sabato 21 febbraio 2015

Chi oggi è in grado di decifrare codeste CONFESSIONI del banchiere Geronzi? direi pressoché nessuno; neppure lo stesso don Cesare direi, visto che mi sembrano pagine atecniche scritte dal geniale Angelo De Mattia. Eppure Crocetta e suoi assessori e consiglieri, dovrebbero capirci qualcosa

Chi oggi è in grado di decifrare codeste CONFESSIONI del banchiere Geronzi? direi pressoché nessuno; neppure lo stesso don Cesare direi, visto che mi sembrano pagine atecniche scritte dal geniale Angelo De Mattia. Eppure Crocetta e suoi assessori e consiglieri, dovrebbero capirci qualcosa a ddifesa della Regione Siciliana. Ed anche Messina a difesa della chiudenda gloriosissima filiale della Banca d'Italia. Ma se manco Visco ed  i suoi consultori saprebbero capirci qualcosa mi vanto di capirla tutta la musica geronziana. No?Vogliamo provare?
 
 
 
 

Tacitando magari le lingue dei familiari e dei residui NOCINI che non ammettono che Sciascia non fu né tuo , né mio ma manco loro: insomma che Sciascia fu solo di SCIASCIA.


Lillo Taverna Caro Piero, con la dissennata schiettezza che mi contraddistingue e e che talora ti indispettisce, ti dirò che i due aforismi, così staccati dal testo di un articolo ribollente di rabbia rappresa, non ci azzeccano con la vicenda Cavallaro che stiamo vivendo, contestando e coartando.  Le frasi estrapolate dal contesto acquisiscono significati, strani,  aberranti, impropri ad uno Sciascia sempre corrucciato e compunto, ai suoi soliti stilemi, dunque.  Copio giù in brutta scannerizzazione l'intero articolo. Sulla estranea La Stampa del 6 agosto 1988 Sciascia ha voglia dispaccare il mondo, di rompere il sedere al grande  guru del giornalismo dominante  Scalfari. Da Milano calunnia e dilaga il figlio nientemeno del martire non so di che Generale della Chiesa. Il nostro compaesano Garlisi ancora trema, imbarazzato cerca solo di eclissarsi.  Articolo di circostanza, dunque.  Serenità nulla, valore filosofico evanescente.

Lillo Taverna Certo a me mi manda in brodo di giuggiole. Ecco lo Sciascia passato all'Antimafia, a Borsellino, al culto del morto Falcone. Vien da ridere. Sciascia resta contro i professionisti dell'antimafia. E cavolo se aveva ragione e figurarsi oggi se ha ragione anche se a Racalmuto Cavallaro porta Grasso che invero sembra recitare alla rovescia la metafora di Sciascia. All'Antimafia, dopo Vigna, doveva andare un grande campione del professionismo dell'Antimafia e invece Berlusconi fa le carte false per piazzare il placido Grasso.

Lillo Taverna Diciamo, mestamente, Sciascia è morto, Scalfari non è più morto e nessuno di noi oggi può mettersi "a fare i conti con un certo candore".  Né tu caro Piero, né io, né Cavallaro, né Tano Savatteri, né l'antimafia odierna,, né Ingroia e manco Di Matteo. Ad un certo punto sembrò che ad Opera, quel tremendo carcere dai suicidi facili ove alberga come eterno ostativo il nostro Alfredo Sole, potesse Riina, ciarlando con un imbranato sodale d'alta statura (fisica) fosse in grado ancora di tirare le somme persino con candore.

Lillo Taverna Trascrivo questo spunto sui ragazzi diMalgradotutto: "SCIASCIA E I RAGAZZI DI MALGRADOTUTTO. In definitiva, i giornali appaiono a Sciascia come lo specchio del trasformismo, della sottomissione al potere politico, dell’opportunismo: ma, lui confida ancora nella memoria e nella possibilità che anche attraverso la realtà locale si possa realizzare quella libertà di stampa che lui vede assente già dai tempi del caso Moro. E questa speranza si concretizza nell’ultima fase della sua vita, quando nel piccolo paese di Racalmuto, a cui sempre è rimasto legato e della cui vita è stato sempre partecipe, nasce un giornalino, il cui nome Malgradotutto sarà definito dallo stesso Sciascia “il più bel titolo che si sia mai stato trovato per un giornale“. “Era contento, Leonardo- scrive Gesualdo Bufalino - perché quel titolo di giornale, seppure non suggerito da lui, da lui, dalla sua opera tutta, era in ogni caso ispirato. Nel senso che, contro le insufficienze degli uomini e la cecità della storia, riproponeva un imperativo di lotta, rifiutava il disinteresse e la resa. In termini di ideologia, è quello che si suol chiamare “l’ottimismo della volontà” in contrapposizione a quel “pessimismo della ragione”, cui quotidianamente le prime pagine dei giornali ci invitano.” Nel suo amato paesino, quel “cuore” della Sicilia che Sciascia ha cantato, un gruppo di ragazzi raccoglie l’eredità “giornalistica” dello scrittore, che non perse mai di vista il mondo dei giovani, a cui si concedeva più volentieri che ai critici o ai giornalisti affermati : basti pensare ai tanti incontri che ebbe con gli studenti e nelle scuole, nel corso della sua vita, soprattutto per parlare di mafia, di legalità, di giustizia, forse nella speranza che le future generazioni non facessero gli errori delle precedenti. Questi “ragazzi” sono Carmelo Arrostuto, Giancarlo Macaluso, Gaetano e Gigi Restivo, e Gaetano Savatteri. A raccontarmi della nascita di Malgradotutto è Gaetano Savatteri, oggi affermato giornalista e scrittore. A Roma, in una piccola trattoria, un buon bicchiere di vino e il pesce spada affumicato evocano i sapori della Sicilia, ed è facile ricordare l’entusiasmo, la sua adolescenza a Racalmuto, così fortemente segnata dalla presenza di Sciascia. “ Racalmuto è un paese con poco più di diecimila abitanti, la cui ricchezza è tramontanta con il tramonto delle zolfare e delle saline, su cui si reggeva l’economia. Noi ragazzi sapevamo di Sciascia, leggevamo i suoi libri, lo incrociavamo per strada…ed era impressionante per noi ritrovare sulle sue pagine la vita di ogni giorno…” Gli chiedo come mai questo titolo, così “sciasciano”… “ “malgradotutto” perché non ci credevamo nemmeno noi, mentre ne parlavamo sul treno che ci portava ogni giorno da Racalmuto ad Agrigento, dove sbrigavamo i nostri latinucci quotidiani….avevamo sedicianni…che ne sapevamo noi di giornali e giornalismo?!” - sorride Gaetano Savatteri, ripensando forse a quell’ingenua spavalderia di chi ha poca età, quella stessa presunzione che però ti fa uscire dalla noia e ti da la forza di sognare. Dunque, è la primavera del 1980 quando l’idea del giornale prende corpo… “In effetti, non sapevamo esattamente da dove cominciare, ma sapevamo che “ci voleva un giornale”, e lo mettemmo assieme raccogliendo poche idee, scopiazzando i temi che si dibattevano sui quotidiani, rivolgendoci ai fratelli maggiori e ai cugini più grandi per trovare qualche firma più autorevole di noi. Poi, attraverso la mediazione di un genitore, riuscimmo a chiedere un “pezzo” a quell’uomo silenzioso e riservato, che avevamo visto qualche volta in piazza, che tutti chiamavano Nanà o “u prufessuri”. Sapevamo chi era, avevamo letto i suoi libri e chissà quanto ne avevamo capito allora…” Così chiedete a Sciascia di scrivere un articolo tutto per voi… “Più che un articolo, eravamo tanto abituati alle cose di scuola che gli “assegnammo” un tema: “L’uomo del sud”. Sciascia si mise a scrivere a mano, buttò giù una cartellina che Giancarlo Macaluso dovrebbe pure avere conservato da qualche parte. Ci spiegò che l’uomo del sud non esiste. Ci sentimmo mortificati, forse l’avevamo irritato con quella richiesta così tassativa. E in risposta ne avevamo avuto la demolizione. Ma ormai era fatta. Quello era l’ultimo articolo per passare alle stampe.” E’ nella Chiesa del Carmelo con l’aiuto di Padre Martorana che il ciclostile lavora senza sosta per permettere ai ragazzi di “Malgradotutto” di raggiungere la “tiratura” di duecento copie, da vendere durante la festa della Madonna del Monte, quando la gente è in piazza. E’ il mese di luglio del 1980 e Racalmuto ha il suo “giornale”… “Noi ci sentivamo davvero il centro del mondo…Trovammo anche un direttore ed un amico in Egidio Terrana, più grande di noi, che è tuttora il responsabile della pubblicazione del giornale. Un giornale che nasceva dalle nostre chiacchiere, dalle chiacchiere di un paese, dall’amore e dal fuoco della discussione.” Malgradotutto assieme a quella di Sciascia, ha ospitato le firme di Bufalino, Consolo, Collura, Di Grado… “E ciascuno di noi ne ha portate altre, di amici e colleghi che per una volta emigrano dalle loro testate regionali e nazionali per scrivere su un piccolo giornale di provincia.” Un piccolo giornale di provincia, che pure rappresenta la coscienza critica della comunità di Racalmuto. Un giornale, che ha vissuto con il paese la lacerazione degli affetti e delle vite quando la mafia a ripreso a sparare… “ Venti morti ammazzati in due anni, una ferita ancora aperta nelle carni di Racalmuto. Malgradotutto ha dovuto raccontare anche questo. E ha continuato a dire che contro la mafia, anche ora che tutto sembra tornato nel silenzio, bisogna tenere gli occhi aperti.”

 

 - Chi li riconosce più?  Imborghesiti, impinguati, intrusi, contorti, dileggianti e buonisti oggi tirano la carretta. Sono eleganti nel dire, scrivono a quel dio, non si comprometto, compromettono.

Lillo Taverna Quanto bello sarebbe se il neo prescelto (si fa per dire) Cavallaro indicesse una tavola rotonda nella sua Fondazione su il tuo citato articolo sciasciano del 6 agosto 1988, ma concedendo ampia parola ad eretici quale mi reputo, ad ortodossi del culto sciasciano quale tu sei e a lingue non ossequienti. Tacitando magari le lingue dei familiari e dei residui NOCINI che non ammettono che Sciascia non fu né tuo , né mio ma manco loro: insomma che Sciascia fu solo di SCIASCIA.

Dissi una volta


Calogero Taverna

18 minuti fa nei pressi di Roma

C'è stata la visionaria di Madugorje che ironizzando approva il Comune di Racalmuto che "dopo accertamento con esiti negativi" mi ha negato la mia residenza natia. Che debbo dirle: non è che ci abbia perso molto mi è rimasta quella ineguagliabile della "residenza romana", di Roma "splendore del mondo" ... a parte papa cicciu.
Il CONFITEOR di un banchiere incallito
Qual è il confiteor di un grande banchiere incallito, ormai però giunto all’occaso se non della vita - Cesare Geronzi a 77 anni avrà ancora decine e decine di anni per imperversare - certo degli affari?
E’ lui stesso a sentirsi peccatore. E le sue confessioni dovrebbero dissimulare quelle di Sant’Agostino o filosofeggiare come un moderno Rousseau.
Diciamo ch...e noi ci attendiamo questo suo esplosivo libro da sei o sette mesi. Ora è uscito e ci troviamo a dovere centellinare ben 362 pagine di feltrinelliane confessioni, estorte a dire il vero da un non troppo benevolo Mucchetti.
E noi che per vecchia professione siamo portati a diffidare di tutti e di tutto, pensiamo che un danno enorme quel sapido testo l’ha già provocato. Uscito a ridosso di una importante seduta della Cassazione crediamo che abbia dato aire a giudici sgomenti dinanzi a tante protervie giuridiche per una “esemplare” condanna del pio Fazio, un tempo governatore a palazzo Koch. Non si poteva aspettare un paio di giorni? Perché tanta incontinenza?
Fuge rumores sospirava Baffi. Ma un pensiero pascaliano ebbe a soffiare nel cuore e nella mente del banchiere Geronzi: Sempre in balia dell'incertezza, spinto da un estremo all'altro, l'uomo sente la sua nullità, la sua disperazione, la sua insufficienza, la sua dipendenza, la sua debolezza e salgono immediatamente dal profondo del suo cuore la noia, la melanconia, la tristezza, il cattivo umore, l'irritazione, la disperazione. (B. Pascal)
E volendo parodiare anche Rousseau soggiungiamo noi: Pur muovendo da impulsi disparati e con ragioni e scopi differenti, la maggior parte degli interpreti o seguaci di Rousseau hanno individuato nell’interesse per la politica la nota saliente della sua personalità: è lui [cioè Rousseau] stesso ad ammettere nelle sue Confessions che «tutto dipende radicalmente dalla politica» 11, in quanto un’organizzazione politica equa risolve il problema della teodicea, ridando così moralità alle azioni umane.
Bombardati dai giornali con i loro effetti annunci, ci siamo subito domandati a che tende il dottor Cesare Geronzi? Quale il suo obiettivo? Mughetti, pur nordico, è criptico: dopo si vedrà se vi sarà assonanza con il suo obiettivo: Non vi sarà mai, perché un giornalista è sempre colui che spiega bene agli altri quello che lui non sa, non comprende e spesso non vuol capire. Già, far luce su “trent’anni di potere, banche ed affari”. Ma è lui stesso a dirci che quella sua specifica (o speciosa) luce l’ha già irradiata con tre decenni di lavoro di giornalista.
Noi ci domandiamo: siffatti opposti obiettivi (Geronzi tenterà solo di assolversi o di condannare) stridono con le modeste nostre indagini? Le abbiamo fatte per incarico pubblico, le abbiamo sofferte per dissidenze etiche e politiche, le abbiamo propinate con la dissacrazione icastica che ci riviene dal piccolo borgo del sale e dello zolfo in cui siamo nati.
Sin d’ora noi lo sappiamo: giammai!
Abbiamo sbirciato il grosso volume. Ci colpisce innanzi tutto l’assenza di nomi eccellenti, di protagonisti sotto traccia, di citazioni giudiziarie, di risultanze ispettive, di provvedimenti amministrativi, di sentenze esemplari, di esiti giudiziari.
Qualche esempio: non troviamo Lucio Veneziani, non troviamo il dottor Somma, non troviamo esuli dalla consulenza legale della Banca d’Italia. La vicenda Sarcinelli viene sfiorata secondo le più consunte vulgatae. La storia del Banco di Sicilia, dell’Irfis, dell’Interfinanza sindoniana, tutto nelle brume di chi forse a ragione può dire: non ricordo, perché in effetti non protagonista. Il dottor Desario (scritto senza d minuscolo e senza aristocratica separazione) citato una sola vola. Dini non riusciamo a pescarlo neppure con la più dilatante lente di ingrandimento. E Gnudi? La Moscow Narodny London pare vi sia, ma sepolta chissà dove. Pare solo in una domanda dell’intervistatore.
In compenso, dilatate vicende forse più personali che emblematiche.
Divagazioni su pontefici, cardinali e in un punto su un papa in pectore, lasciano in ombra personalità quali il ministro Colombo.
Avrò di che pensare; avrò di che cercare di spiegarmi.
Quello che mi accora di più è che con questi rumores Fazio forse è definitivamente perduto alla cosa pubblica (ed è una grossa iattura). Geronzi che bene starebbe come ministro dell’economia subirà l’onta dileggiante che mi pare Repubblica anticipa. I reietti resteranno reietti ma i “correi” dell’odierno sbaraglio mediatico non avranno giustizia. Solo ulteriore motivo di gogna.
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Calogero Taverna E la ragione non può che esere che tua. In effetti a ben guardare ... ma io mi ero soffermato solo sull'espressione affranta che bella forse l era stata.

Calogero Taverna Cecilia (da "I Promessi Sposi"di Alessandro Manzoni")
- traduzione libera in endecasillabi di Marco Candiani -
Illustrazione di Alberto Schiavii
Scendeva dalla soglia d'uno di quegli usci, e veniva verso il convoglio, una donna, il cui aspetto annunciava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un languor mortale: quella bellezza molle a un tempo e maestosa che brilla nel sangue lombardo. La sua andatura era affaticata, ma non cascante; gli occhi non davan lacrime, ma portavan segno d'averne sparse tante; c'era in quel dolore un non so che di pacato e di profondo, che attestava un'anima tutta consapevole e presente a sentirlo. Ma non era il solo suo aspetto che, tra tante miserie, la indicasse così particolarmente alla pietà, e ravvivasse per lei quel sentimento ormai stracco e ammortito ne' cuori. Portava essa in collo una bambina di forse nov'anni, morta; ma tutta ben accomodata, co' capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo, come se quelle mani l'avessero adornata per una festa promessa da tanto tempo, e data per premio. Né la teneva a giacere, ma sorretta, a sedere su un braccio, col petto appoggiato al petto, come se fosse stata viva; se non che una manina bianca a guisa di cera spenzolava da una parte, con una certa inanimata gravezza, e il capo posava sull'omero della madre, con un abbandono più forte del sonno: della madre, ché, se anche la somiglianza de'volti non n'avesse fatto fede, l'avrebbe detto chiaramente quello de' due ch'esprimeva ancora un sentimento.
Un turpe monatto andò per levarle la bambina dalle braccia, con una specie però d'insolito rispetto, con un'esitazione involontaria. Ma quella, tirandosi indietro, senza però mostrare sdegno né disprezzo, «no!» disse: «non me la toccate per ora; devo metterla io su quel carro: prendete». Così dicendo, aprì una mano, fece vedere una borsa, e la lasciò cadere in quella che il monatto le tese. Poi continuò: «promettetemi di non levarle un filo d'intorno, né di lasciar che altri ardisca di farlo e di metterla sotto terra così».
Il monatto si mise una mano al petto; e poi, tutto premuroso, e quasi ossequioso, più per il nuovo sentimento da cui era come soggiogato, che per l'inaspettata ricompensa, s'affacendò a far un po' di posto sul carro per la morticina. La madre, dato a questa un bacio in fronte, la mise lì come su un letto, ce l'accomodò, le stese sopra un panno bianco, e disse l'ultime parole: «addio, Cecilia! riposa in pace! Stasera verremo anche noi, per restar sempre insieme. Prega intanto per noi; ch'io pregherò per te e per gli altri». Poi, voltatasi di nuovo al monatto, «voi», disse, «passando di qui verso sera, salirete a prendere anche me, e non me sola».
Così detto, rientrò in casa, e, un momento dopo, s'affacciò alla finestra, tenendo in collo un'altra bambina più piccola, viva, ma coi segni della morte in volto. Stette a contemplare quelle così indegne esequie della prima, finché il carro non si mosse, finché lo poté vedere; poi disparve. E che altro poté fare, se non posar sul letto l'unica che le rimaneva, e mettersele accanto per morire insieme? come il fiore già rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino ancora in boccio, al passar della falce che pareggia tutte l'erbe del prato.
STRANE ASSOCIAZIONI DI IDEE -- E cioè: annunciava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un languor mortale: quella bellezza molle a un tempo e maestosaVisualizza altro
 Calogero Taverna E la ragione non può che esere che tua. In effetti a ben guardare ... ma io mi ero soffermato solo sull'espressione affranta che bella forse l era stata.
  Calogero Taverna Cecilia (da "I Promessi Sposi"di Alessandro Manzoni")
 - traduzione libera in endecasillabi di Marco Candiani -
 Illustrazione di Alberto Schiavii
 Scendeva dalla soglia d'uno di quegli usci, e veniva verso il convoglio, una donna, il cui aspetto annunciava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un languor mortale: quella bellezza molle a un tempo e maestosa che brilla nel sangue lombardo. La sua andatura era affaticata, ma non cascante; gli occhi non davan lacrime, ma portavan segno d'averne sparse tante; c'era in quel dolore un non so che di pacato e di profondo, che attestava un'anima tutta consapevole e presente a sentirlo. Ma non era il solo suo aspetto che, tra tante miserie, la indicasse così particolarmente alla pietà, e ravvivasse per lei quel sentimento ormai stracco e ammortito ne' cuori. Portava essa in collo una bambina di forse nov'anni, morta; ma tutta ben accomodata, co' capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo, come se quelle mani l'avessero adornata per una festa promessa da tanto tempo, e data per premio. Né la teneva a giacere, ma sorretta, a sedere su un braccio, col petto appoggiato al petto, come se fosse stata viva; se non che una manina bianca a guisa di cera spenzolava da una parte, con una certa inanimata gravezza, e il capo posava sull'omero della madre, con un abbandono più forte del sonno: della madre, ché, se anche la somiglianza de'volti non n'avesse fatto fede, l'avrebbe detto chiaramente quello de' due ch'esprimeva ancora un sentimento.
 Un turpe monatto andò per levarle la bambina dalle braccia, con una specie però d'insolito rispetto, con un'esitazione involontaria. Ma quella, tirandosi indietro, senza però mostrare sdegno né disprezzo, «no!» disse: «non me la toccate per ora; devo metterla io su quel carro: prendete». Così dicendo, aprì una mano, fece vedere una borsa, e la lasciò cadere in quella che il monatto le tese. Poi continuò: «promettetemi di non levarle un filo d'intorno, né di lasciar che altri ardisca di farlo e di metterla sotto terra così».
Il monatto si mise una mano al petto; e poi, tutto premuroso, e quasi ossequioso, più per il nuovo sentimento da cui era come soggiogato, che per l'inaspettata ricompensa, s'affacendò a far un po' di posto sul carro per la morticina. La madre, dato a questa un bacio in fronte, la mise lì come su un letto, ce l'accomodò, le stese sopra un panno bianco, e disse l'ultime parole: «addio, Cecilia! riposa in pace! Stasera verremo anche noi, per restar sempre insieme. Prega intanto per noi; ch'io pregherò per te e per gli altri». Poi, voltatasi di nuovo al monatto, «voi», disse, «passando di qui verso sera, salirete a prendere anche me, e non me sola».
Così detto, rientrò in casa, e, un momento dopo, s'affacciò alla finestra, tenendo in collo un'altra bambina più piccola, viva, ma coi segni della morte in volto. Stette a contemplare quelle così indegne esequie della prima, finché il carro non si mosse, finché lo poté vedere; poi disparve. E che altro poté fare, se non posar sul letto l'unica che le rimaneva, e mettersele accanto per morire insieme? come il fiore già rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino ancora in boccio, al passar della falce che pareggia tutte l'erbe del prato.
 STRANE ASSOCIAZIONI DI IDEE -- E cioè: annunciava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un languor mortale: quella bellezza molle a un tempo e maestosa<!--[endif]-->

 un'ora fa

Il sabato tutto mariano come domenica tutta per il Signore. La reduce da Madugorje sabato scorso flirta con la cocotte di Osimo per vincere e stravincere una strana scommessa contro di me. Annuso quel loro femmineo linguaggio fatto di femmi...nee insolenze. La donna per me ora è il vero sesso forte ma credo che ancora la loro lingua è stridula vagula, alquanto scarna di materia grigia. Le mie amiche mi perdonino. Ma con quel che dico e quel che faccio, di amiche anche su FB me ne rimangono molto poche e naturalmente quelle che rimangono sono di eletto cervello, di concetto profondo e non certo tenace che sarebbe come dire di scervellata testardaggine (absit iniuria verbis caro Nanà). Queste donne ormai son aduse alle mie insulsaggini e quasi con sorriso materno mi sorreggono meglio di qualche visionaria madonna di Madugorje (codesta Vergine Madre poteva scegliere una località di più facile pronunciabilità per apparire alle poche elette per la milionesima volta).
Proprio sabato, andando al porto di Ottavia, mentre il duo clerical-cocotte tramava contro di me, ignaro, finisco in questa romana S. Maria in Portico. Non è che ci abbia badato molto, ma - tacti!!! - credo che lì la Madonna sia apparsa per la prima volta nella storia del mondo. Solo che allora, dovendo apparire a dei romani che di insulsi miracoli ne vedono tutti i giorni (non ultimi quelli promessi, non mantenuti, ma sbandierati da un tal Berlusconi nella quasi vicina via Arenula, presso un atavico maniero, il palazzo Artioli) bisognava andarci con i piedi di piombo o con incomparabili volti, ché di bellissime ragazze a Roma ce ne son state sempre tantissime, a parte la Romana di Moravia).
Roma -comunque - non può privarsi del privilegio ad ospitare per la prima volta la Madre di Dio, reduce su questa terra, dopo mezzo millennio dalla sua morte o se volete dall'assunzione in cielo; ne ha oltretutto diritto per chiudere una volta per sempre i conti con quel vigliacchetto e spergiuro Simon Pietro.
Dignitosamente ed arcanamente la Madre di Dio appare "come un improvviso bagliore" e tale resta anche in presenza del Pontefice crediamo per la bisogna molo bene agghindato.
Il papa " mosso da divino istinto si precipitò nella casa [di Gallia Patrizia] e dopo lunga orazione accompagnato da vescovi e cardinali e dal resto del clero e popolo romano si recò processionalmente a piedi, portando candele accese verso il Portico di Ottavia. Dove giunto entrò nella casa di Gallia e vide anch'egli la meravigliosa luce". Scrive nelle sue Memorie magari con prosa anchilosata e apostrofando un "uno" maschile dinanzi a vocale il P. Ludovico MARRACCI soggiungendo: "Avvenne tutto questo .. il 17 Luglio dell'anno del Signore 524".
Beh! noi di Roma le cose le sappiamo farle per benino e non antropizziamo la Madre di Dio come se fosse la nuova siciliana miss Italia. E sappiamo anche ridere delle visioni di quei furbastri francescani di Madugorje.

Vincoli parentali mi impediscono di essere esplicito, ma se qualche dubbio avevo, questa sera l'ultima torre di Gerico è caduta. Resto basito nel vedere fior di fascisti locali osannare neo comunisti plebiscitariamente eletti con un enplein libertario che manco Togliatti o Berllinguer nel fulgore del loro massimo successo poterono vantare. Vorrà dire che io - vetero comunista tutt'altro che pentit...o - mi candiderò a sindaco di Racalmuto con lista senza falce e martello magari un po' intrisa di sangue cardinalizio mussumulisi. Perderò? senza dubbio come credo che loro - scavalcatimi nel mio comunismo - perderanno. Così, è sicuro: il "neutrale" Borsellino stravince e forse manco il secondo posto avranno per mettere su ammucchiate nefande.Visualizza altro
nei pressi di Roma

Ed io vi dico che sì, mi hanno detto che il Signore ebbe voce e disse parole come queste: "... venne un gran terremoto. Il sole diventò nero come un sacco di crine e tutta quanta la luna diventò come sangue; le stelle del cielo caddero sul...la terra come un fico lascia cadere i suoi frutti acerbi quando è scosso da vento impetuoso. Il cielo si ritirò come un rotolo che si riavvolge; tutte le montagne e tutte le isole vennero rimosse dal loro posto. I re della terra e i grandi, i tribuni i potenti e tutti i servi e liberi, si nascosero nelle caverne e tra le rocce delle montagne. E dicevano ai monti e ai massi: cadeteci addosso, nascondeteci dalla faccia di Colui che è assiso sul trono e dall'ira dell'agnello perché è venuto il gran giorno della loro ira, e chi potrà sostenersi?" [Apocalisse] Conturbante poesia? Certo! Ma è parola del SIGNORE? Ma se questa è poesia, quest'altra, solo frenesia insulsa: "Accogliete colui che è ancora debole nella fede e non discutete sulle opinioni. L'uno crede di poter mangiare di tutto; l'altro, che è debole, mangia solo legumi. Chi mangia non disprezzi colui che non mangia. E colui che non mangia non giudichi colui che mangia, poiché Dio lo ha bene accolto. Or, chi sei tu che ti permetti di giudicare il domestico altrui?."[Lettera di San Paolo] Strambo, no? Eppure sarebbe PAROLA DEL SIGNORE. Vi oppiano, vi atterriscono, vi ottundono. Reagite. Vivete.
Ed io vi dico che sì, mi hanno detto che il Signore ebbe voce e disse parole come queste: "... venne un gran terremoto. Il sole diventò nero come un sacco di crine e tutta quanta la luna diventò come sangue; le stelle del cielo caddero sulla terra come un fico lascia cadere i suoi frutti acerbi quando è scosso da vento impetuoso. Il cielo si ritirò come un rotolo che si riavvolge; tutte le montagne e tutte le isole vennero rimosse dal loro posto. I re della terra e i grandi, i tribuni i potenti e tutti i servi e liberi, si nascosero nelle caverne e tra le rocce delle montagne. E dicevano ai monti e ai massi: cadeteci addosso, nascondeteci dalla faccia di Colui che è assiso sul trono e dall'ira dell'agnello perché è venuto il gran giorno della loro ira, e chi potrà sostenersi?" [Apocalisse] Conturbante poesia? Certo! Ma è parola del SIGNORE? Ma se questa è poesia, quest'altra, solo frenesia insulsa: "Accogliete colui che è ancora debole nella fede e non discutete sulle opinioni. L'uno crede di poter mangiare di tutto; l'altro, che è debole, mangia solo legumi. Chi mangia non disprezzi colui che non mangia. E colui che non mangia non giudichi colui che mangia, poiché Dio lo ha bene accolto. Or, chi sei tu che ti permetti di giudicare il domestico altrui?."[Lettera di San Paolo] Strambo, no? Eppure sarebbe PAROLA DEL SIGNORE. Vi oppiano, vi atterriscono, vi ottundono. Reagite. Vivete.
 

Scrivevo a Visco


Pregiatissimo Signor Governatore, dottore Ignazio VISCO,

 

 

 

 

 

Dopo trentun’anni di pensionamento dalla Banca d’Italia, ricevo per la prima volta un gentilissimo biglietto augurale. Me lo invia il novello Governatore dottore Ignazio Visco. Segno anche questo di una mutata visione dirigenziale al vertice della Banca d’Italia. Non sono certo così ingenuo da pensare che si tratti di un atto di personale attestato magari per le mie recenti battaglie di stampa a favore di una rinnovellata e rinnovellabile Banca centrale. Sono sicuro che ormai il mio nome è finito tra gli anonimi e anodini tabulati dei tanti, troppi pensionati di vecchia data. Certo, interruppi il mio rapporto di lavoro subordinato con la Banca d’Italia nel 1982 dopo atteggiamenti a me ostili ed anche ingrati. Non posso avercela, però, con l’Istituzione cui sono indefettibilmente legato, ma con certi uomini di apicale supremezia, sì. Nutrivo un dissidio che portò anche a qualche indispettita decisione non apprezzata all’esterno: non credo che la Banca d’Italia, intemerata nella sostanza quanto a correttezza fiscale, si potesse indurre ad un non esemplare condono tributario se, come superispettore del Secit di Reviglio, non avessi sollevato una grossa questione di elusione tributaria. Portavo con me una competenza di prim’ordine acquisita all’interno del mio Istituto di appartenenza. Tanto da essere segnato dal dottor Sarcinelli come uno dei soli tre validi – a suo avviso – ispettori di Vigilanza.

 

Era momento cupo nei rivolgimento direttoriale della Banca Centrale ed uomini non proprio eccelsi erano subentra ti per i vuoti determinati anche da indebite ingerenze politiche, e, se si vuole, anche da acredini  magistratuali.

 

Ma veda, signor Governatore, io avevo dato lustro e decoro alla Banca d’Italia: cito mie ispezioni rimaste esemplari: Banca Fabbrocini, Banca Privata Finanziaria,  Cassa di Risparmio di Rimini (perché no?), e soprattutto Cassa di Risparmi di Livorno (e qui certo non fui tenero neppure con colui che poi divenne quello che divenne). Allora, perché il signor Cerciello mi aggirò sino a farmi credere che se andavo al Secit era per conto della BI e quale riconoscimento dei meriti acquisiti sul campo, se una sera prima il dottor Ciancaglini stabiliva che andavo per mia personale scelta e quindi era sin troppo generoso l’istituto se mi accordava soltanto una integrazione del più basso stipendio del mio nuovo Ente ministeriale che si avvaleva della mia professionalità?

 

Mi dirà – e lo ripeto anch’io – che son faccende personali e tutto sommato insignificanti Ma ripeto queste mie rimostranze solo per affermare che il mio attaccamento all’Istituto ove sono entrato quasi cinquantadue anni fa, non è mai venuto meno. E troppo ho sofferto nel notare devianze che sono solo di singoli uomini e  troppo mi fa male vedere soggetti che sono venuti su dalla Banca d’Italia accordare interviste che sanno di delazione, di allusivi coinvolgimenti e per la mia Vigilanza ispettiva di misconoscimento irriguardoso.

 

Di sicuro, tanti prima cresciuti e prosperati in BI , ne hanno approfittato per consulenze, entrature, remuneratissimi   collegamenti. Vi è stata una deriva che ha prodotto un non simpatico effetto alone. Mi auguro che Ella appia arginare. Ne ha tutti i tratti di rigore congiunto anche a signorilità.

 

Le ho inviato una missiva – che stampa e Articolo 21 hanno pubblicato – in ordine alla non saggia chiusura della Filiale di Rieti. Non ha ritenuto di darmi neppure un cenno di ricezione. Ne ha tutto il diritto e non sarò certo io a contestarglielo. Ma guardi che le ragioni che adduco sono valide e scottanti. Vi è stata una gestione del personale che va corretta. Non vedo perché soggetti quali chi scrive, non debbano essere ascoltati: hanno esperienza, integrità, intelligenza, insospettabilità. Tutte doti acquisite in quella vera grande scuola che è una militanza nella carriera direttiva della Banca d’Italia, e che per giunta  trattasi di dirigenti hanno avuto suggello di superiore livello in tanti anni di attività ispettiva della Vigilanza bancaria. E ciò in una fase di grande crescita culturale, giuridica e tecnica, in cui mi vanto di aver dato un originale apporto persino tuttora ricordato ed apprezzato.

 

Non me ne voglia, signor Governatore per questo mio dire. Faccia dare, per cortesia, uno sguardo a quanto scrivo in ARTICOLO21, nel mio blog CONTRA OMNIA RACALMUTO: si accorgerà che certo mio livore è contro la profanazione del tempio in cui mi sono formato. E noterà  che la mia stima nei Suoi confronti è massima, anche per certe affinità culturali.

 

Per le prossime feste Le giungano i miei fervidi auguri. Ma anche l’auspicio che Le consentano di dare il meglio di sé che è sconfinato ed incomparabile.

 

i miei due anni persi!


 

Messina è una delle quattro filiali siciliane (con Caltanissetta, Ragusa e Trapani) a chiudere entro il 2018, come previsto nel nuovo piano tagli della Banca d'Italia. A...


Lillo Taverna Una mia tragedia personale: nel biennio 1966-68 vi feci il sottocapufficio Segreteraia-Cambi e Vigilanza. Due miei anni strategici nella mia dipendenza dalla Banca d'Italia buttati al vento. Una fregola aziendalistica incentrata sui costi benefici sta sfasciando una gloriosa istituzione. La Sicilia per Statuto Speciale potrebbe e dovrebbe impedire ai signori di Via Nazionale 91 siffatte scelleratezze: fate quel che volete in Continente, ma qui in Sicilia per dettato super-costituzionale comandiamo noi! Purtroppo nessuno erudisce Crocetta e C., e noi la prendiamo ignari in quel posto.

Lillo Taverna Una mia tragedia personale: nel biennio 1966-68 vi feci il sottocapufficio Segreteraia-Cambi e Vigilanza. Due miei anni strategici nella mia dipendenza dalla Banca d'Italia buttati al vento. Una fregola aziendalistica incentrata sui costi benefici sta sfasciando una gloriosa istituzione. La Sicilia per Statuto Speciale potrebbe e dovrebbe impedire ai signori di Via Nazionale 91 siffatte scelleratezze: fate quel che volete in Continente, ma qui in Sicilia per dettato super-costituzionale comandiamo noi! Purtroppo nessuno erudisce Crocetta e C., e noi la prendiamo ignari in quel posto.


 

Messina è una delle quattro filiali siciliane (con Caltanissetta, Ragusa e Trapani) a chiudere entro il 2018, come previsto nel nuovo piano tagli della Banca d'Italia. A...

Lillo Taverna Una mia tragedia personale: nel biennio 1966-68 vi feci il sottocapufficio Segreteraia-Cambi e Vigilanza. Due miei anni strategici nella mia dipendenza dalla Banca d'Italia buttati al vento. Una fregola aziendalistica incentrata sui costi benefici sta sfasciando una gloriosa istituzione. La Sicilia per Statuto Speciale potrebbe e dovrebbe impedire ai signori di Via Nazionale 91 siffatte scelleratezze: fate quel che volete in Continente, ma qui in Sicilia per dettato super-costituzionale comandiamo noi! Purtroppo nessuno erudisce Crocetta e C., e noi la prendiamo ignari in quel posto.

le mie proposte per salvare la Fondazione


Lillo Taverna Caro Piero noi sprechiamo tempo ed inchiostro. Strano che quell'anonimo (o anonima?) apoditticamente nello scomunicarci in quanto vacui punzecchiatori del grande operato altrui poi non obietta alcunché sulla opzione cavalleresca dell'ing. Cutaia, oddio persona degnissima ma di questi tempi autoappartatasi.

Lillo Taverna Ma l'Anonimo (o anonima)) nell'accoppiarci poi ci dissocia in mente sua. Ho la vaga impressione che di te teme la tua alacre inarrestabilità culturale già dispiegata quando per quasi un anno hai cercato in Viale della Vittoria di resuscitare i morti. Chi per due o tre sedute consiliari non è qui presente (a  Racalmuto non a Palermo o in coincidenza con gli adempimenti di altre fondazioni del tipo Mozia), giustamente decade - volevi. Ti hanno subito sbattuto fuori e addirittura da chi oggi vorrebbe vestire i panni del Savonarola versione monnezzara.  Patetico questo anonimo (o anonima?) prono dinanzi alla "generosità" del nostro affossatore politico al seguito della ingloriosa MINISTRA piangente.

CARBONENon la penso così: è una guerra immane, lo, ma c'è chi con le parole vorrebbe cassare o offuscare qualcun altro con tutti i suoi fatti, specialmente se positivi, anzi, proprio per questo.

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Lillo Taverna L'anonimo (o anonima?) finge poi di non sapere che tra te e me c'è l'abisso umorale, caratteriale, professionale  e persino umanitario: s'intende doti in cui tu eccelli mentre io amo prendere  il largo nel gran mare dell'aridità progettuale, economicistica, tributaria, manageriale.: cose, credo. tu disdegni.

Lillo Taverna A me la FONDAZIONE interessa in quanto sana gestione: e in questi vent'anni è stata un disastro. Già il querulo giornalista allora in bicicletta ciò lo cantò e in un giornale persino parruccone.

Rimuovi

Lillo Taverna A me la Fondazione interessa in quanto centro propulsore della cultura attiva racalmutese, quella cultura che satura di iniziative sul piano della ricerca storica, archivistica, archeologica, politica e socio-politica sollevi l'economia locale con esaltazioni delle vocazioni turistiche, tutto l'opposto insomma di quanto predicava un tal Di Grado che disse che mai avrebbe consentito a quel sacrario della memoria di abbassarsi al livello delle vili iniziative turistico-culturali. E il sacrario della memoria divenne un avello mefitico anche per certi trafugamenti di carte, per l'affossamento di ogni spinta vitale, di ogni iniziativa effervescente. De mortuis nisi bonum e con quella terna oscena il de profundis lo si è cantato alla grande. Patetica la Minoranza che si mette a tripudiare per il valore umano, scientifico, mirabolante di una terna di cui due illustri signori sono assolutamente arabe fenicie, nomi messi lì a detta del tronfio Tano per far numero, secondo lui come d'uso nelle migliori famiglie.

Lillo Taverna A me la Fondazione interessa perché al centro di una potenziale progettualità di crescita dell'economia e quindi del lavoro dignitoso e adeguatamente retribuito dei giovani. Interessa in termini di razionalità aziendale come appreso in decenni di specialistica professionalità bancaria e tributaria. A me quindi la Fondazione interessa secondo quanto cercammo di concertare in una Pizza da Jeck a Castrofilippo "racalmutesi doc" e per giunta stanziali (Cazzo se esistono caro Tano!) come dire installarvi un antiquarium in cui collocare anche il celeberrimo tesoretto bizantino ed in relazione attivare tutta una scuola a rilevanza internazionale che partendo dalla presenza di Bisanzio nelle lande della nostra Montagna approfondisca il grande tema della civiltà bizantina pre-araba da noi. A noi quindi interessa la Fondazione per farne una dipendenza universitaria per l’approfondimento della storia siciliana nel periodo dell'immediato dopoguerra del 1940 sfruttando la tanta documentazione inedita sul caso Ettore Messana ma soprattutto alla luce dell'archivio Casarrubea e soprattuto dell'approccio a tutta la documentazione della NARA direttamente negli USA come sta facendo meritevolmente il candidato sindaco mancato del M5S Luigi Falletti. A noi la fondazione interessa in quanto ente culturale pubblico che possa far luce sulla civiltà pre-sicana di 7 mila anni fa che sappiamo albergare anche sotto la Grotta di Fra Diego in atto sito di eccellenza archeologica ma negletto, abbandonato alla famelicità di tombaroli stante l'accidia dei nostri comunali vigilanti mal pagati ma per nulla produttivi. E di questo e di altro è partita prima ancor che nascesse l'oscenità di una terna dichiaratamente fasulla per riempire un vuoto dovuto solo a decrepitezza senile, mentre altre decrepitezze senili permangono imperiture a vicepresenziare il nulla ma sovrabbondantemente finanziato dal Comune, non foss’altro che per il regalo di una bella sede per accogliervi solo le pubblicità librarie ed ora persino cinematografari del buon Enzo Sardo, noi facemmo dunque protocollare  una istanza equilibrata, propositiva al Sindaco che ovviamente manco se ne cura. Anzi se da un lato caccia via dalla porta Baiamonte dall'altra .. storia quale il Cannone, poi lo recupera come consulente accanto a Gaspare (?) Agnello. E così il mio amico Accursio tornerà a restare solo perché tanto Baiamonte tornerà alle sue eterne telefonate là a quel castello che da svevo ora non possono fare a meno di dire Chiramontano.

Mi fermo qua ma non la finirei mai. Comunque chi è che non vede che io non faccio microcritiche dispersive ma sardoniche stroncature. Solo che al contempo tendo ad una  progettualità che voli alto, altissimo. Non mi meraviglia che la notoria accidia racalmutese e la imbecillità dell'anonimo possano pensare ad una senile follia. mentre io penso che Giove rende folli quelli che vuol perdere e follia è stata quella della Minoranza che vota Cavallaro dopo averlo sconfessato come Amministratore tesoriere, follia quella della maggioranza che pur avendo un vice presidente del consiglio che stavolta ha dimostrato di avere le idee chiare poi si accovaccia umile e remissiva sotto la infame terna sfornata da Emilio e Totò. Dichiaro che non sono un delatore (ho letto Tacito), non sono né scrittore né poeta né storico ma sono vissuto facendo di mestiere l'ISPETTORE e tale mi sento e continuo. Signor Anomimo (o anonima?) vergognati.

Grazie Malgrado Tutto!

Con noi due assolutamente no! Trozzanu duro e comu!! L'anonimo (o anonima?) si può permettere addirittura su Malgrado Tutto di associarci come due quivis de populo: così, insolentemente, ci dice: Carbone-Taverna dopo essersi profuso a elogiare la "generosità del dottore Cavallaro" (ma sto titolo accademico esisìe davvero? da che mondo è mondo i giornalisti non sono mai laureati, salvo che ricattando non ne acchiappino qualcuna di laurea ma ad honorem come Berlusconi. Tu ed io caro Piero la laurea ce la siamo presa e con onore e nel tempo giusto, non sarà certo l'anonimo di Malgrado Tutto a delaurearci. Debbo però contrastarti in questo: proprio testé ho dovuto ammettere la signorilità superiorità, professionalità di Malgrado Tutto: pubblica - e perchè no? - il programma politico post-elettorale di Cavallaro ad ampie tinte. Accoglie le due righe maldestre dell'Anonimo. Dà briglia sciolta ad un bell'articolo (mi dispiace riconoscerlo) del vice presidente del Consiglio Dottore Giuseppe Guagliano. Quindi pubblica la mia oscena irruente contestazione (col cazzo che io l'avrei pubblicata) e mi aspetto che mi pubblichino questo nostro lungo odierno chiarimento. Cavolo se non è giornalismo questo e grande giornalismo vuol dire che non capisco nulla di sagace informazione super partes. Grazie Malgrado Tutto, almeno da parte mia.

caro Piero Tu vola alto



...per mestiere spiego bene agli altri quello che per me non comprendo.

giovedì 19 febbraio 2015

Lillo Taverna Caro Piero, tu vola alto. Sai ben librarti nella grande arte dello scrivere. Lascia a me il divertimento di far passare notti insonni; nella pugna ringiovanisco. Spariscono i miei 81 anni. Mi dispiace per Su San che mi crede solo artefice di partitini della prostata, la grande prostatica visionaria di inesistenti madonne slave.

 



 


 

1 h · Roma ·

 

 

 

Infatti lo hanno eletto all'unanimità: tutti questi grandi elettori quando mi quereleranno per oltraggio al loro idolo, il grande benefattore dei racalmutesi?

 

Caro Tano, ho visto che te la sei presa. Pazienza! Anch'io me la sono presa con il fatto che tu ti metti a irridere il mio volere alla Fondazione RACALMUTESI DOC. Mi vorresti davvero far credere che non vi siano RACALMUTESI DOC? Certo vi sta gente che nulla avendo a che fare con Racalmuto, ritiene comunque il nostro borgo natio una terra di conquista e si fa dichiarare podestà dal Buttafuoco quello che talora scrive sul Foglio di Panzon l'Amerikano.

 

Vedi io qui ci sono nato e francamente non mi va che due pesci, uno di scoglio e uno di mare, portino qui ministri alla Cancelieri che con lacrime di coccodrillo la notte piangono e il giorno ci consegnano a dei NON RACALMUTESI dichiarandoci tutti mafiosi infiltrati. Ne sai qualcosa tu caro Tano che invero non puoi dire di considerare questo qui il tuo borgo natio, salvo a denigrarci con libri che ci fanno loquaci ma omicidi, e ragalpetresi baldi ma ebbri di sangue fraterno.

 

Ci portano poi un tal Bray che ben so chi è, che ha solo da rispondere ad Amato per certi viadotti del suo grande amico Massimo. Voi due non di questo borgo natio e Montante e certi confindustriali di dimensioni isolane ci disturbate per nobilitare collabenti superstrade con quadruplice battesimo d'alta scrittura. E a noi che ce ne viene? Nove soli lavoratori racalmutesi addetti a quel manufatto anasistico. E vi dovremmo essere grati e vi dovremmo affidare la nostra cassaforte (vuota) della Fondazione? Magari per premiare l'anno prossimo qualche altro ostativo ergastolano che si guarda bene dal pentirsi. Che follia, caro Tano.

 

Mi vien fatto da domandare se tutti codesti che hanno ereditato ville e caseggiati attorno al mito della Noce, l'hanno pagata la Bucalossi, la stanno pagando la monnezza arretrata. Perché invece di interessarsi dell'inciucio con Grotte non scrivono di un sindaco che vorrebbe spillare per arretrati monnezzari quasi due milioni di euro (per compensare magari i due milioni di euro perduti per neghittosità) e che in nome dell'antimafia da strapazzo ci dichiara tutti evasori totali, in articulo mortis, della monnezza del 2008?

 

Caro Tano. mi accusi di non avere elevato l'inno ai grandi meriti di Cavallaro? Quali? Quello di averci portato Grasso per celebrare il nulla nella collabente ex Centrale? Lectio magistralis? Ma non mi far ridere. Non dico solo per non essere querelato che siamo al livello dei professionisti di sciasciana memoria, se penso ad un certo scavalcamento.

 

E quanto a professionisti dell'antimafia il felice giornalista può definisrsi un fortunato professionista.

 

Era come dire? un sollecito sodale di Milioto. Milioto gli impose di presentare un mio libro a lu Cannuni. Non ne aveva voglia. Non mi stimava, non apprezzava il libro. Suoi sacrosanti diritti. Ma venne lo stesso per dire che manco l'aveva letto il mio spregevole libro; gli era bastato annusare per capire che non svenivo nell'adorazione di Sciascia. E giù dinanzi ad un migliaio di ospiti una denigrazione senza ritegno. Non mi avvilii, ricambiai tirando fuori i suoi celebri antenati notai prima che venisse tuo nonno (forse da qui il tuo sodalizio). Gli dissero che avevo ispezionato Sindona. Allora non dico che si genuflesse .. ma sperando in chissà che, divenne persino gentile. Solo che poi desistette. Penso Sindona vittima dell'antimafia. Lo hanno persino suicidato per farlo apparire il boss ammazza tutti e così assolvere dalle responsabilità la finanza meneghina, papalina, ioristica marcinkusiana e anche massonica e via all'infinito.

 

Di grazia Tano, quali doti insigni ha Cavallaro? Quale bene ha fatto mai a Racalmuto? Forse un tempo poteva far finanziare la Fondazione dalla Confindustria siciliana .. ma ora Montante mi pare che se la passi male. Dalla CMS? Ma con questi scandalosi crolli i miei compagni rossi di Ravenna ci debbono pur pensare. Chissà, Buttafuoco potrebbe fare stornare qualche frangia di tutti quei finanziamenti dati al foglio di Ferrara. Ma francamente ne dubito.

 
Piero Carbone Sto con Giancarlo Macaluso quando, a proposito di possibili matrimoni con la politica, rivolgendosi a Savatteri, scrisse:
"Mi dispiace, io non ci sto. [...] Probabilmente stanno naufragando tutte le certezze con cui in questi anni abbiamo svolto il no...
Altro...

 
Lillo Taverna E' passato tanto tempo!!!!!

 
Piero Carbone Sì, ma il tempo non lo smentisce. Anzi!