giovedì 20 dicembre 2012
Nell’intricata controversia giudiziaria del beneficio del
Crocifisso di Racalmuto, i Savatteri vi entrano prepotentemente per due volte:
nella prima, è attore il sac. Giuseppe Savatteri e Brutto, a ridosso
dell’Ottocento; nella seconda un patetico personaggio: Giuseppe Savatteri,
sposato con una Matrona. Siamo nell’ultimo quarto del secolo scorso. In
entrambi i casi i Savatteri finirono soccombenti e gabbati. Ma procediamo con
ordine.
La vicenda del beneficio del Crocifisso è lunga,
tortuosa ed intrigante ed ha dato adito ad almeno un paio di complicate
vertenze giudiziarie. Negli atti giudiziari dell’arciprete Tirone avverso i
coniugi Giuseppe Savatteri e Concetta Matrona abbiamo la ricostruzione
della provenienza di tali beni. Come risulta da un atto del 3 settembre 1659,
la Confraternita del SS. Crocifisso di Racalmuto aveva diritto ad un
canone di proprietà «primitivo veluti jus pheudi et proprietatis su
terre della Menta e Culmitella». Trattavasi, in base a quel che si desume
da altri atti, di un fondo di quattro salme e tumoli sei di terre ubicate nel
feudo Menta, contrada Fico Amara, detta - secondo l’arc. Tirone - «in quei
tempi Mercanti». Del resto aggiunge l’arciprete che «il nome di contrada
fico amara e Mercanti andiede in disuso. Questa contrada prese nome di SS.
Crocifisso.»
Non essendo stato pagato tale canone per più di un triennio,
ed essendo state le suddette terre abbandonate, la confraternita del SS.
Crocifisso esperì il diritto domenicale di avocazione del fondo per
distruzione di migliorie, mancata corresponsione del canone ed abbandono delle
terre dell’enfiteuta che era tal Giaimo Lo Brutto. Essa, pertanto, fu immessa
nel pieno possesso delle cennate terre della Menta secondo il rito del
tempo con atto notarile del 3 settembre 1659, redatto innanzi a
quattro testimoni.
Gli atti giudiziari tacciono sulle vicende che intercorsero
tra il 1659 ed il 1767, un intervallo di tempo in cui si colloca la dotazione
dell’Oratorio Filippino. Intanto non so su che cosa basi l’arc. Tirone il ruolo
sostenuto dalla Confraternita del SS. Crocifisso. Di questa conosco il vago
accenno contenuto nell’elenco della Giuliana della Curia Vescovile - voce
Racalmuto, pag. 205 - che riguarda la «conferma della Conf.ta del SS.
Crocifisso - reg.tro 1669-70, pag. 488».
Ma qualche chiarimento lo troviamo in quest’atto del 10
ottobre 1648 del notaio Michelangelo Morreale.
Trattasi della «recognitio pro Archiconfraternitate SS.mi
Crucifixi contra Donnam Vittoriam del Carretto e Morreale».
In esso la Del Carretto (del ramo collaterale dei locali
conti) si obbliga di corrispondere al
«Rev. D. Joseph Thodaro .. uti procuratori venerabilis
Archiconfraternitatis SS.mi Crucifixi fundatae in Ecclesia Sancti Antonii huius
terrae Racalmuti .. uncias quinque red. ann. cens. et red.bus dictae
Archiconfraternitatis cession. nomine Petri Piamontesio et alijs nominibus in
scripturis debitas, et anno quolibet solvendas supra loco qui olim erat dicti
quondam de Monteleone vigore contractus emphiteuci celebrati in actis
notarij Nicolai Monteleone die XXIIIJ Maij XII ind. 1584 et contractus
solutionis donationis et assignationis in actis not. Simonis de
Arnone die 31 aug. 1605 et aliorum contractum in eis calendatorum.»
inoltre «supradicta Donna Victoria .. solvere promisit .. seque sollemniter
obligavit et obligat eidem de Thodaro dicto nomine pro se et pro successoribus
in dicta Archiconfraternitate in perpetuum uncias centum quatraginta una p.g.
tempore annorum decem in decem equalibus solutionibus et partitis anno quolibet
facere numerando et cursuro a die date literarum Civitatis Agrigenti ... Et
sunt uncias 141 in totalem complimentum omnium censuum decursorum annorum
retropreteritorum enumerandorum ab anno 1608 usque et per annum presentem
inclusive , ratione d. unc. quinque anno dictae Archiconfraternitate debitae
super dicta vinea.»
Quell’arcicofraternita era dunque operante dentro la chiesa
di S. Antonio e siamo nel 1648.
Ne è procuratore il sac. d. Giuseppe Todaro che muore
il 7 maggio 1650.
Successivamente alla morte del sacerdote Todaro, si rinviene
l’atto del 3 settembre 1659 di cui sopra; dopo dell’arciconfraternita si
perdono le tracce e tutto fa pensare che si sia estinta: si spiega forse così
perché, in un primo tempo i benefici di quel sodaliziom finirono all’Oratorio
di S. Filippo Neri, per volere del Vescovo Rini.
Nel 1767 il vescovo Lucchesi Palli si ritrova vacanti quei
beni dell’Arciconfraternita del SS. Crocifisso e con bolla dell’8
luglio 1767 li assegna al sac. D. Francesco Busuito.
La ricostruzione di un successivo beneficiario, il sac. Don
Calogero Matrona, fatta il 15 giugno 1870, è particolarmente vivace ed
intrigante.
«Con Bolla di erezione in titolo dell’8 luglio 1767 - vi si
legge fra l’altro - da Monsignor Lucchesi fu eretto nella Cappella del SS.mo
Crocifisso dentro la Chiesa Madre di Racalmuto un beneficio semplice
in adjutorium Parochi di libera collazione da conferirsi a concorso
ai naturali di Racalmuto con le obbligazioni di coadiuvare il Parroco
nell’esercizio della sua cura, di celebrare in diverse solennità dell’anno
nell’anzidetta Cappella numero trenta Messe, costituendosi in dote del
beneficio taluni beni, che esistevano nella Chiesa senza alcuna destinazione,
dandosene anche l’amministrazione allo stesso Beneficiale. Riserbavasi però il
Vescovo fondatore il diritto di conferire la prima volta il beneficio, di cui
si tratta, senza la legge e forma del concorso in persona di un soggetto a di
lui piacimento.
«In seguito di che con bolla di elezione del 10 luglio
1767 dallo stesso Monsignor Lucchesi fu eletto per primo Beneficiale il Sac.
Don Francesco Busuito di Racalmuto, allora Rettore del Seminario di
Girgenti dispensandolo dall’obbligo del concorso, e dalla residenza, e
facoltandolo ad un tempo a sostituire a di lui arbitrio un Ecclesiastico, per
adempire in di lui vece le obbligazioni e pesi tutti al beneficio inerenti.
«Appena verificatasi tale elezione, come risulta da un
avviso dato dal Parroco locale di quel tempo, dal Sac. Don Giuseppe Savatteri
qual uno degli eredi e successori di D. Giaimo Lo Brutto di
Racalmuto impugnavasi la fondazione e ricorrendo al Tribunale della Reggia
Gran Corte Civile, otteneva lettere citatoriali contro il detto Reverendo
Busuito, affine di rivendicare i fondi constituiti come sopra in dote al
beneficio come appartenenti al suddetto Lo Brutto. Sostenevasi dal Savatteri
che la Confraternita del SS.mo Crocifisso dentro la suaccennata Chiesa
Madre percepiva onze cinque annue per ragion di canone enfiteutico sopra
quattro salme di terre esistenti nello Stato di Racalmuto contrada
Menta dotate alla moglie del suddetto D. Giaimo Lo Brutto dalla di lei zia
D. Vittoria del Carretto, annuo canone destinato per legato di maritaggio di un
orfana. Nel 1659 i Rettori della cennata Confraternita per attrarsi di
pagamento del canone anzidetto e per deterioramenti avvenuti nei suddivisati
fondi, unitamente all’Arciprete e Deputati dei Luoghi Pii senza figura di
giudizio e senza le debite formalità giudiziarie s’impossessavano di quei fondi
e melioramenti in essi fatti dal predetto Lo Brutto. Si credettero autorizzati
a far ciò senza ricorrere alle procedure giudiziarie da un patto enfiteuco
solito apporsi in simili contratti, in cui espressavasi, che venendo meno il pagamento
o deteriorandosi il fondo fosse lecito all’Enfiteuta di propria autorità
ripigliarsi il fondo enfiteuco, come tutto rilevasi dagli atti di possesso
presso Notar Michelangelo Morreale di Racalmuto sotto il 3 settembre 13
Ind. 1659. Così postasi la Chiesa in possesso dei fondi, conosciutosi che
pagate le onze cinque per legato di maritaggio ed i pesi efficienti, il resto
delle fruttificazioni rimaneva senza destinazione, pensavasi dal Vescovo
Monsignor Lucchesi per di esse fondare il beneficio anzidetto, che indi
conferivasi al sopra indicato Sac. Busuito. Impugnavasi questo fatto dal sac.
Savatteri e facevalo come sopra citare a fin di chiarirsi nulla la suddivisata
fondazione. Ma il beneficiale frapposti buoni amici persuase il Savatteri a
rimettere tutto al saggio arbitrio di S.E. Rev.ma Monsignor Vescovo di
Girgenti, il quale tutto riponendo sotto lo esame dell’Assessore Canonico d.
Nicolò A. Longe, fattesi varie sessioni inanzi a lui con l’intervento
dell’arciprete di Racalmuto per parte del Beneficiale e di altra persona per
parte del contendente Savatteri, dichiaravasi dall’Assessore nullo
l’impossessamento dei fondi e riconosciuta evidentemente la usurpazione dei
fondi fatta dalla Chiesa. Ma protrattosi a lungo l’affare, pria di definirsi
pubblicavasi la prammatica della prescrizione del 22 settembre 1798, quindi il
Beneficiale avvalendosi di tal legge non volle più fare ulteriori trattamenti
della causa, né arrendersi alle pretensioni del Savatteri.
«Morto però il Beneficiale, il cennato Savatteri fece
ricorso al Re e dalla Segreteria Reale abbassavasi biglietto alla Giunta dei
Presidenti e Consultori per informare. Moriva intanto il Savatteri ed il di
costui erede Don Pietro Cavallaro e Savatteri agendo con più di
moderazione pensava di mettere l’affare in mano del Vescovo Monsignor Granata,
e desiderandosi dal ricorrente che il beneficio rimanesse, si contentava
soltanto che divenisse patrimoniale e proprio della di lui famiglia e suoi
discendenti.
«Il Vescovo conosciuta la validità delle ragioni e la
pienezza del diritto del ricorrente, perché fondato il beneficio sopra beni
proprii di D. Giaimo Lo Brutto di lui autore, a vista della patente
usurpazione fattasi dalla Chiesa, della non ecclesiasticità del beneficio,
perché fondato senza la volontà del padrone dei fondi, pensò accordarne la
prelazione ai discendenti della famiglia Brutto. Quindi perché conobbe la
verità delle cose per conscienzioso temperamento pensò conferire anche in
minore età quel beneficio ad un chierico erede dei beni, che è l’attuale
investito Cavallaro. Ed infatti il conferì con decisione del 16 giugno 1804.
[...] Ottenne per ciò pria dispensa della Santa Sede, perché al detto chierico
avesse potuto conferire il beneficio nella minore età di anni 14, lo dispensò
dalla legge del concorso e dell’obbligo della coadiuvazione del Parroco nello
adempimento degli offici parrocchiali sino all’età del sacerdozio e gli diede
l’amministrazione dei beni dotalizii [...]»
Al beneficiale don Ignazio Cavallaro succede il nipote
(figlio della sorella) don Calogero Matrona, con bolla di Monsignor
Domenico Turano del 1° marzo 1875. Ma non fu una successione pacifica. Vi si
rivoltò contro Giuseppe Savatteri, unitamente alla moglie donna Concetta
Matrona, con cause, ricorsi, appelli che durarono decenni. Eugenio Messana,
nello scrivere le sue memorie su Racalmuto, risente ancora di quel clima
infuocato che in proposito si respirava ancora nella sua famiglia.
Il beneficio del Crocifisso è quindi oggetto di una
bolla di collazione nel 1902 (cfr. reg. Vescovi 1902 pag. 703). Viene poi
assegnato al padre Farrauto, per passare nelle mani di padre Arrigo.
Attualmente è accentrato presso la Curia vescovile di Agrigento.
Due fratelli s’impongono nella società racalmutese, appena
Giuseppe Garibaldi, nel 1860, ebbe la ventura di passare come conquistatore per
Racalmuto: Gioacchino e Calogero Savatteri. Eugenio Napoleone Messana - loro
parente - ne fa la consueta esaltazione nel libro di storia locale qui più
volte citato. Noi ci limitiamo ad alcuni contrappunti.
Calogero Savatteri muore giovane il 5 giugno 1878 “alle ore
10,45 colpito da eresipola” - scrivo di lui i suoi amici in un opuscolo
pubblicato a Favara nel 1879 (pag. XX).
Nato il 17 giugno 1833 da Gaetano Savatteri e Maria Antonia
Grillo Cavallaro, non aveva ancora compiuto i 45 anni. A nove anni fu mandato
in seminario, ove vi rimase sino a sedici anni, per sette lunghi anni, dunque,
assorbendone tutta la cultura clericale di cui ne rimase irrimediabilmente
intriso, anche quando ritenne di essere un massone. Vi apprese molto bene il
latino e ciò gli fu utile quando notaio - spesso al servizio dell’arciprete
Tirone, suo parente - ebbe a decifrare, mirabilmente, gli antichi rogiti in
latino dei vari Rolli delle locali confraternite secentesche.
I giovanili ardori nella Sicilia del dopo Quarantotto gli
procurano qualche guaio con la polizia borbonica ma la forze persuasiva dei
Savatteri racalmutesi era allora già cospicua e dopo 15 giorni di carcere,
Calogero Savatteri può tornare libero e tranquillo in paese.
I meriti “partigiani” furono preziosi con l’avvento di
Garibaldi. “Il Savatteri - scrivono gli amici (pag. XV) - ritorna in paese nel
1863 laureato Notaro”, ma qualcosa era cambiato. Non riusciamo a ben
comprendere il senso di queste parole: « vide che di governo era cambiata la
sola forma ed il solo nome, stante le sorti del comune essere affidate a quelle
stesse persone che non avevano idea d’innovazione». Si dà il caso che le “sorti
del comune” erano tenute dai neo-convertiti Matrona, dopo essere passati dalle
file dei Borboni alle patrie galere per le vicende controrivoluzionarie dei
briganti del 1862.
Ma quale davvero il peso politico eversivo di Calogero
Savatteri ?
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