Racalmuto vive, tra il 1859 e la
fine del 1861, un periodo di profonda trasformazione. Vecchie famiglie
crollano, nuove s’impongono, altre sopravvivono. Un trambusto sociale il cui
acme esploderà però nel 1862 con le note rivolte e le vicende che più o meno
mistificate vengono tuttora rievocate, reintinterpretate, spesso rivisitate. A
dire il vero, è stato Eugenio Napoleone Messana a tentarne per ora una lettura
alquanto documentata e con una qualche sensibilità sociale. Con risultati
comunque del tutto insoddisfacenti. C’erano di mezzo i suoi antenati - sia di
parte paterna, sia materna con i Savatteri - e ciò impediva al nostro
ricercatore di affrontare quella suggestiva tematica storica con la dovuta
oggettività e con il debito distacco.
Le nostre ricerche approdano, così, a lidi ben diversi da
quelli cari e consueti al nostro E.N. Messana. Già in un punto nodale
discordiamo: Gioacchino Savatteri condusse imperterrito la barca comunale dai
borboni del 1859 ai novelli padroni savoiardi come il cambiare di bandiera
fosse nient’altro che un insignificante incidente storico. Padroni lontani i
primi, padroni lontanissimi i secondi. Servire, si doveva sempre e gli uni
valevano gli altri. Gioacchino Savatteri, che non sembra eccellere per
intelligenza, era un conservatore bigotto, fideista, ossequioso. Aveva diversi
figli: due per constrasto giocavano a fare i massoni ed i mazziniani, ma era un
gioco giovanile. Teatrale e teatrante. Nella loro settecentesca dimora del
Purgatorio, disponevano di un teatro e là, anche per sedurre le goffe signorine
del loro ambiente, recitavano. Misero in scena un lavoro di Agesilao Milano e credettero di fare una
rischiosissima provocazione politica, una ribellione storica, una rivoluzione.
Quando Calogero Savatteri - morto piuttosto giovane - non si seppe trovare di
meglio per il suo necrologio che questa risibile rievocazione: «per conseguire
lo scopo nel 1864 si affiliò alla Loggia Massonica col titolo di Roma e Venezia. I Massoni facevano progressi giganteschi giorno per
giorno. Essi prevennero la popolazione con ispettacoli pubblici, tra i quali
rappresentarono il dramma stupendo di Agesilao Milano con tale naturalezza e
forze, che si attirarono la simpatia del popolo.»
Gaetano Savatteri lo troviamo appena decenne in casa della
zia quando viene redatto nel 1822 il censimento. Sappiamo che è nipote di Serafina Tirone: da quella famiglia verrà poi
fuori il noto e controverso arciprete Tirone.
TIRONE
|
SERAFINA
|
LIBERA
|
DONNA
|
|
SAVATTERI
|
GAETANO
|
NIPOTE
|
10
|
Il sindaco della venuta di Garibaldi è dunque del 1812.
Contrae matrimonio con una Grillo nel 1830 come dal seguente atto:
1830
|
10/1/1830
|
SAVATTERI D. GAETANO DE FURONO D. LEONARDO E
|
TIRONE D. VINCENZA
|
GRILLO D. MARIA DI D. FRANCESCO PAOLO
|
CAVALLARO D. MARIANNA
|
ottobre 1829 - 3° grado
consanguineitatis sub 10/1/1830 -
|
Don Gaetano Savatteri è un diretto discendente del
cinquecentesco Scipione Savatteri che Eugenio Napoleone Messana - del tutto
cervelloticamente - vuole “milite” ed imparentato con i Del Carretto. A
noi, più semplicemente, consta che il 12 ottobre 1586, Scipioni Savatteri (inequivocabilmente oriundo da Mussomeli) si
sposa con Petrina Saguna, figlia di Antonino e di Marchisa. Marchisa è nome
comune di donna in quel tempo: forse si deve anche a questo equivoco se Eugenio
Napoleone Messana, riesumando un’epopea di famiglia, fa del modesto ma
dignitoso Scipione Savatteri un “milite” che convola a nozze un po’ forzate con
una figlia dei del Carretto (eventualità impossibile, per questioni di divario
nobiliare). E’ certo invece che Scipione Savatteri è il capostipite racalmutese
di una famiglia che ha cifrato la storia locale nel Seicento, nel Settecento e
marcatamente nell’Ottocento. Il circolo Unione nasce sotto l’egida dei
Savatteri.
Al matrimonio di Scipione Savatteri
fanno da teste i due fratelli notai Monteleone (Gasparo e Cola), appartenenti,
per parte di madre, al ramo cadetto dei del Carretto. Paolino Savatteri resta
vedova e sposa nel 1594 (vedi sopra) una
di Mussomeli, Lauria Cuscacino di Matteo: benedice le nozze l’arciprete di
Racalmuto in persona, don Michele Romano. Sono indizi della rilevanza sociale
dei Savatteri, che pur tuttavia non assurgono a livelli di nobiltà feudale.
Nel primo decennio del Seicento
un’importante tappa di ascesa sociale. Scipione Savatteri raggiunge
un’invidiabile posizione sociale. Ha un ingente patrimonio: tutto il versante
che dall’attuale casello ferroviario delle Anime Sante porta sino alla cima del
Serrone, da dove discende la trazzera del Rovetto, gli appartiene, naturalmente
sotto il vincolo del jus proprietatis del conte del Carretto. Come sia potuto
arrivare ad una siffatta immensa possidenza immobiliare, resta oggi un mistero.
Qualche malaccorto passo dei rogiti notarili può destare maligni sospetti, ma
di certo non vi è nulla.
Ci imbattiamo nel dominio di
Scipione Savatteri in un preziosissimo Rollo custodito in Matrice relativo alla
tenuta della contabilità della confraternita di Santa Maria di Gesù. La
confraternita, attorno al 1634, s’insinua in una serie di atti giudiziari
contro i tre eredi di Scipione Savatteri. Ritornerà alla carica nel 1651.
Scandiamo le fasi ed i tempi che c’illuminano sull’ascesa, sull’apice e sul
declino del paradigmatico affermarsi economico di un burgisi nella società contadina della Racalmuto della prima metà
del Seicento.
Già nel 1613, Scipione Savatteri è
in grando di approntare della liquidità ai coniugi Francesco La Lumia e
Margarita. Di conseguenza costoro, il 1° agosto del 1613, si accollano di
corrispondere perpetuamente al Savatteri, un’oncia di reddito annuale, censuale
e rendale. A garanzia offrono quattro case terranee con un cortile nel quartiere
di S. Margherita vicino le case del sacerdote don Angelo Dardo, nonché una
vigna di duemila e settecento viti, con sua chiusa, alberi, grotte, confini e mannare a Culmitella, nei pressi della
vigna di Matteo d’Alfano e della vigna degli eredi di Vito Gulpi. L’atto - a
rogito del notaio Simone de Arnone, e poi trascritto dal notaio Angelo Morreale
- ha per testi Girolamo Martorana e Simone Bocculeri.
Il 18 agosto del 1618, Pietro La
Licata di Leonardo vende, a rogito del notaio Simone Arnone, - sempre al
Savatteri - una vigna de aratro con
sua chiusa, alberi e confini, sita in contrada Casa Murata, vicino alla vigna
di Gerlando di Gueli e ad un’altra vigna dello stesso Scipione Savatteri.
Purtroppo quella proprietà è gravata di un censo di once tre annuali nei
confronti della venerabile confraternita di Santa Maria di Gesù. L’atto del
Rollo fa la cronistoria della provenienza di quel reddito della confraternita.
Il Savatteri è piuttosto malaccorto e si accolla quel greve censo: sarà la
cagione degli affanni finanziari dei suoi eredi.
E’ così che il 22 gennaio 1634 i tre
fratelli Savatteri, Francesco, Giacomo e Sebastiano, vengono chiamati a
rispondere alla venerabile confraternita di S. Maria di Gesù per l’ingente
cifra di 43 once e 15 tarì a titolo di coobbligati dei censi morosi dovuti per
15 anni e mesi sei dagli inadempienti debitori principali.
Nel 1624, peraltro, era
scoppiata la famigerata peste ed in quel tempo era deceduto il nostro
Scipione Savatteri. Lasciava, appunto,
come eredi i tre figli Francesco, Giacomo e Sebastiano. Ma seguiamo lo
svolgimento del citato atto notarile. Tali eredi vengono chiamati dunque ad
onorare i debiti per i quali risultano coobbligati. Il 22 gennaio 1634 non
hanno modo né proventi per assolvere il debito che con l’annata in corso si
porta a 45 onze. Pregano - per usare l’eufemismo del rogito - Francesco La
Mendola, Antonino Pitroccella, Giacomo Borzellino e Francesco d’Acquista,
rettori pro tempore della venerabile
confraternita, affiché acconsentano ad una rateazione del dovuto.
I pii rettori erano già comparsi dinanzi al rev.mo don
Filippo de Marino, visitatore generale dell’ill.mo rev.mo vescovo di Agrigento
e l’avevano “supplicato” affinché volesse loro concedere la licenza di potere
accedere a siffatta transazione, licenza invero prontamente ottenuta. Pertanto
erano in grado di potere stilare il
contratto.
Ma le controversie non finiscono qui: il 6 marzo del 1651,
la questione si riapre. Nel frattempo è morto Sebastiano Savatteri ed al suo
posto subentrano gli eredi - minori d’età - sotto tutela di Francesco Curto
Cirami e Francesco Salvaggio. L’altro figlio di Scipione, Giuseppe, è
sacerdote: morirà da lì a poco, il 23 novembre del 1654 a 35 anni.
Da quello che emerge da quanto sopra riportato e da quanto
appare in altri Rolli della Matrice, Scipione Savatteri era divenuto, in breve
tempo, un latifondista, disponeva di case date in affitto in varie parti del
paese, mostrava uno spirito d’intrapresa come un moderno capitalista. Non fu
però provvido nella scelta degli affari e mostra una qualche insipienza
nell’accollarsi coobbligazioni di terzi nei riguardi del famelico convento di
S. Francesco. I figli - lasciati in tenera età alla sua morte precoce nel
terrificante sterminio della peste del 1624 - non ebbero certamente l’acume del
padre e finirono con il dilapidare quell’immenso patrimonio. Giuseppe Savatteri
si fa prete ed a 35 anni cessa di vivere. Sebastiano muore anch’egli giovane
lasciando dei figlioletti in mano a due tutori - Francesco Curto Cirami e
Francesco Salvaggio - pessimi amministratori. Si salva appena Giacomo Savatteri
che perpetuerà la stirpe con figli migliori di lui e che riusciranno ad imporsi
nella difficile società feudale racalmutese della fine del Seicento.
Quello che ancor oggi desta sorpresa è comunque il fatto che
un modesto immigrato da Mussomeli sia riuscito ad accaparrarsi l’intera
fiancata nord-est del Serrone e cioè la fertilissima landa che dalle Anime
Sante sale lungo le Grotticelle, lo Judio,
sino a portarsi al passo tra il
Serrone e la discendente trazzera del Rovetto. Ai primi del Seicento, la
proprietà di Scipione Savatteri confina con la chiesetta rustica di Santa
Maria, a quel tempo chiamata di Monserrato e poi divenuta la chiesa del
Serrone, una chiesetta che alcuni ora fanno coincidere con quella esistente nel
versante opposto degli Sferrazza. Noi, in base ai dati dei documenti dei Rolli,
stentiamo ad avvalorare una simile congettura.
Ritorniamo alla già citata pagina del Messana su Scipione
Savatteri. Il Messana trasse lo spunto da un episodio del 1625 per la sua
epopea familiare. L’episodio è narrato dal Cascini, un padre gesuita del ‘600
incaricato dal cardinale Giannettino Doria per un’inchiesta sulla santa,
incarico che si risolse in un libro non spregevole ai fini delle ricostruzioni
storiche dell’epoca. Il gesuita narra
che: "Ne si mostrò poco divota verso
S. Rosalia la terra di Rahalmuto, la quale come si è detto nel primo libro, fin
dal suo principio, nacque sotto la protettione di questa Santa e vi dedicò la sua prima chiesa, havendola hora rifatta
di nuovo; è incredibile la divotione, con che viene visitata a piè scalzo ogni
sera non da pochi, ma d'una moltitudine grande. Però con molto maggior mostra
di pietà, e humiltà ciò fecero il giorno
quando accompagnarono la sua Santa reliquia, che fù l'ultimo di Agosto 1625,
erano andati a portarla da Palermo, ben 80. a cavallo, e quella mattina, che fù
Domenica, si cantò prima [pag. 375] la
Messa nella Chiesa dei Padri Minori Osservanti colla solennità solita; e si
liberò una spiritata; dopo il Vespro pur
solenne si fece la processione, nella quale, benché vi fosse molta pompa
d'apparato con tre archi trionfali, di
luminarie per tre giorni, di concerto di Musiche, e salve di schioppi,
nondimeno superava ogni cosa la devotione, che s'udia delle voci, e sospiri, e
pianti, e si vedea della moltitudine tutta a piè scalzo.
Accettò
la Santa la pietà loro, e gli mostrò a chiari segni, che la sua protettione
l'havea liberati dalla pestilenza; imperoché havendo la terra delle Grotte
presso à due miglia molto mal menata da quel morbo, colla quale così infetta
per un buon pezzo, prima che fosse dichiarata, vi fù pratica stretta, per
essere in buona parte parenti fra loro e haver molta communicatione, non si
attaccò però male veruno; anzi entrandoci dentro appestati diversi, si di
questa terra, come d'altre, i medesimi che la portavano poi in altri luoghi,
quivi non vi lasciarono vestigio alcuno.»
Ed ecco, di rincalzo il nostro Eugenio Napoleone Messana,
rifare quella storia, ampliarla, manipolarla, modificarla ed elevare il peana
ai suoi parenti Savatteri:
«Giovanni
IV del Carretto, marito di donna Beatrice Ventimiglia, figlia unica del
principe di Castelbuono, quando ascese alla contea [di Racalmuto] aveva tre
figli, Girolamo Aldonza e Porzia. Girolamo per la legge del maggiorasco vigente
era destinato alla successione della contea.
«Le
figlie erano entrambi ospiti della zia Marzia del Carretto, figlia di Giovanni
III, abbatessa di Santa Caterina in Palermo fino al 1598, data della sua morte e vi sarebbero
forse rimaste se non fossero state riportate in paese nel 1600, per volontà del
padre, allarmato dell'insurrezione contro il nuovo pretore. In quell'occasione
Giovanni IV promise le figlie in moglie a quei cavalieri che gliele avessero
ricondotte al castello sane e salve.
«La
sorte arrise al milite Scipione Savatteri che sposò Maria ed ebbe in dote il
feudo di Gibillini. Questo matrimonio diede inizio alla famiglia dei Savatteri
di Racalmuto, che risulta essere la più nobile di tutte le altre.
«I
Savatteri infatti discendono da Pable Zavatier, nobile francese al seguito del
conte Ruggero [...]
«Non
si hanno notizie dei motivi per cui Aldonza non contrasse mai nozze, si sa
soltanto che lei nel 1605 a proprie spese fece costruire l'Abbazia di Santa
Chiara ...».
Stando al Villabianca (Sicilia Nobile), l’abbadessa si chiamava Maria e non Marzia.
Ma, per completezza, occorrerebbe addentrarsi nelle vicende
del casato dei Del Carretto e per far ciò necessiterebbe un libro intero - che
forse apprirà a suo tempo e luogo. Abbiamo già scritto sulle tante figlie di
Girolamo I Del Carretto - il figlio Giovanni, figlie legittime non ne ebbe -
soprattutto sulla celebre virago donna Aldonza, quella che dotò il convento di
Santa Chiara: queste le altre sorelle: donna Diana, donna Ippolita, donna
Giovanna, donna Eumilia e donna Margherita del Carretto. Le del Carretto -
antecedenti e successive - non potevano essere assegnate in isposa a Scipione
Savatteri, per evidenti ragioni .... di età. Quanto alle altre sbavature sui
del Carretto del Messana, è meglio qui sorvolare.
Scipione Savatteri primo (ve ne sarà un altro a fine secolo
XVII) è di per sé una figura di spicco: non abbisogna di sicuro di falsi
orpelli nobiliari per imporsi all’attenzione degli storici.
I
Savatteri a metà del secolo XVII.
Il ricco archivio della Matrice di Racalmuto ci ha
conservato due “numerazioni delle anime” - cioè a dire due censimenti religiosi
- che sono databili, rispettivamente, intorno al 1660 ed al 1666. La compagine
racalmutese risulta a quell’epoca arricchita di vari nuclei familiari dei
Savatteri. Ci risultano sei nuclei per il 1660 e sette per il 1666. Nuovi nati
e nuovi matrimoni spiegano le variazioni dei nuclei familiari. Presso Filippo
Savatteri, alloggiava nel 1660 Maria la Bosca. Un personaggio - Isabella la Bosca
- che è venuto alla ribalta di recente in studi sulle “magare” inquisite dal
Sant’Ufficio. Parente o mera omonimia?
Il padre Girolamo M. Morreale vorrebbe un Gaetano Savatteri
donante nel 1627 per devozione verso Maria SS. Del Monte; pensiamo che il dotto gesuita sia incorso in
un duplice errore: quello di considerare donazione un mero obbligo di
soggiogazione e quello di leggere in Gaetano un nome diverso, forse Giacomo. A
quell’epoca non risultano Savatteri con il nome di Gaetano (ben diversamente da
ciò che avverrà nel XIX e XX secolo).
Sac.
Giuseppe Savatteri e Brutto (1755-1802)
Bello, elegante, colto, raffinato,
ricco, sprezzante - quanto casto non è dato sapere - questo prete svetta sia
nelle vicende della famiglia sia in quelle della locale storia. Leonardo
Sciascia, avvalendosi di dati di seconda mano, tenta di infilzarlo, ma commette
una delle sue solite manipolazioni storiche per prevenzioni ideologiche. Il
sac. Giuseppe Savatteri ha coraggio, cultura e intraprendenza tali da osare
un’impari contrapposizione con il suo potente (e dispotico) vescovo
agrigentino. Entra nell’intricata storia del beneficio del Crocifisso.
Quando, il Tinebra Martorana - un
famiglio della discutibile consorteria dei Tulumello - si accinge, nel 1897, a
scrivere la storia del paese, non gli sembra vero di dilatare il senso di un
documento giudiziario - che invece di venire custodito negli archivi del
Comune, sta fra le carte private del barone Tulumello - per dileggiare un
Savatteri, la famiglia ostile ai suoi protettori, che fra l’altro lo facevano
studiare da medico a spese dell’Amministrazione comunale.
Quello su cu il Tinebra trama è un carteggio del Caracciolo
su cui abbiamo avuto modo di effettuare nostre personali ricerche. Iniziano dal
16/2/1785 gli appunti del Caracciolo sulla questione:
«17. La Gran Corte dia
le pronte provvidenze di giustizia, onde li cittadini non soffrano aggravij - A
febbraio p.p. in die 16 - Li naturali della terra di Racalmuto, sentendosi
molto gravati di questo esattore ed amministratore Prete d. Giuseppe
Savatteri nell’esigenza del terragiolo dentro e fuori di questo stato,
quanto nell’avere agumentato la Baglìa a tutti li poveri giornalieri, formando
una Cascia o Statica come anche esatte a forza di prepotenze pignorando sin
anco gli utensili delle loro moglie e pratticando molte estorsioni.
«Pregano l’E.V. di ordinare il
conveniente per non vedersi pur troppo soverchiati.»
E, quindi, in data 12.3.1785:
«32. L’avvocato
fiscale Vagginelli proceda quel che convenga ed avendo di riferirlo, dica- A 12
Marzo detto - Li singoli di Racalmuto: V. E. rimise le pendenze loro col barone
all’avv.to sig.re Vagginelli. Innanti a costui facendosi dui contraddittorij vi
interviene il Cav.e fratello del principe di Pantelleria, che ha procura. E poiché
per rispetto che vuole esigere molte cose
bisognano trovarsi e li professori
concepiscono qualche timore, prega V.E. di ordinare che tal Cav.e non intervenga più nei contraddittori ma con i
singoli e il Barone.»
Ed in data 22.3.1785:
«12 - L’avv.to fiscale
barone Vagginelli informi col parere - 22 marzo - Li singoli di Racalmuto. Il
suggello della verità lo tiene in potere il governatore baronale, ed occorrendo
di suggellarsi l’investitura questa si deve suggellare dal Barone e si suggella
quando a costui piaccia. Ciò essendo un inconveniente molto più quando occorre
a singoli di suggellare scritture contrarie al ripetuto Barone.
«Pregano l’E.V. di ordinare che il
suggello si riformi con il ricorso al Re, e che debba riservarsi al mastro
notaro della Corte Giuratoria.»
E’ del successivo 28 marzo il seguente appunto:
«4. L’avvocato fiscale
Barone Vaggianelli disponga perché urgendo le provvidenze che siano convenienti
per la superiore, che riferisca col parere - 29 marzo 1785 - Don Stefano Campanella arciprete di Racalmuto
- Dietro un raccolto sterilissimo ed una tirannica esazione fatta
dall’arrendatario di questa terra don Giuseppe Savatteri ... trovasi in
oggi questa Popolazione in somma necessità a segno che non si può riparare, e
si teme di qualche tumultuazione per la fame, e dal ricorrente e da altri preti
si à soccorso per quanto debolmente si è potuto, ma si prevede maggior
necessità in questi mesi che sono li più poveri.
«E’ perciò da credere opportuno che
dovendo dal amministrare pagare per maggio onze 1000 al Principe della
Pantelleria gliene paghi medietà, e l’altra medietà distribuirsi per aiuto a
poveri, che si obbligano in agosto pagare; prega V.E. di ordinare l’esecuzione
di tale distribuzione a quattro persone elette da chi invochi, dapoiché quei
Giurati son poveri e senza veruna abilità.»
Il dato di maggior risalto è quello contenuto nel biglietto
datato 11 aprile 1785: abbiamo questo richiamo storico:
«13 - L’avvocato
faccia quel che convenga per l’accertamento della giustizia e della
legalità. - 11 aprile 1785 - Li singoli di Racalmuto. - Nel 1559 don
Giovanni del Carretto ebbe venduto il mero, e misto impero dal viceré don
Giovanni della Cerda sopra la Baronia di Regalmuto per il prezzo di onze
seicento, cioè cinquecento l’ebbe allora il Governante, e le onze 100 le dovea
dare qualora veniva continuata la vendizione da S. M. fra il termine di un
anno.
«Sino al presente giorno non è stato
possibile dimostrarsi detta rattifica, o confirma; ed è segno evidente che la
M.S. non l’abbia concessa. Che perciò li ricorrenti .. pregano l’E.V. di
ordinare che il Barone di Ragalmuto che è oggi il Principe di Pantellaria, che
per esercitare il mero, e misto dimostri all’E.V. il titolo.»
Al Tinebra Martorana mancano competenza e penna per fronteggiare
la complessa vicenda della lotta al baronaggio siciliano da parte del
discutibile Caracciolo (l’agiografica visione dei laici del Settecento e del
postumo Sciascia lascia oggi il tempo che trova). Il Tinebra, dunque, compatta
scarne e disparate “notizie storiche” in un capitoletto sul Settecento e
velenosamente rubrica (pag. 184): «1785 - Soprusi praticati dal sac. Giuseppe
Savatteri, arrendatore di Racalmuto, verso i poverelli.» Non parve vero a
Leonardo Sciascia di rigonfiare quell’appunto per una delle sue solite tiritere
anticlericali. Nessuna ricerca storica,
da parte sua; nessun approfondimento; nessuno spunto critico. Scrive dunque lo
Sciascia:
«Ecco il rapporto di un altro funzionario al Tribunale della
Real Corte sui “soprusi praticati dal sacerdote Giuseppe Savatteri, verso i
poverelli”» e giù, senza analisi critica, il testo di un’evidente lettera
anonima, che crediamo essere dovuta alla penna del malevolo arciprete
Campanella, o peggio del sac. Busuito, contro cui il Savatteri aveva affilato
le armi per l’usurpazione del beneficio del Crocifisso. Per una di quelle
strane coincidenze storiche, il Busuito era parente stretto della moglie del
notaio Nalbone.
Prosegue Sciascia: «Il bello è che dopo questo rapporto il
Tribunale della Real Corte ordinava al giudice criminale di Regalpetra [alias Racalmuto] “di far restituire ai
borgesi tutti gli oggettiche il sacerdote Savatteri aveva ad essi pignorati”,
forse i lettori non lo crederanno ma la cosa è andata davvero così”.» Con buona
pace di Sciascia, a noi pare che le cose erano molto più complesse e
coinvolgono la poltica dei re Borboni di Napoli, che è quanto dire.
A. Giuseppe
Savatteri e Brutto morì nella peste del 1802; il Liber annota: n.° 312, c. 19, D. Giusppe Savatteri e Brutto, 27
februarii 1802 d’anni 47. Il vescovo non lo aveva voluto come beneficiale della
Communia. Il Savatteri faceva però parte della neo-confraternita della
Mastranza. Non pare molto diligente nell’annotare le messe che era tenuto a
celebrare per i confrati defunti: subisce delle sanzioni. Vediamole:
GIUSEPPE SAC. D.
|
SAVATTERI
|
n. undeci messe cioè
n. 9 per l' ... e n. 2 per pena d'essere stato negligente in scrivere le d.
messe.
|
La
controversa questione del beneficio del Crocifisso.
Nell’intricata controversia giudiziaria del beneficio del
Crocifisso di Racalmuto, i Savatteri vi entrano prepotentemente per due volte:
nella prima, è attore il sac. Giuseppe Savatteri e Brutto, a ridosso
dell’Ottocento; nella seconda un patetico personaggio: Giuseppe Savatteri, sposato
con una Matrona. Siamo nell’ultimo quarto del secolo scorso. In entrabi i casi
i Savatteri finirono soccombenti e gabbati. Ma procediamo con ordine.
La vicenda del beneficio del Crocifisso è lunga, tortuosa ed
intrigante ed ha dato adito ad almeno un paio di complicate vertenze
giudiziarie. Negli atti giudiziari dell’arciprete Tirone avverso i coniugi
Giuseppe Savatteri e Concetta Matrona abbiamo la ricostruzione della
provenienza di tali beni. Come risulta da un atto del 3 settembre 1659, la
Confraternita del SS. Crocifisso di Racalmuto aveva diritto ad un canone di
proprietà «primitivo veluti jus pheudi et
proprietatis su terre della Menta e Culmitella». Trattavasi, in base a quel
che si desume da altri atti, di un fondo di quattro salme e tumoli sei di terre
ubicate nel feudo Menta, contrada Fico Amara, detta - secondo l’arc. Tirone -
«in quei tempi Mercanti». Del resto
aggiunge l’arciprete che «il nome di contrada fico amara e Mercanti andiede in
disuso. Questa contrada prese nome di SS. Crocifisso.»
Non essendo stato pagato tale canone per più di un triennio,
ed essendo state le suddette terre abbandonate, la confraternita del SS.
Crocifisso esperì il diritto domenicale di avocazione del fondo per distruzione
di migliorie, mancata corresponsione del canone ed abbandono delle terre
dell’enfiteuta che era tal Giaimo Lo Brutto. Essa, pertanto, fu immessa nel
pieno possesso delle cennate terre della Menta secondo il rito del tempo con
atto notarile del 3 settembre 1659,
redatto innanzi a quattro testimoni.
Gli atti giudiziari tacciono sulle vicende che intercorsero
tra il 1659 ed il 1767, un intervallo di tempo in cui si colloca la dotazione
dell’Oratorio Filippino. Intanto non so su che cosa basi l’arc. Tirone il ruolo
sostenuto dalla Confraternita del SS. Crocifisso. Di questa conosco il vago
accenno contenuto nell’elenco della Giuliana della Curia Vescovile - voce
Racalmuto, pag. 205 - che riguarda la «conferma della Conf.ta del SS.
Crocifisso - reg.tro 1669-70, pag. 488».
Ma qualche chiarimento lo troviamo in quest’atto del 10 ottobre 1648 del
notaio Michelangelo Morreale. Trattasi della «recognitio pro
Archiconfraternitate SS.mi Crucifixi contra Donnam Vittoriam del Carretto e
Morreale». In esso la Del Carretto (del ramo collaterale dei locali conti) si
obbliga di corrispondere al «Rev. D.
Joseph Thodaro .. uti procuratori venerabilis Archiconfraternitatis SS.mi
Crucifixi fundatae in Ecclesia Sancti Antonii huius terrae Racalmuti .. uncias
quinque red. ann. cens. et red.bus dictae Archiconfraternitatis cession. nomine
Petri Piamontesio et alijs nominibus in scripturis debitas, et anno quolibet
solvendas supra loco qui olim erat dicti quondam de Monteleone vigore
contractus emphiteuci celebrati in actis notarij Nicolai Monteleone die XXIIIJ
Maij XII ind. 1584 et contractus solutionis donationis et assignationis in actis not. Simonis de Arnone die 31 aug.
1605 et aliorum contractum in eis
calendatorum.» inoltre «supradicta Donna Victoria .. solvere promisit .. seque
sollemniter obligavit et obligat eidem de Thodaro dicto nomine pro se et pro
successoribus in dicta Archiconfraternitate in perpetuum uncias centum
quatraginta una p.g. tempore annorum decem in decem equalibus solutionibus et
partitis anno quolibet facere numerando et cursuro a die date literarum
Civitatis Agrigenti ... Et sunt uncias 141 in totalem complimentum omnium
censuum decursorum annorum retropreteritorum enumerandorum ab anno 1608 usque
et per annum presentem inclusive , ratione d. unc. quinque anno dictae
Archiconfraternitate debitae super dicta vinea.»
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