sabato 27 dicembre 2014

Restivo e la sua "erba maligna" (corretta da alciune fallaci gocce d'inchiostro)



Calogero Restivo. L'ERBA MALIGNA

Chi poeta non è e incontra chi poeta lo è, tenero, ispirato, virgiliano, bucolico, rappreso nelle eterne fantasie di una infanzia trascorsa tutta in un borgo antico e contadino, quale CALOGERO RESTIVO, da Racalmuto, cosa può dire se non sommessamente compenetrarsi, sentire concorde, rivivere insieme. L'ERBA è MALIGNA dice Calogero Restivo, ormai incanutito in terre lontane, molto più apriche, inebrianti per odor di zagara e per mari omerici ricamati dagli erbosi sassi dell’infelice Polifemo, accecato dall'astuta malizia del greco Odisseo.
Ma tanto non inquina il fragile animo di Calogero Restivo.  Monodico, riservato di lingua, aggettiva con sagace pudore. Chi come me tende alla debordante ipotassi, s'inchina riverente a tanta efficace parsimonia espressiva.
Ma scatta qui e là l'arditezza dell'immagine. Lui è pudico, noi no! Ci mette dentro frenesia pensare a sirene a cavallo di invisibili onde che ci ammiccano paradisi non ancora inventati. Per lui il contadino è sordo a lusinghe, oppresso dall'erba maligna che gli inonda i suoi asfittici prati, Da maledire la pioggia, l'ultima pioggia inondante di vacua gramigna le tisiche vigne dell'ingrata campagna. Lui col villico rimanda l'ascolto dei canti quando nella calma di fine raccolto il cielo si stella ancor quando non si spegne il tramonto. E così stiamo violentando la luccicante pagina virgiliana di questo grande poeta, Calogero Restivo nato in quel di Racalmuto, non ancora inquinato dai mari di Aci Trezza o dagli ubertosi declivi di Riposto. [segue]

silenzio di vetro (poesia di Calogero Restivo, poeta racalmutese)

Cosa è poesia? e Piero Carbone ci impone di rispondere. Io caro Piero non so, non sono poeta. Solo però che leggendo Restivo preso dal  "silenzio di vetro" nella sua "erba maligna" mi rispondo ecco la poesia, ecco il poeta. Parole che sono immgini, immagini che scorrono tra un silenzio e l'altro. Invito al ricordo, allo strazio della memoria di cose perdute. Già anch'io ho sentito tocchi allentarsi nel regolare ritmare delle ore. Ma il poeta mi suggerisce tentazioni raffinate, soavi, intime come io non avrei mai saputo modulare. Quando in paese e pioveva e nella prima mattina a stretto sentire con l'acciottolato io mi disperdevo, mi alienavo, ecco perché: non eran muli con l'aratro di legno che uno smunto villano portava in campgna, erano "passi cadenzati/ su percorsi di pioggia.".
Il poeta sa parlare per te, ti dà il suono dei ricordi lontani infantili che la vita ora ti ha aggrovigliato, distorto, frantumato. il poeta Calogero Restivo nell'erba maligna interrompe: il conteggio "di ore/ nella notte di silenzio di vetro/ fragile".
 
 
Accursio Vinti a colore. I colori del principe

Sutera di fronte a Racalmuto

foto di Città di Sutera.
Mirabile Sicilia!!! Suter vista dal Castelucco ha davvero la conformazioe di un munnieddru o meglio di u tumminu. E per il più grande arabista d'Italia Racalmuto, sarebbe Rahl mudd come dire mondello una sottomisura del tumulo. Sarà vero? Congettura più o meno cervellotica come tutte le altre. Ma intanto affondiamo le nostre radici in un mondo di grande storia anche medievale.

Il nome di Racalmuto. Editio brevis emendata e quasi corretta


Il lugubre fardello di "paese di morti" o "morto" si deve al  profluvio storico dell'avvocato girgentano, [1]Giuseppe PICONE, che  per tutta la seconda metà dell'Ottocento imperversò nella riesumazione della microstoria locale (anche se non senza meriti,  come oggigiorno gli viene sempre più riconosciuto). 

Avventuratosi il PICONE, tardivamente e da autodidatta, nello studio della lingua araba, egli ritenne suo diritto storpiare il toponimo "RACALMUTO"  in RACHAL-MAUT ( Cfr. Giuseppe PICONE:MEMORIE STORICHE AGRIGENTINE, Agrigento, 1982, riedizione anastatica della pubbli‑cazione in Girgenti del 1866 resso Salvatore Montes, pag. 413 e ib. nota n.2)-

Là il termine [1]MAUT[1] e in caratteri arabi, letto in MAUT e quindi traslato i MORTO, il tutto  privo di ogni legittimazione linguistica.

Come dopo   meglio preciseremo, il più antico toponimo di Racalmuto con cui ci siamo imbattuti è [1]RACHALCHAMUT[1] ed appare nei registri della  Corte Angioina di Napoli del 1271 (Reg. 1271 A, f.246 del DE   LELLIS).

 In vari Diplomi del XIII secolo abbiamo: [1]RAHALMUT[1] (Cfr.        DOCUMENTI DA SERVIRE ALLA STORIA DI SICILIA - PRIMA SERIE - DIPLOMATICA a cura di Raffaele STARABBA - PALERMO 1882, pag. 12,  [data di riferimento 10 settembre 1282, XI Ind.]) e [1]RAKALMUTO[1]   (Cfr. ibidem p. 364: anno di rif. 1283).

Nei Registri avignonesi  del XIV secolo - da noi direttamente consultati presso l'Archivio segreto del Vaticano - abbiamo: [1]Rachalmoto[1],  [1]Rachalmutu[1] e [1]Rachalmuto[1].

Nel XVI secolo, il monaco saccense  FAZELLO indica sbrigativamente il nostro paese con il nome [1]RAJALMUTO[1]. 

Il PIRRO - ben conosciuto dal PICONE e che scrive nel XVII secolo – trascrice traducendo in latino “]RAHYALMUTUM”.

Nel DIZIONARIO TOPOGRAFICO DELLA SICILIA[1] di Vito AMICO e Gioacchino di MARZO, tenuto costantemente sott'occhio dal PICONE, il toponimo viene riportato in 13 variazioni, a seconda degli autori citati, ma giammai in qualcosa che potesse in qualche modo giustificare la   storpiatura [1]RACALMAUT[1] necessaria al funambolismo arabico dell'avv. Picone.

Nelle tardive, ma non troppo, trascrizioni degli amanuensi parrocchiali della Matrice di Racalmuto, le più antiche delle quali risalgono agli anni sessanta del 1500, da noi seguite piuttosto attentamente, il nome di Racalmuto viene  spesso storpiato, ma mai in RACALMAUTO o voce simile. [1]RAYALMOTO[1] (10 gennaio 1583), [1]RAULMUTO[1] (7 gennaio 1585), [1]RECALMUTO[1] (28  ottobre 1585), [1]RAYALMOTO[1] (6 febbraio 1594) sono voci presenti negli atti di matrimonio di quel tempo. Sia, però, ben chiaro,   quando l'atto è solenne, l'ortografia può essere discutibile, ma  il toponimo è preciso: [1]RACALMUTO[1] (cfr. annotazioni del 16 luglio 1598, quando "pigliau la possessioni don Vito Bellosguardo e don  Antonio d'Amato procuratori di don Lixandro CAPOZZA per  l'arcipretato di [1]Racalmuto[1] come appare per atto plubico"; o del  14 agosto 1599; oppure del 7 marzo 1600 allorché‚ "di la majori  ecclesia di “Racalmuto” pigliau possissioni don Andria [1]Argumento[1] a li 7 di marzo XIII ind. 1600".

Il Picone, dicevamo, tradusse dall’arabo molto arbitrariamente come Racalmuto=PAESE DEI MORTI.  Purtroppo, a corrergli dietro è stato il nostro storico locale, l'ottocentesco [1]Nicolò TINEBRA-MARTORANA[1]: così  [1]RACALMUTO[1] è divenuto da quel dìsinonimo di "villaggio [1]morto[1], [1]distrutto[1], [1]diroccato[1]" (cfr. pag. 24 dell'edizione racalmutese delle MEMORIE del 1982). Del resto il TINEBRA era, come storico,  succubo dell'avvocato girgentano, come il querulo richiamo a   quella autorità, ricorrente nelle pagine delle "MEMORIE"  del Nostro, sta ad attestare. Il povero TINEBRA, invero, tentòdi fugare la iellatoria etimologia del PICONE e di suo aggiunse,  ma timidamente, quel pudico "distrutto". Dalla sua aveva uno studioso del calibro di Vito AMICO, (     [1]AMICO Vito Maria[1]: fu un monaco benedettino, valente storico e geografo,  nato a Catania nel 1697 e ivi morto nel 1762. Priore di vari conventi, ebbe la cattedra di storia civile presso l'università  di Catania (1743). Dal 1751 fu storiografo regio Carlo III di Spagna. Le sue opere: [1]CATANIA ILLUSTRATA[1] (4 voll. - 1740- 43); [1]LEXICON TOPOGRAPHICUM SICULUM[1] (1757-600. Quest'ultima opera rappresenta il primo dizionario storico della Sicilia e viene tuttora utilmente consultata nella traduzione di [1]G. Di MARZO[1] [1]Dizionario topografico della Sicilia[1], 2 voll. 1855) - [da "[1]LESSICO UNIVERSALE TRECCANI[1]]..

Secondo Vito Amico, Racalmuto "fra gli arabi vale [1]RAHALMUT[1] casale decaduto  o diruto".  Tinebra Martorana poteva, dunque, omettere la lugubre etimologia del PICONE. Non lo fece, pur conoscendo il [1]'Lessico topografico siculo'[1] dell'AMICO (cfr. nota 12 di pag. 24). Solleticava la sua vanità  giovanile il potere scrivere a vent'anni in arabo, sia pure   copiando meccanicisticamente due termini presi in prestito dal  PICONE: "Rahal" e "Maut".

 

 

Si dà il caso che Leonardo SCIASCIA assegni al libro del Tinebra l'insorgere presso i racalmutesi  “di un rapporto più  intrinseco  e profondo  col luogo in cui sono nati, nel riverbero del passato sulle cose presenti-“ (v. PREFAZIONE, pag. 9).

Alle scuole elementari, la maestra MARTORANA e il 'professore' CAVALLARO mi insegnarono oltre mezzo secolo fa che Racalmuto significava 'paese di morti'. Mia madre, mi ripeteva il passo del Tinebra che la sua insegnante elementare, la maestra MACALUSO, le aveva fatto e 'imparare a memoria'. Ma con tutto il rispetto che debbo a SCIASCIA e al suo culto per “l'aura romantica che trascorre  nel libretto del TINEBRA,” debbo dire che quella funerea  etimologia ho voglia di ripudiarla in toto; è davvero stramba, infondata e storicamente insensa.  

        Se una congettura è ammessa, allora più attendibile appare l'ipotesi che vorrebbe l'etimo "RACALMUTO" quale "[1]CASTELLO DI CHAMUTO.   CHAMUTH fu l'ultimo emiro della dominazione araba del territorio tra Agrigento ed Enna. Egli venne vinto, ma non umiliato, dal  conte Ruggiero il normanno nel 1087. Tutto fa pensare che a  Racalmuto vi fosse una fortezza, se non due, vuoi al Castelluccio, vuoi  'a lu Cannuni'. E 'RAHAL' vuol anche dire in arabo fortezza, castello, stazione. Quella fortezza era sotto il dominio di CHAMUTH. In quel tempo, o dopo nella memoria degli arabi umiliati, essa non poteva che venire indicata che come la Rocca  di CHAMUT, donde  - almeno per noi - RACALMUTO.

[Debbo però ora aggiungere che i miei studi e le mie rcerche posteriori mi hanno, e di molto, allontanato da siffatte pur affascinanti tesi. La storia è fatta così: non si dice mai l’ultima parola.]     Conosciamo le gesta di CHAMUTH perché‚ un benedettino normanno,  che fu al seguito del conterraneo RUGGIERI, ce ne ha tramandato  la memoria. Trattasi della cronaca del secolo XI del monaco   [1]Gaufredo MALATERRA[1]. Michele AMARI non lo ebbe in grande stima, ma nel raccontare quegli eventi nella sua [1]Storia dei Musulmani  di Sicilia[1] fa solo l'eco al monaco benedettino. A nostra volta,  noi trascriviamo quel passo di sapido stile ottocentesco. E' una pagina di storia che, in ogni caso, investe la nostra terra di Racalmuto nel frangente della sconfitta araba ad opera dei predoni normanni.

        

        ® Il cauto normanno [il conte Ruggieri] avea occupata Girgenti, - narra appunto Michele AMARI - mentre i marinai italiani si apparecchiavano tuttavolta all'impresa di al-Mahdyah. Sbrigatosi di Benavert nel 1086, radunava a dì primo aprile del 1087 le  milizie feudali, volenterose e liete per la speranza di acquisto; e sì conduceale all'assedio di Girgenti. Ubbidiva allora Girgenti con Castrogiovanni e con tutto il paese di mezzo, a un rampollo della sacra schiatta di Alì, del ramo degli Idrisiti che avevano regnato un tempo nell'Affrica occidentale, e della casa de' Bamì[1]Hammud[1], la quale tenne per poco il califato di Cordova (1015- 1027) indi i principati di Malaga e di Algeziras (1035-1057), ma cacciata dalla Spagna, andò cercando fortuna qua e là. Par che un uomo di codesta famiglia, passato in Sicilia, non sappiamo appunto in qual anno, abbia preso lo stato in quelle province, tra le guerre civili che si travagliarono coi figli di Tamil; portato in alto non da propria virtù, ma dal nome illustre e dalle pazze vicende dell'anarchia. 

Chamut il suo nome, qual si legge nel Malaterra e ben risponde  alla voce che a nostro modo si trascrive Hammùd.  Il quale si rannicchiò tra sue rupi inaccesse di Castrogiovanni, mentre la moglie e i figlioli soggiornavano in Girgenti, e i Normanni circondavano la città , batteano le mura con lor macchine; tanto che occuparonla a dì venticinque luglio del medesimo anno. Ruggiero v'acconciò fortissimo un castello, munito di torri, bastioni e fosso; lasciovvi buon presidio, e battendo la provincia, in breve ne ridusse undici castella: Platani, Muxaro, Guastanella, Sutera,[1]Rahl[1], (su tale toponimo [1]RAHL[1] abbiamo appuntato tutta la nostra attenzione  ritenendo che potesse essere quello del nostro paese. AMARI riduce in RAHL un [1]RACEL[1] che trovavasi nel manoscritto malaterrano che fu trafugato dall'Italia dallo spagnolo ZURRITA e pubblicato a Saragozza nel 1578. Quel manoscritto è andato  perduto. La pubblicazione che resta ancora l'edizione principe fu recepita nella colossale opera di Ludovico Antonio MURATORI, [1]RERUM ITALICARUM SCRIPTORES[1] nel vol. V con il sintetico titolo HISTORIA SICULA, Gaufredi MALATERRAE[1]. Il Muratori dà la lezione [1]RACEL[1] e in calce annota [1]RASEL-BIFAR[1] ad indicazione di altre  lezioni da lui tenute presenti. L'Amari non si produce in ulteriori ricerche paleografiche: distingue RACEL da BIFAR; per lui arabista, RACEL equivale a RAHL [casale]; si confessa incapace di individuare un RAHL nelle pertinenze agrigentine, che ne sono piene. Il PICONE segue la pista dell'AMARI e nelle  sue MEMORIE (cfr. pag. 401) reputa incompleto il toponimo e  segna [1]RAHAL...[1], distinguendolo comunque da [1]BIFAR[1], una località piuttosto nota tra Campobello di Licata e Licata. Si sa che la  raccolta di 'scriptores rerum italicarum' è stata, a cavallo di secolo, oggetto di pregevolissime riedizioni con interventi di personalità della cultura del calibro del CARDUCCI. Il testo del monaco benedettino dell'XI secolo ha avuto nel 1927 una diligentissima riedizione con una illuminante introduzione da parte di Ernesto [1]PONTIERI[1]. Questi venne in Sicilia; trovò altri codici (A=Cod. X. A 16 della Biblioteca Nazionale di Palermo;     B=Cod.II.F 12 della Società Siciliana per la storia patria; C=Cod. 97 della Biblioteca universitaria di Catania e D=Cod. QqE 165 della Biblioteca comunale di Palermo) che, comunque, mutili e scorretti e pur sempre derivanti dalla fonte dell'edizione principe del 1578, non gli furono di molto aiuto. Il PONTIERI adottò la lezione [1]RASELFIFAR[1], legando insieme Racel e Bifar, e  in nota fornì la versione della Biblioteca universitaria di Catania (C): [1]RACEL GIFAR[1]. Nel 1937, Carlo Alfonso NALLINO, nell’integrare le note della [1]STORIA DEI MUSULMANI DI SICILIA[1] di M. AMARI controbatteva al PONTIERI e reinterpretava il passo  malaterrano con questa dissertazione [aggiunta a nota n. 1 di  pag. 177 op. cit.]: In realtà i castelli sono 10 e non 11. L'ed. princeps del Malaterra (Saragozza 1578), e le prime cinque  che la seguirono pedissequamente, hanno 'Ravel, Bifara', come se si trattasse di due luoghi diversi; ciò ingannò V.D'Amico, Diz. topogr. trad. Dimarzo (Palermo 1855-56, l'ed. latina è del 1757-1760), che nel vol. I, pag. 143-144 tratta di Bifara e nel   II, p. 398 di RACEL (dal solo Malaterra), e quindi l'Amari. Nessuno dei due pose mente all'attenzione del Diz. stesso, I, p. 143, che Bifara 'dicesi anche RAGAL BIFARA' (evidentemente  nell'uso locale siciliano). Il traduttore Dimarzo, I p. 144, n.    1, osserva che Bifara ' è un sottocomune aggregato a Campobello  di Licata , in provincia di Girgenti (Agrigento), circondario di Ravanusa'. Campobello dista 50 Km. da Girgenti (Agrigento) e 9 da Ravanusa. E. Pontieri, ultimo editore del Malaterra (1928), trovò nei mss. anche le varianti Raselbifar e Raselgifar e scelse a torto la prima nel testo (p. 88) e nell'indice (p. 153), mentre è certo che il primo componente e  [1]rahl[1] (racel, racal, ragal), come ben vide l'A. [cfr. pag. 178  op. cit.]  Quel che sorprende in entrambi quest'ultimi due studiosi è il fatto che con la loro lezione i casali conquistati da Ruggiero il Normanno diventano dieci in aperto contrasto con  la premessa del MALATERRA che parla di ben undici castelli agrigentini presi all'arabo CHAMUTH: una contraddizione che andava per lo meno giustificata. Come si vede un gran pasticcio e ci scusiamo se l'averlo qui accennato può essere apparso pedante e tedioso. Ma è l'unico proba‑bile appiglio ad una fonte storica delle origini del toponimo RACALMUTO. Alla fine della  fatica, vien però da domandarsi se sia proprio importante trovare  un antico toponimo da assegnare alla storia della nostra terra.  [ed ora aggiungiamo che alla luce di atre nostre ricerche questa è una lezione che abbamo del tutto abbandonata. Noi ne siam certi, Racalmuto sorde e viene denominata alla fine dell’XII secolo. Invero il oponimo già esisteva. Era attribuito ad una località di Sottana , ad un locale convento di Basiliano). Che questi si siano insediatia nache a Racalmuto, magari presso i convento di an Benedetto e si siano partati dietro quel toponimo ben documentato dal Cusa? Noi pensiamo di s, ma esta nostra singola non autorevole congettura. Ai migliori di noi l’ardua sentenza).  

        

Il Malaterra quindi completa l’elenco con Biifara, Micolufa, Naro, Caltanissetta, Licata, Ravaenusa.  A completamento del discorso sui toponimi svolto prima, riportiamo il commento  dell'AMARI nella sua STORIA (pag. 177, n. 1): I nomi delle castella prese nella provincia di Girgenti, sono tolti dal Malaterra, correggendo alcun evidente errore del testo. Rimane dubbio il suo [1]Racel[1], che ho trascritto sicuramente in Rahl (stazione), ma vi manca il nome che dee seguire per determinare quella appellazione generica, il qual nome io non saprei indovinare tra i moltissimi Rahl di quella provincia. Credo avere bene letto Ravanusa il Remise (variante Remunisse) del testo, poichè‚ MICOLUFA sorgea presso Ravanusa. Del resto Simone da Lentini, autore del XIV secolo, il quale copiò Malaterra nel  suo libro 'La conquista di Sicilia' recentemente uscito alla luce (Collezione d'opere inedite e rare, Bologna 1865, in -8),dà otto soli nomi degli undici, dicendo non avere ritrovato gli altri ne' testi; ed un ms. della stessa opera, appartenente alla Bibliothéque de l'Arsenal in Parigi (Ital. N. 68) ne dà sette  soltanto: Platani, Musan, Guastanella, Catalanixetta, Bosolbi,  Mocofe, Ciaxo 'e li altri, aggiunge, non so chi si fusseru e non si canuxirianu, ect.). Intorno i nomi non si trovano nella lista odierna de' Comuni di Sicilia, vi vegga il Dizionario Topografico dell'Amico e l'Indice che io ho messo in fine della 'Carteomparée de la Sicile, [1859], Notice'.

L’Amari così continua la sua storia dei Musulmani:  Ruggero “talché occupava tutto il paese dalla foce del fiume Platani a  quella del Salso ed a Caltanissetta, di che ei compose non guari dopo, con qualche aggiunta la Diocesi di Girgenti, ed or vi risponde tutt'intera la provincia di questo nome e parte della finitima di Caltanissetta.

La moglie e i figlioli dell'Hammudita caduti in suo potere, tenne Ruggiero in sicura e onorata custodia: pensando, così nota il Malaterra, che più agevolmente avrebbe tirato quel principe agli accordi, con servare la sua famiglia illesa da tutt'oltraggio.” ( Cfr. Michele [1] AMARI[1] - STORIA DEI  MUSULMANI DI SICILIA, Catania 1937, Vol. III, parte prima, pagg. 174, ss. Nel trascrivere il CHAMUTH del MALATERRA in HAMMUD, l'AMARI annota [nota 1 di pag. 175]: la [1]h[1], sesta lettera  dell'alfabeto arabico, fu resa per lo più, sino ad uno o due   secoli addietro, con le lettere latine [1]ch[1]; e il [1]d[1], ottava lettera, più spesso con una [1]t[1] che con una [1]d[1]. L'anonimo ha HAMUS [cioè ANONIMO, presso Caruso, Bibl. Sic. pag. 855].

 

Sapendosi dalla storia che Chamuth, fatto cristiano con tutta la famiglia, rimase sotto il dominio del conquistatore, possiamo ben identificare il casato con quello di Ruggiero HAMUTUS, già  proprietario di certi beni che Federico II concedea nel 1216  alla chiesa di Palermo (Diploma presso Pirro, Sicilia Sacra, p. 142) e dell'Ibn Hammud, ricchissimo signore che Ibn GUBAYR vide in Sicilia nel 1185. Questo nobil uomo poteva essere nipote o bisnipote del regolo di Castrogiovanni. Sapendosi ch'ei portasse il soprannome d'Abù al Qàsim, sembra anco il Bucassimus, celebre  per brighe alla corte di Palermo, ne' primordi del regno di Guglielmo il Buono. Ancor oggi, alcune nobili famiglie siciliane vantano discendenze da quel ceppo Hammùdita. Trattasi  dei nobili NICASIO di BURGIO. Impietoso l'Amari contro il libello di Nicasio Burgio, conte palatino XXIII intitolato “Ladiscendenza di Achmet” ultimo potente ammiraglio fra i Saraceni  dominanti in Sicilia, rappresentato in questo medesimo luogo dalla chiarissima famiglia Burgio. pubblicato a Trapani nel 1786. Indulgente il NALLINO che nella stessa nota si dilunga accogliendo le precisazione di una nobildonna di quella famiglia. Costei segnala che i primogeniti della casata Burgio continuano a chiamarsi ACHMET, ( ad. es. ACHMET RUGIERO NICASIO BURGIO, principe di Aragona e di Villafiorita, di Palermo).

Per quel che ci riguarda, un'ipotesi potrebbe avere qualche fondamento. Tra i beni del citato Ruggiero HAMUTUS poteva esserci qualche signoria sul diruto castello di Racalmuto, un tempo appartenuto al nonno, o bisnonno, CHAMUTO. Ma trattasi di congettura che lascia il tempo che trova [e che noi abbiamo del tutto abbandonato come una delle tante cervellotiche congetture che si continuano a contrabbandare per questo paese che essendo di Sciascia dovrebbe essere rigoroso nella ricostruzione delle proprie origini.]