Ma era la scena politica che si
andava arroventando e gli echi giungevano alle sale del circolo con sempre
maggiore animosità. Del resto le cose erano davvero diventate roventi.
Approdiamo a momenti storici
racalmutesi con trasporto, trepidamente, con intenti alieni da ogni vezzo
sindacatorio. Mi appassiona l'uomo racalmutese - che reputo una specie a sé; la
cronaca recente e passata di questo luogo in cui sono nato, con le sue
bizzarrie, la sua antierocità, il suo atteggiarsi sempre ironico e dissacrante.
Le impurità presenti in ogni figura di racalmutese, anche in quella dei sommi,
forniscono un quadro di affascinante umanità. 'Guai a quel popolo che ha
bisogno di eroi', si ama dire: Racalmuto di eroi sembra non averne mai avuto
bisogno, o non li ha voluti e, in ogni caso, sempre li ha derisi. Magari con
rime anonime in vernacolo, come di moda negli anni presenti. O con lettere
anonime. Ne ho trovate, infatti, persino negli Archivi Segreti del Vaticano.
Con fallace firma di 'LUIGI TULUMELLO fu
Ignazio,’ il 18 gennaio del 1875 un racalmutese,
che mi sa essere insufflato dall'arciprete dell'epoca, importunava la Sacra
Congregazione dei Vescovi e Regolari, per contrapporsi alle pretese
espoliatrici della Famiglia MATRONA, quella
appunto osannata da SCIASCIA. Negli
ARCHIVI di STATO di Agrigento e Roma si rinvengono lettere infuocate del
gesuita P. NALBONE contro gli stessi MATRONA, con dati di fatto che hanno
sospinto una frangia della Commissione d'inchiesta parlamentare a venire a
Racalmuto per sottoporre i vari Matrona, il cav. Lupo, Giuseppe Grillo Cavallaro,
nonché l'avversario dottor Diego SCIBETTI-TROISE ad imbarazzanti interrogatori,
aleggiando il sospetto di collisione con mafiosi di Bagheria. Buon per i
Matrona che all'epoca il manto protettivo della massoneria valesse molto.
Chissà perché, Sciascia ha voluto stendervi un velo, storicamente ingannevole,
definendo persino 'anonimo' il libello del Nalbone, quando questi lo aveva apertamente sottoscritto e rivendicato.
Sarebbero false, invece, le firme di Antonio Licata, Pietro Farrauto, Antonino
Falletta e Fantauzzo Calogero, che certamente non erano in grado di concepire e
scrivere le velenosissime accuse contro il tesoriere comunale Giuseppe Nalbone,
Diego Bartolotta, il fratello del consigliere Provinciale dott. Romano, la
guardia Martorelli, un certo Carmelo Alba zio dell'assessore Busuito, l'inviso
doganiere Francesco Orcel, un certo Tinebra Nicolò ...'mantenuto agli studi '
dal Comune ( e credo trattarsi appunto dello storico prediletto da Sciascia),
Lumia Eugenio 'figlio naturale dell'assessore Salvatore Alfano cui si danno
delle continue sovvenzioni senza far nulla', Paolo Baeri . etc. Ma il libello, che viene recapitato il
25 maggio del 1896 a Sua E. CADRONGHI
Commissario Civile in Palermo, ha di mira i TULUMELLO , e ciò la dice lunga
sulla provenienza . Sono oggetto di accuse pesanti i 'consiglieri TULUMELLO
LUIGI ed ARCANGELO'. In una reiterata
lettera anonima del 27 agosto 1896, il Ministro Commissario Civile per la
Sicilia veniva informato che «l'epoca del terrore ha piantato le sue tende in
Racalmuto! La pubblica amministrazione sorretta da un capo onorario del carcere
di S. Vito, è in mano di una accozzaglia di malviventi! Così data a partito la
giustizia, ha preso le forme piazzaiole, affidata ai Scimé, ai Sciascia, ai
Conti e compagnia bella, avanzo di galera!» E purtroppo debbo continuare
citando quest'altro ributtante passo: «Eccellenza. - Il sindaco Tulumello
reduce dalle patrie galere, tutto può ciò che si vuole. Fattosi padrino di un
bambino del marasciallo, se ci è fatto lama spezzata; con cui a mantenere le
apparenze di un paese tranquillo e di ordine, si occultano reati col qui pro
quo. Il vice pretore Alaimo informi. Così la mafia, vestita di carattere
pubblico regna e governa. Pertanto, un Michele Scimé, braccio destro del Tulumello,
poté essere assolto, sebbene colto in flagranza di abigeato di animali. Così i
fratelli Bartolotta - della greppia - non vengono inquisiti di animali, mentre
vennero nei loro armenti scovati animali rubati. Così Leonardo Sciascia
disciplina l'elemento cattiva che, sotto le parvenze di circolo elettorale,
(sic) dove un Tulumello è presidente, soffoca ogni libera manifestazione, come
nell'ultima elezione. Così Alfonso Conte, dopo la villeggiatura fattasi
col Sindaco, dalle carceri di Girgenti, Catania e Palermo, gode oggi di una
pensione assegnatagli dal Tulumello, sì da fare il maestro didattico della
malavita. Et similia.» Non la fa franca la potente famiglia dei BUSUITO e francamente mi sembra dello stesso
stile delle denunce di MALGRADOTUTTO la
successiva filippica: «Eccellenza.- Racalmuto presenta lo squallore di un
sistema indefinibile che solo ha riscontro nei paesi africani.
Un'amministrazione dilapidata da pochi furfanti che mangiano a due canasci. Da
sette anni che il paese è piombato in mano di gente volgare, inetti ed
insipienti; non si è fatta un'opera pubblica, necessaria, richiesta dalla
civiltà del paese. E più di tutto l'acqua potabile, mentre il paese è dissetato
da acqua inquinata, siccome risulta da esame fatto eseguire dal Capitano della
truppa qui, per ora, stanziato.» E giù botte contro il dott. Romano ispiratore
di 'una spesa barocca' per distruggere
la 'buona ... acqua detta del Raffo'. E giù botte contro gli approfittatori del
lascito Martini, il «pio testatore che lasciò mezzo milione per costituire
un'ospedale. Intanto quelle rendite si diedero ad un piazzaiolo per
amministrarle - anima del Sindaco - e tra cotto e fritto quelle somme sfumarono
con una sola casa costruita, da potere servire per caserma dei carabinieri. Vi
può essere più desolante situazione?»
Riconosco di avere sempre sospettato
che Sciascia, in possesso di tale documento - per essere il noto ricercatore
che tutti sappiamo, difficilmente poteva sfuggirgli -, abbia voluto censurarlo. In ogni caso mi
riesce incomprensibile il passo della sua
introduzione al testo del Tinebra là dove Sciascia annota: «mio nonno,
... fedelissimo elettore [di don Gasparino Matrona], volle anche lui, da
capomastro di zolfara, avere un pezzetto di terra nella stessa contrada,
edificandovi una casetta: ora è un secolo. »
Nicolò Petrotto - se porrà occhio a questo mio scritto - sicuramente
saprà ancora una volta rintuzzarmi, facendo piena luce sull'intoccabile mito.
Certo, povero lui!, molto ancora
dovrà stizzirsi. Sono sufficientemente documentato sulle topiche di Sciascia in
materia di storia locale. Fa nascere fra Diego La Matina nel 1622, quando una
vaga infarinatura di datazioni indizionarie gli avrebbe fatto leggere meglio il
documento della Matrice di Racalmuto ove l'inequivocabile data del 15 marzo
1621 veniva confermata dalla dizione «4 Ind.» e cioè la quarta indizione che in
quel quindicennio comportava il periodo dal primo settembre 1620 al 31 agosto
1621 (indizione anticipata, in uso negli
atti ecclesiastici dell'agrigentino). Se
«il padre Girolamo Matranga, relatore dell'atto di fede di cui Diego La Matina
fu vittima, ... non seppe trarre brillanti considerazioni ... sui segni
astrologici che avevano presieduto alla nascita ... del
mostro» V. pag. 182 della
Morte dell'Inquisitore) era perché il dotto cronista sapeva esattamente che
la Matina era nato nel 1621 e che appunto nel 1658 era «dell'età di 37 anni».
Fra Diego La Matina, poi, non potè
essere battezzato «nella Chiesa dell'Annunziata di Racalmuto» (v. op. cit. p.
180): questa chiesa era divenuta subalterna a S. Giuliano per tersche
episcopali in favore di don Giuseppe del Carretto dal 27 gennaio 1608 (VI IND.)
al 20 giugno 1621 (IV IND.) Sciascia non
riuscì a leggere, per sua stessa ammissione, il nome del padrino di Diego la
Matina, ma «iac» sta per «Iacupo» il nostro Giacomo che era il nome dello
Sferrazza, il racalmutese che tenne a
battesimo il futuro frate agostiniano.
Noi gli imputiamo anche l'avere
ignorato che la madre di Diego la Matina era una RANDAZZO, racalmutese puro sangue nata il 24 gennaio 1600 e sposatasi
con Vincenzo la Matina il 7 ottobre
1618., che invece per parte del nonno proveniva da Pietraperzia. Vincenza
Randazzo in La Matina , prima di Diego , ebbe GIUSEPPE che il 29 settembre 1651
andò a sposarsi a Canicattì con certa Anna SURRUSCA ed era di condizione
sociale non spregevole venendoci tramandato con il titolo di 'mastro'. La madre
di Diego fu religiosissima. Dopo la morte del figlio , quando era già vedova,
si fece ‘terziaria francescana’. Muore a 65 anni e il primo febbraio del 1666 viene sepolta in
S. Maria di Giesu, dopo avere ricevuto quale 'soror tirtiaria S. Frincisci' i
conforti religiosi da P. Bonaventura da
'Cannigatti'.
Nell'anno 1620 - precedente a quello
di nascita di Fra Diego - era invece nato Don
Federico La Matina figlio di
Francesco di Giacomo e di Caterina La Matina, un ceppo autenticamente
racalmutese, contraddistinto con il nomignolo di “Calello” e divenuto offi un
nucleo di ottimati che frequentano assiduamente le sale del circolo, anche se
talora con intolleranza filosciasciana. Don Federico La Matina fu un 'confessore 'adprobatus' molto attivo e
molto stimato in Racalmuto e la sua figura - alquanto bistrattata da Sciascia a
pag. 197 op. cit. - va riabilitata.
Sciascia ebbe ad equivocare
maldestramente tra l'atto di battesimo di Marc'Antonio Alaimo e quello di
Marc'Antonio Missina. Anzi, confuse la registrazione di quest'ultimo con l’atto
di battesimo del futuro medico, con una annotazione ancora oggi rinvenibile tra
i registri della Matrice di Racalmuto.
Giuseppe TROISI, all'epoca solerte fotografo al seguito di Sciascia intento a comporre una versione corredata da fotografie della MORTE
DELL'INQUISITORE che purtroppo non fu mai pubblicata da LATERZA, ne trasse persino una interessante
fotografia. E qui mi duole aggiungere che la stima che SCIASCIA riversò, in un
articolo pubblicato da MALGRADOTUTTO, su
MARC'ANTONIO ALAYMO era mal riposta.
Quando e se avrò modo di pubblicare la traduzione del suo DIADEKTIKN,
verrà fuori un medico fattucchiere, superstizioso e bigotto. Il capitolo 'DE
MUMIA' dovette essere orripilante anche nel Seicento.
Se Sciascia lo avesse appena scorso,
lo avrebbe senza dubbio fustigato.
A questo punto, il mio acre censore
Nicolò Petrotto avrà tanta ragione per insolentirmi. Bazzecole?
Pedanterie? Grette minchionerie?
Senza dubbio. Ma è appunto per
questo che mi sono diverto a parlar male del nostro locale Garibaldi, proprio
in casa di MALGRADOTUTTO, a dire il vero ho tentato mail nostro faziosissimo
giornaletto locale mi ha impudentemente censurato.
Ma questo Nicolò Petrotto chi è? Se
è uno dei due Petrotto Nicolò (figlio di
Calogero uno, di Carmelo l'altro) che mi ritrovo in un liso foglio a
matita alle prese con le 'giubbe' , i 'cinturoni' ed il 'moschetto' nelle contestate colonie dei 'balilla'
racalmutesi, potrebbe pure informarmi su quelle vicende che pur
contraddistinguono un locale costume dell'Era Fascista.
Non sono di antico lignaggio
racalmutese i PETROTTO e quindi non amano forse questo suonare la 'corda pazza'
della Terra del Sale. Questa
famiglia appare nei registri della
Matrice solo sul finire del 1600: in un censimento databile 1664 abbiamo solo
un ceppo affine che si fa chiamare GULPI
PITROTTO . Di un Nicolao Gulpi Pitrotto abbiamo
traccia negli atti di morte del l'11/10/1648 ed il primo di maggio del 1656
viene sepolta a S. Giuliano Filippa Gulpi Pitrotto figlia di Francesco e
Giovanna Gulpi Pitrotto. Un Gulpi
Pitrotto lo troviamo addirittura quale teste nel matrimonio tra Chiazza
Giovanni e Zimbili Diega, celebratosi il 9/5/1618.
Incomprensibilmente, a partire dal
novembre del 1664 (cfr. atto di morte di Santo Pitrotto di Francesco e di
Giovanna di anni 20 del 16/11/1664) quello ed altri ceppi semplificano il
cognome nel solo PITROTTO e da
allora quella famiglia ebbe a svilupparsi considerevolmente e - sia chiaro -
onorevolmente nella Terra di Racalmuto.
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