L'amico Piero Carbone è sapidissimo uomo di lettere, profondo nel pensare, lieve nell'esporre, piacevole, convincente. A noi pare che nel suo accanirsi anche per cose minori vi è caparbietà quale indice di un inflessibile codice etico. E così succede he in certe sue estenuanti battaglie io non lo riesca a seguire sino in fondo. Certo .scatta il mio cinismo, di quello – cioè - che più che con le sacre lettere ha avuto a che fare con la creativa immoralità del mondo dell'alta finanza, specie bancaria. Sarò sincero, per me le lettere di Caprara non mi dicono molto anzi mi danno fastidio. Vi emergono piccinerie e di Caprara e di Sciascia. L'unica notizia che mi pare degna di attenzione è quell'accenno di Sciascia, per incidens, all'articolo di OGGI a firma di Domenico Porzio, quel grande giornalista, raffinatissimo uomo di cultura, lettore scaltrissimo che seguirà fedelmente quanto dignitosamente sino alla morte. lo scrittore di Racalmuto, ravvivandogli le ultime tetre ore con affabulazioni di altissimo e tenerissimo livello. Un estremo colloquio quello che ben si trova testimoniato in FUOCO ALL’ANIMA, un grandissimo libro che la famiglia si ostina a censurare mentre la nostra FONDAZIONE non desiste dall’avallare quella ignobile censura.
Per il resto, mi fa anche tenerezza come il buon Gino Caprara, ormai seppellito in quell'America illiberale ed aliena, si erga a defensor di uno Sciascia lontano ormai divenuto un santone della intellighenzia dell'Italia neorealista. Partito ipotattico e rondista, Sciascia ormai con il dilagante successo della sua traslazione postbellica del piccolo mondo delle Parrocchie, è già un santone un Guru del mondo latino: l'America di Hollywood o di Brooklyn gli è indifferente e gli dà anche fastidio. Mai andrebbe in America, oltretutto per questione di collegamenti. In vita sua Sciascia mai prese o volle prendere l'aereo. O in treno o niente. Parigi, Madrid si potevano raggiungere via terra e lì Sciascia andava nei suoi rari momenti di peregrinazioni oltre l'Italia, al di là del suo eremo della Noce. Per il resto Sciascia ben sapeva che. considerato comunista quale non era. anche per le delazioni di un tal Ben Morreale autore di un ambiguo I SORCI VRDI, quell’America là il "visto" mai glielo avrebbe concesso alla stregua di certi premi Nobel quali Dario Fo. E francamente credo che non gliene importasse una cicca.
Mi ha quindi infastidito quel rispondere schizzinoso persino con la sua celebre olivetti24 dello Sciascia. Vi è supponenza, irritazione, vi è insomma quel DNA tutto racalmutese degli Sciascia coniugati Martorelli. Sciascia, grandissimo letterato, scrittore ex rondista ora inattingibile, fu distratto come uomo politico, claudicante quale microstorico e come uomo fu appunto quel ritroso sornione Nanà che ben sappiamo quelli che l'abbiamo conosciuto in vita e nel fulgore del suo successo.
Quelle lettere lì inviate nel lontano 1960 (se non sbaglio sono sicuro che stanno nei forzieri ancora da catalogare della Fondazione. Non son mica le lettere di Tortora, la famiglia fu felice di farne epurazione dell'archivio di casa. La scoperta Carbone forse mette il dito su una piaga tutta nostrana, racalmutese: miliardi pubblici di vecchie lire spesi per una fondazione che dopo un quarto di secolo non sa neppure catalogare un epistolario di nulla importanza, di taglio banalmente privato.
Per il resto, mi fa anche tenerezza come il buon Gino Caprara, ormai seppellito in quell'America illiberale ed aliena, si erga a defensor di uno Sciascia lontano ormai divenuto un santone della intellighenzia dell'Italia neorealista. Partito ipotattico e rondista, Sciascia ormai con il dilagante successo della sua traslazione postbellica del piccolo mondo delle Parrocchie, è già un santone un Guru del mondo latino: l'America di Hollywood o di Brooklyn gli è indifferente e gli dà anche fastidio. Mai andrebbe in America, oltretutto per questione di collegamenti. In vita sua Sciascia mai prese o volle prendere l'aereo. O in treno o niente. Parigi, Madrid si potevano raggiungere via terra e lì Sciascia andava nei suoi rari momenti di peregrinazioni oltre l'Italia, al di là del suo eremo della Noce. Per il resto Sciascia ben sapeva che. considerato comunista quale non era. anche per le delazioni di un tal Ben Morreale autore di un ambiguo I SORCI VRDI, quell’America là il "visto" mai glielo avrebbe concesso alla stregua di certi premi Nobel quali Dario Fo. E francamente credo che non gliene importasse una cicca.
Mi ha quindi infastidito quel rispondere schizzinoso persino con la sua celebre olivetti24 dello Sciascia. Vi è supponenza, irritazione, vi è insomma quel DNA tutto racalmutese degli Sciascia coniugati Martorelli. Sciascia, grandissimo letterato, scrittore ex rondista ora inattingibile, fu distratto come uomo politico, claudicante quale microstorico e come uomo fu appunto quel ritroso sornione Nanà che ben sappiamo quelli che l'abbiamo conosciuto in vita e nel fulgore del suo successo.
Quelle lettere lì inviate nel lontano 1960 (se non sbaglio sono sicuro che stanno nei forzieri ancora da catalogare della Fondazione. Non son mica le lettere di Tortora, la famiglia fu felice di farne epurazione dell'archivio di casa. La scoperta Carbone forse mette il dito su una piaga tutta nostrana, racalmutese: miliardi pubblici di vecchie lire spesi per una fondazione che dopo un quarto di secolo non sa neppure catalogare un epistolario di nulla importanza, di taglio banalmente privato.
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