giovedì 15 novembre 2012

Quelle livide vampe di colore che legano Guttuso a Picasso


  Articolo di Carmelo SCIASCIA

Domenica 25 novembre alle 16 al Cine Fox di Caorso verrà inaugurata la mostra di Carmelo Sciascia, conosciuto come “il Piacentino di Sicilia” ,da “Guttuso a Caorso:da pittore a pittore”. Ecco una riflessione ,pubblicata sulla pagina culturale dal giornale "Libertà" , dello stesso  Sciascia sul maestro Guttuso
Il pretesto di scrivere e parlare di Guttuso mi è stato dato da una mostra che si tiene a
Roma dal 12 ottobre al 10 febbraio, nel complesso del Vittoriano - “Guttuso 1912-2012”-, cento opere per celebrare il centenario della nascita. Cento opere per celebrare e rappresentare la vita del pittore. Ma è veramente il centenario dell’artista?


Il centenario dovrebbe in realtà essere già passato. Nel silenzio. Perché le date anagrafiche non coincidono con quelle delle ricorrenze.
Infatti Guttuso, ad essere precisi, nasce a Bagheria il 26 dicembre 1911, figlio di Gioacchino di professione agrimensore e di Giuseppina D’Amico, ma la nascita viene dichiarata dal padre a Palermo il 2 gennaio 1912; per contrasti con l’amministrazione comunale di Bagheria a causa delle idee liberali della famiglia: il nonno di Renato aveva combattuto con Garibaldi.
Quindi nasce anagraficamente “nella splendida e misera Palermo di quegli anni, di sempre (splendida e misera Palermo lo è sempre stata. E lo è!).
Ma la ripicca di Gioacchino Guttuso è rimasta un fatto puramente anagrafico; quando si parla di Guttuso, della sua pittura, si parla di Bagheria. Il paesaggio, la gente. L’intraprendenza e l’acutezza dei bagheresi, i fasti e nefasti dell’amor proprio. La vampa dei colori, la morte. Bagheria con le sue ville settecentesche, estremo delirio dell’anarchia baronale; coi suoi giardini di limoni, in cui delira l’anarchia mafiosa. I mostri di Palagonia. Il mare dell’Aspra.
Sarà la data di nascita un primo indizio per cui Leonardo Sciascia ha creato una formula che riassume la condizione di Guttuso: il pittore “roso dalla certezza” (in contrapposizione a “roso dal dubbio”). E non era lo scrittore stesso ad affermare di contraddire contraddicendosi? E non è ancora l’epico Brecht ad affermare che “nelle contraddizioni risiedono le nostre speranze”?
Tutto questo per introdurre il discorso sull’arte di Guttuso.
Un’arte accusata di essere in contraddizione con se stessa, di essere cioè molto realista e nello stesso tempo di avanguardia, di essere espressionista e nello stesso tempo cubista. Quando Ricasso compiva novant’anni, Guttuso sessantenne così lo descrive nelle pagine di un vecchio Almanacco del PCI: “Picasso è stato svillaneggiato, periodicamente è stato deciso che non aveva più niente da dire. Qualcuno ha detto: Picasso è finito con Guernica (un’opera dove si condensano e si fondono in un ruolo di unità e di potere espressivo la ragione poetica e la ragione civile). Anche il fatto di essere uomo del suo tempo, uomo che partecipa e sceglie, di essere partigiano della Pace e un comunista, non gli viene perdonato”.
Ciò che Guttuso scrive per Picasso qualcun altro avrebbe potuto scriverlo per Guttuso o, Guttuso medesimo per se stesso. Perché Guttuso oltre che dipingere ha anche scritto molto (interventi sull’arte, la politica, di costume e di varia umanità). Si disse, molti in Italia lo scrissero anche, che Guttuso era finito con la Crocifissione. L’equazione Picasso era finito con Guernica come Guttuso era finito con La crocifissione, doveva rivelarsi un falso ideologico di portata storica. Guttuso comincia a firmare i suoi lavori a dodici anni e dipinge fino alla sua morte avvenuta a Roma il 18 gennaio 1987 all’età di 75 anni. Muore per un tumore ai polmoni. Stava lavorando alla sua ultima opera, Nella stanza le donne vanno e vengono, un quadro simbolo della sua vita d’artista e d’uomo. Ciò che si può dire rappresenti Guernica per Picasso lo si può dire della Crocifissione per Guttuso. Guernica nasce dal dolore di Ricasso per i bombardamenti tedeschi sulla cittadina spagnola, Crocifissione nasce dalla reazione di Guttuso alla guerra, al dolore provocato dalla guerra.
Quest’opera vinse il premio Bergamo nel 1942, anche se l’opera era stata eseguita a cavallo degli anni 40/41. il Premio Bergamo nasceva in contrapposizione al premio Cremona. Il premio Cremona aveva visto vincitore l’opera “In ascolto” di Luciano Ricchetti, di cui ce ne rimane un frammento alla Ricci Oddi. E potete osservare quanta distanza, estetica oltre che ideologica, esiste tra le due opere. Classicheggiante e di propaganda la prima, cubo- espressionista d’avanguardia la seconda.
Il premio di pittura a Cremona venne ideato nel 1938 da Roberto Farinacci. Il gerarca intendeva affermare con questo premio la necessità di un’arte figurativa di immediata comprensione che potesse portare ad una corrente artistica legata al fascismo.
Il Premio Bergamo era stato promosso nel 1940 dall’allora ministro dell’Istruzione Giuseppe Bottai, in risposta e forse anche in contrapposizione a quello di Cremona voluto da Farinacci.
Una parentesi. Tra i vincitori del premio Bergamo ricordiamo un altro piacentino, Bruno Cassinari, vincitore nel 1941, con il ritratto di Rosa Birolli, conosciuto come Ritratto di Rosetta.
Tornando a noi, anzi a Guttuso che così annota sull’opera:
“avevo impiegato molti anni a pensarla, e mi era venuta in mente guardando Guernica di Picasso. Quello che mi interessava raccontare era il supplizio dell’uomo, e la drammaticità dell’atmosfera in cui il supplizio si svolgeva. …Le facce atterrite di Guernica. I ghigni infernali di Bacon. Avevo dipinto la Crocifissione con animo realmente religioso”.
Il tema della Crocifissione apre la tematica dei cosiddetti “massacri”.
Guttuso è l’avanguardia in Italia, guarda a Picasso, al Cubismo ma soprattutto ad un’opera di Picasso: Guernica.
Quest’opera, come da molti è stato sottolineato, non è altro infatti che il moderno sviluppo in chiave moderna di un’opera siciliana del 400 che Guttuso ha avuto sempre modo di ammirare ed interiorizzare: “ Il trionfo della morte” un affresco di Palazzo Sclafani a Palermo. Un’opera oscura e misteriosa come la vita! “Io (credo) in un’arte in cui sia possibile rendere conto delle passioni e dei sentimenti quali essi sono nel cuore umano; in sé e nella loro realtà essi sono infinitamente misteriosi e difficili da investigare così come l’immagine del mondo quale è, è anch’essa difficile, profonda, oscura. “






Mi sono accorto solo ora che l'articolo non figurando firmato sembra che l'abbia scritto il blogger che poi sarei io. Anche se talora ho scritto qualcosa su questo grande esponente del PCI e se nella rissa GUTTUSO-SCIASCIA è stato sempre chiaro che sto dal perte di Guttuso, su tanto grande maestro non posso vantare critiche mie personali. Quello che qui sopra leggete è tutta farina del sacco di Carmelo Sciascia, intelletuale di vaglia, colto esteta e valido critico di opere d'arte. Onore al merito.

martedì 13 novembre 2012

Polvere "il grande processo dell'amianto"


Da anni, in Europa, l’amianto è associato al pericolo, alla malattia, alla morte. Perché, allora, il 70% della popolazione mondiale è ancora esposto a questa fibra mortale? La produzione di amianto nel mondo ha ripreso a crescere, grazie all’enorme consumo delle economie in rapido sviluppo come India, Cina e Russia. La lobby dei paesi esportatori, con  in testa i Canadesi (che lo producono e lo esportano nei paesi in via di sviluppo, ma non lo usano), è potentissima e agisce nelle sedi internazionali per influenzare le politiche dei singoli paesi.
Nel mondo 100.000 persone muoiono ancora ogni anno a causa di questa fibra killer. Ma nonostante questo, l’amianto è un business a cui pochi sono disposti a rinunciare.
E’ questo scenario internazionale di catastrofe silenziosa il protagonista muto e sempre presente del film documentario di Niccolò Bruna e Andrea Prandstraller.
Il racconto di "Polvere. Il Grande Processo dell’Amianto" si snoda attraverso i primi mesi delle udienze del processo penale contro i grandi padroni internazionali dell’amianto, in corso a Torino.
Le accuse a carico del barone belga De Marchienne e del miliardario svizzero Schmidheiny sono pesanti: strage volontaria e omissione di
cautele sanitarie.
Gli accusati ,condannati in primo grado a 16 anni per disastro innominato dolosoaggravato dalla verificazione del disastro e omissione dolosa di cautele contro infortunisul lavoro, aggravata dalla verificazione di infortuni ,sono due dei principali azionisti della multinazionale Eternit, il gigante svizzero-belga che per 70 anni ha dominato il mercato mondiale.
Una comunità intera, quella della piccola città di Casale Monferrato, in Piemonte, lotta per ottenere giustizia per i suoi quasi 3000 morti, tra ex operai e semplici cittadini.
Il film segue la vita quotidiana e la partecipazione al processo di un piccolo gruppo di (ormai anziani) attivisti, che hanno speso la loro vita per ottenere giustizia: ciascuno di loro porta con sé da trent’anni il suo carico di lutti e di paure, che hanno rafforzato la loro determinazione a stringere i denti e ad andare avanti.
Nicola, Bruno, Romana e gli altri sono eroi comuni del nostro tempo, esseri umani per cui la testimonianza e l’esempio sono diventati ragione di vita.
I mesi dell’inizio del processo sono anche gli ultimi mesi della vita di Luisa, una combattiva cinquantenne, ex assessore all’ambiente del comune, sempre in prima fila nelle battaglie per la salute pubblica.
Mai lavorato all’Eternit, ma anche lei vittima del male da amianto…
Poi una finestra si apre, e da qualche parte nel mondo, un po’ più lontano e sotto lo stesso cielo, in Brasile e in India, industriali e attivisti, trasportatori e operai, replicano davanti ai nostri occhi, oggi, l’eterno gioco delle parti, rimpallandosi certezze, silenzi e mezze verità.
Così Casale Monferrato come Bari, Broni, La Spezia, Taranto e  le altre città vittime dell’amianto ,tutte ad  un tratto ,smettono di essere il passato, per trasformarsi nel futuro di una parte dell’umanità ancora ignara…

Postato da Lillo Mendola

lunedì 12 novembre 2012

Comunicato ai miei nemici!


Se qualcuno di voi dovesse dilettarsi a farmi radiare da Facebook (per sette giorni) e avesse possibilità di sbirciare questo mio "post" sappia che ho già interessato questura, prefettura e procura sollecitando gli uffici di Stato preposti alla sicurezza dei cittadini di indagare.
Se si è trattato di una bravata di qualche "asino ragliante" , nulla quaestio ma se vi si annida un ammonimento (come il mio naso racalmutese da dieci generazioni subodora) mafioso o paramafioso, credo che ora ha di che tremare.
Questo Stato non è lo Stato burletta che una minoranza della minoranza racalmutese crede o vuol far credere.

domenica 11 novembre 2012

Perché quella "sanzione" ?

Se mi hanno bloccato Facebook per sette giorni è perché qualcuno (e son sicuro racalmutese) ha usato quelle diavolerie che siffatta azionaria consente per tutela - dicono loro - di coloro che si dovessero sentire molestati in qualche modo. All'azionaria poco interessa se i profili abbondano di adescamenti sessuali anche sotto l'età consentita, se ingannevolmente si usano post per indebita pubblicità. O 
almeno credono.

Vorrò vedere con la Consob se ciò è ammissibile. Ma a me perché quella "sanzione" infondata dato che non ho molestato nessuno chiedendo "amicizia" indesiderata (nel qual caso basterebbe non accedere alla richiesta)? Non so. Un dubbio c'è l'ho. Sono andato a pestare i calli a qualche giornalista o moralista da strapazzo? Sono così sciocchi? Forse però si tratta di ammonimento .. ammonimento mafioso o para mafioso. Perché? Qualcuno può essersi terrorizzato per i miei accenni allo sfracello dell'archeologia locale, al piano regolatore in fieri. In questo caso se polizia, antimafia, questura, prefetto, polizia municipale vigila o deve vigilare che si dia da fare, che acclari. Non può essere loro negato l'accesso agli arcani di FB. Se poi mi dovesse capitare qualcosa, che si sappia fin d'ora da dove mi può venire il guaio. E' certo che non mi hanno intimorito. Continuerò imperterrito.

E’ tempo di “mea culpa”, basta con “tua culpa”.

Di questi tempi, in una Racalmuto con seri problemi, mi tocca qui a Roma di sentir ciance, pettegolezzi, sussurri, blasfemie, insulsaggini. Sono quasi sempre i moralismi della bassa cultura dei sotto scala del politicume paesano (specie quello qualunquistico che accusa tutto e tutti, dimentico delle proprie scelleratezze, come se gli altri non sapessero, non giudicassero, non condannassero). Ce n’è anche per me che da sessant’anni sto lontano che so? A Roma, a Modena, a Messina, e poi di nuovo a Roma e soprattutto girovago per il Nord Italia, scansando la Sicilia per evitare vendette e minacce trasversali? Non sono un eroe ma credo di non avere colpe oltre l’umano limite. Il mio “asino ragliante” la pensa diversamente ma si guarda bene dal palesarsi.
Una cosa è certa: non sono un “delatore”. Denuncio, se posso fatti e soprattutto misfatti ma non ho mai fatto nomi e le mie denunce sono alla luce del sole . Il termine “delatore” mio poco caro “asino ragliante” non ci azzecca direbbe il capo dell’ IDV cui prima qualcuno si aggregava ed ora lo danna alla gogna (a mio avviso fondatamente). Hai poco “mio asino ragliante” di voler fare il “conciliatore” ; l’invito al “volemose tutti bene” è ipocrita ed autoreferenziato. Arriva il giorno del giudizio. E non c’è solo il giudizio penale, c’è anche quello amministrativo di chi persegue il danno “erariale”. E manco ti puoi querelare perché sei “anonimo”.
Già debordo io. Ma non ho mai detto a nessuno che sono perfetto: in questo son tutt’altro che racalmutese. O meglio il “racalmutese” del sottoscala culturale. Purtroppo a Racalmuto si legge poco e si presceglie solo il “vacuo”. La rivista patinata di moda il quotidiano sportivo. Magari il romanzetto che invita ad andare “là dove ti porta il cuore”. Tutti amano Sciascia: ma quanti a Racalmuto l’hanno letto. Aggiungo io, per fortuna. Guarda che invito al sonno dei docenti che formulava. L’ho pubblicato nel mio vecchio FB (oggi messo al silenzio per sette giorni senza spiegazione alcuna). Dicono che la sala del suo sonno maggiolino è stata “smerdata” dalla mafia per dare un messaggio intimidatorio forte.
 Pare che ci abbia creduto anche la prefettessa; le si è accodato – penso malvolentieri perché lui sa e non può non sapere – il numero due della nostra non beneamata commissone del Palazzo delle monache foraggiate da Donna Aldonza del Carretto. Vi sbraitavano ossesse. Tutti tutte a dire “povera Racalmuto in mano alla mafia non solo criminale ma anche imbecille”. Imbecille perché: ma ve li immaginate “picciotti” della folkloristica invenzione giornalistica delle “cude chiatte” o del contrapposto firmamento degli “stiddara” andare furtivamente di notte a “smerdeggiare” località sacre alla cultura (ma domandate al 99% della gioventù racalmutese “ chi è Sciascia”, quando vi va bene vi diranno ”lu pupu di la chiazza”). Rischiare tanto per ricavare nulla. Un messaggio? Figuratevi la mafia che dà messaggi a chi nulla conta: alla scuola elementare di Racalmuto.
Certo c’è dell’inquietante negli episodi giustamente stigmatizzati. Io un messaggio forte, irato, di non più possibile sopportazione ce lo vedo: quello di bambini o bambine, che non amano la scuola perché la scuola è allo sfascio, perché chi insegna non sa spesso neppure accendere il computer, perché pensa alla cattedra che sfuma, perché è uno di là degli anni ancora precario, perché è madre di famiglia che deve scappare a casa per accudire i suoi bambini, perché la mattina si è alzata alle quattro per raggiungere il posto di lavoro ( (e chi oggi ha nove, dieci, undici anni non è più il babbeo come eravamo noi alla nostra età, quelli insomma che ben descrive nelle sue ostili cronache scolastiche Leonardo Sciascia – sa ribellarsi, sa persino impiastricciarsi e purtroppo qualcuno qualcuna sa anche impasticcarsi); guarda caso questa è poi la scuola che per giunta paga male. Sì, ogni occasione è buona per marinare la scuola, ma non in quanto alunni ma in quanto docenti. Vero è che Racalmuto non è Lampedusa o che so la lontana Carini, ma tant’è.
Non mi va si additi arrogantemente il vicino di casa, il politicante avversario, il compagno di cattedra, il prete, l’educatore sfessato come colui cui gridare: “tua culpa” “tua culpa”. Sono sempre comunista ma un po’ meno vetero per invocare l’autocritica. Una cosa almeno: invece di mettersi in ginocchio davanti la Matrice come imponeva la santa romana chiesa di giorgenti ai lontani cugini che intendevano sposarsi nel Settecento e fare penitenza con la corona di spine (falsa) in testa e con la coroncina del rosario da sgranare sino alla noia (se non mi credete, fatevi avanti che vi umilio) almeno pensate, almeno sussurriamoci “mea culpa – mea culpa”. Ma mi amo troppo per dichiararlo pubblicamente.

Crisalide




Se un albero no un arbusto quaggiù, una luna no il sole lassù e la farfalla argentea aurea e nera lascia nella mano prensile dell'uomo neghittoso e vacuo la sua policroma polvere, se dopo la farfalla vola cosa rimane all'attonito bipide? Il fastidio dello spolverio. Sensi reconditi? Nessuno e tanti. Svolazzo di una fantasia nata tra il Monte e la Piazzetta, in una Racalmuto ancora sgomenta per una guerra insana ma appena trascorsa. Poesia o vacuo artificio "rondista"? Vi è la farfalla ma è ancora quasi crisalide. Possiamo citare Sciascia? pare di no per un maledetto imbroglio di laica simonia. Ma Agato Bruno ignora, si ispira e dipinge. Per la nostra delizia, questo è sicuro.

Rallegramenti per il trenta in Logica


Né mai mi contraddissi né mai contraddissi.
Solo il mutare del mio esistere, solo il mutare dello spazio vitale che in totale libertà ho potuto prescegliere per l’esplodere delle doti che qualcuno dice che Dio mi ha dato. Non ho nulla di cui lamentarmi. Forse la mia scarsa avvenenza fisica: ma questo mi ha reso fortunato; non sono finito nelle grinfie di frosci né in quelle di megere dalla faccia d’angelo. E tutto sommato la mia vita sessuale è stata normalissima. Senza traumi.

In una cosa non sono racalmutese .. mi guardo bene dall’essere di “tenace concetto” che mia moglie tradurrebbe in ”coccia dura”. Ecco perché nel pubblicare questa ultima  mia lettera ad Alfredo Sole forse qualcuno noterà qualche nota di mia resipiscenza. Chi conosce il mondo greco sa che Giove rende folli quelli che vuol perdere …

 Ricevo la lettera breve: comprendo ma non condivido. Avrei voluto scribacchiare una lunga missiva confidenziale. Avrei detto pensieri segreti, avrei espresso dubbi non sempre amichevoli, avrei sciorinate ciance teoriche consolatorie per me, ostili per l'interlocutore. Avrei premesso: straccia prima di leggere. Che bel coraggio da parte mia! Seduto in poltrona, al calduccio di un termosifone che non è al massimo e mia moglie si lamenta. Ma è uzzolo di gente ormai benestante da decenni che non ricorda più i tempi dei biblici anni magri.
Scelgo di risponderti pubblicamente. Se non altro dovrò contenermi. Ed è giusto. Del resto non credo che le lettere che ti arrivano non vengano sbirciate soppesate messe a verbale pronte a venirti contestate. Quel che appare qui è pubblico, si autocensura da se.
Non condivido perché se qualcuno facesse qualcosa senza che i superiori fossero tacitamente consenzienti, apriti cielo. A dir poco un immediato trasferimento in posto lontano e addio casetta fatta con i risparmi, congiungimento col coniuge magari insegnante e altre piacevolezze. Ed allora? Chi dirige un carcere come OPERA deve avere prima trangugiato ben bene Pirandello, La machera e il volto o Rosso di San Secondo: tra vestiti che ballano.
Ad OPERA non si muove foglia che il SUPERIORE non voglia o al massimo non tollera. Ad Opera va un giudice, uno della casta: si è fatto beccare: diviene pera marcia. Da vessatore vessato.. immagino la reazione di chi vessato lo è stato sempre. Disperato umiliato offeso tenta davvero il suicidio. Tutta la stampa nazionale, la televisione sbandierano la notizia. Sono stato dall'altra parte per sapere l'orgasmo di chi doveva comunque mantenere la disciplina. Ed allora proprio in quel momento qualcuno diviene furtivamente blando? Non ci credo. Mi sbaglierò ma sono stato uno che veniva considerato il massimo dei segugi ispettivi antibancari. Presumo naturalmente.
Come presumo quando leggo le pagg. 261-276 di Tanu Savatteri. Rewind già; bella parola inglese per un non ricordo o un ricordo di comodo. Una confessione ramazzata per la bisogna.

Già reo confesso. Sono sicuro: Alfredo Sole non ha mai confessato non si è mai confessato neppure da bambinello (sospetto). Vedo discrasie, vedo incongruenze, vedo astuzie, vedo persino sberleffi. Io ho la mia verità su Alfredo Sole che non è manco la verità che sottoscrive Alfredo Sole.
E la mia verità è in qualche modo assolutoria. Quella di Alfredo è in qualche modo mistificatoria (a suo danno, per lasciare intemerato qualcun altro).
Morto lu zzi Alfonso vi furono dicerie. Io stavo lontano, stavo a ispezionare una banca a Milano per sapere in via diretta, per capire. Francamente non ne seppi nulla. Mi si disse che si disse. Che valore ciò può avere? Nulla. Lessi Tanu, ne fui stomacato perché sia pure in perfetta buonafede si dileggiava un paese che amo tanto perché è il mio paese, il paese dei miei avi per una decina di generazioni. E sono avi integerrimi, nulla a che fare con le escrescenze delinquenziali, con infiltrazioni di stampo mafioso.
Ho quindi un certo DNA e non è merito mio.
Ma chi questo DNA non ce l'ha cosa può fare: sbagliare prima e rinsavire dopo.
Solo l'altro  ieri - dopo che finalmente lo scritto di Alfredo arrivò ad Articolo 21, ho capito che una cosa è il 41 bis un'altra il 4 bis e non c'è refuso.
E manco avrei sbagliato a leggere il mio
REWIND.
Annoto: lu ‘zza Arfonzu non poteva dire a nessuno "entra nella mafia". Lu 'zza Arfonzu si sentiva un uomo d'onore, un amico degli "amici", uno che stava alla pari  anche per eredità con i massimi "uomini di pace" (a modo loro s'intende).
Se gli dicevi che era mafiusu per lo meno ti mollava un ceffone che ti faceva girare tre volte, senza magari ucciderti come un antenato di uno scrittore amico mio.
Lu 'zza Arfonzu non distingueva tra piedi chiatti e stiddara, tragiche allocuzioni giornalistiche. Lu zza Arfonzu forse fu chiamato a Canicattì per cercare di bloccare o almeno frenare la deriva della droga a Racalmuto. Certo la sua attività di paciere non l'arricchì, ci rimise solo la pelle.
Mi fa specie vederlo chiamato insolentemente "il paciere con la coppola storta" o il capo delle "code chiatte". Il giornalista deve essere folkloristico ma quando dileggia i morti mi fa schifo.
Procediamo: Se Alfredo fosse stato il vero esecutore non viveva neppure un’ora di più
pima del fratello e credo dello zio. Questa è logica. Allora? Un mistero la cui soluzione non ho; la troverò nelle fantasie in coda al mio attuale romanzetto La Donna del  Mossad. Dovrei continuare ma Cui Prodest ?
Quello che potrebbe giovare ad Alfredo è: smetta un tantinello di essere alla racarmutisa un uomo di "tenace concetto" "coccia dura" direbbero altrove, testardo come un mulo di Calabria nella stessa Sicilia.
E' uomo di tenace concetto come lo sono io e perciò lo capisco. Si "confessi" col signor direttore, col giudice di sorveglianza, Non c'è bisogno di danneggiare nessuno che non sia già morto. Ci consenta di perorare dal giudice competente la fine del 4 bis (l'ostatività). Lo dovrebbero quindi trasferire in un carcere per non ostativi e potrebbe riavere il suo computer. Oggi non glielo dà nessuno perché potrebbe servire ad altri, malgrado tutto. Ma qui spero di sbagliarmi.
Dall'altro carcere la via per una semilibertà è agile essendo ormai il prossimo dottor Alfredo Sole, un altro uomo alla Veronesi. A proposito rallegramenti per il Trenta in Logica.