GIROLAMO III DEL CARRETTO
Girolamo III del Carretto può dirsi l’ultimo feudatario di
Racalmuto della famiglia carrettesca. Ebbe un figlio: Giuseppe; gli donò la
contea mentre era ancora in vita, sicuramente per ragioni fiscali; ma Giuseppe
era malaticcio; premorì al padre ed Girolamo III ritornò la contea di
Racalmuto; Girolamo morì senza altri figli maschi; la contea finì in mano alla
moglie del defunto figlio Giuseppe; era costei Brigida Schittini e Galletti che
non seppe mantenere il feudo racalmutese, finito - previa un’interposizione
fittizia di una tal Macaluso - in mano dei Gaetani.
Girolamo III del Carretto nasce - crediamo a Palermo -
attorno 1648. Con la morte del padre, la vita a Palermo dovette essere ardua.
Così la vedova con i due figlioletti ritorna a Racalmuto, mentre nella capitale
si infittiscono gli approcci per il recupero dei beni feudali requisiti dalla
corte spagnola.
Nel 1660, secondo una numerazione delle anime che si custodisce
in Matrice, i del Carretto costituiscono il 1625° “fuoco” di Racalmuto con
questa composizione:
1625 LA CARRETTA Xxa ECCELLENTISSIMO
SIG. DON GERONIMO C.TO ECC.MA SIGNORA DONNA MARIA C.TA ILLUSTRISSIMA DONNA BEATRICI CARRETTO C.TA
Girolamo del Carretto è appena dodicenne; frequenta qualche
scuola da qualche prete locale; subisce l’autorità della madre che appare molto
volitiva.
S’iniziano i lavori della Matrice e donna Maria Branciforti
è munifica nelle elemosine.
La contessa, in effetti, versa a spizzichi e bocconi la sua
“elemosina” di cento onze in ben 19 rate di disparato importo (da pochi tarì a
30 onze) lungo un arco di tempo che parte dal 15 dicembre 1654 per concludersi
il 10 marzo 1660.
Sembra che dopo il 1660 la famiglia del Carretto si sia
trasferita ad Agrigento. Girolamo III del Carretto ha voglia (o necessità)
d’intrupparsi nell’esercito spagnolo per andare a fronteggiare gli invasori
francesi nei pressi di Messina nel 1674. Aveva 26 anni. Non militò a lungo.
Tornò a casa, si era sposato con una Lanza. Decide di abitare nel suo castello
di Racalmuto.
Il San Martino-De Spucches è piuttosto esauriente nel
fornirne il profilo araldico:
«Girolamo
del CARRETTO BRANCIFORTE, figlio
del precedente [Giovanni V], per grazia speciale di Filippo IV ebbe restituiti
i beni paterni e con nuova concessione, data nel cenobio di S. Lorenzo, a 28
ottobre 1654, fu nominato Conte di Racalmuto; il Privilegio fu esecutoriato nel
Regno, nell'anno IX Indiz. 1655, e propriamente il 13 novembre. In base al suddetto
privilegio egli s'investì a 14 agosto (R.
Canc. IX Indiz. f. 73). Si reinvestì, a 16 settembre 1666, per il passaggio
della Corona (R. Cancell. V Indiz. f. 180). Sposò, in prime nozze, Melchiorra LANZA MONCADA di LORENZO,
Conte di Sommatino, e di Aloisia
MONCADA; sposò in seconde nozze, Costanza
AMATO ed ALLIATA di Antonio, P.pe di Galati, e di Francesca ALLIATA LANZA (Villafranca). Fu maestro di campo
dell'esercito destinato a sedare la rivoluzione di Messina (1674); Vicario
Generale Viceregio a Noto, Girgenti, Licata, Caltagirone; Pretore di Palermo
nel 1682; Gentiluomo di Camera del Re Carlo II a 10 agosto 1688.»
Dal 1682, dunque, risulta residente a Palermo; il richiamo
della capitale era stato anche per lui irresistibile.
Ha voglia a Racalmuto di mettere mano a riforme: affida il
vecchio ospedale di San Sebastiano ai Fatebenefratelli. Da allora si chiamerà
di San Giovanni di Dio.
E’ leggibile una copia del privilegio di erezione di quella
pia fondazione. Sono ricavabili questi
estremi:
"COPIA Della fondazione di
questo nostro Convento..." "ANNO
1693" Nell'anno 1693
l'Ill.mo Sig.r d. GEROLAMO DEL CARRETTO
E BRANCIFORTE Conte di Racalmuto e P.pe di VENTIMIGLIA accumulatavi la Pietà, e Carità dell'Ill.ma D: MELCHIORA DEL CARRETTO E LANZA sua
moglie". ...." Ill.mo d: GIUSEPPE DEL CARRETTO BRANCIFORTE, e LANZA suo figlio. -Bolle Pontificie date in
Roma il .. 13|2|1693 .. in Palermo
l'8\4\1693 ed in Girgenti il 20\8\1693".
Il 16 giugno 1670 Girolamo è residente a Racalmuto. Le muore
una figlioletta che viene così registrata nei libri della Matrice:
1.
Domina
Joanna, Ignatia, Antonina Elisabetta filia Ill.mi et Ecc.mi D.ni Hijeronimi
Carretti et Branciforti comitis
Racalmuti et principis XXmiliarum, et ill.me et ecc.me D.ne Melchiorre eius
uxor; duorum annorum et mensium quatuor circiter, in domo palatii h. t. R.ti
animam Deo redidit, cujusque corpus sepultum est eodem die in ecc.sia S.te
Marie de Monte Carmeli in communione S. Matris Ecc,sie presente clero,
congregationibus confraternitatibusque et Senato. GRATIS
|
Sappiamo che donna Melchiorra Lanza morì a
Racalmuto il 10 aprile 1701 e vi fu sepolta come attestano i soliti libri della
matrice:
906 10.4.1701 D.
MELCHIORRA LANZA DEL CARRETTO UXOR HIERONIMI PRINCIP.A COMITISSA RACALMUTI di
anni 70 sepolta a S.MARIA DE IESU IN VENERABILI CAP. SS. ROSARII. Assistita
da D. FABRIZIO SIGNORINO ARCIPRETE. Morì in sua propria domo.
Girolamo III del Carretto sarebbe dunque rimasto vedovo a
soli 53 anni. Tra lui e la prima moglie vi sarebbero stati diciassette anni di
differenza. Questo, stando ai dati che riportiamo. Confessiamo, però, di
nutrire noi stessi forti dubbi: forse gli anni della contessa defunta vanno
rettificati in soli 50.
Girolamo III del Carretto acquisisce contorni di litigiosità
con i dati che emergono dal Fondo Palagonia. Un atto soprattutto.
Il conte ha modo di dire di sé:
Ex ditto d. Joanne natus est
illustris don Hieronymus de Carretto et Branciforte, cuius nomine et pro parte,
illustris donna Maria de Carretto et Branciforte cepit investituram de ditta
terra, statu et comitatu Racalmuti, pro ut per dittam investituram de ditta
terra, statu et comitatu Racalmuti pro ut per dittam investituram sub die
decimo quarto Augusti nonae indittionis 1656 per attum apparet et die sua
melius etc.
Il feudo
di Racalmuto a fine del ’600
Ed ecco come ci descrive il suo feudo, il nostro Racalmuto:
Item ponit et probare intendit non
se tamen obstringens etc. qualmente il fegho nominato di Racalmuto sito e posto
in questo Regno di Sicilia nel Val di Mazzara consistente in salme
setticentocinque tummina quindeci, mondelli tre e quarti dui cioè in salme
seicento cinquantadue, tummina undeci e mondelli uno di terre lavorative e
salme cinquanta trè, tummina dui e mondelli dui di terre rampanti, valloni,
trazzeri ed altri inclusi in dette salme cinquanta tre, tummina dui e mondelli
dui, salme undeci di terra nel circuito, delle quali e sita e posta la terra
[134] che tiene il nome da detto fegho è posto in menzo delli feghi nominati:
1.
delli
Gibillini e feghi
2.
delli
Cometi;
3.
e fegho
delli Bigini;
4.
del fegho
di Zalora;
5.
del fegho
di Scintilìa;
6.
del stato
e ducato delli Grotti;
7.
del fegho
e principato di Campofranco;
8.
e fegho
della Ciumicìa
e altri confini ...
Non v’era dunque dubbio che le terre usurpate dai sacerdoti
racalmutesi erano integralmente sotto la giurisdizione del conte.
Item ponit et probare intendit non
se tamen obstringens etc. qualmente le contrate nominate di Bovo seu Montagna,
Pinnavaira, della Rina seu Scavo Morto, della Difisa, Jacuzzo, Zimmulù,
Caliato, Serrone, Pietravella, Saracino seu Molino dell’Arco, Menziarati e
Culmitelli sono delli membri e pertinenze del fegho e stato di Racalmuto ed
intra li limini e confini di detto fegho di Racalmuto come sopra stimato e
confinato conforme fù ed è la verità, notorio e fama publica et nihilominus
dicant testes quicquid sciunt, sentiunt, viderunt vel audiverunt etiam extra
capitulum ad intensionem producentis et -
- -
Non sappiamo come sia andato a finire quel processo. Sorto
alla fine del Seicento, con tutta probabilità non era concluso alla morte del
litigioso conte. Il quale pare ebbe molto a litigare anche con il figlio che
pure aveva dotato della contea ancor prima della sua stessa propria morte.
Girolamo III del Carretto non era comunque un mangiapreti:
sotto di lui l’arciprete Lo Brutto - e con il suo esplicito e imperioso avallo
- aveva potuto costituire la “comunia” di Racalmuto con ben dodici mansionari,
adorni di fregi appariscenti.
Religione, clero ed altri aspetti
nella Racalmuto post Giovanni V del Carretto.
Al Traina, frattanto, era subentrato nell’arcipretura don
Pompilio Sammaritano, un semplice dottore in teologia.
Porta con sé un parente sacerdote, don Pietro. Lo nomina
subito suo cappellano ed il racalmutese p. Antonino Morreale viene giubilato e
deve emigrare. Lo segue uno stretto
parente, forse un fratello, un tal Francesco Samaritano sposato con Gerlanda e
con una figlia, come ci tramanda il primo censimento di Racalmuto conservato in
Matrice. Già nel 1649, il nuovo
arciprete risulta dai registri della Matrice già in opera. Nel 1660 è
felicemente insediato in paese, ove ha messo su casa servito da “un famulo” di
nome Giuseppe ed una fantesca chiamata Lizzitella. (il solito censimento è
impertinente). Durante la sua arcipretura piombarono a Racalmuto la moglie ed i
figli dell’infelice Giovanni V del
Carretto.
La contessa ha i suoi guai: deve risolvere i problemi del
riottenimento dei beni feudali che sono stati requisiti dal re per l’alto
tradimento del marito. Vi riuscirà. I fondi Palagonia contengono, come si è
detto, gli atti di questa avvincente vertenza feudale. Il dottore in teologia è
prodigo di consigli e sa essere di supporto morale.
Frattanto giunge ad Agrigento il nuovo vescovo Ferdinandus
Sanchez de Cuellar. Il 28 novembre 1654 visita Racalmuto e subito mette in mora
l’arciprete per il latitare dei lavori della fabbrica della chiesa della
Matrice. Il giorno dopo si apre la contabilità dei lavori edili, il cui
pregevole rollo si conserva in Matrice: LIBRO D'INTROITO ED ESITO di denari per
conto della fabrica della Matrice Chiesa di Racalmuto incominciando dalli 29 di
novembre 8a Ind. 1654, reca in esordio per la penna di don Lucio Sferrazza. Il depositario è il dott. don Salvatore
Petruzzella, futuro arciprete. I primi soldi, cioè le prime 12 onze, sono dal
vescovo. Ma è un modo di dire: si tratta delle feroci molte comminate dal
vescovo in corso di visita. E pensare che sotto il vescovo Traina le autorità
diocesane avevano latitato. A noi fa un certo senso leggere:
Dall'Ill.mo et rev.mo Monsignor frà Ferdinando Sancèz de Cuellar
Vescovo di Girgenti hò ricevuto per mano di D. Alonso de Merlo suo mastro
notaro onze dudici quali d.o Ill.mo Signore ha dato d'elemosina alla fabrica di
d.a matrice chiesa dalle .. pene esatte in discorso di visita in Racalmuto d.
........ onze -/ 12.
La pia
contessa, vedova sconsolata, è la più munifica nel contribuire alle spese per
la costruzione della Matrice: oltre 100 onze. Ma essa è la nuova contessa di
Racalmuto, a titolo personale: il figlio Girolamo III riacquisterà la contea il
28 ottobre 1654, ma ne avrà il diploma solo il 5 novembre 1655, previo
pagamento di 200 onze e 29 tarì.
La posa in opera delle colonne della Matrice - quelle di cui
si parlava nella transazione con gli eredi di don Santo Agrò del 1642 - avverrà
nel marzo del 1655. L’iter dei lavori è seguito passo passo e studenti di
architettura potrebbero utilizzare i rolli della “Fabrica” per avvincenti tesi
sulle chiese del Seicento siciliano, quelle minori dell’entroterra contadino,
come Racalmuto.
Il Samaritamo muore il 6 gennaio 1664 a 66 anni. Gli atti
della Matrice riportano:
1664 SAMMARITANO Pompilio ARCHIPRESBITER 66 huius
matricis Ecclesie
Viene
sepolto in Matrice, presente clero. Aveva avuto l’estrema unzione da P. Antonio
ord. S. Marie Carmeli.
Gli succede don Salvatore Petruzzella, finalmente un
racalmutese; ma vive poco: muore il 29 maggio 1666. Non ha il tempo per
lasciare tracce durevoli del suo apostolato.
E’ ora la volta dell’altro arciprete racalmutese: il dott. sac.
Vincenzo Lo Brutto e costui di tempo ce ne ha per lasciare un segno profondo,
al di là della lapide funerea che ancora è visibile nella cappella centrale
della navata laterale di sinistra (per chi entra) della Matrice. Vanta un elmo
chiomato, come se fosse stato un nobile milite: debolezza del nipote che quella
tomba volle.
Il vescovo agrigentino Sanchez - si pensi quale ofelimità
potesse legare uno spagnolo all’amaro vivere contadino di Racalmuto - regge la
diocesi dal 26 maggio 1653 sino alla sua morte (+ 4 gennaio 1657). Subentra
Franciscus Gisulpfus (Gisulfo) - dal 30 settembre 1658 sino alla morte (17
dicembre 1664); e poi Ignatius Amico ( 15 dicembre 1666 - + 15 dicembre 1668);
Franciscus Ioseph Crespos de Escobar (e ci risiamo con gli spagnoli) - 2 maggio
1672, + 17 maggio 1674. Finalmente un buon vescovo per una cattedra durata
vent’anni: Franciscus Maria Rini (Rhini) - 10 ottobre 1676, + 14 agosto 1696.
Chiude il secolo un vescovo nefasto: 26 agosto 1697 - + 27 agosto 1715 (fuori
Agrigento, essendone stato espulso dalle autorità civili per il suo
atteggiamento provocatorio scaturente dalla nota questione liparitana). Su tale
controversia ebbe a scrivere Sciascia. Il valore storico di quel pezzo teatrale
fu denegato da Santi Correnti: comunque, oltre al valore - indubbio - sotto il
profilo letterario, il testo sciasciano ci immerge nel clima politico e
sociale, ma anche religioso e morale di quel tempo. Fu davvero una iattura il
vezzo di preti e religiosi ruffianeggianti con Roma che negavano il sacramento
della confessione ai moribondi, sol perché operava un interdetto dovuto
all’incauto comportamento di alcuni catapani
che avevano tentato di applicare
l’imposta di consumo ad un munnieddu di ceci o di fagioli - non si è capito bene -
del vescovo di Lipari (nominato, pare, al solo scopo di provocare un incidente
per consentire al Papa di rimangiarsi la medievale concessione della Legazia
Apostolica).
Se, un moribondo -
ossessionato dalla sola paura dell’inferno per i suoi tremendi peccati - in stato
di semplice attrizione, dunque,
avesse chiesto un confessore e non l’avesse avuto per l’interdetto dei fagioli,
era destinato alla dannazione eterna? Certa intelligenza della curia
agrigentina forse è in grado di dare una risposta. Ci serve per giudicare i
tanti, troppi, nostri antenati che tra il 1713 ed il 29 settembre 1728 morirono
in tale ambasce a Racalmuto (cfr. registro dei morti della Matrice).
Annotava il canonico Mongitore - tanto sgradito a Sciascia -
«a 13 agosto 1713. Il vescovo di Girgenti D. Francesco Ramirez, d’ordine del
pontefice, dichiarò scomunicati alcuni regi ministri, che concorsero al
sequestro delli beni del vescovo di Catania.» E soggiungeva: «a 13 settembre.
Partì da Palermo D. Isidoro Navarro, canonico della cattedrale, delegato della
Monarchia, per levar l’interdetto dalla città e diocesi di Girgenti. Entrò egli
non da ecclesiastico, ma da capitano; e armata mano levò il vicario generale il
padre Pietro Attardo, come pure altro vicario Giuseppe Maria Rini, che mandò
altrove carcerati. Mandò lettera circolare per la diocesi, che s’aprissero le
chiese e non s’ubbidisse a detti vicarii.» Le carte della Matrice ci svelano
che il clero racalmutese rimase ligio ai dettami del vescovo Ramirez e snobbò
il canonico-capitano di Palermo. Più abile l’arciprete del tempo - Fabrizio
Signorino - che in cambio di una bolla della crociata (anche con effetto
retroattivo) poteva consentire cristiana sepoltura in chiesa: per i non
abbienti, pazienza, l’ultima dimora era quella all’aperto a li fossi. Solo che quelli erano tempi davvero calamitosi e
tantissimi nostri antenati morirono con la paura dell’al di là per un
interdetto che non capivano ( e di cui non avevano responsabilità alcuna) ed
una sepoltura dissacrata dal vento, dal sole e dai cani randagi.
Quelli che venivano sepolti in chiesa “gratis pro Deo”
godevano di particolari privilegi: ma gli altri - la gran parte come si è visto
- finivano sepolti all’aperto, anche se ‘prope ecclesiam’ (vicino, ma non
dentro); per di più i loro parenti erano talmente poveri da non potere dare
l’elemosina o il c.d. diritto di stola all’immalinconito cappellano che
accompagnava il feretro in quel derelitto cimitero incustodito. “gratis, pro
Deo”, la formula latina, che era comunque un parlare e scrivere poco ... latino (nell’accezione sciasciana).
L’arciprete Lo Brutto fu in eccellenti rapporto col vescovo
Rini: si fece elevare a chiese “sacramentali” S.Anna, S. Michele Arcangelo, il
Monte. E’ consultabile la bolla di
elevazione della chiesa di S. Anna in chiesa “sacramentale”. Del tutto analoghe
sono le altre, come quella: Datis Agrigenti die 17 Junii 1686 - fr.
Franciscus Maria Episcopus Agrigentinus - Can Lumia Ass. - Vincentius Calafato
M.r notarius.
Del pari fece autorizzare l’istituzione della speciale congregazione
dei Filippini a Racalmuto, di cui parla il padre Morreale, ed al presente
oggetto di studio da parte del prof. Giuseppe Nalbone. Costituisce la Comunia e
ne fa nominare i mansionari.
Contro la devastante peste del 1671 nulla poté fare il povero
arciprete racalmutese della fine del Seicento, se non annotare in bella
calligrafia la iattura capitata tra capo e collo; e fu iattura per tanti versi: da quello
economico a quello sociale; da quello dell’umano vivere a quello del decomporsi
morale e spirituale; per il clero con tanti fedeli in meno e quindi tante
primizie assottigliate, per l’arciprete stesso, il cui gregge veniva
drasticamente ridimensionato; per l’Universitas che non sapeva dove andare a
racimolare le onze occorrenti, essendosi assottigliata la tassa del macinato
per morte di un quarto della popolazione in un anno; per i suoi giurati che
rispondevano dei tributi alla Spagna con la clausola “solve et repete”; per il
neo conte Girolamo III del Carretto, salassato dal re per il tradimento del
padre Giovanni V del Carretto, dalla mala gestione dei suoi antenati che non pagando i debiti di
“paragio” erano finiti sotto la mannaia delle condanne giudiziarie al pagamento
degli arretrati e della capitalizzazione degli interessi di mora relativi; ed
in più una sortita beffarda dell’uterina virago donna Aldonza del Carretto e
delle sue similissime sorelle, aveva finito con il dare in pasto allo spietato
convento di S. Rosalia di Palermo gran parte del patrimonio dei conti di
Racalmuto (come abbiamo già raccontato).
Girolamo III del Carretto, esasperato, si rivalse sui ricchi
preti di Racalmuto - su quelli poveri, che erano tanti, nulla poteva: a sua
chiamata finiscono sotto il torchio della giustizia palermitana.
Girolamo III del Carretto sembrò benevolo verso la locale
Chiesa quando fece venire i padri Benefratelli perché accudissero presso S.
Giovanni di Dio ai malati di Racalmuto e li dotò: ma a ben guardare si limitò
ad assegnare loro le vecchie rendite del vetusto ospedale racalmutese, la cui
memoria si perdeva nella notte dei tempi. Forse non si astenne dall’incamerare
alcuni lasciti che a suo avviso erano di dubbia origine.
Girolamo III aveva contratto matrimonio con una Lanza di
Mussomeli, di cui parla il Sorge nel suo studio su quella cittadina. Era una
Lanza decrepita per anni che riesce a partorire il figlio maschio Giuseppe,
quello che premuore al padre, ed una figlia femmina i cui discendenti dopo un
secolo consentono ai Requisenz di impossessarsi dell’ormai esausta contea di Racalmuto.
Quanto fosse addolorato l’ancor possente marito non
sappiamo: di certo, passò subito a nuove nozze. Per il momento non sappiamo
fare altro che dare la parola al Villabianca per la prosecuzione della storia
di Girolamo e Giuseppe del Carretto:
GIROLAMO del
CARRETTO e BRANCIFORTE, investito a 15. Agosto 1656, Fu questi Maestro del Campo
nella guerra di Messina e sostenendo tale carica prese il Casal di Soccorso,
avendo difeso coraggiosamente SAMMICI da' Colli di Valdina, ed impedì lo sbarco
de' Franzesi presso Melazzo (c) [AURIA
Cron. f. 211], onde poi insieme fu
eletto Vicario Generale nella Città di Noto, di Girgenti, Licata e Caltagirone.
Fu Pretore di Palermo nel 1682, Diputato di questo Regno, e gentiluomo di
camera del Ser.mo Rè Carlo II. pubblicato a 10. Agosto 1688 (e) [AURIA Cron. f. 211]. Sposo nelle prime sue nozze MELCHIORRA LANZA e MONCADA figlia di LORENZO C. di Sommatino, e
poscia ebbe in moglie COSTANZA di AMATO ed AGLIATA, figlia di ANTONIO P. di
GALATI. Dal primo suo letto coniugale venne alla luce GIUSEPPE del CARRETTO e LANZA.»
L’arciprete Lo Brutto morì il cinque febbraio del 1696.
Risale al 20 settembre 1699 una relatio
ad limina del Vescovo di Agrigento (e cioè una delle relazioni triennali
che i vescovi erano tenuti a fare alla Sede Apostolica dopo il Concilio di
Trento sullo stato della propria diocesi). Là
troviamo un ampio ragguaglio sulla vita religiosa di Racalmuto e val la
pena di richiamarla consentendoci un quadro di raffronto con quanto emerso
dalla documentazione degli archivi
statali.
''RECALMUTUM - Cittadina (oppidum) di cinquemila abitanti
sotto la cura di un arciprete, la cui elezione ed istituzione sono da tanto
tempo di diritto comune. Costui ha per il proprio sostentamento quasi duecento
scudi. Nella chiesa maggiore si recitano quotidianamente le 'hore canonice' da
parte di sacerdoti vestiti con
paramenti canonicali (Almutiis insigniti). Vi sono cinque conventi di
religiosi:
- dei Carmelitani, con tre sacerdoti e due laici;
- dei Minori Conventuali, con tre sacerdoti e un laico;
- dei Minori di Regolare Osservanza, con 4 sacerdoti e 3
laici;
- dei Riformati di S. Agostino con tre sacerdoti e due
laici;
- una casa addetta ad ospedale in cui stanno i frati di S.
Giovanni di Dio, al momento un sacerdote e due laici.
Reputo qui di
rappresentare che questi religiosi, dopo avere accettato di accudire all'ospedale, non hanno giammai pensato di
rinunciare all'istituto ospedaliero, e ne hanno percepito il reddito
dell'ospedale. Ed essendo esenti dalla giurisdizione del vescovo ordinario, non
vi sono forze per costringerli a
rinunciare ai proventi o a lasciare i locali del convento.
Sorge un monastero di monache sotto la regola del terzo
ordine di San Francesco ove servono il Signore otto professe corali; due
novizie e 5 converse.
Oltre alla chiesa maggiore ed a quelle conventuali prima
segnalate, vi sono quindici chiese, con quarantasette sacerdoti e trentasei
laici.''
Sul vescovo Ramirez non è poca la letteratura - e noi ne
abbiamo fatto sopra vari riferimenti. Ma qualunque sia il giudizio su questo
presule, una sua pagina è profonda ed illuminante. Vi si scorgono le
scaturigini della mafia.
GIUSEPPE I
DEL CARRETTO
Continuiamo Con il Villabianca: « Videsi questo nell'onorato
impiego di Capitano di Palermo nel 1698, e premorendo al padre senza figli fece
estinguere nella sua persona la Famiglia illustrissima del CARRETTO de' Signori
di SAVONA, che prendendo origine Reale, stimavasi una delle più cospicue
Prosapie di questo Regno (f) [Caso di Sciacca
del SAVASTA cap. 15. f. 43]. Fu sua
moglie BRIGIDA SCHITTINI e GALLETTI figlia
di Gio: Battista primo M. di S. ELIA, la
quale per il credito della sua dote avvalorato da una sentenza proferita dalla
R. G. Corte nel 1711. pigliò possesso di questo Stato, e insieme di questo
Titolo a 10. luglio 1716. Venendo essa a morte succedette in questi feudi sua
sorella OLIVA SCHITTINI e GALLETTI
maritata a Giacomo P. Lanza, il di cui
figlio
ANTONINO
LANZA e SCHITTINI se ne investì a 26. Agosto 1739. Questi vive attuale P.
Ventimiglia, P. Lanza, B. dello Stato di Calamigna, etc.»
Don Giuseppe del Carretto riceve l’investitura di Racalmuto
il 21 marzo del 1687 « ob donationem
inrevocabiliter inter vivos sibi factam per illustrem d. Hieronymum del
Carretto eius patrem vigore donationis per acta notarii predicti de Cafora et
Tagliaferro die 17 maij X ind. 1687 sicuti depositione dicti ill.is d.
Hieronymi constat per investituram per eum captam olim die 16 septembris V ind.
1666.»
E’ costretto a ripetere il rito per la morte di Carlo II il
20 gennaio 1702. Altre spese. Altri dissi con il padre che risulta ancora vivo.
Nella documentazione palermitana abbiamo:
«Si può passare l'investitura per la presente possessione
tantum ob mortem Caroli Secundi regis Domini nostri in Palermo a 20 gennaro
1702 - Don Giuseppe Bruno.»
Giuseppe del Carretto nel 1702 è plurititolato;
questa la sfilza dei suoi feudi e titoli:
Die decimo nono Januarii X ind. 1702
illustris d. Joseph del Carretto
possessor ac dominus comitatus Racalmuti ducatus Bideni Marchionatus Sanctae
Eliae et baroniae terrae Ferulae.
Il padre don Girolamo III risulta ancora vivo a quella data
del gennaio 1702. Se è vero che il figlio gli premorì, tale morte avvenne tra
questa data e qualche tempo prima del 1711, quando ad avviso del Villabianca fu
pronunciata la sentenza di assegnazione della contea di Racalmuto alla vedova
di Giuseppe I del Carretto, BRIGIDA SCHITTINI e GALLETTI figlia di Gio:
Battista primo M. di S. ELIA.
Girolamo III del Carretto cessava di vivere il 9 marzo 1710.
In un documento del fondo Palagonia riguardante don Luigi Gaetano si parla
infatti «de morte sequuta dicti ill.s D.
Hieronymi per fidem mortis Parochialis Ecclesiae Sancti Nicolaj de Calsa h. u.
sub die nono martij 1710 sicuti de possessione dicti quondam ill.s d. Hieronymi
constat per investituram per eum captam olim die 16 septembris 5 ind. 1666.»
I nobili del Carretto cessano quindi di essere i feudatari
di Racalmuto il 9 marzo del 1710. Con tale data si chiude anche la nostra
ricostruzione della vicenda feudale carrettesca in quel di Racalmuto. Quel che
avviene dopo - e dura un secolo - è storia del baronaggio locale con gli
Schettini, i Gaetano (la parentesi Macaluso non rileva) ed i Requisenz
protagonisti. I nobili del Carretto racalmutesi
- quanto al ramo maschile - si sono piuttosto malinconicamente estinti,
prima dei grandi sconvolgimenti storici del 1713 allorché vi fu il breve
avvento in Sicilia dei Sabaudi.
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