giovedì 7 giugno 2018

Mi vogliono fare credere che a metà dell'Ottocento vi sarebbe stato un PALAGONIA CONTE DI RACALMUTO che peraltro sarebbe stato di così santi costumi da venire beatificato da Santa Romana Chiesta. Certo ogni frottola un qualche fondamento ce l'ha ed io credo di averlo intuito. Ma ora non ho voglia di specificarlo. A suo tempo se tempo verrà.
PALAGONIA, Ferdinando Francesco Gravina e Bonanni, principe di
di Lina Scalisi - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 80 (2014)
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PALAGONIA, Ferdinando Francesco Gravina e Bonanni, principe di. – Nacque a Palermo il 15 settembre 1677 da Ignazio Sebastiano e da Agata Cottone.
Primogenito di cinque figli, successe al padre nell’aprile 1695 e nel settembre dello stesso anno sposò Anna Maria Lucchese e Lucchese, figlia di Nicolò Antonio marchese della Delia e di Giulia Lucchese e Filangeri: un matrimonio opportuno anche per ragioni economiche poiché, grazie alla dote della moglie, Palagonia poté avviare la ricostruzione di Francofonte, la principale città dei suoi stati feudali, distrutta dal terremoto del 1693 che aveva devastato Catania e gran parte del Val di Noto.
Insignito il 13 gennaio 1700 dell’onorificenza del Toson d’oro, da lì a poco capitano della città di Palermo, Palagonia era ancora in carica quando, ai primi di dicembre, giunse la notizia della morte di Carlo II d’Asburgo.
L’annuncio fu trasmesso ufficialmente solo il 16 del mese alla deputazione del Regno, l’organismo formato da dodici membri eletti dal Parlamento su indicazione del viceré con il compito di gestire i donativi, rappresentare il Parlamento e difendere le prerogative del Regno. Qualche giorno dopo il viceré Pietro Colon, duca di Veraguas, convocò i ministri siciliani per comunicare che Carlo II aveva nominato suo erede il duca Filippo d’Angiò, salito al trono con il nome di Filippo V. Le principali autorità siciliane si dichiararono pronte ad accettare le disposizioni di Carlo II, riaffermando la loro fedeltà alla Spagna e proclamando una festa solenne in onore del nuovo sovrano, ma la reazione ostile delle potenze europee non si fece attendere: nel settembre 1701 l’impero asburgico, l’Inghilterra e l’Olanda firmarono a L’Aia una Grande Alleanza con l’obiettivo di impedire una futura riunione delle corone di Francia e di Spagna. E anche il duca di Savoia, Vittorio Amedeo II, che aveva ereditato un diritto di successione alla corona spagnola e sposato la figlia Maria Luisa Gabriella a Filippo V, sperò di ricevere compensi territoriali dai progetti internazionali di divisione grazie al sostegno inglese.
Nonostante il convulso quadro internazionale aperto dalla successione spagnola, Palagonia continuò l’ascesa ai vertici del ceto dirigente della capitale, di cui divenne pretore nel 1708.
In tale veste diede prova di grande abilità affrontando un vasto moto popolare contro le truppe irlandesi di stanza nella città, provvedendo la città di frumento e regolando gli illeciti del Banco di Palermo, che venne disciplinato da una giunta mentre si provvedeva a rimborsare i creditori. Tale agire condusse Antonino Mongitore a scrivere che Palagonia «con ragione dunque a voti sì dè buoni che dè cattivi cittadini venne appellato il Liberatore e Padre dè più insigni della Patria, e ne vive tra noi la gloriosa fama» (1749, p. 437).
Figura di riferimento nella classe dirigente dell’isola, nominato dal nuovo re Grande di Spagna, pure Palagonia avrebbe presto trattato con un’altra monarchia. Con la pace di Utrecht, infatti, Filippo V acconsentì a cedere la Sicilia al duca di Savoia.
Il 26 aprile 1713 il capitano di alcuni vascelli inglesi giunti a Palermo informò Francesco Bonanno del Bosco (futuro principe di Cattolica) dell’avvenuta cessione del regno al duca di Savoia, inducendolo a promuovere un sondaggio sulla disponibilità della nobiltà siciliana ad accettare il nuovo sovrano. Nondimeno solo all’arrivo ufficiale della notizia, alcuni rappresentanti della nobiltà e del clero si recarono a Torino per rendere omaggio al nuovo re che nel frattempo, dubitando dell’umore dei siciliani, aveva fatto raccogliere delle informazioni per conoscere le consuetudini, le condizioni economiche, i problemi del commercio, delle manifatture e dell’agricoltura, le tradizioni amministrative e giudiziarie, le difese militari dell’isola. Le notizie confermarono ai consiglieri sabaudi, ancora preoccupati riguardo l’acquisizione, che il regno rimaneva molto appetibile.
Nell’ottobre 1713 Vittorio Amedeo e la consorte Anne d’Orleans s’imbarcarono a Villafranca di Nizza scortati dalla flotta inglese e salparono verso la Sicilia. Il 10 ottobre giunsero nel porto di Palermo salutati con entusiasmo dalla popolazione. La nobiltà soprattutto sembrò impaziente di rendere omaggio al monarca; in effetti, la presenza della corte e del nuovo re a Palermo fu vista come un’importante novità dall’opinione pubblica isolana nella speranza di avere finalmente un sovrano nazionale dopo secoli di dominazione straniera. Vittorio Amedeo, però, rimase in Sicilia meno di un anno. All’inizio il riguardo usato nell’accogliere i gruppi dirigenti locali e la disponibilità manifestata al dialogo lo resero popolare; inoltre aveva mostrato sobrietà e determinazione sia allorché assicurava ai deputati dei tre bracci del Parlamento di non avere altro pensiero che «di avvantaggiare questo Regno per rimetterlo col progresso del tempo, nell’antico suo lustro» (Lo Faso di Serradifalco, 2005); sia quando, oltre ai consueti donativi, chiese che venissero elaborate delle proposte per le riforme più urgenti.
Al Parlamento quale rappresentante del braccio demaniale, partecipava anche Palagonia, al tempo nuovamente pretore di Palermo e gradito a Vittorio Amedeo che, nei rapporti preliminari sui nuovi sudditi, lo conosceva come «ottimo cavaliere di buona intenzione e riscuote generalmente accettazione», e ancora come «huomo maturo e riflessivo, ha giudicio ed è naturalmente flegmatico e molto irresoluto» (ibid.), anche se profondamente indebitato malgrado una rendita annua di 25.000 scudi, la quinta più elevata del regno. Tale buona reputazione lo condusse nello stesso anno alla carica di gentiluomo di camera del re e poi di vicario generale di Catania assieme con il duca d’Angiò, Girolamo Gioieni, al fine di regolare le tensioni tra il sovrano e la Chiesa riguardo ai privilegi legati all’istituto della Regia Monarchia, antico privilegio che consegnava ai sovrani del regno ampie potestà in ambito ecclesiastico.
Nel 1715 Palagonia iniziò la costruzione della celebre villa a Bagheria, a discapito del palazzo palermitano in via Del Bosco.
È del 25 giugno il contratto con i ‘pirriatori’ Antonino e Vincentino Perricone per fare con: «tutta quella quantità di pietra d’intagli di finestre porte gattoni cimase cornice secondo li modeli et ordinationi dell’Architetto di d.o Ecc.mo Signor Pr.pe, e che esso Ecc.mo Sig.r Pr.pe haverà di bisogno p[er] il novo casino da farsi nel Terr[itor]io di q[uest]a C[itt]à nella q[art]a della bagaria et in fronte il casino dell’Ecc.mo S.r Pr.pe di Butera» (Neil, 1995, p. 220). L’architetto citato era il frate domenicano Tommaso Maria Napoli che lavorò assiduamente al cantiere al punto che il 4 luglio 1716 il principe poteva già disporre riguardo le decorazioni all’interno dell’edificio, da lui commesse allo stuccatore Procopio Serpotta, figlio illegittimo del celebre Giacomo.
Intanto lo scenario politico mutò nuovamente con l’avvicendarsi degli spagnoli ai piemontesi dopo che il cardinale Giulio Alberoni, primo ministro di Spagna, nel 1718 fece invadere l’isola da un corpo di spedizione capitanato da Giovanni Francesco di Bette, marchese di Lede. Ancora una volta Palagonia fu chiamato a esercitare un incarico di prestigio e inviato dagli spagnoli come ambasciatore della città assieme al marchese di Montevago, Girolamo Gravina. Rientrato nelle grazie di Filippo V, venne nominato vicario generale del Val di Noto dove, nell’agosto dello stesso anno, respinse un tentativo di sbarco a Catania dell’ammiraglio inglese George Byng.
Gli anni successivi videro comunque un minore coinvolgimento di Palagonia, assorbito nelle attività dei teatini e nelle accademie del Regno. Nel 1731 fu membro della Giunta incaricata di fondare l’Albergo dei poveri, dopo un tentativo abortito nel 1728, e nel maggio dell’anno seguente consegnò il Toson d’oro al principe di Cattolica per conto di Carlo VI, palesando così la sua capacità di passare indenne attraverso i mutamenti dinastici che avevano interessato la Sicilia
Nuovamente ambasciatore del regno nel 1735, in occasione dell’arrivo nel regno del Borbone, fu nominato da questi consigliere di Stato e l’anno dopo presidente della giunta di Sicilia. Tale designazione fu direttamente richiesta dal sovrano per quanto gli fossero note le cagionevoli condizione di salute di Palagonia.
Morì, infatti, a Palermo il 1° febbraio 1736 e fu sepolto nella chiesa dei Cappuccini.
Alle esequie presenziarono i membri dell’Accademia del buon gusto, di cui Palagonia aveva fatto parte insieme con il principe della Cattolica, il duca di San Miceli, il principe di Carini e suo figlio, il principe di Roccafiorita, di Campofranco, di Fiumesalato, il conte di Prades, il commendatore Requesens.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Discorso Economico Istorico attorno l’origine e progressi dei Parlamenti e sopra la Giurisdizione ed abusi della Deputazione dello stesso Magistrato da quei dipende, fatta da D. Giacomo Longo, giudice della Regia Monarchia, 1714, I, ctg. 2, m. 1; Ibid., I, ctg. 6, m. 1, fasc. 53; Ibid., Discorso sopra il credito e potere della città di Palermo,I, ctg. 1, m. 2, fasc. 24; A. Mongitore, Parlamenti generali del Regno di Sicilia dall’anno 1446 fino al 1748, II, Palermo 1749, p. 437; G.E. Di Blasi, Storia cronologica dei viceré luogotenenti e presidenti del regno di Sicilia, Palermo 1842, pp. XL, 460, 496, 537, 547, 554; G. Giardina, Memorie storiche del regno di Sicilia, in Biblioteca storica e letteraria di Sicilia, a cura di G. Di Marzo, XI, Palermo 1873, p. 74; A. Tallone, Vittorio Amedeo II e la quadruplice alleanza,Torino, 1914; C.A.Garufi, Rapporti diplomatici tra Filippo V e Vittorio Amedeo II di Savoia, nella cessione del Regno di Sicilia dal trattato di Utrecht alla pace dell’Aja (1712-1720), in Documenti per servire alla storia di Sicilia, Palermo 1914, pp. XV-XVII; F. San Martino de Spucches, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia, V, Palermo 1932, pp. 346 s.; C. Contessa, I regni di Napoli e di Sicilia nelle aspirazioni italiane di Vittorio Amedeo II di Savoia, in Studi su Vittorio Amedeo II, Torino 1933, p. 86 s; R. Moscati, Direttive della politica estera sabauda da Vittorio Amedeo II a Carlo Emanuele III, Milano 1941, p. 134; V. Pavone, Storia di Catania dalle origini alla fine del secolo XIX, Catania 1969, p. 89; F.M. Emanuele e Gaetani, marchese di Villabianca, Viceré epretoridi buona e cattiva fama, a cura di M. Ganci, Palermo 1988, p. 81 s.; A. Guerra - E. Molteni - P. Nicoloso, Il trionfo della miseria. Gli alberghi dei poveri di Genova, Palermo e Napoli, Milano 1991, pp. 84, 87; E.H. Neil, Architecture in context: The Villas of Bagheria, Sicily, Ph.d., Harvard University 1995; S. Candela, I piemontesi in Sicilia, 1713-1718, Caltanissetta-Roma 1996, p. 37 s.; F. Gallo, L’alba dei Gattopardi. La formazione della classe dirigente nella Sicilia austriaca (1719-1734), Roma 1996, pp. 34, 67; A. Lo Faso di Serradifalco, Vittorio Amedeo II - Un anno in Sicilia (Ottobre 1713-Settembre 1714), in Studi della Società italiana di studi araldici, 2005, www.socistara.it; Id., Notizie per il governo della Sicilia inviate dal Cardinale Giudice a Vittorio Amedeo Il nella primavera del 1713, ibid., 2009.

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