindi esere stato bruciato nel 1658. Come se dicessi castronerie. Mi si fa pure l'affronto di salmodiare nelle sale del circolo che sovvenziono da quaranticinque anni non so quali prefiche commemorative. Non si degneranno neppure di almeno scomunicarmi per non scomodarsi. Vi sono interessi teatrali di chissà chi e tanto basta.
Per rabbia ho deciso di non dimettermi: pagherò ancora una volta il canone annuale come non stanziale e forse mi deciderò di pagare il mio avvocato di fiducia per seguire le orme del Farmacista Calogero Argento, fu Michelangelo, abitante in via Rapisardi 35 di Racalmuto. Era il 4 gennaio 1945. Lo si voleva massone e liberale e forse lo era ma non voleva appartenere alla DEMOCRAZIA DEL LAVORO dell'altro galantuomo il sig. Amedeo MESSANA. Così come io - clericale cattolico ma non credente - non voglio finire sotto l'egida di nuovi sagritanelli dell'era di padre Ciucia.

Quel che fu

mercoledì 26 dicembre 2012

Il mio 45° Compleanno...

FRA QUALCHE GIORNO COMPIO IL MIO 45° COMPLEANNO QUALE SOCIO DI UN CIRCOLO CHE NON AMO PIU'



Guardo con acuta nostalgia, con scoramento anche, il mio libretto 166° Genetliaco [del] Circolo Unione e a pag. 54 mi ritrovo: il 1° gennaio 1967 facevo finalmente parte del Circolo Unione. Avevo doppiato lo scoglio arcigno ed inflessibile dell'avv. Pillitteri. Avevo avuto le palline bianche più che sufficienti. Tanti - migliori di me - non l'avevano avute nel passato; neppure chi ora si crede il santone intoccabile di un sodaliziao ex nobiliare, divenuto con un colpo di mano statutario tutt'altra cosa con signorini né nobili né ignobili che sembrano più intenti a cantar messa e portarvi mistici preti che mantenere la grintosa aria laica (per non dire massonica) di questa mirabile congrega elitaria della Racalmuto ottocentesca ed anche novecentesca e persino della prima decade di anni di questo nuovo millennio.
Mi accoglievano allora presidenti del calibro del p.a. Nicolò BARTOLOTTA; deputati come il rag. Luigi Cutaia, l'ins. Guglielmo Bellavia, l'ins. Felice Caratozzolo, il longevo dottore Salvatore Restivo Pantalone, l'ins. Gaetano Mattina, l'ins. Alfonso Farrauto: meno il padre dell'ex sindaco, tutti di là e da tempo. Sbircio tra quelli che mi precedevano e trovo una istituzione come il dottore Ettore Vinci, il mio simpantico e sfortunato amico il geometra Alfonso Delfino, l'austero prof. Domenico Romano, e quindi, amici da sempre, Nicu Piazza, 'Ngilino Morreale, Nnazziu Pillitteri e chi ancora ci serba trepido affetto come ma cuscinu Totinu Scimè e il mio vicinu di casa là a la Funtana, il dottore Jachinu Trumeddu (per non dire Catallo). Seguono i miei coevi SESSANTASETTINI e siamo diciannove (o meglio eravamo: vivi meno della metà. Chi ricordare? :  l'avv. Garlisi e l'avvocato Buscarino. 
Ma tanti pur viventi non bazzicano più le sale del Circolo dei Galantuomini: non è più per i loro gusti.
Io avevo deciso, quest'anno, di tagliare la corda. Che ci sto più a fare in un sodalazio paraclericale, in mano a rampanti che vogliono affermarsi in nome di uno Sciascia che poi non amava tanto quel circolo come sta a dimostrare qualche carta che tenuta segreta, post mortem la famiglia ha ritenuto di dare ad Adelphi per un impropabile FUOCO sul MARE (attendo l'apprezzabile opinione del prof. Di Grado). Ne ho scritto, ma è come parlare a sordi: ho credo chiarito che il frate (veramente semplice chierico) DIEGO LA MATINA nato a Racalmuto nel marzo del 1621 era ancora vivo e vegeto nella pasqua del 1666; non poteva quindi esere stato bruciato nel 1658. Come se dicessi castronerie. Mi si fa pure l'affronto di salmodiare nelle sale del circolo che sovvenziono da quaranticinque anni non so quali prefiche commemorative. Non si degneranno neppure di almeno scomunicarmi per non scomodarsi. Vi sono interessi teatrali di chissà chi e tanto basta.
Per rabbia ho deciso di non dimettermi: pagherò ancora una volta il canone annuale come non stanziale e forse mi deciderò di pagare il mio avvocato di fiducia per seguire le orme del Farmacista Calogero Argento, fu Michelangelo, abitante in via Rapisardi 35 di Racalmuto. Era il 4 gennaio 1945. Lo si voleva massone e liberale e forse lo era ma non voleva appartenere alla DEMOCRAZIA DEL LAVORO dell'altro galantuomo il sig. Amedeo MESSANA. Così come io - clericale cattolico ma non credente - non voglio finire sotto l'egida di nuovi sagritanelli dell'era di padre Ciucia.

Parce supulto .. il mio Circolo dei Civili di Racalmuto non c'è più

Giusto  ... giusto   ... giusto;  solo che chi mi ha degnato di uno sguardo da 1700 chilometri, con i parametri libertari della libera terra di Romagna poco può afferrare dalla mia ira funesta per un evento che suona la decima o forse più sepoltura di un circolo al maschile meridionale, meglio siciliano, meglio racarmutisi. Noi Racalmutesi amiamo le donne in modo allucinato e finiamo per odiarle non comprendendole. Il Circolo Unione nei suoi quasi due secoli di esistenza civica (chiamavasi talora circolo dei civili) è stato sempre l'emblema del duplice atteggiamento verso l'altro sesso: odiare le donne per la paura di amarle troppo. Lo scoramento mio è stato che oggi guardando un certo blog e avendo notizia che il Circolo ora ha scelto la via del femminismo e della cultura mi sono afflitto: ho perso tutte le mie battaglie (e qualche soldo) per non far degenerare il mio CIRCOLO dei Galantuomini (massonico, laico, anticlericale, blasfemo). Certo ora il circolo è stato consegnato a uomini di gran valore, diventa circolo di cultura, non vedo più che ci sto a fare dentro. Inizio da Sciascia: ai suoi tempi il circolo era questo: "dopo la politica, scienza di cui molti soci del circolo si sentono al vertice [...] dopo la politica, le donne. I giovani apposta tirano fuori discorsi sulle donne, fingono malinconia considerando chi per l'età più non le può godere. Don Ferdinando Trupia salta su dai divani ... ho settant'anni, ma una bella donna la sento da qui alla chiesa del Carmine; voi voglio vedere quando avrete la mia età ... [... ] Il Barone Lascuda leva gli occhi dal giornale  . ed io che dovrei fare? L'altra sera sono andato a far visita a un amico, c'erano tre ragazze che mi stavano intorno, son dovuto andar via perché non ce la facevo più .... Comincia il gioco dei ricordi. Tutti ora ricordano; una donna due dieci; tutte le donne dell'Italia del nord sono pazze di desiderio ai ai piedi di questi uomini; il sud brulica di persiane semiabbassate da cui le donne spiano, un bianco barbaglio di braccia nude e merletti ],,,,] e mani si muovono a plasmare nell'aria grandi corpi. Non è più uno scherzo ora, tutti ci sono dentro, lo studente ascolta le confidenze del giudice di corte d'appello in pensione, il vecchio dottor Presti racconta a un amico di suo figlio di quando nudo scappò sui tetti, e un marito gli scaricava dietro due colpi di calibro dodici."

ora è quello che cercammo di fare istituendo il Circolo di Cultura nella sartoria ove si annoiò Sciascia come apprendista sartore : credo che dovranno scancellare la mia storia e farne una loro naturalmente davvero colta.

Solo ora e per vie traverse vengo a sapere che la Deputazione del Circolo che salvai dallo sfratto del Banco di Sicilia è nuova, diversa, innovativa, rivoluzionaria. Anche le donne ora comandano al Circolo di li DDo'. I vecchi reazionari e conservatori, se restiamo soci, o ci adeguiamo alla modernità o smammiamo. Il Circolo Unione non è più il vecchio scontroso massonico Circolo di Compagnia. Le poltrone non potranno più servire per sede
 
rcisi sopra comodamente e sforbiciare. E dire che il re dello sforbiciamento passa imperturbabile per tutte le stagioni. Negare che un pizzico di rammarico ce l'abbiamo sarebbe ipocrita e sarò tutto ma non mi ritengo un gesuita in pantaloni. In questo clima mi sono messo a sfogliare i massonici diari del sodalizio di via Rapisardi. Guardiamo insieme i verbali n. 22 e n. 23. Il 15 gennaio del 1945 al mio antesignano sig. Busuito Amedeo Ettore (un galantuomo con i fiocchi) non resta altro che  andarsene. Ha perso tutte le sue battaglie "conservatrici e reazionarie" come io ho perso le mie analoghe. Chiede "don Amedeo di essere considerato dimissionario dalla qualità di socio effettivo di questo circolo."  Nell'assoluta indifferenza di quella Deputazione si "prende atto delle di lui dimissioni e [si] da (sic!) mandato al segretario per depennarlo dall'elenco dei soci effettivi". Tocca ora ame ripetere questo burocratico rituale? Ci sto pensando. Tuttavia domani vado a versare la mia quota annuale e per un anno sto a posto: né dentro né fuori.
Storico invece l'altro verbale. Peggio dell'attuale situazione parlamentare, dopo la nota sentenza di incostituzionalità del "porcellum": Gli espulsori di don Amedeo Ettore Busuito ora decidono il "riconoscimento della qualifica di socio a tutti quelli che erano soci al 10 luglio 1943" come dire a loro stessi. Perché? mi sono sforzato di spiegarlo nel libricino che ho scritto a maggior gloria del tramontato sodalizio. Ora dicono che quello non è più il circolo dei perdigiorno, di chi - secondo un detto di Brancati ma non di Sciascia, credo - è vissuto per "lasciare un'affossatura nelle poltrone del circolo" ...... ora è quello che cercammo di fare istituendo il Circolo di Cultura nella sartoria ove si annoiò Sciascia come apprendista sartore : credo che dovranno scancellare la mia storia e farne una loro naturalmente davvero colta.

Su un'annosa questione: fu davvero il sacerdote Santo d'Agrò a far bella la Matrice di Racalmuto?

Santa Maria Maddalena Penitente, di Pietro D'asaro pittore secentesco di Racalmuto
Come bibliografia sul quadro di Santa Maria Maddalena trovo nel catalogo Sciascia citato solo il Tinebra di pag. 187 ove leggo solo "nell'anno 1622 il rev. Santo Agrò, nel suo testamento gli [ a Pietro D'Asaro. n.d.r.] legava 20 onze, per dipingere il quadro di Santa Maria Maddalena penitente, il quale trovasi ora in un altare vicino al SS. Sagramento, nella chiesa di Maria SS.Annunziata, nostra Matrice." Condensata così la notizia è persino innocua quanto vacua. Non legittima Sciasia a scrivere che codesto prete, senza infamia e senza gloria, addirittura "volle' bella una chiesa e vi profuse il suo denaro".  Invero il Tinebra in altra parte del suo volume storico di Memorie aveva precisato che " la chiesa Madre, che allora era detta S. Antonio Abate, assumesse quella di Maria SS. Annunziata, come chiamasi al presente." Vi sono qui improprietà storiche che credo di avere dipanate nei miei scritti resi pubblici a mie spese. Annota il Tinebra: "Devo qualche notizia intorno alla matrice ed alla Chiesa di Maria SS. del Monte alla gentilezza del Signor Salvatore Sferlazza che ringrazio." Su che basi fondasse quelle conoscenze il sig. Sferlazza, non mi è dato di sapere. Per quel che qui interessa, il Tinebra aggiunge "Risulta poi dal testamento del rev. Santo Agrò del 1622 che lasciava questi in legato all'arciprete Traina certe somme per finire le due navate, che erano ancora incomplete, ed onze 12 al pittore Pietro Asaro, per dipingere il quadro di Maria Maddalena penitente, il quale attualmente trovasi posto nell'altare suddetto". Come sia andata veramente la faccenda coll'arciprete Traina crediamo di averla sufficientemente ricostruita: Giustifico che oggi ignorandosi quanto ormai reso acquisito ad una critica storica alquanto documentata, si continua a reiterare topiche disdicevoli per un paese che ha prestigio culturale da difendere. Non posso giustificare i dispensieri di fondi del Comune che optano per efebici scultorelli alabastrini anziché dotare  biblioteche scuole e centri studi, di strumenti e fonti per un approfondimento della storia locale.. Della faccenda Traina abbiamo già qui e nel nostro blog detto oggi abbastanza e non vogliamo ripeterci ancora.
 

Quanto a questo benedetto sacerdote, tutto sommato esaltato da Sciascia, preciso che ho trovato nel LIBER in QUO ... al n. 46 questa annotazione: "D. Santo D'Agrò Beneficiale di nostra Signora dell'Itria .. obiit die 22 Julii 1637". A darvi peso, quel tinebriano testamento del 1622 salta per aria. Voglio qui togliermi l'uzzolo di una mia cervellotica congettura. Ad analizzare il quadri  che dovrebbe chiamarsi di Santa Maria Maddalena, Penitente (è così bello!) mi sembra di scorgere alla sinistra un nobile comitalmente vestito che potrebbe essere quel Girolamo del CARRETTO OCCISUS A SERVO".  Ma è solo congettura che non convince aco me. ALLORA CHI POTREBBE ESSERE QUEL MACILENTO GRAN SIGNORE CON ACCANTO UN RAGAZZETTO DI NOBILE LIGNAGGIO?
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Chi sarà sindaco di Racalmuto n. 2

Ringrazio per i riconoscimenti  e con estrema umiltà accetto le riserve. Soprattutto mi rendo conto che qua e là in questo mio lungo sfogo notturno mi sono lasciato andare a sfocati giudizi e quindi ad espressioni improprie. Ma le mie sono provocazioni e mi sono quindi preso delle libertà espressive. Pazienza, avrò perso per strada qualcun altro dei miei sparuti consensi elettorali. Tengo qui a fare alcune precisazioni: la mia espressione è stata : "onesto E  NIENT'ALTRO". Piero Carbone, uomo di raffinatissima cultura, avrebbe detto "un onest'uomo". Beh! Racalmuto (e tante altre parti d'Italia)  è pieno di "onesti e nient'altro"- Ma gli "onest'uomini" si riempiono di "accidia": sanno solo criticare, flagellare i "disonesti" i "ladri" la "casta". Gente che magari appena eletta consigliere comunale ha arraffato un telefonino del comune ed ha fatto arrivare all'Amministrazione stecche da migliaia di euro ecco salire sul pulpito del Monte e romperci i coglioni da mane a serra  con le sue prediche contro i ladri di Roma, Milano, Torino. Lessi a suo tempo una denuncia su Regalpetra Libera del 2010 e rimasi allibito. Nel 2013 quella tremenda accusa sta lì inerte, forse sta in quei venti compendiosissimi "faldoni" che  stanno per essere aperti da una magistratura penale più competente, dal Consiglio di Stato, distaccamento Sicilia, e soprattutto dalla acida Corte dei Conti. Ne vedremo delle belle. Per mestiere (quello di ispettore d'alto bordo) so che la giustizia è lenta lentissima, tarda ma alla fine arriva inesorabile, anche se ti chiami Berlusconi. Al caro Ignazio quindi dico che tra LA MIA VISIONE (MOLTO OTTIMKISTA ANCHE PER IMPOSIZIONE DELLA MIA FEDE MARXISTA)  e quella del "giornalino" (qualunquisticamente pessimista) c'è divaricazione stellare. Ripeto ancora qui: a me la Racalmuto del passato non  mi interessa: mi interessa solo la RACALMUTO FUTURA che so che sarà radiosa e splendente. Piero Carbone in definiva cripticamente aderisce alla mia proposta: mettere insieme quelle dieci quindici grandi menti racalmutesi (che ci stanno), smetterla di litigare fra noi, di farci i dispetti, e fare noi la LISTA senza Ivani e Antonelli, senza sagrestie, senza Camera del commercio. Trovare una donna graziosa, volitiva ma con il senso delle proporzioni  cui affidare lo scettro non del comando ma della rappresentanza, farla sindaco cioè. Una figura femminile che sia soprattutto una donna di pace. Perché mettere insieme una decina di menti pensanti (stanziali o non, poco importa) significa un vespaio litigioso al giorno. Ed io aggiungo: si litighi pure purché si faccia. L'onestà è un dovere (diversamente si finisce in galera) non una dote, la dote deve essere una grandissima capacità imprenditoriale, un MANAGEMENT industriale. Il Comune non è più lo svago dei galantuomini all'avvocato Burruano contro il Diavolo Zuppiddru e gli aedi non possono essere più gli anonimi del dottor Vinci, quello del "nenti, era nenti torna/ l'abbucatu Serraconra... "

Chi sarà il nuovo sindaco a Racalmuto?

Io stasera ho parlato a lungo con Piero Carbone. Piero Carbone innanzitutto è intellettuale elitario, decisamente negato a fare squadra da subalterno. Intelligente, acuto, colto, consociativo deve forse solo capire che il mondo non ha voglia di dorare nessuno (per fortuna). Noi - ed  io sono uno di questi - che fuori di Racalmuto veniamo considerati padreterni giustamente qui in paese diventiamo solo dei rompicoglioni. Se ci indispettiamo perché qui e là qualcuno ci ha mancato di rispetto, stiamo freschi, ritorniamocene nelle nostre grandi città, fra i nostri adoratori. Ora Racalmuto ha bisogno non di persone oneste - le persone oneste e nient'altro sono degli imbecilli, inetti, miserevoli. Racalmuto è in una contingenza molto critica. I racalmutesi stanziali normalmente sono quel che resta del giorno, quelli che non avendo grandi doti si accontentano di questo minuscolo"spazio vitale" per dirla alla Forsthoff. Affidatevi ai racalmutesi stanziali e dopo manco un mese tornate sotto malevoli commissari. Provare per credere. Racalmuto ha fatto una oceanica esportazione di cervelli, che non sono rimasti non perché qui non ci fosse lavoro ma perché "spazio vitale" inadeguato. Nel 1960 se io rimanevo a Racalmuto, avrei potuto fare l'avvocaticchio, anche il doppio lavoro: stipendio assicurato anche come professore di francese.Me ne sono andato perché come grande ispettore della Banca d'Italia,come superispettore del Secit, come dirigente generale di una banca mi divertivo di più e guadagnavo di più. Racalmuto ha oggi una corona circolare nel mondo di oltre una cinquantina di migliaia di racalmutesi. Porto l'esempio del dottor Garlisi a Milano, sta creando un impero con idee geniali.Il professore Giovanni Liotta è diventato uno scienziato di fama mondiale. Il dottore Onofrio Lo Re ( Nuccio) è arrivato al top della Magistratura. Quante rimesse arrivano annualmente da tutti questi dignitosissimi ed affermati racalmutesi nel mondo? Una enormità altrimenti Racalmuto morirebbe di fame per i gap che io calcolo in oltre 10 milioni di euro all'anno nella bilancia dei nostri pagamenti.Concetto un po' arduo ma chi vuol capire capisce. Il paese ha l'obbligo almeno della gratitudine verso costoro deve amministrarsi per onorare costoro. Se diventa un paese di mafiosi, se si scrive sempre male del nostro paese, se si diventa un paese di straccioni piagnucolosi allora chi sta fuori di Racalmuto si vergogna delle sue radici, e si disamora e prima o  poi dimentica in tutti i sensi il suo paese. E Racalmuto muore. Intelligentemente l'avvocato Marchese ai suoi tempi si è inventato l' 0,20 nelle campagne. Tutta questa massa di racalmutesi fuori di Racalmuto ne ha usufruito per farsi la famosa casetta in campagna.Fondi a profusione, edilizia in sviluppo, paesaggio rurale più ridente. Degli imbecilli -- che purtroppo passano per onesti -  hanno distrutto questo ultra legittimo privilegio. Così Racalmuto muore. Essendo io un esporto e di bilanci e di fisco, vi dico che il paese di Racalmuto per miliardi di ragioni ha accumulato qualcosa come una quindicina di milioni di CREDITI  DI IMPOSTA. Non li hanno scritti in bilancio. E' reato. Hanno fatto sì che allora il bilancio è andato in rosso e così questi commissari disinteressati alle ragioni del cuore hanno potuto applicare sulle  imposte locali le aliquote massime jugulatorie. Quei proprietari delle casette di campagna stanno venendo taglieggiati. Per loro è un lusso. A questi costi ci rinunciano e mettono tutto
sul mercato. Il mercato immobiliare racalmutese è allo sfascio. nessuno se ne preoccupa. Occorrono sofisticate competenze,Francamente se mi dite che fra gli stanziali vi siano menti all'altezza mi fate ridere. Insomma Racalmuto non ha bisogno né di onesti, né di donne, né di giovani né di chierici o diaconi che siano né di cialtroni pennivendoli; ha bisogno come ogni grande azienda in crisi di MANAGEMENT all'altezza. Questi manager sono recuperabili ma tra quella popolazione non stanziale di cui abbiamo detto. Un manager del genere una mano la darebbe ma non si farebbe comandare da nessuno dei tanti sindaci o quasi che si sono succeduti. A me non mi comanderebbe nessuno. Manco Ciampi ci riuscì. Ma io ad esempio sarei capace di monetizzare quei quindici milioni di crediti d'imposta e fare subito cooperative produttive di grandi servizi sociali: l'utilizzo della nostra acqua per noi senza né Girgenti Acque né Tre Sorgenti, dello smaltimento rifiuti a Cugni Luonghi. Ingegneri esteri di mia conoscenza saprebbero fare il nuovo Piano Regolatore atto a definire le ampie zone delle apriche campagne per casette stagionali da verde appunto stagionale. Oggi invece assistiamo all'immondo spettacolo di far nascere un casus belli per una chiesetta di venti anni fa che si vuol far passare per chiesetta del 600 e così salvaguardare meschini interessi di questo e di quello.
Questa vuol essere una lunga premessa per dire che Racalmuto non ha bisogno di un Sindaco (alto, bello, onesto brutto etc.) ma ha bisogno del management di cui ho detto. A coordinare senza conculcare un management del genere una donna sarebbe l'ideale, Ho pensato a varie donne. Con maggiore interesse alla signora SANTINA MERULLA. Gliel'ho fatta la richiesta explicite et publice. Ha nicchiato. Mi sembra che ora qui dà una certa risposta. Francamente glielo dico: non mi ha convinto. Non può pretendere di andrare a fare il SINDACO meglio di come lo hanno fatto i maschi sinora ma tutto sommato come sempre si è  creduto che un sindaco deve essere. Se ha questa concezione, è padronissima. Ma se dipende da me,non è lei che rifiuta sono io che non accetto. Lei può coordinare un management ma non può avere la pretesa di guidarlo, dirigerlo di fare il loro SINDACO, insomma.

domenica 5 gennaio 2014

Le Favole della Dittatura di Leonardo Sciascia

Sciascia scrisse le sue Favole della Dittatura in un arco di tempo che un punto d’origine molto arretrato, pensiamo attorno al 1944 e un dies ad quem, che per noi sfiora ma non supera il 1949, quando si sucida il fratello che segnò profonda cesura stilistica, etica, umorale e altro ancora per Leonardo Sciascia.

Sciascia scrisse le favole della dittatura mentre si annoiava al Consorzio Agrario, ad ammassare frumento anche requisito, in un ufficio di vago sapore poliziesco, lui animo pacifico, lungi da ogni violenza persino verbale. Credo che pochi lo poterono cogliere in un attimo di veemente ira.

Erano tempi in cui l’Autore "imparava a scrivere". E su quali sillabari? Savarese, Cecchi e Barilli. Barilli con il suo raffinatissimo ma estetizzante gusto musicale lasciò tracce sparute. Ancor meno Cecchi. Ad eccezione di qualche foglio sparso non trovo nulla che possa avvicinarsi alla imperante (allora) prosa d’arte.

 

Invece Savarese lascia impronte indelebili: nel capolavoro di Sciascia, LE PARROCCHIE, gli echi dell’Ennese ci stanno e come persino quasi nel titolo (chiunque l’abbia messo) ."In quache modo volevo – puntigliosamente annota Sciascia, persino in contrasto con Pasolini - rendere omaggio a Savarese, autore dei FATTI DI PETRA", La seconda ragione per consentire il ribattezzo di Racalmuto in Regalpetra.

Diciamolo subito: Savarese, che muore nel 1945, fu scrittore fascistissimo come quasi tutti quelli della Ronda. E Sciascia si confessa: ha imparato a scrivere «proprio sugli scrittori "rondisti"». Nato e cresciuto fascista, in famiglia fascista, ama scrittori fascisti e si cimentò con loro, anzi si esercitò su di loro. Dirà: "per quanto i miei intendimenti siano maturati in tutt’altra direzione, anche intimamente restano in me tracce di un tale esercizio" ed, aggiungiamo noi, della sottesa fede politica.

 

Due chiese Sciascia odiò con sincerità: la cattolica e la comunista, tout court la politica politicante. Amico di un professore marxista, di Mannino, di Andreotti persino dopo una inziale frizione; e possiamo dire anche di Craxi e Cossiga; con Guttuso finì male e con Pannella non diciamo tutta la verità per paura di querele.Si pensi che ci confidarono che in ultimo lo allettò la profferta di una candidatura da parte di Almirante. L’immatura morte ci precluse imprevedibili evoluzioni politiche del Nostro.

Sciascia amò la Racalmuto delle adunate, le sfilate delle giovani italiane, gli ammiccamenti che il regime con la maestra Taibi consentiva in una Racalmuto sotto la musoneria di preti ed arcipreti sessuofobi (a prescindere dalle loro private ma ben ascose birichinerie). Sciascia non amò i preti specie quelli che gli si strisciavano addosso ammaliati dal suo ateismo. Sì, ieri alle ore 10,25, credetti in Dio …… Che è colpa mia se ho conosciuto un solo prete degno! Leggere FUOCO ALL’ANIMA per capire e annuire.

Arrivano gli americani, arriva la Kermesse; Sciascia rabbrividisce. Esplode rabbia, cattiveria, violenza in paese. Per Sciascia la fattoria di Orwel gli si para davanti, ora. A Racalmuto - durante il fascismo, sotto Mori, solo un paio di omicidi prontamente perseguiti – ora dopo la "liberazione" un morto aggiorna ogni mattina, sentivo dire nella mia infanzia. Il caos, l’invidia, l’esecuzione crudele del nuovo sindaco, per tanti versi benefattore e protettore di Sciascia. Un mondo di bestie, di furbi, di cattivi, di imbecilli, popola la mente e la fantasia di Sciascia: sono i veri spunti delle Favole della Dittatura, con brutto neologismo diremmo le favole della "post-dittatura". Pasolini nel 1951 non capì. La valentia scrittoria del grande linguista ebbe il sopravvento sul giudizio riduttivo che siffatte false favole contro la presunta dittatura fascista a chi conosce Sciascia nell’intimo ispirano.

Aggiungasi l’evidente stridore lessicale; la ricerca del vocabolo da prosa d’arte, alla Cecchi. Ma a Sciascia quella lingua ricercata non è consona. Qualche esempio. Se deve descrivere un lupo a Racalmuto – dove di lupi non ce ne stanno e tantomeno di ruscelli - ricorre ad un artato "torbo" da coniugare con specchio: una endiade un po’ troppo cerebrale. E dopo sofismi antitetici a quelli del favolista latino di Superior Stabat lupus non sa dirci altro che un termine non favolistico come "lacerare": il lupo "d’un balzo gli fu sopra a lacerarlo". E se una lezione politica vogliamo cogliere è una lezione politica ribaltata: nella dittatura razionalità anche nella bestialità, nel nuovo corso, solo violenza senza ragione, violenza raccapricciante come quel "lacerare" le candide carni del tenero agnellino. Erano tempi di uomini qualunque schiacciati e di merli gialli e di becchi gialli vituperanti. Sono ora le scimmie a predicare l’ordine nuovo: si vuole "un tripudio dolcissimo, una fraterna agape vegetariana". Chi non ricorda – se ha l’età mia – "per un mondo migliore" di padre Lombardi S.J.?

Già, ma se un topo si mette a giocare con un gatto, "si trova rovesciato sotto le unghie del recente amico". Allora capisce "che la cosa si mette come per l’antico". «Con tremula speranza – sempre Sciascia – ricordò al gatto i principi del nuovo regno. "Sì", rispose il gatto, "ma io sono un fondatore del nuovo regno". E gli affondò i denti nel dorso.»

Favole, certo; ma non contro la cessata dittatura – di cui anzi si ha nostalgia – ma contro il preteso "ordine nuovo", quello che da un lato macchiava Portella delle Ginestre di sangue rosso, ma dall’altro poteva anche esserci violenza sotto le bandiere rosse persino di un Li Causi.

Ovvio che noi non accettiamo questo manicheismo: dittaura=ordine sociale: ordine nuovo=caos violento. Giustizia che latita: un’ossessione che a dire il vero Sciascia si portò coerentemente sino alla morte.
Agato Bruno, pittore maturo, non in cerca di una qualsiasi cifra espressiva. Ma con gnosi politica radicata, col possesso di un’arte di fascinosa attrattiva cromatia, con vezzo georgico virgiliano, ebbro di sole, di luce, di vita quale ispirazione può suggere da siffatte implumi favole alla Fedro rovesciato? Nessuna, avremmo voglia di affermare. Ma, forse senza volerlo, il pittore, l’artista Agato Bruno una consonanza la trova in Sciascia ma è lo Sciascia raro, pudico, quello idillico che traspare solo in uno scritto minore de GLI AMICI DELLA NOCE

Quanti danni ha prodotto la letteraria autodrada, distruttrice di Zaccanello?

Aggiungo questi dati che mi paono più pertinenti in ordine a quanto dicevo sugli scavi allo Zaccanello


La campagna di scavi portata avanti dall'archeologa, ha consentito l'individuazione di resti di terme romane, risalenti al III IV secolo d. C. che ha avvalorato l'opinione di quanti identificavano Vito Soldano con Corconiana, una delle otto stationes dell'itinerario Catina-Agrigentum.

La rete di stationes, ossatura del cursus publicus, cioè il servizio postale romano, garantiva ai viaggiatori una sicura assistenza e quella di Corconiana assumeva un ruolo importante nel contesto economico, sociale- politico dell'età romana.
Maria Rosaria La Lomia descrive due ambienti termali: uno chiamato dai contadini l'Ecclesiastra nome che suggerisce il riadattamento dell'edificio a chiesa cristiana.

I vari ambienti sono stati danneggiati dai contadini e dall'incuria delle autorità competenti; gli spazi sono stati utilizzati addirittura come recinto per animali, i contadini hanno scavato una buca profonda un metro e mezzo alla ricerca di un ipotetico tesoro.

Nei primi anni '70 nel sito di Vito Soldano un altro saggio di scavi ha portato alla luce ulteriori avanzi dell'abitato : di particolare importanza il blocco di architrave con epigrafe in latino.
In anni più recenti si è avuto un altro intervento assai limitato e di cui non sono stati resi ancora i risultati.

Lo scopo della Sovraintendenza è quella di riportare alla luce altri ambienti che si svilupparono attorno alle terme.

Vito Soldano
La scoperta di diverse monete hanno scatenato, inoltre, la fantasia popolare, le cosiddette leggendi Plutoniche che probabilmente potrebbero trovare origine e spiegazione nella natura del terreno dove esistrono grotte ricche di cristalli di gesso e stalattiti che intraviste alla luce di fiaccole e lumi di qualche ardito esploratore avrebbero determinato sogni di ricchezza.

Le leggende di Vito Soldano narrano tutte di un tesoro arcano il cui ritrovamento porterebbe ricchezza a tutta la sicilia.

A proposito dell'albero genealogico di Sciascai

 

Venni ieri stuzzicato da un mio acre anche se stimato critico, che forse ripiccato da un mio non entusiastico appunto su un suo "romanzo storico" sulla Racalmuto dell'Ottocento, cerca come si suol dire ogni pelo nel mio brodo letterario.

Ha certo facile gioco essendo i miei interessi di ottantantenne fatto di distratti excursus nei campi più impensabili con brillantii anche genialoidi ma anche con pietosi smarrimenti propri di un ultravecchio con feroce labilità mnemonica.

Resta però il fatto che sul mio paese - che come ormai tanti sanno adoro - mai scriverò profanazioni romanzesche piene di misture alla Willian Galt, come dire inzuppate di  tutto e il contrario di tutto.

 

Si tratta della provenienza da Bompensiero del "del nonno di sua nonna" di Leonardo Sciascia. Non è da oggi che scrivo che questa faccenda genealogica che Leonardo Sciascia intrufola in Occhio di Capra è una fandonia.

Data la gravità dell'assunto, cerco intanto di ripercorre questo mio cammino contestativo.    

 Scrivevo il lunedì del 7 ottobre 2013:

Mi sono trovato non so come non so quando (ma almeno quindici anni fa) [ma mi sbagliavo: in effetti leggo nella lettera che sotto riproduco che era stata la stessa vedova Sciascia a farmelo avere, dice lei per correggere le mie ricerche] questo schizzo autografo dell'albero genealogico di LEONARDO SCIASCIA


 




 Ma si dava il fatto che almeno una quindicina di anni fa avevo redatto un antico albero genealogico del grande scrittore racalmutese, come da tracciato dattiloscritto di cui sopra. L'avevo potuto redigere in base alle carte della Matrice che Sciascia ignorava. Tanto quindi strideva con la candida raffigurazione dei suoi antenati di cui al citato autografo.  Cercai di parlarne con la Vedova. Apriti cielo, mi sono beccato persino una diffida (come si potrà leggere sotto). Ma anche qui amo dire amicus Plato, sed magis veritas.

 


 




 Sciascia dice dunque che il "nonno di sua nonna" era di Bompensiero. Sua nonna era ANNA SCIASCIA; Leonardo ne ignora l'ascendenza, la Vedova pure; noi volendo potremmo ripercorrere anche codesta ascendenza, ma sinora non l'abbiamo fatto. Pensiamo che tra quel Leonardo e quella nonna di Sciascia ci fossero vincoli di parentela data l'omonimia. Ma fare ipotesi è sempre azzardato. Chi fosse dunque il nonno di quella nonna è al momento ignorato e come Leonardo Sciascia abbia potuto scrivere che proveniva da Bompensiero sarebbe stata faccenda da indagare, senonché perentoriamente la volitiva Vedova ci ha scritto che si era trattato di un "lapsus memoriae" perché la verità vera era che si trattava del "nonno di suo nonno". Noi crediamo alla Vedova e quindi possiamo guazzare nel nostro brodo.
 
Il "nonno di quel nonno" si chiamava Calogero e nel 1802 aveva sposato Francesca Scibetta.  Proveniva da Bompensiero? a noi risulta di no.
 
Andando a ritroso abbiamo che codesto Calogero nasce da
 


Leonardo Sciascia
mastro sposa il 7.1.1754
Innocenza Alfano
di m.° Bartolomeo e Caterina
e muore il 31.8.1801
 



 

 


 
 
che a sua volta era nato da:
 


Giovanni Sciascia
mastro sposa il 29.9.1726
Anna Scibetta
di m.° Stefano e fu Anna Rizzo
e muore a 68 anni il 28.3.1766



 

 


 
 
che a sua volta era nato da
 


 Leonardo Sciascia
[nato attorno al 1670]
e
Vincenza Quagliato
di Agrigento
sposatisi prima del 1726


 

 
 
Così siamo arrivati al NONNO del NONNO del NONNO di Leonardo Sciascia che dai documenti, secondo la riproduzione che ripubblichiamo, dimorava in quel di Agrigento, parrocchia di San Petro, documento datato 1697. Ci pare di poter dire a questo punto CVD matematicamente parlando. Non è così? può darsi. Ma ci dovrebbe venire contestato carte e documenti alla mano, non in base a supposizioni o a pretese incongruenze temporali. Perché diversamente a noi ci vien fatto di pensare che come sempre si vuole scrivere e romanzare la storia di Racalmuto con "cervellotiche congetture".
Noi avevamo rassegnato per un controllo le nostre ricerche storiche alla famiglia Sciascia come da nota che sotto trascriviamo. Sdegnosamente siano stati contestati. Per lor signori eravamo incappati un "errori di ricerca". Come si è visto, siamo stati diffidati dall'usare le minute  autografe sciasciane che ci venivano mostrate a rettifica dei nostri errori e per nient'altro. Noi allora non ci siamo rimasti convinti dei nostri "errori di ricerca", figurarsi ora per la penna di qualche nostro astioso critico.  



L'ANTICO ALBERO GENEALOGICO RACALMUTESE DI LEONARDO SCIASCIA

 
 
di Calogero taverna
Leonardo Sciascia, scrittore essenziale e di irriducibili pudori e ritegni, ebbe insolite espressioni  di trepido legame per Racalmuto: «Isola nell'isola,  - annota in Occhio di Capra [1]- come ogni paese siciliano di mare o di montagna, di desolata pianura o di amena collina, la mia terra, la mia Sicilia, è Racalmuto, in provincia di Agrigento.» E - vezzo in lui raro - indulge in quell'aureo libretto a cenni autobiografici ed a richiami ancestrali. Sapido, arcano, ammiccante ed ironico, sa Sciascia fermarsi  «... all'Isola-paese: a Racalmuto (Rahal-maut, villaggio morto, per gli arabi: e pare gli abbiano dato questo nome perché desolato da una pestilenza) [dove] sono nato sessantaquattro anni addietro; e mai me ne sono distaccato, anche se per periodi più o meno lunghi (lunghi non più di tre mesi) ne sono stato lontano».  Il suo essere scrittore di razza  lo porta ad aureolare di trasfigurante malia la nota anagrafica: «Mi pare di sapere di quel paese molto di più di quel che la mia memoria ha registrato e di quel che dalla memoria altrui mi è stato trasmessa: un che di trasognato, di visionario, di cui non soltanto affiora - in sprazzi, in frammenti - quella che nel luogo fu vita vissuta per quel breve ramo genealogico della mia famiglia che mi è dato conoscere ( e tutto finisce, nel risalire il tempo, a un Leonardo Sciascia, nonno di mio nonno, che nei primi dell'Ottocento venne a Racalmuto dal vicino paese di Bompensiere per esercitarvi il mestiere di conciatore di pelli), ma anche tutta la storia del paese dagli arabi in poi.» «..la mia residenza -  continua Sciascia in Occhio di Capra -  qui, quella residenza che di molto precede la nascita, è cominciata con gli arabi. Del resto, c'è il mio nome: che è tra quelli che Michele Amari registra come arabi, e finiscono con l'esser tanti da contraddire la sua tesi di fondo che la Sicilia sia stata araba ma non , per dirla approssimativamente, arabizzata (e il nome, fino alla metà del secolo scorso, nelle anagrafi parrocchiali, non gratuitamente, ma per esigenza fonetica, veniva così trascritto: Xaxa).
Lo spunto di essere originario di un paese vicino - ma irriso dai racalmutesi - affascina talmente lo scrittore da ritornarci su (a pag. 95): «Venire dal Naduri era come venire da una sperduta contrada di campagna: essere dunque zotici e sprovveduti. Quasi peggio dei milocchesi . Dal Naduri è venuto a Racalmuto il nonno di mio nonno, Leonardo Sciascia: da contadino che era stato, A Racalmuto intraprese il mestiere di conciatore di pelli, pure commerciandole.»
 
Non so chi abbia fornito  i surriferiti dati genealogici a Leonardo Sciascia. Mi pare che vada esclusa una diretta consultazione delle 'anagrafi parrocchiali' della Matrice di Racalmuto. Per quel che mi consta - e credo di avere ormai raggiunto una certa dimestichezza coi libri parrocchiali racalmutesi - il nonno del nonno di Leonardo Sciascia non si chiamava Leonardo, bensì Calogero: era figlio di mastro Leonardo, era racalmutese già da almeno quattro generazioni, mastro e pio - risulta un solerte confratello della Congregazione dell'opera della Misericordia di S. Raffaele Arcangelo dell'Itria (la 'Mastranza') - nacque a Racalmuto nel 1776 e  nel censimento del 1822 vi risiede  con la moglie Francesca Scibetta - figlia di m.° Pasquale e Calogera Nalbone - e ben otto figli tra i quali Pasquale, il nonno del padre di Leonardo Sciascia , che all'epoca aveva tredici anni e al quale era stato dato evidentemente il nome del nonno materno.
Una famiglia di "mastri" - categoria tipica della classe piccolo-borghese della Racalmuto feudale -  quella degli SCIASCIA che affonda le sue radici locali nel fine secolo diciassettesimo. Ma procediamo con ordine.
I libri parrocchiali della Matrice di Racalmuto (battesimi e qualche matrimonio) datano - con grossi salti - a partire dal 1564: nel quarantennio di fine '500  riesco ad individuare un Vincenzo XAXA (proprio come scrive Leonardo Sciascia), sposato con Margarita e padre di Jacobo (n. il 18.5.1582), di Alberto (n. l'8.8.1585), di Antonio (n. il 16.1.1587), Francesco (n. il 23.12.1587) e di Nardo (n. il 20.9.1593). Altro fuoco è quello di Filippo Xaxa, sposato con Maruzza e padre di Marta (n. il 5.9.1584), Francesco (n. il 2.11.1592) e Lauria (n. il 4.12.1593).
Nel Seicento gli Sciascia di Racalmuto si diradano e, per un certo periodo, spariscono del tutto. Nel censimento del 1660 abbiamo un solo nucleo familiare: quello della vedova Antonina XAXA. Nel successivo censimento del 1663 non ci riesce più di rintracciare nessuno della famiglia Sciascia nella terra di Racalmuto.  La vedova Sciascia  era una vicina di casa di Soro Francesca La Matina, la sfortunata madre di Fra' Diego La Matina ed abitava, nei pressi della Matrice, vicino l'abitazione di Benedetto Nalbone e di Liberanto Taverna, tre nomi che per una sorta di cabala tre secoli dopo si sarebbero interessati, con diverso titolo e con dislivelli qualitativi, del frate giustiziato a Palermo nel 1658.
Antonina Xaxa, l'ultima del ceppo Sciascia prima della grande peste del 1671,  cessò di vivere il 18 ottobre 1662; da tempo era vedova di Alberto Xaxa. Accompagnata da don Mariano Agrò fu sepolta nella chiesa di Santa Maria di Gesù.
Tra il 1655 e il 1658 si era estinta un'altra famiglia Sciascia, ma questa proveniva da Delia. All'età di ottantanni moriva Giacomo XIAXA (una variazione parrocchiale del prestigioso cognome) e veniva sepolto, il 23 luglio 1655, nella chiesa di s. Giuliano. La moglie, Filippa, lo seguiva nell'ultima dimora il 14 aprile 1658 a settantanni. Povera, però, fulminata da una 'morte improvvisa', aveva sepoltura 'gratis' a S. Sebastiano. Senza sacramenti dunque, ma si era «communicata in Paschate». Due figlie di questi Sciascia 'della Delia' si erano sposati a Racalmuto:  Angela, il 6 agosto 1651, con Angelo Ferrauto di Francesco e della quondam Catarina; Caterina, il 28 aprile 1653, con MIchele Cozzo, figlio del fu Giuseppe Cozzo e della vivente Beatrice.
All'inizio del secolo gli Sciascia racalmutesi non erano pochi: un Filippo sposato con Angela battezza un bambino di nome Giuseppe il 15 settembre 1601; un Nardo coniugato con Beatrice battezza un figlio chiamato Filippo il 21 aprile 1600. Angela Sciascia, figlia di Giacomo Sciascia, viene diligentemente registrata tra gli ottemperanti al precetto pasquale del 1643. Giacomo Sciascia aveva sposato in seconde nozze, il 20 maggio 1623, Filippa, a sua volta vedova di Lisi Nohara.
Un Giuseppe Sciascia può permettersi di seppellire, il 7 settembre 1636, un proprio figlioletto, Giovanni,   nella chiesa del Monte, segno di prestigio e benessere. A quel tempo prosperava anche la famiglia di Francesco Sciascia (XAXA), la cui presenza di rileva dagli atti di morte del 1636 (un figlioletto di nome Isidoro viene sepolto presso i carmelitani il 31 luglio del 1636).
Ignoro il perché dei tanti Sciascia, operanti ed operosi nella prima metà del Seicento, non sia rimasto nessuno secondo il 'rivelo' del 1666. Nella successiva funesta peste che decimò Racalmuto di oltre un quarto della popolazione, gli Sciascia sono del tutto assenti dal nostro paese. Vi ritornano, però, subito dopo: se oriundi o appartenenti a nuovi ceppi di paesi lontani, non sappiamo.
Da quelli che Leonardo Sciascia chiama 'anagrafi parrocchiali', rilevo un Gaspare Sciascia  incluso tra i 'battezzati' (al n.° 1263) dei libri parrocchiali del decennio 1677-1686  (ed a partire da questa data il cognome è scritto correttamente come ai tempi attuali: una piccola inesattezza dunque quella dello scrittore che vorrebbe il suo cognome storpiato dai preti in XAXA  'fino alla metà del secolo scorso'). Una Francesca Sciascia, figlia di Gerlando e 'Hieronima' Sciascia, viene battezzata il 7 aprile 1685. Ma sappiamo di certo che il primo antenato di Leonardo Sciascia, di cui vi sia cenno nei registri parrocchiali racalmutesi, di un 'mastro' e - guarda caso - si chiamava Leonardo. E' un dato che ricaviamo dall'atto di matrimonio di un sicuro antenato di Leonardo Sciascia: mastro Giovanni Sciascia che il 29 settembre 1726 si coniugava con Anna Scibetta, figlia di mastro Stefano Scibetta e della defunta Rosa Anna Rizzo di Racalmuto.
In quell'importante atto di matrimonio leggiamo che Giovanni Sciascia era figlio di «fu m.° Leonardo e Vincenza Quagliato vivente, olim jugati Civitatis Agrigenti et Parochiae s. Petri». Non abbiamo avuto modo di acclarare questa notizia presso i libri della parrocchia di s. Pietro di Agrigento. Lì, certamente, si risolverebbero i dubbi sull'origine di quel Giovanni Sciascia e cioè se anche lui era agrigentino come la mamma - ma non ci pare - o se agrigentino era il padre Leonardo.
Si dà il caso che risulta avere un fondamento di verità quanto ebbe a dichiararci una lucidissima nonagenaria zia di Leonardo Sciascia , che ci accordò una simpaticissima intervista. La ancor bella anziana signora ci parlò di un'origine agrigentina del nucleo familiare di Leonardo Sciascia, anche se ravvicinata alla fine del secolo scorso.
Eccone una parziale trascrizione dell'intervista, fatta nel luglio del 1993:
 
Voce della zia «..nuh! ..ora mio nonno si chiamava Calogero.... chiddu Leonardo... ora chissu discindiva di una famiglia di Agrigento... unn'è ca mi pozzu ricordari  di chiddi vecchi --- Chiddi chhiù vecchi di mia!
E mmi diciva ca un biaggiu ma patri.. cci diciva cca so nannu sichiamava Sciascia Pasquali comu Sciascia lu patri di chissu Leonardu.....
'Ma patri Pasquali Sciascia era figliu di Caliddu .... Ora chisso Pasquale Sciascia, ma patri, era figliu di Caliddu ... lu zi Nardu lu fratellu di mio nonno.
Ma patri ca si chiamava Pasquali Sciascia ... so patri si chiamava Caliddu .. e lu patri di ma nannu Caliddu si chiamava Pasquali ed era di  la parti di Agrigento .. Ora chissu nonno di ma patri si chiamava Pasquali, comu ci dicu iu, dici ca discinniva di barunatu... ora chistu Nardu,  lu frati  di ma nannu, erano capumastri di li mineri, quannu spirmintaru li mineri, era capumastri di li mineri
Ora chissu ma zzì Nardu stava a lu Munti unni stava la maestra Sciascia e c'era ma zza' Marietta Sciascia, ca pua si marità cu uno ca si chiamava Pippinu Sciascia...
Iddi stavanu dduocu .. nastri stavamu a la parti di ccà ncapu .. Quannu mi spusavu iu a lu Carminu .... Ma patri stava a la Madonna di La Rocca.  Però nni trattavamu.... echi ristà chistu Nardu, chistu chi murì ...e  ogni tantu quannu  c'eranu certi occasioni... L'urtimu viaggiu ccu chissu secunnu cuscinu Leonardo Sciascia  nni vittimu nni mma' zza' Marietta., la maestra Sciascia ... ca murì lu maritu....
[Precisazione di un familiare presente:]  «E' la sorella del padre di Leonardo Sciascia. La zza Marietta. La zza'  Marietta e lu padri di Leonardo, lu zzì Pasqualino erano fratello e sorella. [Chiarimento della figlia:]  Ma nanno era Pasquale e lu patri di chissu Leonardo Sciascia era Pasquali. Eranu figli di frati.»
[ Continua la zia intervistata] «.. po' chissu ma nannu Caliddu  lu purturu  ccà, nilla provincia di Agrigentu, .. nun ricordu chissu paesi  come si chiamava -- chissu ma nannu Caliddu... ed era capumastru comu ora li chiamamu 'ngegnera .. pi sfruttari lo zolfo. Ma nannu aviva novantasettanni -- murì nel 1921  [era del 1824, Agrò]. Lu zi nardu badava ccà e chissu ma nannu furistieri ... Ma nannu aviva la passioni di la caccia .... C'era però sempri lu filiddu di la religioni: ma nannu  era religiosu ... A novantasettianni si nni jva a la Matrici a vidisi la missa ..Lu zzi' Nardu nun mi lu pozzu ricirdari ...ma nannu era accussì..» 
 
La ricostruzione della zia di Leonardo Sciascia qualche perplessità in noi la suscita: stando ai diligenti archivisti preti della matrice non abbiamo dubbi sul seguente succedersi generazionale:
 
 



 Leonardo Sciascia

[nato attorno al 1670]

e

Vincenza Quagliato

di Agrigento

sposatisi prima del 1726
 
 
 
 
 
 




Giovanni Siascia

mastro sposa il 29.9.1726

Anna Scibetta

di m.° Stefano e fu Anna Rizzo

e muore a 68 anni il 28.3.1766
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 




Leonardo Sciascia

mastro sposa il 7.1.1754

Innocenza Alfano

di m.° Bartolomeo e Caterina

e muore il 31.8.1801

 
 
 
 
 
 
 
 



Calogero Sciascia

mastro sposa il 24.2.1802

Francesca Scibetta

 di m.° Pasquale e Calogera Nalbone
 
 
 
 
 
 




Pasquale Sciascia

nasce il 26.8.1810

muore il 12.9.1879

mastro, sposa

Angela Alfieri
 
 
 
 
 




Leonardo Sciascia

 sposa il 25.10.1884

Anna Sciascia
 
 
 
 




Pasquale Sciascia

nasce il 27.1.1887

il 27.3.1920 fa gli sponsali

e l'8.3.1920 sposa

Genoveffa Giuseppina Martorelli

di Giuseppe e Rosalia Fantauzzo
 
 
 
 
 
 
 




Leonardo Sciascia

scrittore

nato a Racalmuto l'8.1.1921
 
 
 
Si gradiscono osservazioni anche critiche. Scrivere a: ctavern@tin.it





[1] Leonardo Sciascia - Occhio di Capra, Adelphi, Milano 1990, pag. 11.