sabato 7 aprile 2018

LA VIABILITA' PREGRECA NELLA TERRA DEI SICANI

Per quel che ci dice la squadra di archeologi sotto la direzione del prof. La Rosa nell'importante volume DALLE CAPANNE alle ROBBE, in quel di SERRA DEL PALCO di cui alle mappe che pur qui pubblichiamo, molto prossima alla necropoli 'sicana' della nostra Grotta di Fra Diego, vi era un evoluto centro abitato risalente  a 7.000-6.500BP (before present, prima del presente)  anni fa che ci ha lasciato 'campioni ceramici sui quali è stato possibile operare la datazione tramite termoluminescenza.

Come si vede una tecnica modernissima a sfondo addirittura nucleare disponibile presso la importante università di Catania. E così le scoperte archeologiche hanno fatto piazza pulita delle fonti letterarie e Tucidide si eclissa, e i tanti grandissimi studiosi di tali fonti del taglio di Pugliese Carratelli devono cedere il passo alle datazioni alla termoluminescenza.

E quei piccoli frammenti fittili che anche noi abbiamo trovato a iosa nelle nostre lande, ove sono presenti  suggestive ed imponenti testimonianze di necropoli preistoriche, dimostrano una civiltà evoluta e niente affatto feroce e mostruosa quali il Tucidide vorrebbe;  niente Polifemi con un solo occhio, niente Lestrigoni, niente congetture cervellotiche di primitivi ominidi che non sanno neppure coltivare la terra.

Culto dei morti, utensili raffinati, capanne accoglienti, e questo già sei/settemila anni fa. Provato per ora solo a Serra del Palco, posto lontano pochissimi chilometri dalla nostra necropoli  di tombe a forno o a grotticelle  occhieggianti dalla ampia parete della Grotta di Fra Diego.

Ed altre necropoli preistoriche sono sparse per tutto il territorio di Racalmuto sino al contrappoto villaggio  archeologico di San Bartolomeo.

Vaste necropoli 'sicane' a Canicattì, il Mauceri ci descrive quelle di Pietralonga in territorio di Castrofilippo. E di là a Milena  e a Sant'Angelo Muxaro ricchezze antiche di cosmica importanza.

E davvero erano villaggi, insediamenti, agglomerati umani che già sfruttavano lo zolfo in quel di Palma di Montechiaro,  chiusi, non comunicanti, isolati?

Non ci credo: una ragnatela viaria li collegava. Certo ancora senza ponti come viottoli che poi diverranno trazzere  per divenire l'attuale realtà stradale e persino autostradale.

Il Cutaia ben fa a partire dall'Edrisi e quindi sfruttando la topografia delle note trazzere  ricostruirci quel prisco  affascinante ordito viario, dai presicani alla 640, la contemporanea autostrada degli scrittori.

Calogero Taverna







Ben dice l'ing. Cutaia che la struttura della rete viaria più antica dei nostri Monti Sicani mantenne nel tempo la sua ragion d'essere e quindi L'Idrisi traccia percorsi che si adagiano su antiche trazzere, allargamento dei viottoli che sicuramente collegavano i vari villaggi che oggi designiamo come sicani, alcuni dei quali risalgono a sei-settemila anni fa, come dire a tre millenni prima della tucididea conquista da parte dei sicani scacciati dai conquistatori etnici, provenienti dell'Alto Lazio a seguire le varie leggende delle fonti letterarie.
Riteniamo del tutto valida l'abile ricognizione che l'ing, Cutaia fa disegnando la carta schematica del percorso idrisiano che qui pubblichiamo, anche se ci guardiamo bene dal condividere l'ubicazione dei toponimi più o meno idrisiani.

sabato 2 gennaio 2016

Edrisi a colore

illo Taverna e Maria Pia Calapà hanno condiviso la tua foto.
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    Abū ‘Abd Allāh Muhammad ibn Muhammad ibn ‘Abd Allah ibn Idrīs al-Sabti detto anche Idrīsī, Edrisi, El Edrisi, Ibn Idris, Hedrisi o al-Idrīsī (in arabo: أبو عبد الله محمد بن محمد ابن عبد الله بن إدريس الصقلي; in latino Dreses; Ceuta [1], 1099 circa – Sicilia, 1165) è stato un geografo e viaggiatore arabo.
    Statua di al-Idrisi a Ceuta
    Fu invitato dal re Ruggero II di Sicilia a Palermo, dove realizzò una raccolta di carte geografiche note con il titolo Il libro di Ruggero.
    ...
    Dopo aver viaggiato per tutti i paesi del mar Mediterraneo, si stabilì a Palermo presso la corte normanna di re Ruggero II, intorno al 1145.
    Indice
LA VIABILITA' PREGRECA NELLA TERRA DEI SICANI

Per quel che ci dice la squadra di archeologi sotto la direzione del prof. La Rosa nell'importante volume DALLE CAPANNE alle ROBBE, in quel di SERRA DEL PALCO di cui alle mappe che pur qui pubblichiamo, molto prossima alla necropoli 'sicana' della nostra Grotta di Fra Diego, vi era un evoluto centro abitato risalente  a 7.000-6.500BP (before present, prima del presente)  anni fa che ci ha lasciato 'campioni ceramici sui quali è stato possibile operare la datazione tramite termoluminescenza.

Come si vede una tecnica modernissima a sfondo addirittura nucleare disponibile presso la importante università di Catania. E così le scoperte archeologiche hanno fatto piazza pulita delle fonti letterarie e Tucidide si eclissa, e i tanti grandissimi studiosi di tali fonti del taglio di Pugliese Carratelli devono cedere il passo alle datazioni alla termoluminescenza.

E quei piccoli frammenti fittili che anche noi abbiamo trovato a iosa nelle nostre lande, ove sono presenti  suggestive ed imponenti testimonianze di necropoli preistoriche, dimostrano una civiltà evoluta e niente affatto feroce e mostruosa quali il Tucidide vorrebbe;  niente Polifemi con un solo occhio, niente Lestrigoni, niente congetture cervellotiche di primitivi ominidi che non sanno neppure coltivare la terra.

Culto dei morti, utensili raffinati, capanne accoglienti, e questo già sei/settemila anni fa. Provato per ora solo a Serra del Palco, posto lontano pochissimi chilometri dalla nostra necropoli  di tombe a forno o a grotticelle  occhieggianti dalla ampia parete della Grotta di Fra Diego.

Ed altre necropoli preistoriche sono sparse per tutto il territorio di Racalmuto sino al contrappoto villaggio  archeologico di San Bartolomeo.

Vaste necropoli 'sicane' a Canicattì, il Mauceri ci descrive quelle di Pietralonga in territorio di Castrofilippo. E di là a Milena  e a Sant'Angelo Muxaro ricchezze antiche di cosmica importanza.

E davvero erano villaggi, insediamenti, agglomerati umani che già sfruttavano lo zolfo in quel di Palma di Montechiaro,  chiusi, non comunicanti, isolati?

Non ci credo: una ragnatela viaria li collegava. Certo ancora senza ponti come viottoli che poi diverranno trazzere  per divenire l'attuale realtà stradale e persino autostradale.

Il Cutaia ben fa a partire dall'Edrisi e quindi sfruttando la topografia delle note trazzere  ricostruirci quel prisco  affascinante ordito viario, dai presicani alla 640, la contemporanea autostrada degli scrittori.

Calogero Taverna









sabato 2 gennaio 2016

Edrisi a colore

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    Abū ‘Abd Allāh Muhammad ibn Muhammad ibn ‘Abd Allah ibn Idrīs al-Sabti detto anche Idrīsī, Edrisi, El Edrisi, Ibn Idris, Hedrisi o al-Idrīsī (in arabo: أبو عبد الله محمد بن محمد ابن عبد الله بن إدريس الصقلي; in latino Dreses; Ceuta [1], 1099 circa – Sicilia, 1165) è stato un geografo e viaggiatore arabo.
    Statua di al-Idrisi a Ceuta
    Fu invitato dal re Ruggero II di Sicilia a Palermo, dove realizzò una raccolta di carte geografiche note con il titolo Il libro di Ruggero.
    ...
    Dopo aver viaggiato per tutti i paesi del mar Mediterraneo, si stabilì a Palermo presso la corte normanna di re Ruggero II, intorno al 1145.
    Indice

Lillo Taverna Beh! Che debbo dire? Io a Roma facio file infinite per un museo, per una mostra.
Tutti noi abbiamo paturnie, ma non è buono e giusto scaricare le nostre frustrazioni sugli altri. Se i signori del vapore museale agrigentini consentissero un antiquarium alla Fondazione Sciascia, che ha tutti i requisiti di legge, e vi portassero tutte quelle nostre monete bizantine che giacciono, se ancora giacciono, negli scantinati accessibili solo a gente dirottata da Mannino dalle campagne alle custodie colte, son sicuro che dall'intero mondo verrebbero a Racalmuto per studiare questi rari reperti numismatici. Così, se invece di ricoprire i ruderi greco-romani-.bizantini delle Grotticelle di Racalmuto per bizzarria della Fiorentini li si recintavano e vi si facevano navi scuola archeologiche, anche i musei di Agrigento, dispendiosissimo a quanto pare a vuoto, avrebbero altra frequentazione.
Se invece di credere che i Sicani estraessero, con metodi da forni Gill, zolfo a Palma di Montechiaro, si fossero affidati al propinguo prof. Larosa, quando operava a Milena, i loculi sicani (?) di fra Diego a Racalmuto, sapremmo oggi che come nella contigua Serra del Palco (dalle Capanne alle Robbe, pag, 241) nei manomessi siti sottostanti vi albergava una civiltà risalente a sette mila anni fa, con buona pace di Tucidide e di Pugliese Carratelli e barbosi suoi colleghi di università.
Non continuo, ma potrei. Colpa del baion? No, abituiamoci a fare mea culpa, a non scaricare tutto sui politici, sui ladri della casta. Forse dovremmo lanciare qualche strale sul passato episcopale agrigentino, sul convogliare tutto su Agrigento capitale (tanto ci stanno i Templi) e snobbare le più antiche civiltà del circondario.
Le menti colte, quelle avvertite alla Graziella cominciamo ad essere più propositivi, più pungolanti, più protagonisti della nuova incoercibile palingenesi anche archeologica.
ILIADE
______


LIBRO DECIMOTTAVO

ARGOMENTO
Antiloco annuncia ad Achille la morte di Patroclo. Disperazione dell’eroe; Tetide esce del mare per consolarlo. Egli vuol correre al campo per vendicare l’amico. La madre lo esorta a soprassedere finchè ella non gli abbia recata una nuova armatura. I Greci sono in procinto di perdere il corpo di Patroclo. Achille consigliato da Giunone, che a lui spedisce Iride, si mostra inerme sul margine della fossa, ed i Troiani sono compresi di terrore. Il cadavere è posto in salvo. La notte mette fine alla pugna. Parlamento dei Troiani, che risolvono di rimanere sul campo. Lamenti d’Achille. Tetide si presenta a Vulcano, e lo supplica di fabbricarle un’armatura pel figlio. Descrizione dello scudo. Tetide discende dall’Olimpo portando ad Achille le armi.

Tutta così qual fiamma arde la pugna.
Veloce messaggier correa frattanto
Antíloco ad Achille. Anzi all’eccelse
Sue navi il trova, che nel cor già volge
L’accaduto disastro, e nel segreto5
Della grand’alma sospirando, dice:
Perchè di nuovo, ohimè! verso le navi
Fuggon gli Achivi con tumulto, e vanno
Spaventati pel campo? Ah! non mi cómpia
L’ira de’ numi la crudel sventura10
Che un dì la madre profetò, narrando
Che, me vivente ancor, de’ Mirmidóni
Il più prode guerrier dai Teucri ucciso
[p. 154 modifica]
Del Sol la luce abbandonato avría.
Ah! certo di Menézio il forte figlio15
Morì. Infelice! E pur gl’imposi io stesso
Che risospinta la nemica fiamma
Ritornasse alle navi, e con Ettorre
Cimentarsi in battaglia oso non fosse.
   In questo rio pensier l’aggiunse il figlio20
Di Nestore piangendo, e, Ohimè! gli disse,
Magnanimo Pelíde; una novella
Tristissima ti reco, e che nol fosse
Oh piacesse agli Dei! Giace Patróclo;
Sul cadavere nudo si combatte;25
Nudo; chè l’armi n’ha rapito Ettorre.
   Una negra a' que’ detti il ricoperse
Nube di duol; con ambedue le pugna
La cenere afferrò, giù per la testa
La sparse, e tutto ne bruttò il bel volto30
E la veste odorosa. Ei col gran corpo
In grande spazio nella polve steso
Giacea turbando colle man le chiome
E stracciandole a ciocche. Al suo lamento
Accorsero d’Achille e di Patróclo35
L’addolorate ancelle, e con alti urli
Si fêr dintorno al bellicoso eroe
Percotendosi il seno, e ciascheduna
Sentía mancarsi le ginocchia e il core.
Dall’altra parte Antíloco pietoso40
Lagrimando dirotto, e di cordoglio
Spezzato il petto rattenea d’Achille
Le terribili mani, onde col ferro
Non si squarciasse per furor la gola.
   Udì del figlio l’ululato orrendo45
La veneranda Teti che del mare
Sedea ne’ gorghi al vecchio padre accanto.
[p. 155 modifica]
Mise un gemito, e tutte a lei dintorno
Si raccolser le Dee, quante ne serra
Il mar profondo, di Neréo figliuole50
Glauce, Talía, Cimódoce, Nesea
E Spio vezzosa e Toe ed Alie bella
Per bovine pupille, e la gentile
Cimótoe ed Attea: quindi Melíte
E Limnória e Anfitóe, Jera ed Agave,55
Doto, Proto, Ferusa e Dinamena
E Desamena ed Amfinóma e seco
Callïaníra e Dori e Panopea,
E sovra tutte Galatea famosa;
V’era Apseude e Nemerte e con Janira60
Callïanassa ed Ïanassa; alfine
L’alma Climene, e Mera ed Oritía
Ed Amatea dall’auree trecce, ed altre
Nerëidi dell’onda abitatrici.
   Tutto di lor fu pieno in un momento65
Il cristallino speco, e tutte insieme
Batteansi il petto, allorchè Teti in mezzo
Tal diè principio al lamentar: Sorelle,
M’udite, e quanto è il mio dolor vedete.
Ohimè misera! ohimè madre infelice70
Di fortissima prole! Io generai
Un valoroso incomparabil figlio,
Il più prestante degli eroi: lo crebbi,
Lo coltivai siccome pianta eletta
In fertile terren: poscia ne’ campi75
D’Ilio lo spinsi su le navi io stessa
A pugnar co’ Troiani. Ahi che m’è tolto
L’abbracciarlo tornato alla paterna
Reggia! e fin ch’egli all’amor mio pur vive,
Fin che gli è dato di fruir la luce,80
Di tristezza si pasce; ed io, comunque
[p. 156 modifica]
A lui mi rechi, sovvenir nol posso.
Nondimeno v’andrò, del caro figlio
Vedrò l’aspetto, e intenderò qual duolo
Dalla guerra lontano il cor gl’ingombra.85
   Uscì, ciò detto, dallo speco, e quelle
Piangendo la seguîr: l’onda ai lor passi
Riverente s’apría. Come di Troia
Attinsero le rive, in lunga fila
Emersero sul lido ove frequenti90
Le mirmidónie antenne in ordinanza
Facean selva e corona al grande Achille.
A lui che in gravi si struggea sospiri
La diva madre s’appressò, proruppe
In acuti ululati, ed abbracciando95
L’amato capo, e lagrimando, disse:
   Figlio, che piangi? Che dolore è questo?
Nol mi celar, deh parla. A compimento
Mandò pur Giove il tuo pregar: gli Achivi
Son pur, siccome supplicasti, astretti100
Ripararsi alle navi, e del tuo braccio
Aver mestiero, di sciagure oppressi.
   Con un forte sospir rispose Achille:
O madre mia, ben Giove a me compiacque
Ogni preghiera: ma di ciò qual dolce105
Me ne procede, se il diletto amico,
Se Pátroclo è già spento? Io lo pregiava
Sovra tutti i compagni; io di me stesso
Al par l’amava, ahi lasso! e l’ho perduto.
L’uccise Ettorre, e lo spogliò dell’armi,110
Di quelle grandi e belle armi, a vedersi
Maravigliose, che gli eterni Dei,
Dono illustre, a Peléo diero quel giorno
Che te nel letto d’un mortal locaro.
Oh fossi tu dell’Oceán rimasta115
[p. 157 modifica]
Fra le divine abitatrici, e stretto
Peléo si fosse a una mortal consorte!
Chè d’infinita angoscia il cor trafitto
Or non avresti pel morir d’un figlio
Che alle tue braccia nel paterno tetto120
Non tornerà più mai, poichè il dolore
Nè la vita nè d’uom più mi consente
La presenza soffrir, se prima Ettorre
Dalla mia lancia non cade trafitto,
E di Patróclo non mi paga il fio.125
   Figlio, nol dir (riprese lagrimando
La Dea), non dirlo, chè tua morte affretti:
Dopo quello d’Ettór pronto è il tuo fato.
   Lo sia (con forte gemito interruppe
L’addolorato eroe), si muoia, e tosto,130
Se giovar mi fu tolto il morto amico.
Ahi che lontano dalla patria terra
Il misero perì, desideroso
Del mio soccorso nella sua sciagura.
Or poichè il fato riveder mi vieta135
Di Ftia le care arene, ed io crudele
Nè Pátroclo aitai nè gli altri amici
De’ quai molti domò l’ettórea lancia,
Ma qui presso le navi inutil peso
Della terra mi seggo, io fra gli Achei140
Nel travaglio dell’armi il più possente,
Benchè me di parole altri pur vinca,
Pera nel cor de’ numi e de’ mortali
La discordia fatal, pera lo sdegno
Ch’anco il più saggio a inferocir costrigne,145
Che dolce più che miel le valorose
Anime investe come fumo e cresce.
Tal si fu l’ira che da te mi venne,
Agamennón. Ma su l’andate cose,
[p. 158 modifica]
Benchè ne frema il cor, l’obblío si sparga,150
E l’alme in sen necessità ne domi.
Del caro capo l’uccisore Ettorre
Or si corra a trovar; poi quando a Giove
E agli altri Eterni piacerà mia morte,
Venga pur, ch’io l’accetto. Il forte Alcide,155
Dilettissimo a Giove e suo gran figlio,
Alcide stesso vi soggiacque, domo
Dalla Parca e dall’aspra ira di Giuno.
Così pur io, se fato ugual m’aspetta,
Estinto giacerò. Questo frattanto160
Tempo è di gloria. Sforzerò qualcuna
Delle spose di Dardano e di Troe
Ad asciugar con ambedue le mani
Giù per le guance delicate il pianto,
E a trar dal largo petto alti sospiri.165
Sappiano alfin che il braccio mio dall’armi
Abbastanza cessò; nè dalla pugna
Tu, madre, mi svïar, chè indarno il tenti.
   E a lui la Diva dall’argenteo piede:
Giusta, o figlio, è l’impresa e d’onor degna,170
Campar da scempio i travagliati amici.
Ma le tue scintillanti armi divine
Son fra’ Troiani, ed Ettore, quel fiero
Dell’elmo crollator, sen fregia il dosso,
E dell’incarco esulta. Ma fia breve,175
Lo spero, il suo gioir, chè negra al fianco
Già l’incalza la Parca. Or tu di Marte
Per anco non entrar nel rio tumulto,
Se tu qua pria venir non mi riveggia.
Verrò dimani al raggio mattutino,180
E recherotti io stessa una forbita
Bella armatura di Vulcan lavoro.
   Così detto, dal figlio alle sorelle
[p. 159 modifica]
Ripiegò la persona, e, Voi, soggiunse,
Rïentrate del mar nell’ampio grembo,185
E del marino genitor canuto
Rendetevi alle case, e tutto dite
Che vedeste ed udiste. Al grande Olimpo
Io salgo a ritrovar l’inclito fabbro
Vulcano, e il pregherò che luminose190
Armi stupende al figlio mio conceda.
   Disse; e quelle del mar tosto nell’onde
Discesero, e la Dea dal piè d’argento
Avvïossi all’Olimpo a procacciarne
Al diletto figliuolo armi divine.195
   Mentr’ella al ciel salía, con urlo immenso
Dal sanguinoso Ettór cacciati in fuga
Giunser gli Achivi delle navi al vallo
E al mugghiante Ellesponto. E non ancora
Del compagno achilléo la morta spoglia200
Al nembo degli strali avean sottratta
Gli argolici guerrieri. Un’altra volta
Fiero assalto le dava una gran serra
Di cavalli e di fanti, e innanzi a tutti
Di Príamo il figlio, l’indefesso Ettorre205
Che una fiamma parea. Tre volte il prode
Per gli piedi il cadavere afferrando
Provò di trarlo, e con orrenda voce
I Troiani chiamò: tre volte i due
Impetuosi e vigorosi Aiaci210
Respinserlo dal morto. E nondimeno
Saldo e securo in sua fortezza or dentro
Nella turba ei s’avventa, ed or s’arresta,
E con gran voce tuttavia pur grida,
Nè d’un passo s’arretra. E qual di notte215
Vigilanti pastori alla campagna
Da preso tauro allontanar non ponno
[p. 160 modifica]
Affamato lïon; così de’ forti
Aiaci la virtù da quell’esangue
Dispiccar non potea l’ardito Ettorre.220
E l’avría tratto alfine e conseguita
Immensa gloria, s’Iride veloce,
A Giove occulta e a ogni altro iddio, dall’alto
Olimpo non correa col vento al piede
Messaggiera ad Achille; e la spedía,225
Per eccitarlo alla battaglia, il cenno
Dell’augusta Giunon. Gli parve al fianco
Improvvisa la Diva, e questi accenti
Fe’ dal labbro volar: Sorgi, Pelíde
Terribile guerriero, e di Patróclo230
Il cadavere salva. Intorno a lui
Ferve avanti alle navi orrida pugna
Con mutue stragi. In sua difesa i Greci
Fan che puossi: per trarlo in Ilio i Teucri
S’avventano di punta. Il fiero Ettorre235
Innanzi a tutti di rapirlo agogna,
Bramoso di mozzar dal dilicato
Collo il bel capo, e d’un infame tronco
Conficcarlo alla cima. Alzati, e pigro
Più non giacer. Ti tocchi il cor vergogna240
Che de’ cani di Troia il tuo diletto
Debba le sanne trastullar. Se offesa
Ne riceve la salma, è tuo lo smacco.
   Rispose Achille: E quale a me de’ numi
Ti manda ambasciatrice, Iri divina?245
   Mi manda, replicò la Dea veloce,
Giunon, di Giove glorïosa moglie,
Nè Giove il sa, nè verun altro iddio
De’ sereni d’Olimpo abitatore.
   Come al campo n’andrò, soggiunse Achille,250
Se in mano di color venner le mie
[p. 161 modifica]
Armi: e che d’armi or io mi cinga il vieta
La cara madre, se lei pria non veggio
Da Vulcano tornar, come promise,
Di leggiadra armatura apportatrice?255
Di qual altra famosa or mi vestire
Al bisogno non so, tranne lo scudo
Dell’egregio figliuol di Telamone.
Ma pur egli, mi spero, in questo punto
Sta combattendo pel mio spento amico.260
   E a lui di nuovo la taumánzia figlia:
Noto è ben anco a noi che le tue belle
Armi or sono d’altrui. Ma su la fossa
Anco inerme ti mostra all’inimico.
Lascerà spaventato la battaglia265
Solo al vederti, e respirar potranno
I travagliati Achei. Salute è spesso
Nel calor della pugna un sol respiro.
   Così disse, e disparve. In piedi allora
Rizzossi Achille amor di Giove, e tutto270
Coll’egida Minerva il ricoperse.
D’un’aurea nube gli fasciò la fronte,
Ed una fiamma dalla nube uscía,
Che dintorno accendea l’aria di luce.
Siccome quando al ciel s’innalza il fumo275
D’isolana città, cui d’aspro assedio
Cinge il nemico: con orrendo marte
Combattono dal muro i cittadini
Finchè gli alluma il Sol; poi quando annotta,
Destan fuochi frequenti alle vedette,280
E al ciel ne sbalza uno splendor che manda
Ai convicini del periglio il segno,
Se per sorte venir con pronte antenne
Volessero in aita: a questo modo
Dalla testa d’Achille alta alle stelle285
[p. 162 modifica]
Quella fiamma salía. Varcato il muro,
Sul primo margo s’arrestò del fosso,
Nè mischiossi agli Achei, chè della madre
Al precetto obbedía. Lì stando, un grido
Mise, e d’un altro da lontan gli fece290
Eco Minerva, ed un terror ne’ Teucri
Immenso suscitò. Come sonoro
D’una tuba talor s’ode lo squillo,
Quando d’assedio una città serrando
Armi grida terribile il nemico,295
Così chiara d’Achille era la voce.
N’udiro i Teucri il ferreo suono, e a tutti
Tremaro i petti; si rizzâr sul collo
Ai destrieri le chiome, e d’alto affanno
Presaghi addietro rivolgean le bighe.300
Gli aurighi sbigottîr, vista la fiamma
Che da Minerva di repente accesa
Orrenda e lunga su la fronte ardea
Del magnanimo eroe. Tre volte Achille
Dalla fossa gridò: tre volte i Teucri305
E i collegati sgominârsi, e dodici
De’ più prestanti fra i riversi cocchi
Trafitti vi perîr dal proprio ferro.
Pronti intanto gli Achei di sotto ai densi
Strali sottratto di Menézio il figlio,310
Il locâr nella bara, e gli fêr cerchio
Lagrimando i compagni. Anch’ei veloce
V’accorse Achille, e si disciolse in pianto
Nel feretro mirando il fido amico
D’acuta lancia trapassato il petto.315
Egli stesso con carri, armi e destrieri
L’avea spedito alla battaglia, e freddo
Lo rïebbe al ritorno e sanguinoso.
   Costrinse allor la veneranda Giuno
[p. 163 modifica]
Suo malgrado a calar nelle correnti320
Dell’Oceáno l’instancabil Sole.
Ei si sommerse, e dal crudel conflitto
Ebber tregua gli Achei. Dier posa all’armi
Di rincontro i Troiani; i corridori
Sciolser dai cocchi, e pria che a cibo alcuno325
Volger la mente, convocâr consiglio.
Ritti in piedi aprîr essi il parlamento;
Nè verun di sedersi ebbe fidanza,
Perchè d’Achille la comparsa orrenda
Facea loro tremar le vene e i polsi,330
Chè da lunga stagion ne’ lagrimosi
Campi di Marte non l’avean veduto.
Prese tra lor Polidamante il primo
A ragionar. Di Panto era costui
Prudente figlio, e de’ Troiani il solo335
Che le passate e le future cose
Al guardo avea presenti. Egli d’Ettorre
Era compagno, e una medesma notte
Li produsse ambedue, l’un di parole,
L’altro d’asta valente. Ei dunque in mezzo340
Con saggio avviso così tolse a dire:
   Librate, amici, la bisogna; ir dentro
Alla cittade, e tosto, è mio consiglio,
Senz’aspettar davanti a queste navi
L’alma luce del dì. Troppo siam lungi345
Qui dalle mura. Finchè l’ira in petto
Arse a questo guerrier contra l’Atride,
Più lieve er’anco il debellar gli Achivi,
Ed io pure vegliar godea le notti
Presso le navi, nella dolce speme350
D’occuparle. Or tremar fammi il Pelíde.
L’ardor che il mena non vorrà ristretto
Contenersi nel campo ove l’acheo
[p. 164 modifica]
Col troiano valore in generose
Prove la gloria marzïal divise:355
Ma per Ilio a pugnar e per le mogli
Ne sforzerà. Nella cittade adunque
Ripariamo, e si segua il mio sentire,
Chè le cose avverran com’io v’assenno.
L’alma notte or sopito in dolce calma360
Tien d’Achille il furor: ma se dimani
All’assalto prorompe, e qui ne trova,
Certo talun conoscerallo, e quanti
Dar potranno le spalle, e dentro il sacro
Ilio camparsi, si terran beati;365
Ma pria ben molti rimarran pastura
Di voraci avoltoi. Deh ch’io non oda
Sì rio caso giammai! Se al mio ricordo,
Benchè non grato, obbedirem, la notte
Spenderem ne’ rinforzi e ne’ consigli.370
E le torri e le porte e i contrafforti
De’ ben commessi tavolati intanto
Faran sicura la città. Poi tutti
D’arme orrendi domani al nuovo Sole
Starem su i merli. E s’ei lasciato il lido375
Verrà nosco a pugnar sotto le mura,
Duro affar troveravvi, e poichè stanca
In vane giravolte avrà la foga
De’ suoi superbi corridor, gli fia
Forza alle navi ritornar confuso;380
Nè di scagliarsi dentro alla cittade
Daragli il cuore, e pria che porla al fondo,
Ei farà sazii del suo corpo i cani.
   Qui tacque; e bieco gli rispose Ettorre:
Tu non mi fai gradevole proposta,385
Polidamante, no, quando n’esorti
A serrarci di nuovo entro le mura.
[p. 165 modifica]
E non vi noia ancor di quelle torri
La prigionia? Fu tempo in cui le genti
Di vario favellar tutte a una voce390
Dicean ricca di molto auro e di bronzo
La città prïameia. Or dalle case
Dileguârsi i tesori. Alle contrade
Dell’amena Meonia e della Frigia
Molta ricchezza ne passò venduta395
Da che l’ira di Giove i Teucri oppresse.
Ed or che Giove innanzi a questi legni
D’alta vittoria mi fe’ lieto, e diemmi
Che al mar chiudessi le falangi achee,
Non far palese, o stolto, ai cittadini400
Questo consiglio, chè nessuno avrai
Fra i Troiani sì vil che lo secondi,
Nè patirollo io mai. Teucri, obbediamo
Tutti al mio detto. Ristorate i corpi
Al suo posto ciascuno, e vi sovvegna405
Delle scolte per tutto e delle ronde.
Qualunque de’ Troiani in pensier stassi
Di sue ricchezze, le raguni, e poscia
Largo ai soldati le spartisca. È meglio
Che alcun nostro ne goda, e non l’Acheo.410
Sull’aurora dimani in tutto punto
Assalirem le navi: e se il divino
Achille all’armi si svegliò davvero,
Gli fia la pugna, se la vuol, funesta.
Non fuggirollo io, no, nell’affannoso415
Ballo di Marte, ma starogli a fronte
Con intrepido petto. Uno de’ due
D’un’illustre vittoria andrà superbo;
Il cimento è comune, ed avvien spesso
Che morte incontra chi di darla ha speme.420
   Disse, e i Teucri levâr d’applauso un grido.
[p. 166 modifica]
Stolti! chè Palla avea lor tolto il senno.
Tutti assentîr d’Ettorre al pazzo avviso,
Nessuno al saggio del figliuol di Panto.
   Mentre col cibo a rivocar le forze425
Intendono i Troiani, in alti lai
L’intera notte dispendean gli Achivi
Sovra il morto Patróclo, e prorompea
Fra loro in pianti sospirosi Achille,
La man tremenda sul gelato petto430
Dell’amico ponendo, e cupi e spessi
I gemiti mettea, come talvolta
Ben chiomato lïone a cui rapío
Il cacciator nel bosco i lïoncini.
Crucciato il fiero del suo tardo arrivo,435
Tutta scorre la valle, e l’orme esplora
Del predator, se mai di ritrovarlo
In qualche lato gli rïesca; e orrenda
Gli divampa nel cor la rabbia e l’ira:
Tal si cruccia il Pelíde, e con profondi440
Sospiri in mezzo ai Mirmidóni esclama:
   Oh mie vane parole il dì ch’io diedi
A Menézio il conforto, e la promessa
Che in Opunta gli avrei carco di gloria
E di gran preda ricondotto il figlio445
Dall’atterrata Troia! Ahi che non tutti
Giove i disegni de’ mortali adempie!
Sotto Troia il destino ambo ne danna
A far vermiglia una medesma terra,
Chè me neppure abbraccerà tornato450
Il buon vecchio Peléo nel patrio tetto,
Nè Teti genitrice; ma sepolcro
Mi darà questo lido. Or poi che deggio
Dopo te, mio fedel, scender sotterra,
Tu, no, sul rogo non andrai, lo giuro,455
[p. 167 modifica]
Se non t’arreco in prima io qui d’Ettorre,
Del tuo crudo uccisor l’armi e la testa;
E dodici d’illustri iliaci figli
Troncheronne davanti alla tua pira.
Giaci intanto così, caro compagno,460
Qui presso alle mie navi; e le troiane
E le dardanie ancelle il largo seno
Tutte discinte intorno al tuo ferétro
Notte e dì faran pianto, e ploreranno.
Esse ne fur comun fatica e preda465
Quando noi colla forza e colle lunghe
Aste domando le nemiche genti
L’opime n’atterrammo ampie cittadi.
   Ciò detto, comandò l’almo Pelíde
Che dai compagni al fuoco si ponesse470
Sul tripode un gran vaso, onde veloci
Di Patroclo lavar la sanguinosa
Tabe. E quelli sul fuoco in un baleno
Atto ai lavacri collocaro un bronzo,
E v’infusero l’onda, e di stecchiti475
Rami di sotto alimentâr la fiamma.
Abbracciavan le vampe mormorando
Del vaso il ventre, e rotto in sottil fumo
Scaldavasi l’umor. Poichè nel cavo
Rame la linfa al suo bollor pervenne,480
Diersi il corpo a lavar: l’unser di pingue
Felice oliva, e le ferite empiero
Di balsamo novenne. Indi al funébre
Letto renduto, dalla fronte al piede
In sottil lino avvolserlo, e superno485
Un bianco panno vi spiegâr. Ciò fatto,
Tornaro ai pianti, e intorno al mesto Achille
Tutta in lamenti consumâr la notte.
   Giove in questo alla sua moglie e sorella
[p. 168 modifica]
Si volse e disse: Veneranda Giuno,490
Ecco pieni alla fine i tuoi desiri;
Ecco all’armi tornato il grande Achille.
Di te nacque, cred’io, (cotanto l’ami)
L’argiva gente. - E Giuno a lui: Che parli,
Tremendo figlio di Saturno? All’uomo495
Povero d’alma e di consigli è dato
Il dannaggio tramar del suo simíle;
Ed io che incedo degli Dei reina,
Perchè saturnia prole e perchè sposa
Son dell’alto de’ numi imperadore,500
Contra i Troiani co’ Troiani irata
Macchinar qualche offesa io non dovea?
Mentre seguían tra lor queste contese,
Teti agli alberghi di Vulcan pervenne;
Stellati eterni rilucenti alberghi,505
Fra i celesti i più belli, e dallo stesso
Vulcan costrutti di massiccio bronzo.
Tutto in sudor trovollo affaccendato
De’ mantici al lavoro. Avea per mano
Dieci tripodi e dieci, adornamento510
Di palagio regal. Sopposte a tutti
D’oro avea le rotelle, onde ne gisse
Da sè ciascuno all’assemblea de’ numi,
E da sè ne tornasse onde si tolse:
Maraviglia a vederli! Omai compiuto515
L’ammirando lavor, solo restava
Ch’ei v’adattasse le polite orecchie,
E appunto all’uopo n’aguzzava i chiovi.
Mentre venía tai cose elaborando
Con egregio artificio, entro la soglia520
L’alma Teti mettea l’argenteo piede.
La vide, e le si fe’ Cárite incontro
Ornata il capo d’eleganti bende,
[p. 169 modifica]
Dell’inclito Vulcan moglie vezzosa:
Per man la strinse, e il roseo labbro aprendo,525
Qual, le disse, cagione, o bella Teti,
Ti guida inaspettata a queste case?
Rado suoli onorarle, e nondimeno
Sempre cara vi giungi e riverita.
Inóltrati, perch’io pronta t’appresti530
Le vivande ospitali. - E sì dicendo,
La bellissima Dea l’altra introdusse,
E in un bel seggio collocolla, ornato
D’argentee borchie a lavorío gentile
Col suo sgabello al piede. Indi a chiamarne535
Corse l’esimio fabbro, e sì gli disse:
Vieni, Vulcan, chè ti vuol Teti. - Ed egli:
   Venerevole Diva e d’onor degna
Nella casa mi venne. Ella malconcio
E afflitto mi salvò quando dal cielo540
Mi feo gittar l’invereconda madre,
Che il distorto mio piè volea celato;
E mille allor m’avrei doglie sofferto
Se me del mar non raccogliean nel grembo
Del rifluente Océano la figlia545
Eurínome e la Dea Teti. Di queste
Quasi due lustri in compagnia mi vissi,
E di molte vi feci opre d’ingegno,
Fibbie ed armille tortuose e vezzi
E bei monili, in cavo antro nascoso550
A cui spumante intorno ed infinita
D’Oceán la corrente mormorava;
Nè verun di mia stanza avea contezza,
Nè mortale nè Dio, tranne le belle
Mie servatrici. Or poichè Teti è giunta555
Alla nostra magion, piena le voglio
Render mercè del benefizio antico.
[p. 170 modifica]
Tu dinanzi sollecita le poni
Il banchetto ospital, mentr’io veloce
Questi mantici assetto e gli altri arnesi.560
   Disse, e dal ceppo dell’incude il mostro
Abbronzato levossi zoppicando.
Moveansi sotto a gran stento le fiacche
Gambe sottili. Allontanò dal fuoco
I mantici ventosi: ogni fabbrile565
Istrumento raccolse, e dentro un’arca
Li ripose d’argento. Indi con molle
Spugna ben tutto stropicciossi il volto
Affumicato ed ambedue le mani
E il duro collo ed il peloso petto.570
Poi la tunica mise; ed il pesante
Scettro impugnato, tentennando uscío.
Seguían l’orrido rege, e a dritta e a manca
Il passo ne reggean forme e figure
Di vaghe ancelle, tutte d’oro, e a vive575
Giovinette simíli, entro il cui seno
Avea messo il gran fabbro e voce e vita
E vigor d’intelletto e delle care
Arti insegnate dai Celesti il senno.
Queste al fianco del Dio spedite e snelle580
Camminavano; ed egli a tardo passo
Avvicinato a Teti, in un lucente
Trono s’assise, e la sua man ponendo
Nella man della Dea, così le disse:
   Qual mai sorte t’adduce a queste soglie,585
O sempre cara e veneranda Teti,
In quell’ampio tuo peplo ancor più bella?
Troppo rado ne fai di tua presenza
Contenti e lieti. Or parla, e il tuo desire
Libera esponi. A soddisfarlo il grato590
Cor mi sospinge, se pur farlo io possa,
[p. 171 modifica]
E il farlo mi s’addica. - E a lui suffusa
Di lagrime i bei rai Teti rispose:
   Delle Dive d’Olimpo e qual sofferse
Tanti, o Vulcano, tormentosi affanni595
Quanti in me Giove n’adunò? Me sola
Fra le Dive del mar suggetta ei fece
Ad un mortale, al re Peléo. Ritrosa
Ne sostenni gli amplessi; ed egli or giace
Logro dagli anni nel regal suo tetto.600
Nè il tenor qui restò di mie sventure.
Mi nacque un figlio. Io l’educai gelosa,
E come pianta ei crebbe, e mi divenne
Il maggior degli eroi. Questo germoglio
Di fertile terren, questo diletto605
Unico figlio su le navi io stessa
Spedii di Troia alle funeste rive
A guerreggiar co’ Teucri. Avverso fato
Gli dinega il ritorno; ed io non deggio
Nella peléa magion madre infelice610
Abbracciarlo più mai. Nè questo è tutto.
Fin ch’ei mi vive, e la ria Parca il raggio
Gli prolunga del Sole, ei lo consuma
Nella tristezza, nè giovarlo io posso.
Dagli Achivi ottenuta egli s’avea615
Premio di sue fatiche una fanciulla.
Agamennón gliela ritolse; ed esso
Dell’onta irato, e nel dolor sepolto
Si ritrasse dall’armi. I Teucri intanto
Alle navi rinchiusero gli Achei,620
Nè permettean l’uscita. Umíli allora
I duci argivi gli mandâr preghiere
E d’orrevoli doni ampie profferte.
Egli fermo negò la chiesta aita:
Ma cinse di sue stesse armi l’amico625
[p. 172 modifica]
Pátroclo, e al campo l’invïò seguíto
Da molti prodi. Su le porte Scee
Tutto un giorno durò l’aspro conflitto.
E il dì stesso Ilïon saría caduto,
S’alta strage menar visto il gagliardo630
Di Menézio figliuol, non l’uccidea
Tra i combattenti della fronte Apollo,
Esaltandone Ettorre. Or io pel figlio
Vengo supplice madre al tuo ginocchio,
Onde a conforto di sua corta vita635
Di scudo e d’elmo provveder tu il voglia,
E di forte lorica e di schinieri
Con leggiadro fermaglio. A lui perdute
Ha tutte l’armi dai Troiani ucciso
Il suo fedel compagno, ed egli or giace640
Gittato a terra, e dal dolore oppresso.
   Tacque; e il mal fermo Dio così rispose:
Ti riconforta, o Teti, e questa cura
Non ti gravi il pensier. Così potessi
Alla morte il celar quando la Parca645
Sul capo gli starà, com’io di belle
Armi fornito manderollo, e tali
Che al vederle ogni sguardo ne stupisca.
   Lasciò la Dea, ciò detto, e impazïente
Ai mantici tornò, li volse al fuoco,650
E comandò suo moto a ciascheduno.
Eran venti che dentro la fornace
Per venti bocche ne venían soffiando,
E al fiato, che mettean dal cavo seno,
Or gagliardo or leggier, come il bisogno655
Chiedea dell’opra e di Vulcano il senno,
Sibilando prendea spirto la fiamma.
In un commisti allor gittò nel fuoco
Argento ed auro prezïoso e stagno
[p. 173 modifica]
Ed indomito rame. Indi sul toppo660
Locò la dura risonante incude,
Di pesante martello armò la dritta,
Di tanaglie la manca; e primamente
Un saldo ei fece smisurato scudo
Di dédalo rilievo, e d’auro intorno665
Tre bei fulgidi cerchi vi condusse,
Poi d’argento al di fuor mise la soga.
Cinque dell’ampio scudo eran le zone,
E gl’intervalli, con divin sapere,
D’ammiranda scultura avea ripieni.670
   Ivi ei fece la terra, il mare, il cielo
E il Sole infaticabile, e la tonda
Luna, e gli astri diversi onde sfavilla
Incoronata la celeste volta,
E le Pleiadi, e l’Iadi, e la stella675
D’Orïon tempestosa, e la grand’Orsa
Che pur Plaustro si noma. Intorno al polo
Ella si gira ed Orïon riguarda,
Dai lavacri del mar sola divisa.
   Ivi inoltre scolpite avea due belle680
Popolose città. Vedi nell’una
Conviti e nozze. Delle tede al chiaro
Per le contrade ne venían condotte
Dal talamo le spose, e Imene, Imene
Con molti s’intonava inni festivi.685
Menan carole i giovinetti in giro
Dai flauti accompagnate e dalle cetre,
Mentre le donne sulla soglia ritte
Stan la pompa a guardar maravigliose.
   D’altra parte nel fôro una gran turba690
Convenir si vedea. Quivi contesa
Era insorta fra due che d’un ucciso
Piativano la multa. Un la mercede
[p. 174 modifica]
Già pagata assería; l’altro negava.
Finir davanti a un arbitro la lite695
Chiedeano entrambi, e i testimon produrre.
In due parti diviso era il favore
Del popolo fremente, e i banditori
Sedavano il tumulto. In sacro circo
Sedeansi i padri su polite pietre,700
E dalla mano degli araldi preso
Il suo scettro ciascun, con questo in pugno
Sorgeano, e l’uno dopo l’altro in piedi
Lor sentenza dicean. Doppio talento
D’auro è nel mezzo da largirsi a quello705
Che più diritta sua ragion dimostri.
   Era l’altra città dalle fulgenti
Armi ristretta di due campi in due
Parer divisi, o di spianar del tutto
L’opulento castello, o che di quante710
Son là dentro ricchezze in due partito
Sia l’ammasso. I rinchiusi alla chiamata
Non obbedían per anco, e ad un agguato
Armavansi di cheto. In su le mura
Le care spose, i fanciulletti e i vegli715
Fan custodia e corona; e quelli intanto
Taciturni s’avanzano. Minerva
Li precorre e Gradivo entrambi d’oro,
E la veste han pur d’oro, ed alte e belle
Le divine stature, e d’ogni parte720
Visibili: più bassa iva la torma.
Come in loco all’insidie atto fur giunti
Presso un fiume, ove tutti a dissetarse
Venían gli armenti, s’appiattâr que’ prodi
Chiusi nel ferro, collocati in pria725
Due di loro in disparte, che de’ buoi
Spïassero la giunta e delle gregge.
[p. 175 modifica]
Ed eccole arrivar con due pastori
Che, nulla insidia suspicando, al suono
Delle zampogne si prendean diletto.730
L’insidiator drappello alla sprovvista
Gli assalía, ne predava in un momento
De’ buoi le mandre e delle bianche agnelle,
Ed uccidea crudele anco i pastori.
   Scossa all’alto rumor l’assediatrice735
Oste a consiglio tuttavia seduta,
De’ veloci corsier subitamente
Monta le groppe, i predatori insegue,
E li raggiunge. Allor si ferma, e fiera
Sul fiume appicca la battaglia. Entrambe740
Si ferían coll’acute aste le schiere.
Scorrea nel mezzo la Discordia, e seco
Era il Tumulto e la terribil Parca
Che un vivo già ferito e un altro illeso
Artiglia colla dritta, e un morto afferra745
Ne’ piè coll’altra, e per la strage il tira.
Manto di sangue tutto sozzo e rotto
Le ricopre le spalle: i combattenti
Parean vivi, e traean de’ loro uccisi
I cadaveri in salvo alternamente.750
   Vi sculse poscia un morbido maggese
Spazïoso, ubertoso e che tre volte
Del vomero la piaga avea sentito.
Molti aratori lo venían solcando,
E sotto il giogo in questa parte e in quella755
Stimolando i giovenchi. E come al capo
Giungean del solco, un uom che giva in volta,
Lor ponea nelle man spumante un nappo
Di dolcissimo bacco; e quei tornando
Ristorati al lavor, l’almo terreno760
Fendean, bramosi di finirlo tutto.
[p. 176 modifica]
Dietro nereggia la sconvolta gleba:
Vero arato sembrava, e nondimeno
Tutta era d’òr. Mirabile fattura!
   Altrove un campo effigïato avea765
D’alta messe già biondo. Ivi le destre
D’acuta falce armati i segatori
Mietean le spighe; e le recise manne
Altre in terra cadean tra solco e solco,
Altre con vinchi le venían stringendo770
Tre legator da tergo, a cui festosi
Tra le braccia recandole i fanciulli
Senza posa porgean le tronche ariste.
In mezzo a tutti colla verga in pugno
Sovra un solco sedea del campo il sire,775
Tacito e lieto della molta messe.
Sotto una quercia i suoi sergenti intanto
Imbandiscon la mensa, e i lombi curano
D’un immolato bue, mentre le donne
Intente a mescolar bianche farine,780
Van preparando ai mietitor la cena.
   Seguìa quindi un vigneto oppresso e curvo
Sotto il carco dell’uva. Il tralcio è d’oro,
Nero il racemo, ed un filar prolisso
D’argentei pali sostenea le viti.785
Lo circondava una cerulea fossa
E di stagno una siepe. Un sentier solo
Al vendemmiante ne schiudea l’ingresso.
Allegri giovinetti e verginelle
Portano ne’ canestri il dolce frutto,790
E fra loro un garzon tocca la cetra
Soavemente. La percossa corda
Con sottil voce rispondeagli, e quelli
Con tripudio di piedi sufolando
E canticchiando ne seguíano il suono.795
[p. 177 modifica]
   Di giovenche una mandra anco vi pose
Con erette cervici. Erano sculte
In oro e stagno, e dal bovile usciéno
Mugolando e correndo alla pastura
Lungo le rive d’un sonante fiume800
Che tra giunchi volgea l’onda veloce.
Quattro pastori, tutti d’oro, in fila
Gían coll’armento, e li seguían fedeli
Nove bianchi mastini. Ed ecco uscire
Due tremendi lïoni, ed avventarsi805
Tra le prime giovenche ad un gran tauro,
Che abbrancato, ferito e strascinato
Lamentosi mandava alti muggiti.
Per rïaverlo i cani ed i pastori
Pronti accorrean: ma le superbe fiere810
Del tauro avendo già squarciato il fianco,
Ne mettean dentro alle bramose canne
Le palpitanti viscere ed il sangue.
Gl’inseguivano indarno i mandrïani
Aizzando i mastini. Essi co’ morsi815
Attaccar non osando i due feroci,
Latravan loro addosso, e si schermivano.
   Fecevi ancora il mastro ignipotente
In amena convalle una pastura
Tutta di greggi biancheggiante, e sparsa820
Di capanne, di chiusi e pecorili.
Poi vi sculse una danza a quella eguale
Che ad Arïanna dalle belle trecce
Nell’ampia Creta Dedalo compose.
V’erano garzoncelli e verginette825
Di bellissimo corpo, che saltando
Teneansi al carpo delle palme avvinti.
Queste un velo sottil, quelli un farsetto
Ben tessuto vestía, soavemente
[p. 178 modifica]
Lustro qual bacca di palladia fronda.830
Portano queste al crin belle ghirlande,
Quelli aurato trafiere al fianco appeso
Da cintola d’argento. Ed or leggieri
Danzano in tondo con maestri passi,
Come rapida ruota che seduto835
Al mobil torno il vasellier rivolve,
Or si spiegano in file. Numerosa
Stava la turba a riguardar le belle
Carole, e in cor godea. Finían la danza
Tre saltator che in varii caracolli840
Rotavansi, intonando una canzona.
   Il gran fiume Oceán l’orlo chiudea
Dell’ammirando scudo. A fin condotto
Questo lavoro, una lorica ei fece
Che della fiamma lo splendor vincea;845
Poi di raro artificio un saldo e vago
Elmo alle tempie ben acconcio, e sopra
D’auro tessuta v’innestò la cresta.
   Fur l’ultima fatica i bei schinieri
Di pieghevole stagno. E terminate850
L’armi tutte, il gran fabbro alto levolle,
E al piè di Teti le depose. Ed ella,
Co’ bei doni del Dio, come sparviero
Ratta calossi dal nevoso Olimpo.