Commissione banche: un'occasione persa. Invece dei presunti scandali politici doveva occuparsi della tutela dei risparmiatori
di Toni Oldani
Chapeau a Giulio Tremonti. Invitato a dire la sua davanti alla Commissione d'inchiesta sulle banche, ha fatto sapere che non ci andrà, poiché non intende partecipare, parole sue, a un meeting folcloristico, tanto meno a una pagliacciata. Per rispetto al parlamento, l'ex ministro del tesoro dei governi Berlusconi invierà una memoria scritta, il cui tema sarà: come tutelare il risparmio degli italiani dalle «demenziali norme europee». Tema che avrebbe dovuto essere al centro dei lavori della commissione presieduta da Pierferdinando Casini, e purtroppo non lo è stato. Tremonti ha dato questo annuncio in una trasmissione tv che va in onda di prima mattina (Omnibus, su la7), per forza di cose poco seguita da chi lavora e ha ben altro da fare prima delle nove. Tuttavia, grazie a internet, si possono rivedere con calma tutti i programmi tv, e l'intervento dell'ex ministro lo merita.L'errore di fondo della commissione Casini è stato di seguire una deriva scandalistica, iniziata con l'audizione del pm di Arezzo, Roberto Rossi, il quale, di sua iniziativa, ha teso a scagionare il padre di Maria Elena Boschi nel fallimento della Popolare dell'Etruria. Da quel momento, i partiti, sia di governo che dell'opposizione, hanno spostato il focus dei lavori e delle successive audizioni (Consob, Banca d'Italia, Ghizzoni di Unicredit) soltanto sulla Boschi: il Pd per assolverla da ogni accusa e responsabilità; i grillini e i leghisti per incolparla di tutto. A conti fatti, una strumentalizzazione politica in chiave preelettorale, l'ennesimo teatrino politico, farcito di giustizialismo.Invece di prendersela con la Boschi («vittima dello snobismo intellettuale dei media e di certi politici», secondo Tremonti), la commissione avrebbe fatto meglio il proprio dovere se avesse indagato sul perché il risparmio non è più tutelato come in passato, come prescrive la Costituzione. Dice l'articolo 47: «La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme: disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito». Un principio rispettato dal 1948 in poi sia dai governi che dal settore bancario, così che, anche a fronte dei fallimenti bancari, i risparmiatori non hanno mai perso un solo centesimo.Tutto ciò è però cambiato a partire dal 2012, con l'introduzione delle nuove regole Ue sull'unione bancaria europea e sul cosiddetto «bail-in». Con l'avvento di quest'ultima regola (in caso di default bancario, prevede l'intera perdita per gli azionisti, gli obbligazionisti subordinati e i correntisti sopra i 100 mila euro), è stato raso al suolo l'articolo 47 della Costituzione italiana, senza che nessuno dei suoi difensori muovesse un dito o dicesse una sola parola. Anzi, tutti i governi a guida Pd succeduti al Berlusconi-Tremonti, da Enrico Letta in poi (Monti, Renzi, Gentiloni), hanno prima approvato a Bruxelles e poi magnificato a Roma l'unione bancaria europea, salvo rendersi conto, in grave ritardo, che si trattava di una colossale trappola per le banche italiane, da tempo nel mirino di Germania e Francia proprio per l'ingente mole di risparmi che hanno in pancia.Una responsabilità altrettanto grave, se non maggiore, grava sulla Banca d'Italia, i cui tecnici hanno discusso in sede europea il «bail-in», hanno avuto cinque anni di tempo per preparare il terreno alla sua introduzione, informandone i politici e i risparmiatori, ma non l'ha fatto. Anzi, nei suoi discorsi, il governatore Ignazio Visco sostiene ora che i risparmiatori sono «consumatori finali di prodotti finanziari». E se prendono delle fregature e vengono rapinati, è colpa loro, perché non si sono informati bene prima di investire i risparmi. Con tanti saluti all'articolo 47 della Costituzione.Tornare al passato, quando le banche italiane potevano fallire, ma i risparmiatori venivano salvati grazie al fondo interbancario, non è più possibile. Le demenziali regole europee considerano infatti «aiuti di stato», e perciò vietati, gli eventuali interventi a tutela dei risparmiatori delle banche fallite, sia che vengano fatti con soldi pubblici, sia con fondi privati delle altre banche. Quanto al futuro, l'unica cosa certa è che la crisi delle banche italiane non è affatto finita: a indebolirle ci sono il macigno dei crediti incagliati (npl, non perfoming loans), e le continue richieste di maggiori capitalizzazioni da parte della Vigilanza della Bce che, guarda caso, non mostra altrettanta severità verso le banche francesi e tedesche, imbottite di derivati e titoli tossici per centinaia di miliardi di euro.La commissione Casini avrebbe speso meglio il suo tempo se, invece che sulla Boschi, avesse indagato su questi aspetti del mondo creditizio e del risparmio, cercando di mettere a fuoco perché a Bruxelles e a Francoforte stanno facendo di tutto per indebolire le banche italiane. Noi, nel nostro piccolo, un'idea ce la siamo fatta: dei 28 mila miliardi di euro che formano il risparmio europeo, un settimo è nelle banche italiane (4.117 miliardi). Indebolirle e portarcele via a poco prezzo, per la Germania e per la Francia sarebbe un vero affare, utile per sistemare le loro banche. Ma per noi sarebbe una rapina, che la miopia di una classe politica ignorante e maldestra sta purtroppo agevolando.
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