sabato 9 giugno 2018

Ettore Giuseppe Tancredi MESSANA, l'integerrimo contro Li Causi, Montalbano, Cernigoi, Casarrubea e ultima la periferica Carmela Zangara dell'ANPI PALERMO .


Così per tedio e non morire chiedo di essere un affiliato dell'ANPI. Subito accettato. Sarei un partigiano siciliano. Racalmutese ma vetero comunista tutt'altro che pentito. Un dubbio mi assale: ma in Sicilia vi fu lotta partigiana? Non mi risulta. Racalmuto fu subito 'liberata' il 16 luglio 1943 (sic '43), Gli Americani tolsero di mezzo il podestà (ovvio) e vi misero un sindaco. Si chiamava Baldassae Tinebra. Governò poco: fu freddato in piena piazza davanti il Caffé Cacioppo dopo pochi mesi. Abbeveriamoci nella sapida prosa sciasciana.
"Il sindaco del 44, l'uomo tirato su dagli americani, lo ammazzarono la sera del 15 novembre di quell'anno; era sera di domenica, la piazza piena di gente, gli appoggiarono la pistola alla nuca e tirarono, il sindaco aveva intorno amici , nessuno vide, si fece vuota rosa di paura intorno al corpo che crollava ... aveva litigato con uno dei capi della mafia siciliana."
 Sciascia non fa il nome, noi sì: era don Calogero Vizzini. E tutti in paese siamo convinti che l'esecutore materiale fu Centoeddieci , ma il mandante lui per questioni di rendite della miniera di Gibillini che il Vizzini in epoca fascista, al tempo di Mori, dovette lasciare affidandola appunto al Tinebra. Entrati gli americani, ritornato in auge il grande mafioso, questi ebbe a chiedere il rendiconto al suo fiduciario,  il Tinebra appunto. Il quale nicchiò più del dovuto e finì morto ammazzato in pieno Corso Garibaldi tra due uomini di rispetto sia pure minore.

Si discute (Sciascia e Tano Savatteri) se davvero l'esecutore materiale fu Centoeddieci. Il mio amico G.S. che stava dietro il padre, assessore del sindaco Tinebra non ha dubbi: Centoeddieci. Et de hoc satis. Ma chi, il mandante? ancora non si sa. Almeno per la Legge.

L'ANPI di Palermo questa storia non la sa perché diversamente insinuerebbe subito il glorioso nome del capo della polizia siciliana, l'ispettore generale  di PS gr.uff., elitario commendatore dell'ordine dei Savoia, i S.S: LAZZARO e MAURIZIO dottore Ettore Giuseppe Tancredi Messana, che guarda caso a Racalmuto nel 1884 c'è nato.

Si dà il caso che  l'ANPI di Palermo è pertinace nel calunniare questo integerrimo 'grand.commis' di Stato Ettore Messana. Dovendo celebrare l'esecuzione di tal Orcel avvenuta nel 1920, prende di mira il vice commissario di Racalmuto Ettore Messana. Nel 2014 avalla una ruberia del Comune di Riesi volta a erigere monumenti ai suoi caduti sindacalisti. E con spudoratezza più unica che rara, licenzia questa condanna ad infamia perenne del integerrimo Messana.

"Orcel viene assassinato ad un anno dalla strage di Riesi del 1919 dove vengono assassinati 15 contadini compreso un tenente di fanteria che si era opposto all’ordine fascista di sparare sui contadini che manifestavano per la riforma agraria. Ad ordinare il fuoco in solidale intesa con la mafia è stato un fascista della prima ora, Ettore Messana di Racalmuto, ufficiale di P.S., poi membro dell’OVRA, il servizio segreto, efferato criminale di guerra questore a Lubiana negli anni 40 ed infine lo ritroveremo inspiegabilmente ispettore generale di polizia in Sicilia negli anni 1945!"

Faccio puntigliose ricerche storiche ed archivistiche, metto a tacere la Cernigoi triestina, disoriento il già censurato dalla magistratura Casarrubea.

Ettore Messana, laureatosi a Palermo in giurisprudenza, torna al paese natio per fare l'avvovato Nel 1913 h aun figlio cui dà il nime di Ugo. Non ha alcuna contiguità con la mafia dell'abibeato che per Mussolini -  dopo faceva capo ai bartolotta. Ha tendenze socialiste, soggiogato dalla mefistofelica figura di Vicciu Vella. Scoppia la guerra, grande crisi, Ettore Messana può, per le aderenze della palermitana famiglia della moglie, ottenere dal massone Orlando un posto di vice commissario in quel di Mussomeli. Arriva il torbido Ottobre del 1919. Ad Orlando succede Nitti. Nitti chiama attornio a sé a Roma le migliori forze dell'ordine pubblico della landa di Caltanissetta, ivi compresi i carabinieri. Riesi sguarnita di callidi custodi dell'ordine pubblico finisce in mano di un bislacco socialistoide, il Butera. Calì da Mazzarino soffia sul fuoco per fottersi il posto parlamentare che occupava lo scialbo Pasqualino, La Prefettura di Caltanissetta - ancora non costituita la Questura - non sa che pesci prendere. Si avvale dell'uomo del decaduto Orlando che stazionava a Mussomeli gli appioppa un  sguarnito manipolo con due mitra agli ordini di uno svagato sottotenentino di Acquaviva. Messana finisce così a Riesi, distaccato, provvisorio, avulso da quell'ambiente. Cerca di intimorire la plebaglia in rivolta facendo mostrare dal sottotenentino quelle arcigne mitragliatrici. In una occupazione di un feudo ancora in mano di nobili spagnoli, ci riesce. Ma un tale nordico Allegretti, agitatore socialista, non se ne dà per inteso. Raduna le messe eterogenee tra 'iurnatara' surfarara e brutti ceffi in una piazza di Riesi. Si affaccia al balcone e vuole comiziare. Messana si oppone. Su quel vociante assembramento truce il sottotenentino schiera mitra e militari. Non si sa se vi erano anche i residui carabinieri. Qualcuno dice di sì, ma il  generale Denga venuto a sistemare le cose non ne fa menzione. Il solito furbo riserbo della Benemerita? Allegretti si intimorisce, scende in piazza e si apparta con il Messana per tentare insieme una onorevole via d'uscita. Si conviene che Allegretti sgombrerà la piazza, Messana  ritirerà l'esercito. Senonché parte un colpo di pistola dalla piazza che ferisce un ben preciso militare. Terrorizzati i soldati incominciano a sparare sulla folla usando anche il mitra. Al Messana non resta nient'altro che vedere sgomento. Non può far nulla. Chissà perché certuni seguono il fuggitivo sottotenentino e lo giustiziano in un nascosto cortile. Arriva un ispettore da Roma, il comm. Trani e questo riferisce. Casarrubea riesce nell'anno 2.000 a procurarsi uno stralcio di codesto rapporto. Ma l'ANPI di Palermo si reputa legittimata a sciorinare tutte quelle calunnie che abbiamo letto.

Il Messana viene dal Trani rispedito a casa su due piedi. In un rapporto della Prefettura di Caltanissetta sugli sviluppi della inquietante vicenda, il Messana non viene minimamente citato. Noi però sappiamo che il Messana fu letteralmente sbolognato. Non può tornare a Mussomeli. Destinato a Bologna. Là si agita uno strano personaggio, un tal Benito Mussolini. Messana si dà da fare per fargli gustare i rigori della legge. Apriti cielo. Il desso diviene cavaliere e presidente del consiglio su incarico del piccolo Vittorio Emanuele III. A Bologna il Messana non può più stare. Lo risbolognano ancora una volta,  destinazione Bolzano, al confine insomma. Là viene apprezzato. Entra nelle grazie del capo della polizia Senise. Diviene Vice Questore. Non ama l'OVRA e la sabota sottraendole il compaesano Picone Chiodo come sapidamente racconta il microstorico principe di Racalmuto Eugenio Napoleone Messana. Altro che agente dell'Ovra con buona pace degli storici in carica all'ANPI di Palermo.

Matura meriti tali per cui al Viminale lo si vuol destinare a Questore di Palermo. Ma lì è feudo mafioso dei Lauricella in combutta con il senatore mafioso Mormino suterese. L'inghippo è documentato presso l'Archivio Centrale di Stato.

Ecco perché diviene questore di Lubiana. E' duro quanto volete, ma integerrimo: è uomo d'ordine. C'è una legge e lui la legge deve rispettare. La Lubiana dei primi tempi non è certo il teatro degli abusi di Roatta. Successe che tanti partigiani slavi andarono a rifugiarsi in una discreta palazzina di Lubiana. I Tedeschi ne vennero subito a conoscenza. Si chiede al Questore Messana di indagare. Messana esegue  nel rispetto assoluto della legge, in contrasto con l'esercito, non tollerando l'ingerenza della Gestapo e del gerarca fascista Emilio Grazioli che si era arrogato il compito esclusivo del rispetto dell'ordine pubblico.  

Messana lo fa con assoluto senso dello Stato, con pignolo rispetto di leggi e regolamenti. E lo fa pure con estrema umanità come dimostra il caso di quella 'partigiana', che aveva declinato false generalità. Furbescamente si finge in fin di vita per un semplice attacco di appendicite. Messana capisce ma finge di cascarci. La signora quindi viene ricoverata in una infermeria quasi un reparto ospedaliero.  E viene lasciata pressoché incustodita. Ovvio  con la connivenza di uno  slavo che era pagato lautamente dall'Italia come poliziotto di Stato può agevolmente fuggire e Messana annota falsamente che  si è resa irreperibile. Se voleva l'andava a prendere in un batter d'occhio. Ma non solo questo. Il milite slavo la fa franca. Se erano quelli della Gestapo se ne accorgeva.  Messana rispetta ogni regola garantista nel condurre o far condurre le indagini, gli interrogatori. Non può però controbattere alle conoscenze segrete dei tedeschi sul capo della particella partigiana slovena a nome Tomsic. Va per le lunghe ma alla fine deve rassegnare il  rapporto denunzia. Centinaia di pagine. Finite nelle mani del giudice monocratico Macis, questi condanna a morte Tomsic. Le colpe di Messana? nessuna. Gli atti processuali verranno poi acquisiti a Roma  e stanno ora presso l'ACS a dimostrazione di quanto retto, giusto, umano e ligio al dovere sia stato Ettore Giuseppe Tancredi Messana, questore di Lubiana. Ma solo per un anno, il primo di quella avventura fascista mussoliniana. Dicono i rapporti ufficiali del tempo che Messana 'non aveva l'animo del fascista'. Mandano a controllarlo Gueli dalla Sicilia. Non vi fu buonsangue fra loro. L'essere conterranei induriva i rapporti, altro che compiacenze, OVRA.  fascismo colpevole come criminalmente scrive e pubblica l'ANPI di Palermo. Messana infatti nel giugno 1942 viene giubilato.Non ha l'animo 'duro' del fascista. Ma per salvare le apparenze il regime lo promuove magari anzitempo 'ispettore generale di PS'. Destinato a quale sede? Lui chiede di ritornare a Bologna. Ma lì è segnato come ostile al fascismo per quella storia contro il pericoloso Benito Mussolini. I gerarchi non lo vogliono. Il Messana resta in parcheggio a Trieste. Non conta nulla, gli tocca fare addirittura come il capo stazione di ribelli slavi non sicuri a Trieste e mandati a Pisticci. Non gliele manda lui caro defunto Casarrubea. Perché tanta acredine contro un integerrimo uomo di Stato racalmutese?

Scrive una tal Carmela Zangara, ossequiosamente ospitata da una dissennata ANPI PALERMO, per far bella figura con una Camusso chiamata ad onorare una equivoca figura a nome Accursio Miraglia di Sciacca:: "In Sicilia hanno operato, almeno due, funzionari degli apparati fascisti della prima ora, Gueli e Messana, accusati di essersi macchiati di orrende stragi ed eccidi su entrambi i fronti in Friuli e in Sicilia". Zangara tu sei una spregevole quanto ignara diffamatrice di due colossi dell'ordine pubblico, sia pure divaricati fra loro. Gueli è una cosa (ma guarda come ebbe a giubilare il capo della mafia siciliana tal don Calogero Vizzini), Ettore Giuseppe Tancredi Messana  fu eroico, probo, integerrimo solare capo della Polizia in Sicilia dopo essere stato sul punto di venire fucilato da Pavolini per non avere neppure in tarda età l'animo del fascista, parola di Senise. 

Tu,  Cernigoi, Li Causi, Montalbano ed ora chi vi ospita in Anpi Palermo MI DISGUSTATE SENZA SE E SENZA MA. Volete carte, documenti testimonianze, ripensamenti (specie da parte del Casarrubea e in verto senso della Cernigoi)? ma quante ne volete!!!! . 





















venerdì 8 giugno 2018


sabato 7 settembre 2013

Carissimo arciprete Puma,


Roma 20 novembre 1995

 

Carissimo arciprete Puma,

 

in questi giorni ho ritirato dal Vaticano la copia di un documento su Racalmuto. Ho tentato di farne una trascrizione (molto ardua e non sempre convincente per le peculiarità paleografiche). Mi sono pure cimentato in una traduzione di quel contorto latino curiale, improntata necessariamente a criteri di ampia libertà. Tutto sommato mi pare che un altro interessante tassello si aggiunge alla storia (ecclesiastica e non) del Cinquecento racalmutese. Atri dati si trovano nel fondo Palagonia dell’Archivio di Stato di Palermo. Si va così abbozzando il profilo di Racalmuto del XVI secolo, prima baronale e poi comitale, con i Carretto prima abbarbicati all’antico castello e poi propensi a godersi la vita in quel di Palermo sfruttando le risorse racalmutesi (anche se infaustamente, viste le fatali vicende che li sconvolsero).

Il documento pontificio è una bolla che trovasi nei “Registri Vaticani: Bullae n.° 1911” -  ff. 211-212v. - e credo di farle cosa gradita inviandogliene una focopia, con annessa trascrizione e traduzione. Le mie rielaborazioni palesano, invero, molti difetti e non sono suscettibili di pubblicazione. Ma per i nostri rapporti, credo che debba superare i miei ritegni, apparendomi persino doveroso metterle a disposizione le mie ingrate fatiche che pur riguardano la storia della Matrice di Racalmuto.

 

Il quadro che emerge - se debbo essere sincero - non pare tanto onorevole per la storia della chiesa, anche se la storpiatura della nostra attuale visione appanna una obiettiva valutazione.

 

E’ strano che sia occorsa addirittura una lunga bolla di papa Pio IV per assegnare il rettorato dell’arcipretura di S. Antonio di Racalmuto al sac. d. Giurlando d’Averna. Non mi edifica molto quell’intrigo tra il Sallustio, il chierico Cesare ed il suo procuratore, il chierico Natale Remondino (forse neppure siciliani, certamente non racalmutesi), un intrigo che  ha un vago sapore di simonia[1]. Tutto sommato, impallidisce la figura dell’investito Giurlando d’Averna che pure viene designato come uno che può vantare «vitae ac morum honestas aliaque laudabilia probitas et virtuum merita, super quibus apud nos fide degno  commenda[tur] testimonio». E su tale aspetto si ritorna dopo, quando il papa dichiara: «Nos tibi premissorum meritorum tuorum intuitu specialem gratiam facere vol[umus]». Sono - mi pare - stonature nel contesto della Bolla e mi richiamano le battute che nell’ottocento l’avvocato dell’arciprete Tirone si permette di declamare nell’attacco contro i Savatteri nella contraversia sul beneficio del Crocifisso. «Chiunque - scrive a pag. 10 l’avv. Giuseppe de Luca, se non ispirato, di certo non contraddetto dal colto arciprete Tirone [2] - ha familiarità dello stile delle Cancellerie della Curia Romana ben conosce il modo rituale come si ottengono le grazie. Per le dispense, che la detta Curia deve impartire, bisogna accennare ad un motivo che coonesta la grazia che si chiede. In mancanza di legitima causa si specola una ragione qualunque che avesse onesta apparenza, che vera o falsa si fosse rientra nel demanio dellla coscienza del petente

 

Con un moto di piccola vanagloria mi vanto di avere rintracciato quella Bolla pontificia dopo una difficoltosa consultazione degli schedari Carampi dell’Archivio Segreto Vaticano: non era facile rinvenire quella bolla che per la sua periferica rilevanza non mi risulta pubblicata da alcuno.

Il Giurlando d’Averna - figura che mi interessa personalmente, visto che quel cognome si è poi mutato a Racalmuto in Taverna - appare reiteramente nei primi registri parrocchiali di battesimo della Matrice di Racalmuto.

 

Il documento pontificio non collima perfettamente con le annotazioni del “Liber in quo adnotata reperiuntur nomina plurimorum Sacerdotum  ..”  del 26 marzo 1638, in atti della Matrice.

Al n.° 3 abbiamo: «D. Gerlando D’Averna - Arciprete anno 1554». Credo che gli estremi siano stati presi dai primi fogli degli atti di battesimo che in effetti recano - ma con scrittura postuma  - quell’anno. Ma è datazione inattendibile, specie se consideriamo i tempi d’attuazione delle disposizioni del Concilio di Trento in ordine appunto alle registrazioni dei battesimi. Dobbiamo far dunque differire al 1564 quei documenti della Matrice. In tal caso, non vi è contraddizione tra la Bolla pontificia ed il dato del “Liber”.

 

Il D’Averna fu arciprete - o rettore - di Racalmuto sino alla metà degli anni ‘70: a partire dal 1579 è arciprete di Racalmuto don Michele Romano. Trovo nelle mie registrazioni degli atti della Matrice un dato che riguarda  il D’Averna sotto questa data:

164
21
5
1576
Gerlando di Averna

 

Non so, però,  se si riferisce al rettore della Bolla.

Quanto al Romano, rinvengo nelle mie trascrizioni:

·      «Annotato in foglio v.: S.T.D.Dn. Michaele ROMANO Arcip. 1579».

 

 

·      «Viene annotato: DIE 28 Julii X Ind. 1597. Incomensa lo conto delli inguaggiati dopo la morte del arciprete don Michele Romano. 'f.to illeggibile' (n.d.r.)».

 

Nel “Liber”, invece, figura al n.° 4:

 

«D. Michele Romano - Arciprete anno 1578».

 

Sintetizzando, si può sostenere che d. Giurlando D’Averna - proveniente forse da Agrigento - fu rettore dell’arcipretato di S. Antonio di Racalmuto dal 13 di novembre del 1561 sino al 1576 (probabile anno della sua morte). Gli succede nel 1578 d. Michele Romano che figura titolare effettivo dell’Arcipretura di Racalmuto sino al giorno 28 luglio 1587, data della sua morte.

 

E’ singolare che nella doviziosa documentazione su d. Gerlando d’Averna che si rinviene nei registri parrocchiali di battesimo del 1571, egli non sia mai indicato con il titolo di Arciprete.

 

Rimase allora semplice rettore di Racalmuto? E tale rimase per aggirare quella esosa pensione al Sallustio che il Vaticano voleva imporre sulla parrocchia racalmutese ad onta di ogni consuetudine e diritto della Legazia Apostolica siciliana? E saremmo tentati di rispondere affermativamente.

 

Negli anni 60-70 del XVI secolo ferveva a Racalmuto la controversia sul mero e misto impero del barone e sugli oneri del Terraggio e del Terraggiolo. I documenti del fondo Palagonia ci ragguagliano a tal proposito. Stralciamo da un diploma del 1580[3]del predetto fondo:

 
Die decimo quinto Januarij nonae ind. 1580. Cum infra universitatem terrae Racalmuti et spectabiles et illustres dominos Barones terrae eiusdem, et antecessores illustrissimi domini D. Hieronymi de Carrettis comitis terrae predictae ac etiam per ipsum illustrem dominum comitem iam sunt anni fuissent incoata, et verteret quaedam lis sive quaestio in Magna Regia Curia super diversis pretensionibus et disgraviis et particolariter adductis in libello et processu compilato inter dictam universitatem et eius sindacos et dictum spectabilem et illustrem Baronem [a. v. barones] ac dictum dominum comitem a quibus pretensionibus dicti sindaci universitatis n.e [a.v.: nomine] pretendebant esse exempti et liberi certorum jurium [a v., adde: et soluptionum] pro ut latius in libello et processu est videre et maxime certorum terragiorum vocatorum de fora in dicto processu contentorum adversus quas pretensiones exemptiones et disgravia dicti spectabiles et illustres Barones et antecessores dicti illus.mi Domini Comitis et per consequens dictus ill.us dominus comes fecerent eorum exceptiones  defentiones et eorum jura exposuerunt quam [a.v.: quod]  de dictis pretensionibus et disgraviis quod dicti sindaci asserebant esse exempti et liberi, et dicti spectabiles illustres domini barones, ac etiam dictus illus.mus dominus comes manebat jure juxto titulo, et bona fide in vim primi contractus et sententiae compromissoriae et omni alio meliori modo et forma quibus de jure permittitur, et antico tempore quam [a.v.: quod] ab initio memoria in contrario non extat et omnibus alijs rationibus, juribus et causis in dicto processu adiectis [a.v.: adductis] et declaratis ad quae in omnibus et per omnia plena habeatur relatio, et post copisissimas expensas factas in dicta M.R.C. vertente dicto litigio jam sunt plures anni et adhuc sub judice lis est non potuerunt devenire ad sententiam diffinitivam tamen fuerit [a.v.: fuerunt] per universitatem predictam congregato consilio et electi deputati magnificus notarius Joannes Vitus Amella, nobiles Bartolus Curto, Petrus Bomberi [a.v.: Barberi] Nicolaus Capoblanco,  Angelus de Giannuzio [a.v.: deJannuzo], Antonuntius [ a. v.: Antonutius] Morreale, Nicolaus Macaluso, Petrus Macaluso, Antoninus Lo Brutto, Vitus Bucculeri, Petrus de Alaymo, Antoninus Gulpi in loco quondam Jacobi Morreale, circa dictam litem vertentem inter dictam  universitatem, et dictum illustrem dominum comitem in dicta M.R.C.. Qui dicti deputati electi per dictum consilium nomine dictae universitatis recursum habuerunt ad dictum illustrem dominum comitem, et cum rogaverunt quatenus vellet et dignaretur dictae universitati aliquas gratias concedere ac relaxationes facere et se benigne gerere cum dicta universitate, et suis vassallis, ut decet et finem imponere tot expensas [a.v.: expensis] et curiarum sumptibus et laboribus ipsorum vassallorum ac etiam ipsius illus.mi domini comitis, agnoscentes lites esse immortales  et incertas, qua supplicatione habita per dictum illustrem dominum comitem fuit responsus quod semper habebat voluntatem promptam concedendi gratias in beneficio dictae universitatis cum aliquo suo interesse, et sic habita voluntate et responso dicti illustr.mi domini comitis, habuerunt recursum ad Eccellentiam illustrissimi domini Proregis et supplicaverunt ipsi deputati universitatis nomine [a. v.: in dicto] tractabant quoddam accordium inter dictum illustrissimum dominum comitem et ipsos deputatos electos circa pretensiones disgravia et terragia predicta et circa dictum accordium, facta erant quaedam capitula, quae erant publicanda [a.v.: publica] per notarium publicum pro communi cautela utriusque partis, et stante quod erant necessaria dicta capitula publicari congregato consilio cum interventu partis universitatis quod utique prefata eccellentia sua dignaretur providere aliquo doctore delegato pro evitandis expensis et communibus sumptibus, et congregare facere dictum consilium, et si maior pars consentiret dicto accordio legerent [a. v.: legentur] dicta capitula, quibus lectis se contentando maior pars publicentur et prefata Eccellentia Sua mandavit quod fiant literae delegatoriae in personam magnifici domini sindacatoris civitatis Agrigenti quorum tenor talis est ut infra sequitur, videlicet:
Philippus etc. Vicerex in hoc Siciliae regno Magnifico Eustachio Protopapa U.J.D. sindacatori degenti in civitate Agrigenti fideli reg: salutem: Imperoche ad istanza di Bartolo Curto et altri infrascritti personi della terra di Racalmuto è stato supplicato, e per noi provisto del tenor che siegue videlicet:
Illustrissimo et eccellentissimo Signore, Bartolo Curto, Pietro Barberi, Giacomo Capobianco, Angelo Jannuzzo, Antonuzio Morreale, Cola Macaluso, Pietro Macaluso, Antonio Lo Brutto, Vito Bucculeri, Pietro d’Alaymo, Joan Vito d’Amella, Antonio Gulpi e Giacomo Morreale, li quali furo deputati eletti per consiglio congregato circa la questione e lite vertenti tra l’altri, e l’illustris.mo Conte di Racalmuto in la R.G.C. esponino a Vostra Eccellenza che sono più anni che in detta R.G.C. ha vertuto lite fra detto conte e suoi antecessori in detto contato ex una, e li Sindaci di detta terra ex altera sopra diversi pretenzioni, particularmente addutti nel libello, e processo fra loro compilato per li quali intendiano detti Sindaci essere esenti, e liberi di certi raggioni e pagamenti, come in detto processo si contiene, e poichè s’have trattato certo accordio fra esso conte ed essi esponenti come deputati eletti per detta università circa le pretentioni predetti, e circa il detto accordio s’hanno da publicare per mano di publico notaro per comuni cautela dell’uno, e l’altro, e stante che è notorio che detti capitoli s’habbiano da publicare con vocarsi per consiglio onde habbiano da intervenire li genti di detta università, e la maggior parte di quella per ciò supplicano a V. E. si degni restar servita provedere che s’abbia a destinare uno delegato dottore degente degente in la città di Girgenti per manco dispendio (o di spesa) dell’esponenti, e benvista a V.E. il quale s’abbia da conferire in detta università di Racalmuto,, ed in quella abbia da congregare consiglio si la detta università è contenta si o no di pubblicare il detto atto d’accordio, li quali si abbiano di fari leggiri per il detto delegato a tutte le persone che interverrano in detto consiglio per potersi stipulare il detto atto con lo consenso di tutta l’università, o maggior parte di quella - e restando l’esponenti d’accordio V.E. sia servita al detto delegato concederli autorità, e potestà di tutto quello e quanto sarrà concluso per detto accordio che possa interponere l’authorità, potestà, e decreto di V.E. e sopra questo possa interponere perpetuo silenzio, e decreto con tutte le clausole, e condizioni solite, e necessarie farsi in detti atti ut Altissimus.
Data Panormi die sexto octobris octavae Ind.s 1579 ex parte E.S. illustrissimi proregis  Magna Curio referat Hieronymus Carbonus Secretarius, et referendarius, eodem facta relactione prefata Ecc.a Sua providit et mandavit quod fiant literae Sindacatori Civitatis Agrigenti.- Carbonus Secretarius et referendarius, in conformità della quale provista con voto, e parere della Regia Gran Corte havemo per tenore della presente provisto, e confidando nella persona vostra vi dicimo, e committimo, e comandamo che alla ricivuta di questa nostra letteradebbiate personalmente conferire in detta terra di Racalmuto, ed in quella in giorno di festa ad sonum campanae in loco publico solito e consueto d’essa terra debbiate congregare e fare congregare universali consiglio dell’università e popolo d’essa terra, allo quale consiglio, al manco d’internire ed intervenga la maggior parte d’esso popolo cioè dui parti delli genti d’essa terra che solino e ponno intervenire in consiglio, alli quali preposizioni lo contento in detto inserto memoriale, ed essendo  lo consiglio di quella la maggior parte d’esso popolo cioè li due parti delli genti d’essa terra che solino, e ponno intervenire in detto consiglio alli quali preposizioni [a.v.: alli quali preponiri] lo contento in detto inserto memoriale, ed essendo lo consiglio di quella la maggior parte di quello contento devenire al detto accordio di fari leggiri da un notaro publico in presenza vostra ad esso consiglio la supradetta stipulazione che da parte di detti supplicanti vi sarrà supplicato, talmente che ogn’uno pozza intendiri ed essere capaci del continuto in detti capitulazioni ed accordio s’ha da fare, ed essendo la maggior parte d’esso consiglio quello accordato, e contendandosi di tale accordio conforme ad esse capitulazioni vi farete nominare ed eligere due persone di quelli che hanno intervenuto in detto consiglio per sindaci e procuratori d’essa università per potere contrattare, e compliri lo detto effetto della nominazione ed elezione delli quali sindaci e procuratori farete fare nota ed atto publico per notaro con tutte le clausole juramenti ed altri soliti e consueti secondo lo stile di notaro, e detta capitulazione in presenza di detti sindaci e di detto consiglio congregato, e del detto illustre conte, seu in sua assenza in presenza di un suo procuratore, debbiate fare publicare e stipulare dell’una e dell’altra parte con l’intervento serto tenore d’essa capitulazione contratto publico con tutte le clausole stipulazioni juramenti renunciazioni, ed obligazioni soliti apponersi in simili transazioni ed istrumenti publici, e secondo che tra loro cioè essi parti sarrà appuntato, e quello publicato e stipulato che sarrà debbiate voi come nostro delegato e della R.G.C. in nomine, e parte nostra e della Vicereggia autorità e potestà e di detta Reggia G.C. confirmare ed approbare ed a quello e tutti e singoli cossì in quello contenti interponere l’autorità e potestà nostra e di detta R.G.C. pariter et decretum, acciochè inviolabilmente s’habbia eseguire ed osservare perpetuamente nel modo che sarrà detto accordio concluso e publicato cossì come noi ex nunc pro tunc con consiglio e parere di detta Regia G.C. nostro Reg: munimine quello approbamo roboramo, validiamo, e confirmamo e tutti e singoli altri cossì a quello contenti alli quali interponiamo la nostra autorità potestà pariter et decretum dandoci nell’esecuzione delli cosi premissi la onnimoda autorità e potestà ac vices et voces nostras et Magnae Regiae Curiae comandando per le presenti a tutti e singoli officiali d’essa terra ed a chi spetta che in la esecuzione delli cosi premessi vi debbiano prestare ogni brachio aiuto e favore quante volte richiesti sarranno, e delli giornati che vachirete per detto effetto una con l’accesso vi farete pagare a raggione di onze ... il giorno d’essa università sopra lo patrimonio e beni di quella, e cossì eseguirete con effetto senza aspettar da noi altro mandato ne consulta, e delle presenti nostre lettere contraria revocatione, ne supercessoria alcuna eseguendo nisi fuerit parte citata et audita juxta capitulum Regni contrarium a contrario sub pena florenorum mille fisco regio applicandorum. Data Panormi die vigesimo nono Februarij nonae Ind. 1580. - Marcus Antonius Colonna, vidit Grimaldus, dominus vicerex mandavit mihi Valerio Arcabaxio; visis per Grimaldum, presententur et exequantur, Ascanius de Barone delegatus.
Die decimo tertio Januarij nonae ind. 1581 - presentes literae presentatae sunt per eximium de Barone delegatum quod exequantur et deinde virtute aliarum literarum delegatorialium fuit destinatus delegatus magnificus et eximius dictus Ascanius de Barone U.J.D. civis predictae civitatis Agrigenti tenor quarum in omnibus et per omnia per modum ut infra sequitur:
Philippus etc. Vicerex in hoc Siciliae Regno Magnifico Ascanio de Barone U.J.D. fideli Regi dilecto salutem.- Simo stati supplicati e per noi provisto del tenor che siegue videlicet:
Illustrissimo et Ecc.mo Signore, Bartolo Curto, Pietro Barberi, Cola Capobianco et consorti foro creati deputati circa la questione vertente fra l’università della terra di Racalmuto e l’illustre conte di quella ottennero lettere di V.E. a  29 del mese di febraro p.p.  dirette al Magnifico Eustachio Protopapa Sindicatore degente in la Città di Girgenti per conferirsi in detta terra di Racalmuto, e congregari consiglio confirmari l’accordio che s’have trattato, e tratta tra essa università e dettoillustre conte, e cossì come largamente si contiene in dette lettere, e perché il detto magnifico sindacatore si partio della detta città che aveva finito detto officio supplicano a V.E. sia servita provedere ed ordinare per manco interesse e dispensio di quella povera università in loco dello detto magnifico sindacatore abbia d’eseguire le dette lettere di V.E. alcun dottore degente in la città di Girgenti, o di Naro che sono propinqui di detta terra di Racalmuto benvisto a V.E. e si muti il nome in dette lettere di detto sindicatore, e si metta al detto dottore eligendosi per V.E. ut Altissimus etc. Martius  - Panormi die duodecimo Aprilis octavae ind. 1580 - Ex parte Eccellentiae Illustrissimi Domini Proregis M.R.C. provideat pro ut convenit Antonius Martius Secretarius et referendarius, in conformità della quale nostra provista con voto e parere di detta R.G.C. per tenor della presentevi dicimo committimo ed espresse mandamo che vi debbiate conferire in detta terra di Racalmuto et exequiri  questi littiri a detto Magnifico Protopapa olim Sindicaturi in detta città di Girgenti iuxta eorum seriem continentiam et tenorem. Data Panormi die 29 februarij octavae ind. 1580 e seguendo tutti e singoli premissi in dette lettere contenti facendovi pagare per vostre giornate sopra [a.v.: iuxta]la forma di nostre lettere che noi per la presente vi damo la medesima autorità potestà, ac vices et voces nostras et M.R.C. cum suis dependentibus et emergentibus annexis et connexis iuxta seriem continentiam et tenorem di dette lettere, e cossì quelli osservirete ed eseguirete, comamndando ancora a tutti e singoli officiali dello Regno che vi debbiano prestare brachio, e favore tante volte quante per voi sarranno richiesti e non farrete il contrario non aspettando da noi altro mandato, ne consulta ne di dette lettere, ne delli presenti contraria revocatoria ne supercessoria alcuna nisi fuerit abscripta P.E. et audita iuxta Regni capitulum.- Panormi die tertio Junij octavae Ind. 1580 Marco Antonio Colonna - vidit Grimaldus  - Dominus   Vicerex et generalis capitaneus mandavit mihi Antonio Martio - Visis per Grimaldum - presententur et et exequantur in forma Ascanius de Barone delegatus die tertio decimo Januarij nonae indictionis 1580 [a.v., più corretta: 1581] presentes literae presentate sunt per eximium dominum de Barone delegatum quod exequantur quibus literis exibitis et presentatis dicto magnifico Ascanio fuissent ex inde exequutae et presentate quarum vigore dictus magnificus Ascanius delegatus in Maiori Ecclesia dictae terrae Racalmuti loco solito et consueto detinere consilio ubi fuit congregatio omnium populorum facta et convocata ad sonum campanae ut moris est iuxta continentiam ipsarum literarum proposuit et suam propositionem fecit eius consilij et expositionis dicti domini Ascanij responsiones [a.v.: responsionis] dictae universitatis talis est ut infra sequitur, videlicet:
Die decimo quinto januarij nonae ind. 1581- Consilium congregatum et eximium dominum Ascanium de Barone U.J.D. delegatum E. Suae virtute literarum datarum Panormi die tertio Junij octavae Ind. 1580 et aliarum literarum, ad sonum campanae in maiori Ecclesia terrae Racalmuti die dominicae, vocatis et congregatis duabus tertijs partibus populi  invenire [a.v.: intervenire] solitis in consilio pro ut cum juramento retulerunt mihi: Laurentius Justinianus, Jacobus Monteleone et Antonius de Alaymo Jurati dictae terrae esse duas tertias partes populi solitas intervenire in consilio super accordio facto infra universitatem dictae terrae et illustrem D. Hieronymum de Carrectis comitem dictae terrae, per quem dominum de barone delegatum fuit expositum in dicto consilio tenoris sequentis videlicet:
Magnifici Nobili, et persone decorate [a.v.: honorati] et altri populani, siti congregati in questo loco; sapiti ch’avendosi  tanto tempo  ed anni litigato infra l’università di questa terra con li spettabili illustri ed illustrissimi signori Baroni e Conti di questa terra sopra alcuni pretenzioni ed esenzioni di tirraggi di fora [a.v.: supra alcuni pretenzioni et exemptioni di alcuni soluptioni di dupli terragi di fora] et altri esenzioni come più largamente si contiene per lo libello e processocontenti nella R.G.C. con detti spettabili ed illustri signori Baroni e Conti di questa sudetta terra, ed avendosi tant’anni litigato non s’have mai finito per tanto si congregao consiglio, e si elessero deputati lo magnifico Gio: Vito d’Amella, Bartolo Curto, Pietro Barberi, Cola Capobianco, Angelo Jannuzzo, Antonuzio Morreale, Cola Macaluso, Pietro Macaluso, Antonino lo Brutto, Pietro d’Alaymo, Antonino Gulpi e Giacomo Morreale, li quali deputati esposiro a S.E. e R.G.C. che avendo più anni litigato in detta R.G.C. con li predecessori dell’illustre signor Conte di questa terra di Racalmuto ed anche con detto signor conte sopra diversi pretenzioni d’essere esenti e liberi di diversi raggioni e pagamenti in detto processo e libello addutti, e contenti, e che s’ave trattato accordio fra l’università e detto signor conte, e sopra ciò fatti certi capitoli li quali s’hanno da publicare per notaro publico per commune cautela ed era di publicarsi con la volontà della maggior parte del Popolo congregato per consiglio supplicando S.E. resti servita provedere e comandare che si destinasse un delegato in questa terra per congregare detto consiglio, ed essendo la maggior parte contenta dell’ accordio, farrà leggere li capitoli ed essendo contenti quelli detto delegato farrà publicare, e stipulare ed interponere l’authorità di S.E. e R.G.C. per ciò S.E. mi ha destinato delegato in questa terra, undechè personalmente mi conferisca a congregare detto consiglio, ed intendere la vostra volontà se volete accordio per questo siti convocati in questa maggior chiesa acciò ognuno di voi dasse il suo parere [a. v.: siti convocati in questa maggior Ecclesia a tal che ogn’uno di voi dugna lo suo pariri e vuci si vuliti accordio], se volete accordio con detto signor conte, perché volendo accordio si leggiranno li capitoli che mi sono stati presentati per detti deputati e notar publico, ed essendo contenti di detti capitoli per voi s’eligeranno dui Sindaci e procuratori per potere quelli publicare e fare instrumento pubblico con li soliti obligazioni,  renunciationi, stipulazioni giuramento firmato in forma, alli quali Io come delegato di S.E. e R.G.C. interponissi l’autorità e decreto acciò omni futuro tempore s’habbiano inviolabilmente osservare siché ogn’uno venga, e dona la sua vuci, e pariri, lo magnifico Gio: Vito d’Amella capo di detta terra di Racalmuto dice che è di voto, e parere, e si contenta che si faccia accordio stante li lite e questioni che sono stati et su infiniti e sono immortali e non hanno mai diffinizioni e sono dubbij ed incerti e per evitarsi tante spese che s’hanno fatto e si potranno fare tanto più che s’ha visto la buona volontà dell’illustrissimo signor conte lo quale per li capituli ni ha fatto molte grazie ed esenzioni in favore di quest’Università di Racalmuto e non facendosi accordio interim esigirà come per il passato s’have fatto e perché in l’accordio e in mancari quelle raggioni che siamo obligati paghari per questo è contente come è detto di sopra che si faccia detto accordio e si leggano li capitoli e doppo si contratta in forma; lo magnifico Lorenzo Justiniano giurato contiene [a.v.:concurri] con il detto magnifico Gio: Vito d’Amella,
 
Et sic dictum consilium fuit conclusum nemine discrepante eodem cum fuissent lecta dicta capitula per me notarium Nicolaum Monteleone alta voce in loco alto ubi ab omnibus intelligi posse fuit per dictum magnificum eximium dominum delegatum in dicto consilio fuit expositum tenoris sequentis videlicet:
Già tutti voi esistenti in lo consiglio aviti inteso leggiri detti capitoli per notar Cola Monteleone si restati contenti di detti capituli ognuno dugna la sua vuci, e pariri, ed eliggia dui sindaci e procuraturi ad effetto di putiri publicare detti capituli e farsi istrumento publico con suoi patti renunciazioni cum juramento firmati in forma, lo magnifico Joan Vito d’Amella capitano di detta terra dici ed è di pariri che si contenta di detti capitoli letti nelli quali ci sù multi relasciti e gratij fatti per lo signuri Conti, e che si pubblicano ed eliggiasi per sindaci e procuratori ad Antonino Lo Brutto ed Antonuzzo Morreale, ad effetto di putiri fari publicari detti capitoli dictae universitatis con li soliti obligazioni stipulazioni juramento fitmati in forma; lo magnifico Lorenzo Justiniano concurri con detto d’Amella; lo magnifico Giacomo Monteleone ut proximus, lo nobileAntonino d’Alaymo ut proximus et sic omnes et singulae prenominatae personae concurrerunt cum dicto de Amella et de Monteleone de Justiniano et de Alaymo, capitaneus et jurati, et sic dictum consilium fuit conclusum nemine discrepante, et postquam fuit conclusum consilium predictum, de consensu dictorum capitulorum et electione sindacorum et procuratorum fuit facta nota electionis sindacarum et procuratorum in actis die quo supra et ideo concluso dicto consilio nemine discrepante de voluntate dicti accordij fuerunt de mandato dicti magnifici et eximij delegati et in eius presentia et coram dicto consilio et coram dictis personis nominatis existentibus in dicto consilio dicta capitula per me notarium infrascriptum alta voce et in loco ubi ab omnibus facile intelligi possunt quibus quidem capitulis lectis a primo capitulo usque ad ultimum et eis bene intellectis fuit per totum dictum consilium nemine discrepante consilium convocatum quod sunt contenti de dictis capitulis accordatis ut publicentur et fuerunt electi per dictum consilium prefati Antoninus Lo Brutto, et  Antonutius Morreale Sindaci et Procuratores universitatis predictae coram dicto consilio et coram dictis personis prenominatis existentibus in dicto consilio ad contrahendum publicari faciendum et instrumentum publicum per notarium publicum in forma publica pro ut latius per dicta preinserta capitula accordij et capitulationis detemptorum per dictum eximium dominum delegatum approbari ad que in omnibus et per omnia plena relatio habeatur, et sic ad confectionem presentis transactionis et accordij et ratificationis dictorum capitulorum devenire decreverunt modo et dorma quibus infra quorum capitulorum tenor in omnibus et per omnia talis est ut infra sequitur, videlicet:
Capitoli dell’accordio si fà infra l’illustrissimo signor D. Hieronimo Carretto conte della terra di Racalmuto e per esso suoi figli utriusque sexus et suoi eredi e successori in dicto statu per lo quali si havi di promittiri di rato iuxta formam ritus di ratificari lu presenti contrattu à prima linea usque ad ultimam, ita che li masculi d’età sìhabbiano da fari ratificari infra mesi due da contarsi d’oggi innanzi, e li minuri quam primum erunt maioris aetatis cum pacto et condictione che la persona che rathifichirà s’habbia d’obligare di rato per li suoi figli utriusque sexus, e cossì li figli di figli in infinitum intendo per quelli che haviranno di succediri in detto stato e terra di Racalmuto, e non altrimente ne per altro modo s’intenda detta promissione di rato ut supra di l’una parti, e Bartolo Curto, Pietro Barberi, Cola Capobianco, Angelo Jannuzzo, Antonuzzo Morreale, Cola Macaluso, Pietro Macaluso, Antonino Lo Brutto, Vito Bucculeri, Pietro d’Alaymo, Joan Vito d’Amella ed Antonio Gulpi eletto di nuovo per la morte dello quondam Jacobo Morreale, deputati eletti per consiglio circa la questione e liti vertenti tra lo detto illustre signor conti e l’università di detta terra in la R.G.C. ed altri differentij che tra loro sono stati, in lo quali accordio s’intenda e sia imposto perpetuo silentio:
1. In primis perché è consuetudine ed osservanza nella terra di Racalmuto che tutti quelli cittadini ed abitaturi di detta terra che tenino gallini sono obligati ogn’anno darne una al Conte di detta terra per prezzo di grana dieci, e cossì quelli che tenino pollastri averni a vendiri una per prezzo di grana setti, e similmente di quelli che tenino galluzzi venderni uno l’anno per prezzo di grana cinque, per tanto stante la nova convenzione ed accordio fatto, si è convenuto ed accordato che tutti quelli cittadini di detta terra che teniranno gallini, galluzzi ò pollastri siano obligati vendiri una gallina, uno galluzzo ed una pollastra tantum l’anno al detto illustrissimo signor Conti e successori in detto contato in perpetuum, li quali abbia di pagari per prezzo di grana dieci tantum si è gallina quanto galluzzo ò pollastra, ed avuta d’una casata che terranno detti pollami, cioè quella pollame che si troviranno aviri delli sopradetti tre nominati, cioè gallini, pollastri ò galluzzi ò parti di quelli di quelli secundo la pirsuna, che quelli terrà pagati nel modo detto di sopra per una volta tantum l’anno, non pozza in detto anno detto signor signor conti pigliarci più altra pollame di quella che avirà comprato nel modo predetto nel presente capitulo, ita che quella persona cittadina ò forastera abitatura di detta terra che non avirà pollastri e gallini non sia tenuto à loco di quelli darci gallini se non tantum la gallina predetta ogn’anno come sopra detto.
2. Item perché è antica consuetudine ed osservanza, et prohibizione potersi lavare nello loco d’undi currino li canali di la funtana di lo loco nominato lo fonti e la bivatura, e quelli che in tali lochi proibiti hanno lavato su stati incorsi in pena di onze 4.7.10 applicata detta pena le onze 4 allo barone che pro tempore sù stati ed al presente al Conte, e li tt. 7.10 a li baglij, per tanto stante la nuova convenzione ed accordio si patta e statuisce che ogn’anno s’abbia di promulgare bando per ordine di detto illustrissimo Signor Conte e suoi successori; lo detto bando di proibizione di lavarsi in detti lochi per lo quale si proibiscono tutti e qualsivoglia persone che siano in detta terra di Racalmuto di qualsivoglia stato grado e condizione che siano altro non eccettuato ne escluso eccetto che li genti di casa per uso di detto signor Conti, suo castello e casa, ma che tutti l’altri incorrono alla predetta pena delle onze 4.7.10 applicati del modo infrascritto, cioè delli tt. 7.10  alli Baglij tt. 3.15 e l’altri 3.15 abbiano d’entrare in potere delli magnifici giurati della detta terra, e cossì similmente pagandosi le dette onze 4 si debbano di partiri onze 2 à detto Conti ed onze 2 in potiri delli jurati, delli quali dinari di pena  che intriranno à detti jurati s’abbiano da fare tutte le spese e tutti consi e cosi necessarij di detta fontana ed aquedutti, nello quali loco si concede facoltà ad ogn’uno dell’università putiri denunciari la pena di quella persona che ci incorrirà, ita che li lavandari di detto illustrissimo signor conte lavando altre robbe di casa di detto illustre conte siano nella medesima pena nell’esazione, della quale pena sia data  l’autorità e potestà alli giurati presenti et qui pro tempore saranno di potere creare una persona deputata ogn’anno la quale habbia potestà d’esigeri auctoritate propria le sudette pene e pigliare in pena qualsivoglia persona che controverrà, la quale in fine anni anni aggia di rendiri alli giurati di detta terra justo e legali cunto della sua amministrazione e lo illustre conti non pozza impedire in cosa nessuna si non tantum et dumtaxat in la porzione che compatisce ad essole quale pene ch’entriranno ut supra d’erogarsi e spendiri tanto in la predetta fontana come in l’orologio ed altre cose in beneficio dell’università, ed in quanto alla pena di onze 4 relasciandoci il conte la sua parte, in tutto ò in parte s’intenda relaxata la parte competente alli jurati.
3. Item ch’è solito e consueto li cittadini ed habitatori di detta terra havendo macina et potendo macinare alli molini del conte di detta terra aviri di macinari in detto molino di detta terra, e non à quelli di fora, stante la penadi tarì setti e grana dieci, per tanto stante la presente convenzione e concordia si statuisce perpetuamente che di qua innanti li cittadini ed abitatori di detta terra dalli quindici del mese di aprile per tutti li quindici del mese di ottobre possano e liberamente vagliano a loro libertà andari à macinari dove più li piaceet accomodo etiam in l’altri molini, che non siano del detto illustre conte, e delli quindeci del mese di ottobre insino alli quindeci del mese di aprile, cui delli detti cittadini ed abitatori vorrà andari à macinari al altri molina che non  à quelli del Conti fora lo territorio, ch’innanti siano tenuti ed obligati andare dove li piacerà a loro, ad uno delli molina di detta terra di detto conte, ed andando di giorno e trovando che li sia macina per tutto detto giorno, nello quale giorno, non pozza macinari, pozza e voglia liberamente andare dove li piacerà à macinare, e si andranno à macinari di notte, avendo detto molino macina per tutta la notte sudetta, nello quale lo detto cittadino non potrà macinare, pozza e voglia liberamente andare à macinare dove li piacerà absque incursu penae, come si è detto di sopra, e di questo se n’abbia di stare per lo giuramento dello cittadino ed abitatore della detta terra, e di questo se n’abbia di stare per lo giuramento dello cittadino ed habitatore della detta terra, ed allo garzone di detti cittadini ed habitatori di potere jurare, e si trovao o ritrovao macina per tutto quello giorno, per tutta quella notte, quando avirà andato à macinare in detti molini di detto signor conte, e che per avere ritrovato macina se n’andao ad altri molini di fora lo territorio di detta terra, e non osservando la forma di detto capitolo, incorrono nella sudetta pena, applicata conforme allo bando solito prumulgarsi, benvero che provandosi per testimonij non si stia allo juramento predetto si non alli detti testimonij, e questo s’intenda per l’altri molini, eccettuando li molina dello Raffo intendendo dello jorno della spunta del sole per insina ad ore ventidue, e la notte s’intenda dalli detti ore ventidue innanti.
4. Item che è solito e consueto che li baglij tanto della terra come del territorio, le pene che fanno delli contravenzioni delli bandi ed osservantij e consuetudini di detta terra alle persone farli pagare senza testimonij, ma solo in caso di controvenzione dare solamente lo giuramento allo baglijo e per la pena dell’animali che fanno del modo detto di sopra, doviri essere solamente con la presenzia di un testimonio, per tanto per la convenzione e concordia perpetuo valituri si patta e costituisce che li peni del modo detto di sopra, che li baglij faranno alle persone nella terra, abbiano d’essere con uno testimonio, e mancando detto testimonio, non s’abbia da stare allo giuramento del detto baglio, ma allo giuramento di quella persona, che sarà presa in pena, e delli peni di fora della terra e suo territorio si stia alla consuetudine ed osservanza che al presente.
5. Item perché è di consuetudine ed osservanza in questa terra, che qualsivoglia carne di bestiame grossa, che more fora la terra, e veni morta di fori, come bovina, e vacchina e di qualsivoglia altra bestiame, tanto salvatica, come domestica, non si poetere vendere per li cittadini ed abitatori di detta terra, senza che prima ne diano un quarto allo gabelloto della bocceria del conte di detta terra, per tantoper la presente convenzione e concordia si patta e statuisce che della bestiame bovina e vacchina che verrà morta di fuora stia in facoltà e libertà delli cittadini ed abitatori di detta terra padroni di detta carne, se vorranno dare lo quarto allo gabelloto della bocceria, ò vero darci denari quattro per rotulo alli bocceri, conforme alla gabella per tutta la quantità dello piso di detta carne, che venderà delli sopradetti animali morti di fora, come sono bovi, vacchi ed ogn’altro animale salvatico, ma in quanto all’altra bestiame minuta e domestica s’abbia d’osservare la consuetudine ed osservanza come è stato ed è al presente, e non li ptere vendere che non diano lo quarto d’ogni animali che disfarranno come sono crapi, becchi ed altra bestiame pecorina e poichè non fossero mortizzi, eccettuati li castrati, ed eccetto in lo caso preditto, che fossero mortizzi, sta che, li crapi e becchi si pozzano ammazzare come è stato sempre consuetudine ed è presenti intra la terra.
6. Item in quanto alli Borgesi e Massari che siano esenti delle persone della giornata cossì per correri e carriare alla massaria musto ed altro cosi, e levarci bestij ed altri servizij, e delle manne [a.v.: manni] che si dunano a filari alli donne siano similmente esenti di tali gravizij, benvero li giornatari, bordonari ed altre genti che sono soliti locarsi alli servizij siano obligati serviri secondo l’osservanza e consuetudine di detta terra, e cossì ancora s’intenda per le donne, che solino filare e servire, benvero che quelli massari con tutto che siano massari e borgesi e farranno offizio di giornatari siano obligati servire non ostante che fossero massari e borgesi, quando che non aviranno à fare servizij in la robba loro, e che vorranno fare li fatti loro, e di questo similmente si ni abbia da stare allo juramento di detto cittadino ed abitatore di detta terra, si averà da afre uno servizio in la robba loro, ita che sia obligato detto signor conte pagarli sicome si pagano l’altri massari e borgesi, e similmente le donne pagarle il prezzo che li pagano l’altri, ita che le donne che non sono solite fare servizio stiano e non siano angariate per detto illustre signor conte, nè per suoi in futurum nelli cosi premissi, e l’altri che non fanno tale officio, e che fanno li fatti loro siano esenti e liberi, e cossì s’intenda per li bestij di quelli massari e borgesi, che fanno servizio ad altri, ch’in tal caso siano obligati servire come è di costume pagarci però li loro servizij, e detto signor conte sia tenuto di pagare per le cose premisse conforme sono solite pafare li massari di detta terra, ita che volendosi il conte servire delli giornateri e di qualsivoglia altra persona che si lochirà alla giornata per un giorno tantum, l’abbiano di servire senza pagare giornata alcuna, si non che siano franchi delli tt. due della giornata che tocca al conte delli tarì cinque della baglia per giornata, e volendosi servire d’altri giovani siano obligati servire del modo sopradetto dummodo che si debbiano pagare il giusto prezzo, che paghiranno l’altri di detta terra.
7. Item stante l’animo bono che detto signor conte have ed ha avuto verso li suoi vassalli cittadini ed habitatori di detta terra, ci fà grazia che li terraggi  non esatti dall’anno sesta [1578], e settima [1579] indizione, e cussì tutti l’anni passati che forte apparisse dover avere detto illustre signor conte, terraggi nelli quali fossero dati li terri à più sommadi salme due di terraggio per ogni salmata di terra, che quelli terraggi che non si trovano allo presente pagamento s’abbiano da pagare à raggione di due terraggi per salmata di terre, cioè salme due di formento, e lo resto ci lo relasciao e relascia.
8. Item perché è consuetudine in detta terra ed osservanza che tutti li cittadini ed abitatori di detta terra pagare la decima dello lino al detto Conte, per tanto stante la presente convenzione e concordia perpetuamente duratura, detto Conte li fà esente e libero di detta decima.
9. Item perché è osservanza e consuetudine in detta terra non si potere scippare nessuna vigna che fosse nel territorio di Racalmuto, per tanto stante la presente  convenzione e concordia detto signor conte concede alli cittadini ed habitatori di detta terra alle persone che aviranno vigna in detto territorio, volendo quella seu quelli fare scippare, li possano fari scippari avuta la licenza prima di detto conte, e relazione di esperti, e stimatore che mettirà la corte che quella vigna che vorranno scippare sia di doversi scippare, ed avuta tale licenza e relazione possano scippare detta vigna ad effetto di seminarsi e d’altri arbitrij , e che detti esperti abbiano di fare relazioni in scriptis cum juramento, acciò di detta licenza n’apparisse atto publico.
10. Item perché è consuetudine ed antica osservanza in detta terra che ogn’anno eligersi e crearsi un rabbicoto[4], lo quale have eletto e creato detto conte e suoi antecessori baroni di detta terra, per tanto stante la presente convenzione e concordia si statuisce che ogn’anno le gente cittadini ed abitatori di detta terra possano per consiglio da tenersi dalli giurati di detta terra con licenza di detto conte e suoi successori eligersi tre persone cittadini di detta terra, à tale officio di rabbicoto ogn’anno, e di quelli tre eletti per detto consiglio lo rabicoto sia quello delli tre eletti per detto consiglio, lo rabbicoto sia quello delli detti tre sarrà confirmato per il conte il quale statim abbia di dare la pleggeria conforme alla prammatica.
11. Item che è consuetudine ed osservanza in detta terra li baglij delli loro diritti e raggioni di peni cossì della gabella della baglia ed altri raggioni, ch’anno da costringersi li cittadini ed habitatori e loro debitori à farsi pagare le pene, per tanto per la presente concordia e convenzione perpetuamente duratura che per le pene gli baglij non possano pogliare formento nè altro loco sopra li bestij à nessuno, che poi non sia condannato per dette pene che domandano, e per quello che è condannato non pozza pagare se non lo giusto prezzo che have di avere per la presente in quanto allo pagare della baglia dritti di detti peni in denari s’osserva quello che per lo passato s’have osservato e per lo presente s’osserva, cioè cui è obligato pagare in formento, paga formento, e cui denari paga denari, e benvero che il cittadino ed habitatori di detta terra per tutto lo giorno di S. Vito per ogn’anno, ed offerendo per detti causi pagarsi denari non sia tenuto nè obligato pagare formento.
12. Item perché è antica consuetudine ed osservanza in detta terra di tutto lo musto che si inchiude in detta terra e suo territorio pagare alli baroni che pro tempore sù stati ed al presente al conte, per ogni botte di musto tarì tre per botte nominayi li grana, e perché la botte di detta terra è la misura di quartari venti, pertanto per la presente concordia e convenzione si patta e statuisce che lo musto lo quale s’inchiuderà in una stipa, che fosse la caputa di quartari ventinove abbasso insino alli venti che detta ragione di grana di tale stipa s’abbia da pagare tarì tre, ed arrivando à quartari trenta, s’abbia da pagare per una botte e menza; se più di detti quartari trenta in suso fosse detta stipa di caputa, che dettaraggione di grana s’abbia di pagare quel tanto più che toccherà di caputa di trenta quartari e di quartari venti à basso la detta raggione si debbia pagare conforme alla consuetudine ed osservanza, che è allo presente, ita che per la quantità dello musto in detti stipi s’abbia di stare allo giuramento delli padroni di detto musto, ita che provandosi lo contrario tali padroni siano in pena di onze quatro d’applicarsi all’erario [a.v. thesoriere] di detto conte.
13. Item perché è antica consuetudine ed osservanza in detta terra, li cittadini ed habitatori di quella per li raggioni di semina, arbitrij e massarie, che fanno e seminano in altri lochi e feghi fora dello territorio di Racalmuto pagare allo barone, che pro tempore sù stati in detta terra, ed al conte ch’al presente è quella quantità medesima per raggione di terraggio[5], che pagano alli padroni che ci dunano detti terri, si come per lo presente si paga, per tanto per la presente convenzione e concordia si patta, e perpetuamente statuisce, che li cittadini ed habitatori di detta terra, li quali farranno li loro arbitrij di massaria e seminari in altri lochi, feghi e territorio ultra lo fego di Racalmuto, che per raggione di tirraggio detto di fora [sott. ns.] tantum et dumtaxat, abbiano e deggiano pagare due salme di formento per ogni salmata di terra, che seminiranno, e se le terre, le quali fuora di detto territorio di Racalmuto pigliranno à seminare s’havessero dalli padroni per più terraggio, e per gran somma che fosse, non possano né siano costretti né tenuti pagare più che la detta somma di salme due di formento per ogni salmata di terre che semineranno, perché lo resto detto signor Conte si contenta farcini grazia e relasciarcilo; e quando realmente e veramente senza nessuna malizia nè fraude di qualunque modo si potesse commettere li detti cittadini ed abitatori, trovassero terre aà terraggio delli patroni che darranno le loro terre à seminare che per mera raggione di terraggio pagassero manco di salmi due di formento per ogni salmata di terre semineranno, quel tanto manco che sarrà delli salme due pattati per ogni salmata di terre abbiano di pagare allo detto conte di detta terra, ita che dette persone non aggiano nè debiano fraudare terraggio, nè fare collusione alcuna directe vel indirecte, tacite vel expresse, e fraudando detto terraggio facendo collusione, incorrono in quella pena, che lo conte ordenirà per suoi bandi, alli quali bandipromettino stare ed acquiescere.
14. Item che è antica consuetudine [6] ed osservanza in detta terra li cittadini ed abitatori di quella che tanto intra lo territorio di Racalmuto, quanto fora di detto territorio, seminano intra chiusi loro appatronati, pagare allo conte, come per lo passato hanno pagato alli baruni che pro tempore sù stati in detta terra li terraggi di dette chiuse loro appatronate, che hanno seminato e semineranno, cioè intra la baronia e contato di Racalmuto, à raggione di un terraggio per salmata di terre, in li chiusi fora lo territorio della baronia e contato predetto, per tummina otto di  terra che semineranno ed hanno seminato pagare à raggione di salma una di formento per salmata di terra, e tummina otto di formento per tummina otto di terra, per tanto per la presente convenzione e concordia perpetuamente si patta e statuisce sopra questa raggione di terraggio di chiuse dentro e fuora territorio, pagare sicome per lo presente si ha pagato ed osservarsi l’osservanza e consuetudine in detto terraggio di chiuse dentro e fora territorio.
15. Item che è antica consuetudine ed osservanza li cittadini ed abitatori di questa terra di Racalmuto, che fora dello territorio di detta terra averanno maisi, ristucci ò li vendono à forasteri di quelli che non obstante non seminano pagarni lo terraggio come hanno pagato alli baroni che pro tempore sono stati ed al presente al conto, per tanto per la presente convenzione e concordia si patta e statuisce che li cittadini ed abitatori di detta terra, li quali fora di detto territorio di Racalmuto ed altri terri, lochi e feghi, che aviranno maisi e li venderanno à forestieri, che per detti maisi aviaranno avuto le terre a due terraggi o più di detti non li pagano, né debbiano pagare più di salme due di formento per ogni salma di terre di detti maisi e restuccie, e si per manco per ogni salmata di terre di dette maesi e restuccie haviranno havuto le terre per manco siano obligati pagare li dui terraggi non innovando cosa alcuna della consuetudine e confirmandosi nel modo del pagamento di lo terraggio con la promissione del capitolo della paga dello terraggio di fora.
16.  Item perché è di consuetudine ed osservanza in questa terra di Racalmuto, che li cittadini ed habitatori di quella in lo territorio e fego di Racalmuto e di Garamuli nello metiri putirici teniri li loro bestij somerinini et bestij grossi che s’osservano del modo e dorma che al presente si costuma ed è consuetudine.
17. Item per la presente convenzione  e concordia il signor conte si ha contentato e cossì patta e statuisce perpetuamente che li genti ed habitatori di Racalmuto patroni di loro vigne e chiuse andando a lavorare le dette vigne e chiuse per lo tempo statuito solito e consueto che per tale effetto li cittadini predetti ponno portare le loro bestiame lavoratori, si concede ch’essendoci vacche lavoratori con le quali lavoreranno dette loro vigne e chiuse e dette vacche lavoratori avessero vitelli  loro figli, quelli detti cittadini ed habitatori di Racalmuto lavorando loro proprie vigne e chiuse possano liberamente portarceli si averanno insino al numero ò vacchi selvatichi ò ienchi mannarini se li concedi che li pozzano portare e teneri del modo che si ha detto di sopra.
18. Item perché è antica consuetudine ed osservanza in detta terra e territorio di Racalmuto  li cittadini ed habitatori di quella ed altri genti che in detta terra e territorio vendessero li loro beni stabili senza licenza delli baroni, che pro tempore sù stati ed al presente del conte incurriri in la pena di perdiri detti beni, e perché si ritrovano al presente alcuni beni stabili in detta terra e territorio venduti senza ottenere licenza del conte, onde sono incorsi nella caducità et omissione [a.v.: dimissione] di detti beni, per tanto per la presente concordia e convenzione, stante che detto signor conte graziosamente li relascia et li dimitti la pena  delli detti beni venduti senza licenza, in la quale hanno incorso, perpetuamente si patta e statuisce che la detta osservanza e consuetudine di non potere vendere detti beni stabili esistenti in detta terra e territorio senza licenza di detto signor conte si habbia di osservare, e cossì per la persente convenzione e concordia si patta e statuisce che detti beni stabili in detta terra e territorio di Racalmuto non si putiri vendiri senza espressa licenza di detto signor conte; ed havuta la detta licenza pagare la debita raggione di censi.
19. Item perché sole succederi spessissime volti persone poco timorose di Dio e di la loro coscienza per travagliare ed interessari ad altri accusarli indebitamente, pertanto s’abbia da supplicare à S.E. e Regia G.C. che si degni concedere che si possa ordinare e statuire si come per la presente convenzione e concordia obtenta licentia predicta e non altrimente si ordina e statuisce perpetuamente che accusando alcuno à qualche persona ch’elessi li termini e non facta probazione legittima di la continenzia di la causa, statim elassi li termini e non fatta probazione contral’accusato, pozza farsi tassare le spese per lo mastro notaro per la somma tassata farsila pagare di l’accusaturi  contra lo quali si pozza procedere realiter et personaliter absque quindena e che in questo non si abbia d’osservare l’atto novissimo fatto per S.E. nella R.G.C.
20. Item che è consuetudine ed accordio che l’una e l’altra parte, cioè che tanto detto illustre conte, come li sindachi ed università preditta ad invicem si relasciaro e rimettino tutte le spese fatte usque ad hiernum diem per le sopradette liti in judicij et extra, benvero che declararo e declarano le presente spese essere alla somma di scudi ventimila per ogn’uno, e volsero e vogliono che tentando e volendo tentare detto illustre conte o suoi figli eredi e successori in detto stato in perpetuum alcuna cosa directe ò indirecte, per sè, nec per submissas personas, contra la forma, continenzia e tenore del presente contratto d’accordio, seu d’altra cosain quello contenta, tali casu che s’intenda ipso jure et ipso facto condannato à pagare dette spese alla detta università; né possano essere intese un cosa alcuna nisi prius solutis dictis expensis; e similmente contravvinendo ipsi sindaci che non possano essere intesi nisi facta soluctione predictarum expensarum ad esso illustre conte seu suoi heredi e successori in perpetuum perché cossì volsero ex pacto cum juramento firmato.
21. Item e qualsivoglia altre prerogative, consuetudini, osservanzij, preminenzij, jurisdizioni, immunità, franchizzi, servitù e libertà cossì civili come criminali soliti e consueti osservanzii non previsti nè statuti  nè fattane espressa menzione per li presenti capituli, convenzione e concordia s’abbiano di guardare ed osservare nel modo e forma che sù guardati ed osservati al presente non innovando cosa nessuna ultra quelli portati e stabiliti per li presenti capitoli et etiam ex forma juris à detto conte e suoi successori competino e competiranno et similiter s’abbiano d’oservare in beneficio di detta università e dello conte e suoi successori.
22. Item che per l’avvenire né in nessuno tempo s’abbiano nè possano metteri novi vettigali, servitù, angarie, e consuetudini per detto signor conte, suoi figli, eredi e successori in perpetuum eccetto che non si mettessero ed imponessero con solito ed universale consiglio more solito.
23. Item che delli presenti capitulazioni e concordia se ne abbia da fare publico istrumento con tutte quelle clausole, cauteli, solennità debiti et necessarij, et quatenus opus est et non aliter nec alio modo se n’habbia di impetrare licenza, autorità e corroborazione si Sua Eccellenza e Regia Gran Corte e doppo della Mestà del Re nostro signore, le quali licenzie detto illustre signor conte procurerà e si forzerà impetrarle e fare ogni sforzo e debito suo, à sue dispese e non altrimente né in altro modo.
24. Item che è antica consuetudine ed osservanza che li cittadini ed habitatori della terra di Racalmuto, che principalmente hanno in gabella tenuti di terra inclusi et strasattati, ed altri territorij per quanto importa pro rata la gabella delli dette terre seù territorij inclusi e strasattati, si patta e statuisce perpetuamente che di qui innanzi quella persona che ingabellerà tenuti di terre, che sia di salmi 50 di terre, non sia obligato se non pagare uno terraggio per salmata di terre di quello seminerà intendendosici in detta somma di salme 50 tutte le terre salvaggie che si troveranno in dette terre e territorij, ita che la gabellazione della detta tenuta sia e s’intenda ingabellata per una persona tantum e non per più persone ed ingabellandosi per più persone che siano obligati a pagare lo terraggio à salme due di formento giusta la forma dello capitolo precedente numero 13, ita che la terra selvaggia non sia più della terza parte, sopra questa fraude né collusione alcuna directe vel indirecte, tacine vel expresse, giusta la forma del capitolo n.° 13.
25. Item che li predetti capitoli s’abbiano d’osservare in perpetuum tanto per detto signor conte che al presente è come per l’altri successori qui pro temporesarranno in detta università, quanto per li cittadini, ed habitatori forestieri che verranno ad habitare in detta terra.
26. Item che tutte quelle persone tanto cittadini quanto abitatori che ingabelleranno feghi etiam che fossero manco di salme cinquanta per quello che semineranno li padroni tanto cittadini quanto come abitatori della detta terra di Racalmuto abbiano di pagare à detto signor conte à raggione di salma una di formento per ogni salmata di terre che seminerà dentro lo sodetto fego, dummodo che siano feghi separati si come sono al presente.
27. Item perché è stato ed è consuetudine ed osservanza che tutti quelli cittadini ed abitatori di detta terra di Racalmuto che tengono chiuse dentro lo territorio di Racalmuto, Garamoli e Colmitelli di potere tenere per ogni menza salma di terre un bue, per una salma di terre due per ogni anno, ed una cavalcatura, per tanto s’abbia d’osservare detta consuetudine ed osservanza, et etiam che ci pozzano pasciri lo bestiame somerina quanto ni tengono giusta la consuetudine ed osservanza che per lo passato è stato ed al presente è.
Vidit Ascanius de Barone delegatus.

 

Mi sembra che l’arciprete Romano si sia comunque mantenuto al di sopra delle parti.

L’arciprete Romano ritorna alla ribalta della storia locale dopo la sua morte. In Vaticano si conservano le lettere del vescovo spagnolo di Agrigento che reclama lo spoglio dell’eredità Romano contro le pretese del conte del Carretto.

Ecco  un significativo stralcio di una lettera a Roma[7] del 1599:

Il detto Conte di Raxhalmuto per respetto che s’ha voluto occupare la spoglia del arciprete morto di detta sua terra facendoci far certi testamenti et atti fittitij, falsi et litigiosi, per levar la detta spoglia toccante à detta Ecclesia, per la qual causa, trovandosi esso Conte debitore di detto condam Arciprete per diverse partite et parti delli vassalli di esso Conte, per occuparseli esso conte, come se l’have occupato, et per non pagare ne lassr quello che si deve per conto di detta spoglia, usao tal termino che per la gran Corte di detto Regno fece destinare un delegato seculare sotto nome di persone sue confidenti per far privare ad esso exponente della possessione di detta spoglia, come in effetto ni lo fece privare, con intento di far mettere in condentione la giurisditione ecclesiastica con lo regitor di detto Regno. Et l’exponente processe con tanta pacientia che la medesme giustitia seculare conoscio haver fatto errore et comandao fosse restituta ad esso exponente la detta spoglia. Ma con tutto questo, esso Conte non ha voluto pagare quello che si deve et si tene molti migliara di scudi et molti animali toccanti à detta spoglia, non ostanti l’excommuniche, censure et monitorij promulgati per esso exponente et che detta spoglia tocca al exponente appare per fede che fanno li giurati, per consuetudine provata, et per le misme lettere della giustitia secolare che ordinao fosse restituta al exponente.

Et più esso Conte ha voluto et vole conoscere et haver giurisditione sopra li clerici che habitano in detta sua terra di Raxhalmuto et vole che stiano à sua devotione privi della libertà ecclesiastica, con poterli carcerare et mal trattare come ha fatto à Cler: Jacopo Vella che l’ha tenuto con tanto vituperio et dispregio dell’Ecclesia in una oscura fossa “in umbra mortis”, con ceppi, ferri et muffuli per spatio di doi anni et fin hoggi non ha voluto ne vole remetterlo al foro ecclesiastico. Anzi, perchè il vicario generale d’esso exponente impedio adon Geronimo Russo, genniro d’esso Conte et gubernatore di detta sua terra, che non dasse, come volia dare, certi tratti di corda à detto clerico et essendo stato bisognoso per tal causa procedere à monitorij et excommunica, il detto Conte fece tanto strepito appresso lo regitore di detto Regno che fece congregare il Consiglio per farlo deliberare che chiamasse ad esso exponente et al detto Vicario Generale et lo reprendesse, che è, stata la prima volta che in detto Regno si mettesse in difficultà la potestà delli prelati per la potentia di detto Conte.

Con lo quale di più esso exponente have liti civili per causa di detti beni ecclesiastici, per causa di detto archipretato.

Et di più don Cesare parente di detto Conte, per il suo favore, fece scappare dalle carceri à doi prosecuti dalla corte episcopale di Girgente, et perchè ni fù prosecuto, diventano innimici delli prelati.

 

Altri accenni alla chiesa di Racalmuto sul finire del Cinquecento, si trovano nel lavoro a quattro mani (mie e del Nalbone) “Racalmuto in Microsoft”, che riguardando tra l’altro il successore dell’arciprete Romano non credo ozioso qui richiamare:


                                                                                                                                                                                 
Il Vescovo Horozco, come si vede, usa ed abusa dei benefici ecclesiastici di Racalmuto, anche per le sue velleità letterarie. Del resto, aveva nominato arciprete di Racalmuto il suo segretario particolare Alessandro Capoccio che non aveva neppure il tempo di prendere possesso di persona dell'arcipretura ed ebbe perciò a mandarvi due suoi rappresentanti, muniti di formalissimi  atti notarili. [8]
Tre anni prima, don Alexandro Capocho era stato inviato a Roma, al posto del Covarruvias, per prosternare la prima relazione 'ad limina' dei Vescovi di Agrigento al Papa[9].
Mons. Domenico de Gregorio parla del Capoccio nel lavoro prima citato (pag. 69) come uno dei due testimoni nel processo canonico del febbraio 1594 per la nomina dell'Horozco[10] a Vescovo di Agrigento presso il nunzio pontificio in Spagna, Camillo Gaetano. In particolare, la testimonianza del Capoccio fu preziosa quando si trattò della situazione della Chiesa Agrigentina, dato che costui  aveva «dimorato circa due anni nella .. città» di Agrigento.  Peraltro, il Capoccio a quel tempo solo «da due mesi conosceva l'Horozco».
Si dà il caso che con tali testimonianze passò inosservata la mancanza della "limpieza de sangre" , avendo il designato sangue ebreo nelle vene, che era all'epoca d'ostacolo alle cariche ecclesiastiche. Il Capoccio venne poi compensato con la lauta arcipretura di Racalmuto.
Il De Gregorio è comprensibilmente circospetto e si limita ad annotare: «Il Covarruvias portò con sé alcuni ecclesiastici spagnoli che poi fornì di benefici come Ferdinando Rodriguez, nominato nel 1596 arciprete di Cammarata, il suo familiare Giovanni Aleyva cui nel 1602 diede il beneficio della Madonna dei Miracoli di Cammarata, il dr. Antonio Perez de Bobadilla nominato canonico, Alessandro Capoccio che fu arciprete di Racalmuto (1597) e Vicario generale».
Per quanto tempo il Capoccio sia stato arciprete di Racalmuto, s’ignora. Sappiamo che subentrò l'Argumento, nominato arciprete di Racalmuto nel marzo del 1600.[11]

Di lui v'è cenno nel Sinodo del Vescovo Covarruvias del 1600-3. Tra gli altri viene nominato esaminatore sinodale [12]Resta oscuro se la successione nell'arcipretura sia avvenuta per morte o per caduta in disgrazia del Capoccio[13].


Sul genero del conte Giovanni siamo in grado di fornire qualche cenno anagrafico, desunto dai registri della           Matrice.                                                                                                                                                                  

ATTI DI BATTESIMO (Battesimo di tre bambini del nobile Russo)
data di battesimo    Cognome              Nome            Paternità                 Maternità    

                                                                                                                                                                                   
3 luglio 1596           RUSSO        Francesco Maria  Girolamo sig.           Sabetta, donna               
                                                                                                             3 luglio 1598           RUSSO        Margherita          Gironimo don          D.a Elisabetta                                          
                                                                                                                                                                               10  gennaio 1600          RUSSO        Giuseppe              Gerolamo, don        Elisabetta                      

Padrini dei battesimi sono i coniugi Vincenzo e Caterina Piamontesi.»

 

La vicenda feudale dei del Carretto della seconda metà del Cinquecento  ha alcuni momenti solenni negli estremi dei Processi che si celebravano a Palermo.  Al fine di meglio inquadrare la vicenda di d. Gerlando d’Averna, possiamo qui segnare i seguenti stralci:

1560 [14]




[1]) Ma papa  Giovanni Angelo Medici (Pio IV) non viene considerato pontefice propenso alla simonia, neppure da autori laici come L. von Ranke (cfr. L. Von Ranke - Storia dei Papi - Sansoni 1974, pag. 233 e ss.). Neppure nepotista: un suo nipote fu il cardinale Carlo Borromeo. «Carlo Borromeo - scrive il Ranke,  v. p. 238- non considerò la sua posizione di congiunto del papa, e l’accesso agli affari più importanti che gli era consentito, come un diritto, che gli permettesse qualche cosa, ma come un dovere al quale egli doveva dedicarsi con ogni cura. E vi si dedicò con modestia pari alla costanza. [...] Così le qualità del nipote supplirono a quelle deficienze che i rigoristi avevano potuto trovare nello zio.»
[2]) Cfr. “Comparsa conclusionale dei Signori Ben. d. Calogero Matrona e consorti, convenuti, contro i coniugj d. Giuseppe Savitteri e donna Concetta Matrona interveniente forzosa, e contro il signor cav. Vincenzo Ferlazzo Intendente di Finanza” - Girgenti tip. E. Romiti - 1876 - pag. 10 c.o. Chiesa Madre di Racalmuto.
[3]) ARCHIVIO DI STATO DI PALERMO : FONDO ARCHIVISTICO PALAGONIA - SERIE ATTI PRIVATI - UNITA’ N.° 631 - anni 1502-1706 - Transactio Pro Ill.mo don Hieronimo del Carretto Comite huius terrae Racalmuti cum Universitate dictae terrae Racalmuti. [Palagonia n.° 1 p. 29-123] [fondo n.° 631]
 
[4]) Rabbicoto: commissario del grano.
[5]) A margine dell’analogo fondo Palagonia n.° 709 (f.30v) viene segnato il termine “terragiolo”, ma è definizione del n.° 14 delle consuetudini ad uso dei fruitori del XVIII secolo, del tutto spuria rispetto al testo del 1580.
[6]) Annotato a margine di questa consuetudine: “terragioli” (però nel documento del Fondo Palagonia n.° 631 f. 708v.)
[7]) ARCHIVIO SEGRETO VATICANO - ASV - SACRA CONGREGAZIONE VESCOVI E REGOLARI  -Anno 1599 - pos. C-L (posizione G).
Sulle vicende fornisce notizie Mons. De Gregorio (Domenico De Gregorio - Giovanni Horozco de Covarruvias de Leyva, Vescovo di Agrigento (1594-1606), in Miscellanea in onore di Mons. Canv. Dr. Angelo Noto - per la sua messa d’oro - Agrigento 1985, pag. 73. Le raccoglie dall’Archivio Curia Vescovile di Agrigento - Reg. 1595.):  «Le controversie poi per la giurisdizione o esenzione ecclesiastica non erano infrequenti. A Racalmuto il chierico in  minoribus Jacopu Vella fu “infamato” della morte di un vassallo del Conte il quale lo fece arrestare e volle procedere contro di lui, nonostante monitori e  censure, e per sottrarlo al vescovo lo fece prima portare nelle carceri di Palermo e poi in quelle di Agrigento. “In detta terra li preti e clerici non godono franchezza nixuna et per ordine del conte non si da la franchezza della gabella et mali imposti et comprano come li seculari denegandoli la franchezza. ”In detta terra, essendo mandati Vincenzo Carusio, sollicitaturi fiscali, e Giuseppi Gatta commissario per prendere a notaro Oruntio Gualtieri, foro detenuti dalli uffiziali temporali, carzerati per molti giorni tenendoli  a lassari exequiri l’ordini contra detto prosecuto”. Nella stessa terra lungamente il conte contrastò con il vescovo e il capitolo per il diritto di spoglio alla morte dell’arciprete Michele Romano.»
 
[8]) cfr. Atti della Matrice: STATO DI FAMIGLIA - M A T R I M O N I -  1582-1600 ove leggesi la seguente nota: «DIE 16 Julii XIe Indi.nis 1598: ''Pigliao la possessioni don Vito BELLISGUARDI et don Antonino d'AMATO (?) procuratori di don Lexandro Capozza p. l'arcipretato di Racalmuto come appare per atto plubico''.»
 
 
[9]Archivio Segreto Vaticano - Relationes ad Limina - 18A - f. 1.
 
In spagnolo, il Covarruvias così presentava il Capocho alla Sacra Congregazione competente:
 
«Quando no veniera negocios en esta Corte a que embiar a Don Alexandro Capocho mi secretario, me diera contento embiarlo a hacer riverencia a V.S.Ill.a y darle cuenta de las cosas de por aca, como lo hara Don Alexandro ...el obispo de Girgento». 
 
Nell'atto di delega del 12 settembre 1595 "Don Alexandro Cappocio' viene titolato come "Sacrae theologie professorem eiusque [del vescovo] Secretarium”. Noi, su quella scia, abbiamo consultato il processo canonico - Archivio Vaticano Segreto - Processus Concistorialis - anno 1594 - vol. I - (Agrigento) - ff. 30-62.
 
La testimonianza di quello che sarà il nostro arciprete è, a dire il vero, schietta e per niente compiacente (f. 36v e 37).
 
Sintetizzando e traducendo dallo spagnolo ricaviamo questi dati:
«Depone il dottor Don Alexandro Capocho, suddiacono naturale del Regno di Napoli e residente per il momento in questa  corte.
 
«Egli testimonia che conosce il detto signor Don Juan de Horoczo y Covarruvias  di vista  e solo da due mesi, poco più poco meno, e di non essere né familiare né parente dell’ Horozco».
 
 Salta quindi ben dodici domande che attenevano alle origini ed alla vita del futuro vescovo. La sua testimonianza è quindi molto minuziosa sulla Cattedrale di Agrigento (circostanza che non ci pare qui conferente). Conosceva piuttosto bene Agrigento per esservi stato due anni, poco più poco meno’.
 
 
 
[10]) Sull’Horozco è tornato di recente, con una approfondita ricerca Raffaele Manduca: Il sinodo di Giovanni Horozco (Girgenti 1600-1603) in Archivio Storico per la Sicilia Orientale - 1991 Fasc.I-III, pag. 243-296.
 
[11]) Cfr. Atti Matrice: STATO DI FAMIGLIA - M A T R I M O N I -  1582-1600. E’ ivi annotato: «Di la maiori ecclesia di Racalmuto pigliao possisioni don Andria Argumento  a li 7 di  marzo XIII ind.1600».
 
[12]) «don Andreas de Algumento U.J.d. Ar.[arciprete] terre Recalmuti» (cfr. Archivio Vaticano Segreto - Relationes ad limina - A18 - f.  40).
 
[13]) L'elenco degli arcipreti di p. Puma omette ogni dato sull'arciprete Argumento, [l'annotazione a penna +1579 resta indecifrabile.  Forse è da rettificare in 1599 e segna la fine dell'arcipretura del Capoccio o Cappocho.]
[14]) ARCHIVIO DI STATO IN PALERMO - PROTONOTARO DEL REGNO - PROCESSI D’INVESTITURE - BUSTA N. 1517 - PROCESSO N. 2554 - FEUDO: TERRA CON CASTELLO DI RACALMUTO - COGNOME E NOME DELL’INVESTITO: DE CARRECTIS GIROLAMO - ANNO: 1562