Il quadro sinottico tracciabile si
dispiega lungo queste cifre:
Scuole
dell’obbligo
|
||
maschi
|
femmine
|
totale
|
50
|
3
|
53
|
Licenza
media superiore
|
||
maschi
|
femmine
|
totale
|
43
|
18
|
61
|
Laurea
|
||
maschi
|
femmine
|
totale
|
3
|
4
|
7
|
Totale
generale
|
||
maschi
|
femmine
|
totale
|
96
|
25
|
121
|
Emblema
dell’irrazionalità del quadro economico è il seguente prospetto delle licenze
commerciali:
1. Commercio
fisso: n.° 162;
2. Commerci
su aree pubbliche: n.° 143;
3. Produttori
agricoli: n.° 51;
4. Pubblici
esercizi: n.° 27.
Un terziario
così pletorico sarebbe esiziale se non fosse inattendibile. Un velo ipocrita, o
peggio, copre dunque una realtà economica ben più viva ed operosa che sfugge
alle statistiche ufficiali. Diversamente non si spiegherebbe la massa di mezzi
fiduciari in parcheggio presso le banche; diversamente sarebbe dissennatezza la
frotta di laureati (nelle più disparate discipline) che Racalmuto annualmente
sforna. Oggi, con connotati di disoccupazione totale o di sottoccupazione,
questo piccolo centro dell’Agrigentino annovera tecnici laureati o diplomati
(ingegneri, architetti, geometri) nel settore scientifico per una settantina di
elementi; tecnici dell’area contabile (laureati in economia e commercio e ragionieri)
per circa una ventina di soggetti ed altrettanti nell’area giuridica (avvocati
o meri laureati in giurisprudenza).
Si guardi
l’illuminante foglio di un periodico locale (Vedi fotocopia).
Quantificazione
di massima del valore degli investimenti proposti e delle fonti finanziarie
In relazione ai suaccennati
“laboratori” può prefigurarsi questo budget di investimenti approntabili
dall’Associazione Conte del Carretto:
1 )
organizzazione di itinerari turistici ispirati all’opera di Sciascia con
modalità e percorsi inconsueti;
|
|||||||||||||||
Acquisto
di n.° 10 carretti siciliani istoriati
|
a L.
10.000.000 cadauno
|
L. 100.000.000
|
|||||||||||||
Acquisto
di n. 10 giumente
|
a L.
5.000.000 cadauna
|
L. 50.000.000
|
|||||||||||||
Bardature
diverse
|
L.
20.000.000
|
L. 20.000.000
|
L. 170.000.000
|
||||||||||||
Studi e ricerche
per la definizione degli itinerari turistici
|
L. 20.000.000
|
L. 20.000.000
|
|||||||||||||
Retribuzione
e compensi ad accompagnatrici/accompagnatori
|
Anticipo
per il primo anno in misura forfettaria di L. 12.000.000 per ciascun
componente: sono previsti n. 10 collaboratori, uno per ogni carro. Dopo il
primo anno, i proventi della specifica attività dovranno essere sufficiente
alla copertura finanziaria
|
L. 120.000.000
|
L. 120.000.000
|
||||||||||||
Spese
varie
|
Imposte,
tasse, cancelleria, assicurazioni, telefono, fitti, compensi straordinari
|
L. 60.000.000
|
L. 60.000.000
|
||||||||||||
Totale
laboratorio sub 1°
|
L. 370.000.000
|
||||||||||||||
2 )
istituzione di musei (religiosi, etnografici, storici) che pur rifacendosi
alle notazioni sciasciane sappiano valorizzare la sconfinata storia di
Racalmuto e dei dintorni (Grotte, Naro, Montedoro, Bompensiere, Milena).
|
|||||||||||||||
Fitto
dell'ex ospedale di San Giovanni di Dio
|
Il fitto è
relativo al primo anno: dopo i proventi dovranno essere bastevoli per la
copertura finanziaria
|
L. 36.000.000
|
|||||||||||||
Adattammento
dei suddetti locali
|
sistemi
d'allarme; strutture musive, e varie
|
L. 300.000.000
|
|||||||||||||
Recupero
del materiale ecclesiastico
|
Piviali,
pianete, statue, quadri ed altro
|
L. 500.000.000
|
|||||||||||||
Allestimento
presso un atelier del luogo delle suppellettili antiche di cui ai disponibili
inventari
|
L. 300.000.000
|
||||||||||||||
Spese per
il personale
|
limitatamente
al primo anno
|
L. 100.000.000
|
|||||||||||||
Spese
varie
|
Cancelleria,
tasse ed altro
|
L. 80.000.000
|
L. 1.316.000.000
|
||||||||||||
Fitto di
case sparse per il museo etnografico
|
Precedibile
un minimo di 10 case caratteristiche di varia dimensione il cui fitto medio
non supererebbe le L. 12.000.000 annue. Fitto previsto per il primo anno
|
L. 120.000.000
|
|||||||||||||
Reperimento
di arredi popolari antichi
|
L. 50.000.000
|
||||||||||||||
spese per
il personale
|
L. 120.000.000
|
||||||||||||||
spese
varie
|
L. 20.000.000
|
L. 310.000.000
|
|||||||||||||
Utilizzo
di locali comunali per sistemazione dell'archivio storico racalmutese
|
Si è certo
che i locali si avrebbero in comodato: le spese si limiterebbero dunque alle
opere di adattamento
|
L. 10.000.000
|
|||||||||||||
Mobilio ed
arredi vari
|
L. 100.000.000
|
||||||||||||||
Spese per
il personale
|
L. 50.000.000
|
||||||||||||||
Spese per
computer, abbonamenti Internet, telefonia
|
L. 100.000.000
|
||||||||||||||
Spese
varie
|
L. 30.000.000
|
L. 290.000.000
|
|||||||||||||
totale
|
L. 1.916.000.000
|
||||||||||||||
Il preventivo
verrebbe coperto dall'eventuale contributo per il parco per non più del 40%;
il resto verrebbe reperito con apporti contributivo del Comune, Provincia e
Regione; al limite si ridimensionerebbero siffatte iniziative
|
L. 766.400.000
|
||||||||||||||
3 ) scuole
di alta specializzazione nei settori della diplomatica, paleografia,
archeologia, microstoria, settori di specifico riferimento a Racalmuto ed al
suo inestimabile patrimonio archivistico, archeologico e storico;
|
|||||||||||||||
Nei
predetti musei ed archivi si dovranno aprire scuole specialistiche di
paleologia, archeologia, storia locale. Limitata la spesa per i locali
|
L. 10.000.000
|
||||||||||||||
Compensi a
docenti (specie di livello universitario)
|
L. 100.000.000
|
||||||||||||||
Spese per
il personale molto limitate (sarà utilizzato soprattutto quello disponibile
per le altre iniziative)
|
L. 40.000.000
|
||||||||||||||
Spese
varie
|
L. 50.000.000
|
L. 200.000.000
|
L. 200.000.000
|
||||||||||||
4 )
sofà psicanalitico per una inusitata indagine sui testi di Sciascia e per una
concreta fruizione dei risultati a fini terapeutici, specie nel settore della
labilità mentale senile;
|
|||||||||||||||
Si conta
sulla circostanza che i locali del vecchio ospedale racalmutese (dovuto a
lasciti di apprezzati benefattori locali) - oggi in totale abbandono vengano
dati in comodato all'Associazione proponente.
|
Le spese
sono dunque quelle occorrenti per la sistemazione
|
L. 200.000.000
|
|||||||||||||
Attrezzatura
scientifica
|
L. 500.000.000
|
||||||||||||||
Personale
specializzato
|
L. 200.000.000
|
||||||||||||||
Contributi
scientifici universitari
|
L. 50.000.000
|
||||||||||||||
Spese
varie
|
L. 30.000.000
|
||||||||||||||
totale
|
L. 980.000.000
|
||||||||||||||
Anche qui
prevedibili contributi degli enti locali. A carico del Parco non più del 40%.
In caso di insufficienza di fondi, il progetto verrebbe adeguatamente
ridimensionato
|
L. 392.000.000
|
||||||||||||||
5 )
concertazione di iniziative volte al recupero del dialetto racalmutese, della
tradizione musicale locale, del canto gregoriano quale nei secoli scorsi
clero, sodalizi monacali e le peculiari confraternite racalmutesi
salmodiavano.
|
|||||||||||||||
È codesta
iniziativa che potrà svolgersi nei locali disponibili per altri laboratori.
Si conterà soprattutto sul volontariato, davvero generoso in codesti comparti
a Racalmuto.
|
Le spese
sono dunque limitatissime. Si possono pure prefigurare in alcune spese varie
non eccedenti
|
L. 5.000.000
|
L. 5.000.000
|
L. 5.000.000
|
|||||||||||
6 )
coordinamento con i centri culturali di Grotte per il recupero della
tradizionale teatralità di questa periferia agrigentina;
|
|||||||||||||||
Le
sinergie che s'intendono realizzare con la fervida operosità della contermine
Grotte avranno un nodo nevralgico nell'intesa con il Laboratorio teatrale
Luchino Visconti di Grotte per un'edizione stabile delle opere teatrali di
Sciascia.
|
Verrà
soprattutto utilizzato il Teatro Comunale di Racalmuto, al centro
dell'attenzione di Leonardo Sciascia e prossimo alla riapertura dopo anni di
restauro
|
L. 500.000.000
|
L. 500.000.000
|
||||||||||||
Si presume
che solo per il 40% l'onere ricadrà sull'associazione
|
L. 200.000.000
|
||||||||||||||
7 )
collegamento con il locale circolo Unione per un’ardita riesumazione dello
sciasciano "circolo della concordia" con i suoi veridici
personaggi, le sue atmosfere sociali, il suo scenario, le sue vetuste sale.
|
|||||||||||||||
Tramite
Infotar s.r.l. si procederà ad una serie di CD-ROM interattivi rievocativi
della storia, degli usi, delle atmosfere sociali del circolo al centro delle
Parrocchie di Regalpetra
|
Spese di
produzione dei CD-ROM
|
L. 200.000.000
|
L. 200.000.000
|
||||||||||||
Restauro
delle sale del circolo per il ripristino delle tappezzerie e dell'arredamento
come da descrizione sciasciana e secondo la disponibile documentazione
fotografica
|
Lavori
commissionabili all'atelier specializzato di Racalmuto, ARCON s.r.l.
|
L. 100.000.000
|
L. 100.000.000
|
||||||||||||
Scenografica
rievocativa dei personaggi e delle "affabulazioni" dei vecchi tempi
|
Gigantografie
fotografiche, pannelli illustrativi, viaggi virtuali (da commissionare ad
INFOTAR srl Racalmuto
|
L. 100.000.000
|
L. 100.000.000
|
||||||||||||
Spese
varie
|
L. 50.000.000
|
L. 50.000.000
|
L. 450.000.000
|
||||||||||||
8 )
compartecipazione maggioritaria in una società mista con il Comune cui
demandare iniziative imprenditoriali nel campo del turismo locale;
|
|||||||||||||||
L'associazione
intenderebbe partecipare con fondi propri alla costituenda società mista
SIRAC spa Racalmuto cui è compartecipe il Comune di Racalmuto che potrebbe
finanziare tante iniziative collimanti con quelle del Parco Leonardo Sciascia
|
L. 300.000.000
|
L. 300.000.000
|
L. 300.000.000
|
||||||||||||
9 )
costituzione di una società di capitali per rilanciare il vecchio progetto di
una traslazione cinematografica delle "Parrocchie di Regalpetra"
che il regista racalmutese Beppe Cino - discepolo di Rossellini - da tempo
agogna di girare;
|
|||||||||||||||
Partecipazione,
nella misura del 50%, alla divisata iniziativa del "Laboratorio Teatrale
Luchino Visconti" di Grotte per la realizzazione del film sulle
Parrocchie di Regalpetra
|
L. 500.000.000
|
L. 500.000.000
|
L. 500.000.000
|
||||||||||||
10 ) attività traslativa dei
disparati risultati conseguiti in CD-ROM o in siti Internet a disposizione del
mondo dei navigatori informatici.
Tramite
INFOTAR o altre realtà informatiche dell'agrigentino, tutte le risultanze
dell'attività scientifica, storica, folkloristica, archeologica, etnografica
del Parco andrà trasfusa in CD-ROM navigabili e traslata in siti INTERNET
|
Preventivare
sin d'ora gli investimenti è arduo; approssimativamente si può affermare che
non supereranno il miliardo di lire
|
L. 1.000.000.000
|
L. 1.000.000.000
|
L. 1.000.000.000
|
In
sommatoria generale
|
L. 4.183.400.000
|
|||
arrotondabili
|
L. 4.000.000.000
|
|||
Riconducibili agevolmente nell'ambito dell'eventuale apporto
dell'eroganda sovvenzione comunitaria
|
L.
3.000.000.000
|
Con
cosiffatti apporti scatterebbe in Racalmuto un indotto a progressione
geometrica. Già operano varie realtà imprenditoriali che usufruiscono delle
agevolazioni della legge n.° 488/92. Altre imprese come INFOTAR (azienda
d’avanguardia nell’attività dell’editoria digitale) sono in attesa delle
agevolazioni di cui alla menzionata legge. Sarà, poi, possibile che la
tormentata vicenda della società mista con il locale Comune abbia finalmente
felice esito: codesta società si proietterebbe in campi altamente proficui
sotto il profilo dell’esaltazione delle vocazioni turistiche di Racalmuto. In
cantiere vi sono già progetti che potrebbero far veicolare su tale società a
capitale misto (pubblico-privato) fondi per centinaia di miliardi a valere
sulla predetta legge 488 e su altri fondi comunitari per imprese cospicue come
campagne di scavi archeologici cui collegare attività turistiche del tipo degli
stages per vacanze “intelligenti”, strutture alberghiere che al contempo
sviluppino le possibilità di sfruttamento delle locali acque sulfuree o salse
ai fini terapeutici e via discorrendo. Il Parco Letterario al nome di Leonardo
Sciascia, quale qui concepito, davvero sarebbe di volano per un salto
qualitativo dell’addormentata realtà economica racalmutese e per un lancio nei
futuri, prevedibilissimi flussi turistici che, in vigenza di moneta unica,
esploderanno verso l’incantevole Valle dei templi agrigentina (contermine
conRacalmuto) e si dirameranno a margherita inondando la ormai celeberrima
terra natia di Sciascia, Racalmuto. Sul TCI questo ameno centro della Sicilia
dovrà venire ridisegnato. Oggi è malconciamente ridotto a “grosso centro
agricolo che prese nome dall’arabo Rahalmaut.” Ed è subito questa una
“cervellotica etimologia” come annota, per altre occasioni, il grande storico
Garufi. I nuovi storici locali ecco, ad esempio, come affrontano questa
tormentata vicenda dell’etimologia del toponimo di Racalmuto:
“ Normanni
del Conte Ruggero, 600 cavalleggeri - pare, depredarono il territorio
dell’altipiano ove sembra sorgesse un imprecisato Racel... a dire del
Malaterra. Nell’XI secolo, il gaito saraceno Chamuth, signore della vicino
Naro, con molta probabilità aveva il dominio del nostro Altipiano e forse vi
eresse un fortilizio, un Rahal: da qui il toponimo Rahal Chamuth,
a seguire l’acuta congettura del Garufi. I Saraceni furono, specie sotto
Federico II, ribelli e violenti: imprigionarono persino il vescovo agrigentino
Ursone. Federico II non fu tenero verso di loro, deportò a Lucera i caporioni;
gli altri - i più pavidi ed i meno appariscenti - si dispersero assumendo nomi
latineggianti o fingendo antica professione di fede cattolica. Per uno o due
decenni Racalmuto rimase comunque deserta. Un tale della famiglia Musca - forse
Federico Musca - poté appropriarsi del territorio, portarvi fuggiaschi,
verosimilmente ex saraceni, dotarli di terra e mezzi di lavoro e far sorgere un
nuovo casale. Il suddetto Federico Musca finì però con l’osteggiare il
vincitore Carlo d’Angiò e costui lo spogliò di quel casale assegnandolo nel
1271 a tal Pietro Negrello di Belmonte: un diploma degli archivi angioini ne
specificava - prima di esser distrutto dai nazisti nel 1943 - termini, modalità
e dettagli. Finiva, per altro verso, quella che possiamo considerare la
preistoria racalmutese: un periodo buio ed incerto che ebbe a protrarsi per
3271 anni. Quel che per tal periodo si è scritto - ed è tanto ed anche dalla
penna più illustre del luogo - è solo cervellotica congettura. Possiamo solo
credere a quei radi reperti archeologici di cui si ha conoscenza ed a quel
poco, spesso nulla, che riescono a svelarci di tanto defluire umano degli
antichi racalmutesi.
Con i Vespri
Siciliani, il casale di Racalmuto acquisisce importanza e ruolo perché può
fornire tasse e balzelli alla famelica pirateria di un Pietro d’Aragona. Il
centro abitato non contava più di 75 fuochi (circa 265 abitanti). Nel 1376 i
fuochi erano aumentati a 136 (circa 480 abitanti). Frattanto, Racalmuto - a
dire del Fazello - era stato requisito da Federico di Chiaramonte che pare vi
abbia costruito le torri del castello nella prima decade del 1300. Si sa che
Costanza Chiaramonte, unica figlia di Federico, fu l’erede universale. Che
abbia sposato prima il girovago ligure Antonio del Carretto e poi, divenuta
vedova, l’avventuriero Brancaleone Doria - forse quello dannato all’inferno da
Dante - si dice e qualche documento degli archivi di Stato palermitani sembra
confermarlo. Resta comunque certo che sino al 1396 Racalmuto è dominio dei
Chiaramonte, in particolare del celebre figlio illegittimo Manfredi
Chiaramonte- lo attestano le carte dell’Archivio Segreto Vaticano.
Tocca a
Matteo del Carretto rimpossessarsi del feudo, farne una baronia e farsene
riconoscere titolare dal re Martino, naturalmente previo esborso di sonanti
once. Il figlio Giovanni primo del Carretto è ancor più rapace del padre.
Nel 1404,
Racalmuto è ancora fermo a 150 fuochi (540 abitanti). Un secolo dopo nel 1505,
al tempo della “venuta” della Madonna del Monte, la sua popolazione sale a 473
fuochi (1670 abitanti). Ora domina il barone di Racalmuto Ercole del Carretto.
Il figlio Giovanni II esordisce con un delitto: commissiona a tal Giacchetto di
Naro la strage dei Barresi di Castronuovo per vendicare l’uccisione del
fratello Paolo, antenato di Vincenzo di Giovanni che nei primi decenni del 1600
scriverà una complessa trattazione su Palermo Restaurato, ove rammenterà
quei truci e letali eventi. Dopo, rimorsi e crisi religiose spingeranno quel
del Carretto a costruire chiese e conventi ed a chiamare a Racalmuto
carmelitani e francescani per una redenzione spirituale sua e del suo popolo.
Certo, mero e misto impero, terraggio e terraggiolo ed una pletora d’imposte e
tasse feudali fioccarono sui racalmutesi. Un notaio venne chiamato da Agrigento
per i tanti atti del barone (e dei suoi vassalli): era quel tale Jacopo Damiano
che alla morte di Giovanni II del Carretto finì sotto l’Inquisizione.
A metà del
secolo, nel 1548, la popolazione sale a n.° 896 fuochi (3163 abitanti), segno
che la politica del barone non era poi così devastante come sembra voler far
credere Leonardo Sciascia.
Quello che
non fa il barone, lo fa invece la peste del 1576: la popolazione racalmutese
viene decimata. Se crediamo ad un documento del fondo Palagonia, dai 5279
abitanti del 1570 si sarebbe passati ad appena n.° 2400 abitanti nel 1577. Ciò
non è credibile e si deve alla voglia tutta fiscale di impietosire il viceré
per una contrazione delle “tande” in mora e di quelle in atto. Di sfuggita, va
detto che la tentata evasione fiscale del 1577 non ebbe effetto. Le “tande” si
basavano sulla tassa del macinato: la drastica contrazione della popolazione
non consentiva un gettito bastevole a fronteggiare la soffocante tassazione del
governo spagnolo. Questo non ebbe pietà e la Universitas fu costretta ad
indebitarsi con gli stessi esattori, al contempo strozzini.
Sia come
sia, nel 1593 Racalmuto sembra risorta: gli abitanti ora sono in numero di
4448: ovviamente molti fuggiaschi erano rientrati e, soprattutto, si doveva
trovare conveniente emigrare dai centri viciniori per sistemarsi nella
neo-contea di Racalmuto, le cui condizioni sociali, economiche e giuridiche in
definitiva tornavano appetibili.”
Prosegue il
TCI: “fino al ‘300 l’abitato sorgeva presso il luogo detto Casalvecchio [è
invenzione del tutto infondata, n.d.r.]; l’odierno si venne fondando
attorno al castello dei Chiaramonte [anche qui inesattezze a profusione: il
primo nucleo databile attorno al 1250 si stabilì nelle grotte sotto il Carmine;
il castello sorge postumo verso il 1310 a seguire il Fazello; codesto pur
immenso storico del ‘500 non è perspicuo ad ipotizzare l’erezione dell’attuale
castello racalmutese da parte di un cadetto dei Chiaramonte e comunque è molto
circospetto per suffragare la ricorrente diceria di un castello chiaramontano a
Racalmuto, n.d.r.]. E’ patria del pittore Pietro d’Asaro, d. il Monocolo
(1597-1647) [è ormai pacifica la data di nascita del Pittore: 1579 e non 1597, n.d.r.].
Sul Corso Garibaldi, al centro sorge la chiesa Matrice (dell’Annunziata),
della fine del ‘600, nel cui interno si conservano due dipinti dell’Asaro (Madonna
e Santi e Madonna della Catena) [da rettificare: l’Annunciata è
chiesa preesistente sin da prima del XVI secolo; l’attuale chiesa Madre ha
laboriosa gestazione, ma può dirsi disegnata nel primo trentennio del 1600 e
definita negli anni ’60 del XVII quando la fine del ‘600 era lontana; nessun
quadro certo di Pietro d’Asaro vi si conserva, men che meno quelli sopra
citati, n.d.r.]. A d. della Matrice, in fondo alla piazza Umberto I, è
il Castello, fondato tra il ‘200 e il ‘300 da Federico Chiaramonte
[banalizzazione di una cauta nota del Fazello: a credere a codesto grande
storico il castello andrebbe datato 1310: le torri rotonde - fortezze
abbisognevoli di alta perizia indisponibili ai tempi di Federico Chiaramonte -
fanno invece pensare a Federico II lo Svevo, cioè al 1240 circa. Quando scavi
sotto le torri metteranno alla luce i tanti reperti archeologici della
dominazione araba - oggi totalmente oscura sotto il profilo dei manufatti -
ampia luce ne promanerà anche ai fini del disvelamento della veridica storia
dei musulmani in Sicilia. I locali già sanno di tali reperti; la locale
Sovrintendenza sembra ignorarli del tutto, n.d.r.]: ha due torri
cilindriche e nell’interno conserva un sarcofago romano del secolo IV, con la
raffigurazione del Ratto di Proserpina [inculture passate e presenti
hanno oscurato del tutto l’effettivo luogo del ritrovamento dell’importante
sarcofago; oggi di certo non è più conservato al Castello ma nel chiostro
dell’ex convento di Santa Chiara; la datazione è del tutto cervellotica, n.d.r.].
A sin. del castello si scende alla chiesetta di San Nicolò [in effetti
S. Nicola di Bari, e si crede che nessun forestiero sarà in grado di
raggiungere la chiesetta con siffatte indicazioni topografiche, n.d.r.],
nella quale è una tela del Monocolo, con S. Nicola di Bari (firmata e
datata 1603) [c’era una volta, ora non più; sbagliata la data che invece è
quella del 1613, n.d.r.]; in Santa Maria di Gesù, fuori del
paese, Madonna del Rosario, (firmata dallo stesso 1636). [Il quadro è
disinvoltamente dichiarato “completamente distrutto”, n.d.r.] Altre
chiese interessanti: la chiesa del Carmelo, con un Crocifissodell’Asaro
[pare, invece, che il quadro dati ad almeno mezzo secolo prima della nascita
del Pittore, n.d.r.] e la tomba di Girolamo III del Carretto(1600)
[Girolamo III del Carretto morì oltre un secolo dopo, nel 1710; quello di cui
tratti è il secondo dei Girolami del Carretto, che comunque fu “occisus a
servo” nel 1622, un quarto di secolo dopo n.d.r.]; San Giuliano,
con una Madonna della Cintura dell’Asaro [si sostiene essere dell’Asaro
solo il San Giuliano che si vorrebbe del 1608; codesta “Madonna”non
è oggi identificabile ed in ogni casi giammai sembra essere stata esposta in San
Giuliano, n.d.r.]; il santuario di S. Maria del Monte, del
sec. XVIII, [si dà invece il caso che la chiesa è visitata dal vescovo Tagliavia
già nel 1540, n.d.r.] con una Vergine degli Afflitti, [chissà
perché la si vuol chiamare “degli afflitti” quando ha un viso radioso!,n.d.r.
], della scuola del Gagini, [mero topos quando non si sa che dire di una
statua marmorea di fine secolo XV, n.d.r.], e un altare con rilievi
medioevali [ben strano in una chiesa che prima si affermava essere del XVIII
secolo; l’attuale altare maggiore è invero databile XVIII secolo. Non si
comprende come nessun cenno vi sia a chiese importantissime e di maggior valore
storico ed artistico rispetto a talune chiese invece menzionate: ci riferiamo
alle chiese del Collegio, di Sant’Anna, dell’Itria, di Santa Chiara, di San
Pasquale e soprattutto della chiesa più antica: S. Francesco. n.d.r.]. -
A N. e NO del paese, lungo il Vall. Pantano o di Racalmuto, sono numerose
miniere di zolfo (oggi tutte inattive, ma intelligentemente riadoperabili per
insediamenti turistici o per itinerari folkloristici in tipici carretti
siciliani alla scoperta delle fonti d’ispirazioni sciasciane, n.d.r.] e
di salgemma [da cui quel Sale sulla piaga, titolo che Sciascia avrebbe
voluto per le sue Parrocchie di Regalpetra e che volle per la traduzione
in inglese, n.d.r.], fra cui la salina Pantanella [ove il 12
maggio 1955 ebbe a trovare tragica morte il salinaio, i cui funerali vengono
angosciosamente e con empiti d’ira descritti da Leonardo Sciascia ne “Le
parrocchie di Regalpetra” in quel mirabile squarcio su “i salinari”. Escursione al M. Castelluccio m. 721,
ore 1.30 circa. Si segue la strada per Montedoro e a 5 km. C. si sale a d. sul
monte ove si trovano avanzi notevoli di una fortezza dei Chiaramonte, del sec.
XIV, ma fondata nel ‘200 da Abba Barresi [il quale - normalmente chiamato Abbo
- nulla ebbe mai a che fare con Racalmuto e dintorni: la fortezza, sede del
feudo (in senso giuspubblicistico) di Gibillini [1],
pertiene, a dire il vero, alle nobili famiglie medievali dei Podiovirid; Simone
di Chiaromonte, Moncada, Alagona, De Marinis e Telles, Giardina Guerara ed
altri, una lunga storia che trascende il dato segnaletico che la pur pregevole
pubblicazione turistica fornisce, n.d.r.]. La strada continua per altri km.3,5
alla zolfara Gibellina. Indi prosegue fino, hm. 13,5, a Montedoro.[Nulla sulle
interessantissime necropoli sicane; nulla sulle “garbere” del Monte Pernice;
nulla sull’ipogeo cristiano delle “grotticelle”; nulla sui cinquecenteschi
mulini ad acqua a valle di Racalmuto; nulla sugli “zubbi” di S. Anna (ove
esplodono scisti di flora tropicale); nulla sulle “calcarelle” note a Solino e
che Brydone cercava ancora nel ‘700; nulla sugli insediamenti bizantini
attestati da ritrovamenti numismatici al centro dell’attenzione dei più grandi
bizantinisti; nulla sulle“tabulae sulphuris” studiate da Mommsen nell’ottocento
ed attualmente motivo di lambiccamento dei più accorti archeologi romanisti;
nulla sui fenomeni carsici così atipici in un’isola del mediterraneo e nulla
tant’altro, n.d.r.]. ”
Non val la
pena - anche per il TCI - attivare un parco letterario in un cosiffatto
territorio? Non si reputa del caso propiziare studi storici, scavi
archeologici, ricerche paleografiche in una plaga - per sua ventura patria di
Leonardo Sciascia - ove dovranno prima o poi affluire scienziati, storici,
archeologici alla scoperta di mondi antichi i cui flebili echi si nascondono
ancora nel grembo di quella terra e che non è bene che siano negletti o peggio
deformati da pur eccelse pubblicazioni turistiche? Noi tentiamo qui una qualche
progettazione: senza inquinamenti politici, senza cointeressamenti sospetti,
senza padrinati colpevoli.
SEZIONE II
Descrizione delle modalità
ipotizzate per la gestione del Parco Letterario
Abbiamo qua
e là sufficientemente precisato come intenderemmo gestire il Parco: affidatane
la direzione al dott. Taverna, la nostra associazione sarebbe il soggetto “no
profit” che veicolerebbe i fondi per dar lavoro alle altre associazioni della
specie pullulanti a Racalmuto, per commissionare alle competenti imprese locali
(la società a capitale misto, Infotar, Arcon, aziende turistiche operanti già a
Racalmuto, etc.) l’esecuzione delle opere e dei manufatti occorrenti in ordine
alle finalità dei vari laboratori che ci si accinge a descrivere.
La tempistica
può succintamente prefigurarsi nel succedersi delle seguenti fasi:
a) studi e
ricerche;
b)
commissione delle opere e dei manufatti occorrenti;
c) pratiche
burocratiche varie (richiesta del comodato dei locali del vecchio ed
abbandonato Ospedale; fitto delle vecchie case; postulazione di comodato di
luoghi pubblici, locali comunali oggi in stato di abbandono, etc.);
d) opere
murarie occorrenti;
e)
attrezzatura di locali per renderli idonei alla realizzazione degli scopi
prefissi (musei, esposizioni, registrazioni, allocazione di archivi,
installazioni multimediali e via dicendo);
f)
concertazioni con Curia, parroci, sindaci, amministratori provinciali, organi
pubblici, associazioni teatrali, registi cinematografici, presidente del
circolo Unione di Racalmuto per la messa a punto dei progetti di cui in
seguito;
g)
reperimento delle forze lavoro occorrenti;
h) avvio dei
vari laboratori;
i)
svolgimento di relativi compiti;
j) afflusso
dei risultati nelle collegate società d’informatica;
k) attività
editoriale su supporto cartaceo, ma, soprattutto, su CD-ROM;
l)
attivazione dei siti Internet per navigare nell’intero mondo del costituendo
Parco Letterario intestato a Sciascia.
* * *
Ma
ritorniamo a quella che crediamo la nostra idea vincente: i laboratori.
Più che un
titolo serve una descrizione anche prolissa ma forse più esplicita. Li abbiamo
sopra definiti:
) organizzazione di itinerari turistici ispirati all’opera di Sciascia con
modalità e percorsi inconsueti;
) istituzione di musei (religiosi, etnografici, storici) che pur
rifacendosi alle notazioni sciasciane sappiano valorizzare la sconfinata - ma
per il momento solo parzialmente conosciuta - storia di Racalmuto e dei
dintorni (Grotte, Naro, Montedoro, Bompensiere, Milena);
) scuole di alta specializzazione nei settori della diplomatica,
paleografia, archeologia, microstoria, settori di specifico riferimento a
Racalmuto ed al suo inestimabile patrimonio archivistico, archeologico e
storico;
) sofà psicanalitico per una inusitata indagine sui testi di Sciascia e per
una concreta fruizione dei risultati a fini terapeutici, specie nel settore
della labilità mentale senile;
) concertazione di iniziative volte al recupero del dialetto racalmutese,
della tradizione musicale locale, del canto gregoriano quale nei secoli scorsi
clero, sodalizi monacali e le peculiari confraternite racalmutesi salmodiavano
come i tanti “libri cantorum” custoditi nelle chiese di Racalmuto comprovano ed
in certo senso tramandano;
) coordinamento con i centri culturali di Grotte per il recupero della
tradizionale teatralità di questa periferia agrigentina;
) collegamento con il locale circolo Unione per un’ardita riesumazione
dello sciasciano “circolo della concordia” con i suoi veridici personaggi, le
sue atmosfere sociali, il suo scenario, le sue vetuste sale: un micromuseo in
un normale e funzionante circolo quale continua ad essere;
) compartecipazione maggioritaria in una società mista con il Comune cui
demandare iniziative imprenditoriali nel campo del turismo locale;
) costituzione di una società di capitali per rilanciare il vecchio
progetto di una traslazione cinematografica delle“Parrocchie di Regalpetra” che
il regista racalmutese Beppe Cino - discepolo di Rossellini - da tempo agogna
di girare;
) attività traslativa dei disparati risultati conseguiti in CD-ROM
navigabili o in siti Internet a disposizione del mondo dei navigatori
informatici.
Descrizione
del laboratorio sub 1) organizzazione
di itinerari turistici ispirati all’opera di Sciascia con modalità e percorsi
inconsueti
Si è visto
sopra come in tema di escursioni Racalmuto viene ridotto nelle guide del TCI in
una sola (ed invero asfittica) possibilità: andare al Castelluccio, come faceva
La Caico Hamilton con la sua macchina fotografica al sorgere di questo ormai tramontato
secolo. Invero, escursioni affascinanti, piene del succo gastrico della
prosa sciasciana, paesaggisticamente inobliabili, verso il cielo(Castelluccio,
“zubbio” di S.Anna, “garbere” di Monte Pernice”, grotta di fra Diego), verso
il mare (la celeberrima “Noce” di Sciascia, l’opalescente“scavo morto”;
il mistero bizantino della “Montagna”; la visionarietà‘peccaminosa’ del “Cozzo
della Loggia”), verso l’ancestralità nichilista(l’adombrato cammino
verso gli inferi delle terre della Cicuta o di Cugni Longhi), verso la
dannazione sulfurea (Cozzo Tondo, Quattro Fanaiti, Pian della Botte) e quella
viscerale del sale (Pantanelle, Sacchitello), verso le radici dei progenitori
sicani (dalle necropoli sino ai confini di Monte Campanella nel nisseno, oltre
Milena sino alle Raffe), queste ed altre escursioni - con poco dispendio
tracciabili e con profitto e gioia dello spirito realizzabili - sono pronte a
venire ideate. Ritocchi, momenti d’incontro, concertazioni tra le esistenti
associazioni specie di giovani e, subito, siffatte escursioni potrebbero venire
segnalate persino dalla ineguagliabile Guida del TCI.
L’effettuazione
delle escursioni dovrebbe, però, trascendere dal vieto vedere di frettolosi
turistici, stracchi per l'estenuante guida delle loro automobili: carretti
siciliani, tradizionalmente istoriati, trainati da giumente bardate più e
meglio delle locali, antiche contesse carrettesche, comodi comunque per
dissimulata tappezzeria, dovranno accompagnare quei turisti che, a margherita,
verranno dall’orgia della spettacolarità agrigentina e che potranno immergersi
nella sonnacchiosa civiltà di una plurimillenaria sopravvivenza contadina,
sicula anzi inimitabilmente sicana.
Strade da
tracciare, ma come le vecchie trazzere; posti di ristoro da approntare, ma con
i limiti della radicatissima “avara povertà di Catalogna”; accattivanti
ricezioni con suoni e luci di atavica estrazione; modernissimo contrasto con
proiezioni di originali “cassette” e con“videate” della rivoluzionaria editoria
multimediale (che Infotar, già, per suo conto sta approntando); accompagnatori
ed assistenti, colti, giovani, adeguatamente istruiti, tutto ciò rientra nella
ipotesi di lavoro che si vorrà attuare con il laboratorio in questione.
Descrizione
del laboratorio sub 2) istituzione
di musei (religiosi, etnografici, storici) che pur rifacendosi alle notazioni
sciasciane sappiano valorizzare la sconfinata - ma per il momento solo
parzialmente conosciuta - storia di Racalmuto e dei dintorni (Grotte, Naro,
Montedoro, Bompensiere, Milena);
S’intendono
realizzare in Racalmuto almeno tre tipi di micromusei:
a)
parrocchiale;
b)
etnografico, ma a percorso articolato lungo tutte le principali arterie della
vecchia Racalmuto;
c) storico
con preminente caratteristica della virtualità.
Museo
Parrocchiale.
Racalmuto
vanta una Matrice ove si custodisce un patrimonio archivistico che è un
“unicum” in tutta la Sicilia: i documenti più antichi risalgono al 1550; i dati
della locale diplomatica travalicano il secolo XV. Oggi quel patrimonio è
criminosamente abbandonato in ripostigli insicuri, in armadi di fortuna, alla
mercé del primo venuto. Trasferire questo patrimonio in un museo parrocchiale -
giuridicamente, s’intende, sotto l’egida della Curia, cui compete lo jus
disponendi per diritto canonico - si rende ormai improcrastinabile.
Del pari,
l’immensa quantità di vestiario antico, di paramenti sacri, di labari,
altaretti, di ciò che nel gergo ecclesiastico si denominava “iogalia”
andrebbe salvato dalle tarme, dall’incuria e dalla idiota pirateria che la stanno
devastando, nelle mefitiche, vecchie e malconce sagrestie di tutte quelle
chiese che abbiamo prima menzionato, anche ad integrazione delle guide
turistiche oggi disponibili.
E’ un
salvataggio doveroso che deve avvenire in un museo - ci pare come quello
parrocchiale che proponiamo. Ma non basta, dai diplomi, dagli atti notarili,
dalle visite diocesane e da altro affiorano termini inusitati di antica
biancheria ecclesiastica (camici, amitti, mozzette e via di seguito), nomi di
paramenti, indicazione di arredamenti che ben tipicizzano una vecchia chiesa
locale, un costume religioso oggi dismesso. Il museo - affidandone la
reinvenzione a fabbriche del luogo specializzate del tipo della costituenda
ARCON - appronterà sale, esposizioni ove questo perduto materiale tessile o
ligneo potrà risorgere almeno in una imitazione attendibile.
Studi,
ricerche, foto, percorsi musivi, materiale vario dovrà accedere in CD-ROM
navigabili, in siti Internet. Passi dell’opera sciasciana daranno lustro,
senso, allusività al museo: Sciascia non fu religioso; fu certo intriso di
soggezioni chiesastiche.
Museo
Etnografico.
Presi in
affitto talune delle tante case dirute che oggi affliggono il vecchio centro
storico di Racalmuto, esse, dopo piccoli lavori di restauro, renderanno, come
dal vivo, con sceneggiatura, fotomontaggi, arredi contadini originali o
ricostruiti, il contesto socio-economico di una civiltà oggi del tutto
tramontata. Atti notarili, materiale in disuso,“cantarani”, “currioli”,
“pitazzi” etc. consentono una siffatta - per noi suggestiva - rievocazione in
loco, nelle vecchie case terrane, in quelle “solerate”, nei “dammusi”,
nelle“arcove”, negli anfratti delle annesse, inverosimili stalle; coi letti
all’antica, con le “frazzate”, con i “catoj” - e non è questa la sede per
continuare.
I “riveli”
del 1595 consentono individuazione delle vecchie contrade, delle case dei
vecchi notabili, dei miseri giacigli dei“jurnatara”, delle case
terranee“coniunctae et collegatae” nei caratteristici cortili dei ”burgisi”,
dei“mastri”.
Sappiamo
persino qual era il peculio del citatissimo pittore Pietro d’Asaro:
389 - Rivelo
che il Cl. Don Pietro d'Asaro, clerico coniugato di questa terra di Racalmuto
presenta con giuramento nell'officio del signor D. Giacomo Agliata capitano
d'arme del Regno nella nuova numerazione delle anime, e facultà in virtù di
bando d'ordine di d. sig. cap.no d'arme in detta terra a 25 novembre Va ind.
1636 [cfr. Maria Pia Demma: Percorso biografico ed artistico, in Pietro d'Asaro
“il Monocolo di Racalmuto” - Racalmuto 1985, p. 23 e pag 30 - "Archivio di
Stato di Palermo - Tribunale del Real Patrimonio, Riveli del Comune di
Racalmuto, anno 1637, vol. 607, f. 389 r.]
Anime
m Cl. d.
Pietro d'Asaro c. di casa d'anni cinquantasette
o Vincenza
moglie
m. Michel
Angilo d'anni dodici
m.
Gio:battista d'anni quattordici
o. Rosalea
o. Dorothea
o. Ninfa
figli
o. Gioanna
madre
m. e.
Giuseppe di Beneditto d'anni diecidotto discepolo
m. Angilo Lo
Sardo garzone d'anni dodici
o. Caterina
e
o. Natala
zitelle
Beni stabili
Una casa in
otto corpi solerati e terrani in questa terra, quartieri di S. Giuliano
confinante con la Casa di Pietro di Giuliana e via publica dove habita, quale
un anno per l'altro franca di conti si potria locare onze quattro che à 7 per
100 il capitale di cinquantasette e quattro........................ 57. 4
Una casa
terrana in un corpo di detta terra, quartieri predetto,confinante con la casa
di Pietro di Giuliana e via pubblica, quale un anno per l'altro franca di conti
l'hà soluto e suole locare tarì quindici che à 7 per cento. il capitale onze 7
e tarì quattro............................................. 7. 4
Altra casa
terrana in tre corpi in detto quartieri confinante con la casa di Giovanni Lo
Sardo quale un anno per l'altro franca di conti l'ha soluto e suole locare onza
una e tarì 12 che à 7 per 100 il capitale onze 21 e tarì 12
..........................21.12
Una vigna di
cinque migliara nella contrada del Serrone territorio di questa predetta terra
confinante con la vigna di Giacomo Xibetta e vigna di Francesco di Laurenzo,
della quale un anno per l'altro ricava botti quattro di musto che ragionato ad
onze 2.18. la botte importa onze diece e tarì dodici delli quali deduttine onze
sette per tutti conti a ragione di onze 1.12. per migliaro restano onze tre e tarì
dodici che à 7 per cento. il capitale onze quarantotto e tarì sei
.....................................48.6
[390]
Terra
lavorativa salme due con migliara sei di pianta infruttifera dentro nella
contrata della Montagna territorio predetto confinante con la Chiusa di Stefano
d'Agrò, e chiusa di Giuseppe Casuccio quale ragionata ad onze 2.20. la salma
importa onze cinque e tarì diece che à 7 per 100 il capitale settantasei e tarì
cinque..............................................76.5
e più terra
lavorativa salma una nella contrada di Garamoli territorio predetto confinante
con la terra di Salvatore d'Acquista e con la Chiusa di Giuseppe Ferraro, quale
ragionata come sopra importa onze due etarì venti che à sette per cento il
capitale onze trentotto e tarì due ........................38.2
Rendite
Dà Mario
Morreale di questa predetta terra onze tre e tarì quindici iure sub.nis s.a una
sua vigna e chiusa nella contrata di la fico territorio di detta terra che à 10
per 100 il capitale onze trentacinque .........................................35.
Dalle
infradette persone di d.a terra onze due e tarì quindici sopra l'infrascritti
loro beni in detta terra e suo territorio iure subiug.nis cioè onze 1.2 da
Francesco la Matina sopra una sua vigna e chiusa et tt. 28 da Maria Macaluso
rel. del q.m Vincenzo sopra una sua chiusa e tt. 15 dà Pietro Sferlazza
Marramao, su una sua vigna che à 10 per 100 il capitale onze
venticinque................................................25.
--------------
onze [/']
308.3
====================
Beni mobili
Prezzo di
detta pianta infuttifera importa onze trenta ...30
Una giumenta
di sella di pelo baio di prezzo onze 8 ...... 8
frumento
seminativo dentro la suddetta prima chiusa
tt.na
[tummina] dudici che ragionata ad onze 4.26 la
salma
importa onze tre e tarì venti........................3.20
--------
41.20
=========
Gravezze stabili
Paga ogni
anno s.a tutti li suoi suddetti beni onze sei e tarì sei iure prop.tis
all'Ill.mo conte di detta terra che à 7 per cento il capitale onze ottantasette
e tarì due ...................87.2
e più paga
sopra detti beni iure subiug.nis cioè onze 1.18 alla Cappella della SS.ma
Nunziata tt.24 alla Cappella del SS.mo Sacramento e tt. 18 alla Compagnia del
Suffraggio che a 10 per 100
[391]
il capitale
importa onze trenta.........................30.
-------
onze 117.2
===============
Gravezze mobili
Deve onze
ducento a Leonora d'Asaro di detta terra re: dal q.m Bartholo d'Asaro per causa
et compenso delle sue doti assegnatele per testamento di d.o q.m Bartholo in
notaio Simone d'Arnone di detta terra di
onze....................................200
===============
Ristretto
Maschi d'età
1
d'altri 4
femine 7
_____
anime 12
======
Giumente di
S. .....1
Beni stabili
.........308.03
Beni
mobili........... 41.20
-----------
349.23
gravezze
stabili......117.2.
gravezze
mobili.......200
-----------
317.2.
----------
liq. onze
32.21.
===========
(Trombino)
Terra
Racalmuti die 14 dicembris V ind. 1636
Fonte,
questa di sopra, come tant’altre per ricostruzioni intelligenti, di grande
risalto storico, per un peripatetico museo insolitamente etnografico, entro le
cinta muraria del vetusto paese di Racalmuto. Le case contadine come Sciascia
qua e là rievoca; gli arredi miseri come Sciascia sussume nei suoi amari
apologhi: “... quel 6 maggio 1622, i regalpetresi certo mangiarono con la
salvietta, come i contadini dicono per esprimere solenne
soddisfazione.”; i posti ove le donne si“spicciano e fanno cannola”, proprio
come vuole Sciascia in Occhio di Capra; le cucine affumate e soffocanti
all’interno delle case con gli arredi del tempo, con i vecchi arnesi, ed anche
i forni a paglia di vecchia data che tutto affumavano, anche le lenzuola quelle
rare volte che si mettevano nelle sgangherate “trabacche” (Occhio di Capra dà
spunti, suggerimenti, richiami per una memoria demente). Qui bastano solo
accenni: disposti sempre a fornire una lunghissima dissertazione, un
eruditissimo intreccio tra letteratura sciasciana e tradizione popolare, tutta
rievocabile in queste sparse sedi del nostro agognato museo etnografico
racalmutese.
Museo Storico
Del pari, in
una sorta di collaterale del museo parrocchiale, dovrà essere organizzato un
piccolo museo storico racalmutese ove raccogliere la breve silloge di carte
risorgimentali, ma soprattutto, ove convogliare i tanti microfilm di documenti
relativi a Racalmuto che si annidano nell’archivio notarile di Agrigento, negli
archivi statali di Palermo, negli archivi spagnoli.
Si scrive
con rabbia che ad Agrigento giacciono polverosi i rolli notarili di Racalmuto,
pressoché incolsultabili. Si afferma infatti:
“Agrigento
con il suo Archivio di Stato - nella speranza che il suo direttore si decida ad
aprirlo agli studiosi - custodisce ben n° 69 Rolli di atti notarili che
minuziosamente scandiscono la vita paesana di Racalmuto dal 1561 al 1608; n.°
71 per il periodo 1600-1707, n.° 195 per il tempo 1700-1816; n.° 56 per il
tratto 1801-1860.
Quel
materiale archivistico è praticamente ignoto. Tolta qualche curiosità di padre
Alessi che ebbe a cercarvi con l’ausilio di un paleografo atti per il suo
Pietro d’Asaro, la cronaca diuturna di Racalmuto si sta polverizzando
nell’Archivio di Stato di Agrigento - sbarrato l’anno scorso agli studiosi
dalla protervia burocratica.
La vendita
di un mulo, la cessione di una “jnizza”, la suggiogazione di una casa, il
“pitazzu” di un“inguaggiu”, vita, morte, sposalizio, tasse, risse,
organizzazioni sociali, ruolo di preti monaci e chierici, rettori e governatori
di confraternite, il pulsare della vita economica, sociale e religiosa di ogni
giorno della Racalmuto del tempo, il suo espandersi demografico ed il suo
drammatico falcidiarsi per l’esplodere di pesti, tutto ciò è il vivido quadro
che i polverosi registri notarili non rivelano per la neghittosità degli
storici racalmutesi.
Ed i
politici, oggi, anche quelli di sinistra che oggi per la prima volta siedono
sugli scranni assessoriali di Racalmuto, potrebbero ovviarvi: penso a
cooperative di giovani, a prestiti pubblici comunali - la mia passata
professionalità in questo campo mi rende in ciò particolarmente avvertito
-volti a finanziare ricerche d’archivio, scuole di paleografia - giacché
leggere quei documenti non è da tutti - , ad incentivi economici; a borse di
studio etc ...”.
E’ superfluo
precisare che sbocco di un siffatto micro-museo è quello informatico: dai
soliti CD-ROM, agli ipertesti, ai siti Internet, ai percorsi virtuali nella
strumentazione d’avanguardia da installare nelle sale del Museo, specie per i
giovani, specie per i turisti non disattenti.
Descrizione
del laboratorio sub 3) scuole di
alta specializzazione nei settori della diplomatica, paleografia, archeologia,
microstoria, settori di specifico riferimento a Racalmuto ed al suo
inestimabile patrimonio archivistico, archeologico e storico;
Trattasi di
laboratorio che discende spontaneamente dalle precedenti iniziative: nei locali
dei musei dovranno venire approntate sale - a precipua conformazione
multimediale - ove l’insegnamento sarà immancabile, di sicuro efficace,
presumibilmente affollato.
Descrizione
del laboratorio sub 4) sofà psicanalitico per una inusitata indagine sui
testi di Sciascia e per una concreta fruizione dei risultati a fini
terapeutici, specie nel settore della labilità mentale senile
E’ il punto
clou del Parco ma è anche quello più ostico. Sciascia ebbe problemi familiari
di non poco momento: non manca di farvi esplicito, coraggioso riferimento in
“Fuoco all’anima” che è poi il suo vero testamento; la sua ultima confessione.
La Vedova ne ha proibito la diffusione. Là, invero, Sciascia è esplicito: il
suicidio del suo giovane fratello; il delirio senile del padre; l’ossessività
delle vecchie zie e molt’altro. Lasciano traccia queste alienanti vicende
nell’opera letteraria di Sciascia? Noi siamo convinti di sì.
Nei vetusti
locali di un ospedale che i trambusti espoliativi della riforma sanitaria hanno
sottratto ai racalmutesi, alle volontà testamentarie di antichi e recenti
benefattori locali, l’opera letteraria sciasciana può essere davvero oggetto
“unico” per una sperimentazione psicanalitica. I tanti giovani laureati in
psicologia, in medicina - che come si dice in loco: passeggiano -
potrebbero esemplarmente dedicarvisi. L’associazione si premurerebbe di
ottenere dalla preoccupatissima USL - oggi in ambasce per avere fatto deperire
locali e dotazioni sanitarie - il “comodato” dello stabile: lo potrebbe
riconvertire con spesa tutto sommato modica.
Ma non in un
mero esercizio sperimentale d’indole psicanalitica dovrà esaurirsi
l’iniziativa. Collegati con i centri universitari siciliani, i giovani del
luogo dovranno porre in essere una inconsueta casa di cura. I vecchi di labile
mente - e Racalmuto purtroppo abbonda di siffatti disgraziati, lasciati al
ludibrio di una pubblica piazza, ora insofferente, ora indifferente - potranno
trovarvi asilo, cure, assistenza discreta, scientifica, forte dei risultati di
una per il momento non intentata ricerca medica.
Descrizione
del laboratorio sub 5) concertazione
di iniziative volte al recupero del dialetto racalmutese, della tradizione
musicale locale, del canto gregoriano quale nei secoli scorsi clero, sodalizi
monacali e le peculiari confraternite racalmutesi salmodiavano come i tanti
“libri cantorum” custoditi nelle chiese di Racalmuto comprovano ed in certo
senso tramandano
Il titolo di
per sé chiarisce e giustifica il tipo di laboratorio che s’intende porre in
essere.
Si vuole
innanzitutto salvaguardare il dialetto racalmutese che Sciascia tanto amo e
spesso trasla nella sua opera letteraria: termini come “esperiente”, “mi
stranizza”, “salinari” “catoneggiare”
ricorrono nei suoi lavori proprio nell’accezione del dialetto “veicolare”
racalmutese. Qualcuno vorrebbe polemizzare con il defunto Sciascia usando
proprio il comune dialetto natale:
“Littra a
Nanà, Provessuri sabbenadica, - questo un esempio che ci pare molto esplicativo del concetto -
Occhiu di
crapa - mi
scusassi - mi pari chi avi l’occhiu tanticchia fanzu. Ddruoccu, Vossia dici cca
è racarmutisi, sin’ad un certu puntu: che è racarmutisi - cioè - sino a lu
nannu di sò nannu e cca iddru si chiamava Leonardo. Ma è propriu accussì,
provessu’? Cuminciammu a diri ca lu nannu di so nannu si chiamava Caliddru,
Caliddru com’a mia. ’N’talianu, mastro Calogero Sciascia. Si taliammu li libbra
ca cci stannu ancora a l’Itria, vidiemmu ca iddu era uno di la mastranza, era
piu e divotu e quannu murì, li missi griguriani a l’Itria ci li diciva lu
parrinu Peppi Pirrera. Mastru Liddru Sciascia era racarmutisi originali: si
marità lu 24 frivaru di lu 1802, sempre a Racarmuto cu na racarmutisa, la
figlia di mastru Pasquali Scibetta e di la gnura Lillina Nalbone. Sò pà, nni lu
1802 era già muortu; ma sò matri, nò. Chista era una Alfano e si chiamava di
nomu Nucenzia.
E lu patri
di lu nannu di sò nannu, cu era? Si chiamava mastru Leonardu Sciascia. Omu
ancora cchiù piu di lu figliu. Nzumma, ’un gn’era comu a Vossia, ca ci piaci
dire di esseri scumunicato come lu fratacchiuni fra Ddecu.
Era piezzu
grossu di la mastranza: zelatore, si firma o miegliu fu lu figlio Cicciu
ca si firmà pi iddu e pi sso pà.
Si talia
’n’antica carta di l’Itria unni si ddicidi pi la bona morti (ccu li dovuti
scongiuri), m’havi a dari raggiuni. ’Un ci l’haiu pi ora ccà ssa carta, ma la
prossima vota cci la puortu.
Lu patri di lu nannu di sò nannu era anch’iddu racarmutisi, e racarmutisi
era lu nannu: mastru Giovanni, sapi chiddu ca si marità, sempri a Racarmutu, cu
la figlia di li Scibetta, gnura Anna e ca murì a 68 anni lu 28 di marzu di lu
1766; e fu seppellitu ’ntra la fossa cumuni a S. Franciscu. Faciennuci li
cunti, happi a nasciri attorno a lu 1698. Chistu forsi nun gn’era di Racarmuto
ma di Giurgenti. Sò pà: mastru Leonardo, maritatu cu la gnura Vicenza
Quagliata, era giurgintanu e si nni vinni a Racarmuto ma nni li primi di lu
1700, ddu seculu inzumma chiamatu di li lumi e ca a Vossia pari ca cci piaci
assà. Se nun mi cridi, taliassi chi scrivino li parrina di Racarmuto, in
occasioni di lu matrimoiniu di lu figliu di ’ssù primu Scascia racarmutisi, lu
capostipiti di la sò famiglia:
1726 - 29.9.1726: SCIASCIA GIOVANNI M.° del fu m. Leonardo e Vincenza
Quagliato vivente olim jugati Civitatis Agrigenti et Parochiae S. Petri,
[sposa:] SCIBETTA ANNA.
Vossia è sicuru ca lu nannu di sò nannu era nadurisi e si chiamava Nardu,
mastru Nardu. ’Un gn’è bberu, provessu. Lu ‘mbrugliaru. Sapi cu era ddru nadurisi?
era chiddru ca nni li libra di la matrici è accussì scrittu:
../6/1799 Sciascia Giuseppe de' furono Onofrio di Buonpensiero e Giovanna
[sposerà]Borzellino Anna di Vincenzo (al presente abitatrice di Buonpensiero)
[e figlia di] Maria. Registro degli Sponsabili: pubblic. giugno 1799 -
16,23,24.
Lu zzi Peppi Sciascia, nadurisi - iddu sì -, cu la sò famiglia nun cci
trasi propriu nenti. M’havi a cridiri provessu’. Mi scusassi e sabbenadica.
Liddru Taverna.”
Editare
periodici in stretto dialetto racalmutese sarebbe intento della nostra
associazione.
Il
laboratorio poi dovrebbe dare vita ad una schola cantorum di giovanissimi che
diretti dai maestri che a Racalmuto non mancano riediti i tanto celebri canti
gregoriani, nella versione del tesoro archivistico della Matrice in campo della
secentesca editoria musicale.
Descrizione
del laboratorio sub 6) coordinamento
con i centri culturali di Grotte per il recupero della tradizionale teatralità
di questa periferia agrigentina
Quanto
abbiamo detto sopra sul punto, specie allorché abbiamo tracciato il budget, è
del tutto esaustivo sulla latitudine dell’iniziativa: più che altro s’intende
supportare il centro teatrale della vicina Grotte (terra anch’essa presente
nell’opera sciasciana) sotto il profilo economico acciocché sia in grado di
mettere in scena - in via permanente - il teatro dello scrittore racalmutese.
Nel 2000
verrà aperto quel gioiellino che è il teatro comunale di Racalmuto: sarà aperto
alla lirica, che Sciascia non sembra avere amato più di tanto; dovrà ospitare
la prosa, questa sì cara a Sciascia. Il Laboratorio Teatrale Luchino Visconti
di Grotte sembra creato apposta per supplire alle carenze del genere che oggi
si lamentano a Racalmuto. A Racalmuto, recitare stabilmente - come si dice -
Sciascia sarà doveroso e dovrà avvenire nel Teatro prediletto dallo Scrittore. Supplent
Cryptae! Supplisca Grotte.
In Occhio di
Capra una sapida ironia: vi si legge “gruttisi.
Grottesi. Di Grotte, paese a tre chilometri da Racalmuto; e più piccolo. I
grottesi che venivano a Racalmuto erano derisi dai ragazzi con questa strofe,
variamente scandita o cantata:“Grutti gruttisi/ cu li corna tisi/ scorcianu
cani/ e fannu cammisi” [..] Si irrideva così alla povertà dei grottesi: e
davvero il paese deve essere stato poverissimo; ma nella sua povertà, più vivo
di Racalmuto. [ ...] E oggi, per l’intraprendenza commerciale di alcuni, Grotte
è più ricco di Racalmuto.” Grato il paese celebra un premio dall’ammiccante
nome di Racalmare. Vi ebbe un riconoscimento Vasquez Montalban. Con
accondiscendenza ora la vedova Sciascia -lei così ritrosa - presiede il premio
Racalmare: Racalmuto le è invece ostico, ma in fin dei conti, viene da lontano.
(Dice il marito in Fuoco all’anima: “D. E poi ti sei sposato, presto se non
sbaglio - R. Avevo ventiquattro anni. -D. Ed era insegnante anche tua
moglie Maria? - R. Sì, a Racalmuto. D. Ma lei non è di Racalmuto. -
R. No, ha vinto il concorso per insegnare lì, ma è originaria della provincia
di Catania ed è nata a Petralia. Suo padre era maresciallo dei carabinieri, e
allora si spostavano da un paese all’altro. - D.E l’hai conosciuta quando
insegnavi a Racalmuto. - R. No, perché io, prima di fare l’insegnante, sono
stato impiegato al Consorzio agrario di Racalmuto.)
I grottesi
amano alla follia Sciascia. Antonio Carlisi scrisse nel 1995: “il nostro
paese [cioè Grotte] ha sempre amato considerare Sciascia, oltre che di
Racalmuto anche di Grotte: tant’è che il Consiglio Comunale, nella seduta del
27 giugno 1986, gli conferì la cittadinanza onoraria. Un amore verso la sua
persona, che Sciascia ricambiò altrettanto amorevolmente, lasciando alla nostra
comunità tanti bei ricordi. Come quando gli venne proposto di aiutarci ad
istituire e addirittura a presiedere il Premio Racalmare e Lui, già conosciuto ed
apprezzato in tutto il mondo, con la semplicità e la modestia di cui tanto si è
parlato e scritto, ma soprattutto con quella dolce affabilità che lo
distingueva, disse di accettare[...].” Siamo scivolati sul patetico, ma
tant’è: tanto quanto rende convincente una concertazione con Grotte per alcuni
laboratori del Parco.
Descrizione
del laboratorio sub 7) collegamento
con il locale circolo Unione per un’ardita riesumazione dello sciasciano
“circolo della concordia” con i suoi veridici personaggi, le sue atmosfere
sociali, il suo scenario, le sue vetuste sale: un micromuseo in un normale e
funzionante circolo quale continua ad essere;
Il Circolo
Unione può considerasi la fucina ove si forgiò il giovanissimo Sciascia
nell’approccio alla “blasfema ironia” che ne fece uno scrittore di peso
mondiale. Si sa: ascoltava le salaci parodie di tal don Luigi Messana - velato
appena dalle sembianze raffigurative di don Ferdinando Trupia - e prima in
Galleria, poi nelle “Parrocchie” il parodistico sproloquiare su tutti e su
tutto del socio nato solo per lasciare“un’affossatura” nelle poltrone del Circolo
della Concordia divenne anima di un fare letteratura oltre il formalismo
dei Rondisti, in cui Sciascia, adolescente, stava affogando. (“Ma a
parte l’affezione che ho sempre avuto per l’opera di Savarese - ebbe una
volta a polemizzare il Nostro - e specialmente là dove tocca i miti e le
storie della terra siciliana, debbo confessare che proprio sugli scrittori
“rondisti” - Savarese, Cecchi, Barilli - ho imparato a scrivere. E per quanto i
miei intendimenti siano maturati in tutt’altra direzione, anche intimamente
restano in me tracce di un tale esercizio.”)
Si è detto
in sede d’inventario cosa s’intende fare per restituire quella realtà locale
all’intelligenza dei vecchi e nuovi cultori di Sciascia. Pubblicazioni in
CD-ROM, traslazione in Internet del ricco patrimonio fotografico del Circolo,
restituzione dell’ambiente alla raffigurazione sciasciana, ristrutturazioni di
sale ed arredi, come ai tempi della frequentazione del giovanissimo Sciascia.
Si vuole, in
altri termini, un minimuseo compresente con il reale dimorare di nuovi soci,
per tanti versi simili a quelli stilizzati ed ibernati nelle “forme
ipotattiche” che Pasolini credeva di riscontrare in Sciascia. Un socio del Circolo
Unione sta stendendo note e cenni storici esordendo: “ Il circolo Unione
l’anno venturo, nel 1999, compie 160 anni: è il più vecchio circolo di
Racalmuto, il più glorioso, quello maggiormente emblematico di una classe media
con aspirazioni nobiliari. Oggi è di certo meno pretenzioso, più riservato,
amante del pettegolezzo d’alto bordo - tra il politico, il sociale,
l’irriverente, il caustico, il miscredente. A sera pochi soci ormai cercano di
perpetuare il cicaleccio arrogante, impietoso ed ilare dei personaggi passati
alla storia (letteraria) per la penna di Leonardo Sciascia. Ma di don
Ferdinando Trupia, di Martinez, di Lascuda, di don Carmelo Mormino, del dott.
La Ferla, di don Antonio Marino ormai neppure l’ombra. I loro eredi - quasi
tutti professionisti affermati in Continente o a Palermo -hanno ritenuto di
potere sbeffeggiare il circolo dei loro sbeffeggiati (da Sciascia) antenati
facendosi espellere per morosità da una deputazione post-sessantotto, di
estrazione non nobile e talora persino proletaria. La fuoriuscita dei virgulti
degli antichi galantuomini vorremmo dire è persino fisiologica.
A sera, ora,
tocca alla facondia suadente e beffarda di Guglielmo S. mantenere viva la
conversazione al circolo: gli fa eco il tranchant assiomatismo di Calogero S.;
sorride con intelligente silenzio Gioacchino F.; fino a qualche anno fa
scoppiava l’ira funesta dell’avv. Salvatore C.; al dott. Gioacchino T. il
compito del divertito spettatore; Ignazio P. ascolta silente, ma si arrabbia se
gli toccano la sua Democrazia; il Presidente non è faceto: se occorre
stigmatizza; Salvatore S. arriva tardi, in tempo per un paio di sorrisi se
Guglielmo S. è in vena nelle sue sforbicianti allusioni. Quando vado a
Racalmuto, partecipo anch’io a tali dibattiti serotini: nessuno ha voglia di
prendermi sul serio: provoco, sono provocato, insolentisco, vengo insolentito:
la serata passa piacevole: val la pena di pagare quel piccolo contributo quale
socio con “dimora precaria”.
Di tanto in
tanto arrivano poesie in vernacolo: sono composizioni miserande, cattive, senza
gusto: sono intollerabili. I soci però sembrano divertirsi lo stesso.
Leonardo
Sciascia trasse motivi ed argomenti per il suo iconoclasto deridere i poveri
galantuomini di Racalmuto. Vi era associato; lo eleggevano deputato e persino
cassiere. Ma amava stroncare quei figuri nati effettivamente per lasciare
“un’affossatura nelle poltrone del circolo”. Ebbe il cattivo gusto di morire
lasciando in sospeso il pagamento dei “buoni”associativi: inflessibili i membri
della deputazione non mancarono di verbalizzare nel 1992 la circostanza.
Lo scrittore
è disinvolto nell’accennare alle gloriose origini del circolo: “Il circolo
della concordia - annota quasi con prosa burocratica [2]
- prima denominato dei nobili, poi della concordia poi dopolavoro 3 gennaio,
sotto l’AMG sede della Democrazia Sociale (il primo partito apparso in questa
zona della Sicilia all’arrivo degli americani e dagli americani protetto) e
infine ribattezzato della concordia, pare sia stato fondato prima del 66, se
appunto nel 66 la popolazione infuriata contro le sabaude leve, istintivamente
trovando un certo rapporto tra la leva che toglieva i figli e i nobili che se
ne stavano al circolo molto volenterosamente vi appiccò il fuoco; ma pare ne
ricevessero danno soltanto i mobili, le persone si erano squagliate al primo
avviso, le sale restarono superficialmente sconciate.”
Quanto a
storia locale ci reputiamo più fortunati di Sciascia e siamo in grado di
retrodatare di almeno un trentennio la fondazione dello storico circolo. Se si
spulcia l’Archivio di Stato di Palermo, Segreteria di Stato presso il
Luogotenente generale, Polizia vol. 412, si rinviene il“Notamento dei Così
detti Caffè e luoghi di riunione esistenti nei vari Comuni di questa Provincia
..., Girgenti, 26 agosto 1839.” Sotto tale data abbiamo dunque la consacrazione
ufficiale del nostro circolo o se si vuole il riconoscimento giuridico. Scrive
Carmelo Vetro [3]“In
provincia i sodalizi si registrano a Licata (due circoli), Palma, Racalmuto,
Ravanusa, Bivona, Villafranca, S. Giovanni, Santa Margherita, Montevago, Sciacca,
Naro, Canicattì, Alessandria, Campobello, Cammarata, Caltabellotta, Menfi,
Sambuca, Burgio ed Aragona: tutti con i loro bravi regolamenti, autorizzati
dalle autorità di polizia, ... E’ da dire che molti di questi circoli erano
favoriti dall’autorità locale che in tal modo poteva registrare gli umori
politici e gli orientamenti prevalenti. Non a caso parecchi sodalizi nascono
negli anni Trenta dell’Ottocento dopo la tempesta politica del 1820-21 ed il
tentativo borbonico di riavvicinarsi agli intellettuali e borghesi.” Siamo
pressoché certi che il circolo sorgesse in piazza su un marciapiede
“sopraelevato rispetto al resto della piazza, ove era vietato, per inveterata
consuetudine, passeggiare alla ‘gente comune’ ... Si aveva così un effetto
quasi grottesco, che sottolineava la gerarchia feudale, essendo i notabili una
‘spanna’ più alti degli altri”. Il Vetro soggiunge: “Un rigido cerimoniale
regolava l’ammissione dei nuovi soci ai vari circoli.... si poteva essere
ammessi riportando la maggioranza di “voti segreti per bussoli”,nell’assemblea
dei soci. Ogni due anni venivano eletti quattro deputati, il più giovane dei
quali faceva da segretario. Nelle assemblee avevano diritto di voto i soli
contribuenti. Ai deputati erano affidati la “polizia interna” e il “buon ordine
della conversazione. Nelle sere di gala la conversazione era illuminata“a
cera”. Al circolo erano ammessi solo “gli associati, le loro mogli, i figli e
le figlie nubili e fratelli conviventi nella stessa casa”. Infine gli ospiti
non si dovevano “permettere di discorrere e discutere di cose” che si
allontanavano “dallo scopo di una onesta conversazione”. Parimenti vietata era
la lettura di fogli, giornali, libri o stampe non autorizzati dalla polizia.
... I contribuenti avevano la facoltà di presentare alla conversazione
“forestieri distinti e di loro conoscenza, chiesto il permesso ai Deputati,
salvo alla deputazione di deliberare in seguito l’esclusione se non li avesse
riconosciuti “meritevoli”. ... Il circolo era provvisto dei “fogli officiali”
di Palermo e di qualche altro giornale letterario. Un cameriere ed un
“bigliardiere” si occupavano di servire i soci con un vestito decente e a testa
scoperta”. Un puntuale tariffario stabiliva le quote da versare per i diritti
di gioco. Le illuminazioni “a cera” erano ordinariamente previste nella sera di
gala ed in talune ricorrenze. ... Leonardo Sciascia ci introduce nello spazio
dorato, quasi senza tempo del Circolo della concordia di Regalpetra, dove
vecchi e nuovi notabili vengono a celebrare il rito della fedeltà al passato ed
alimentare inutili sogni di difesa dei propri privilegi. Il circolo è situato
nella parte centrale dei corso: “Consiste di una grande sala di conversazione,
con tappezzeria di color pesco e poltrone di cuoio scuro, una sala di lettura,
tre sale da gioco”. I soci del circolo non sono, ormai, più i ricchi: “I ricchi
si trovano nel circolo del mutuo soccorso, una società operaia che è venuta
trasformandosi ...; il più ricco dei “don” non possiede più di dieci salme di
terra” ma i soci del circolo della Concordia“continuano ad essere il sale della
terra”. Anche qua si discute di politica“scienza di cui molti soci del circolo
si sentono al vertice e fanno previsioni che, verificandosi poi fatti
esattamente opposti, si possono considerare attendibilissime.” Dopo la
politica, le donne. E allora “le mani si muovono a plasmare nell’aria grandi
corpi di donne, donne si gonfiano nell’aria come mongolfiere. Non è più uno
scherzo ora, tutti ci sono dentro, lo studente ascolta le confidenze del
giudice di corte d’appello in pensione”. Nella rappresentazione letteraria la
ritualità della “conversazione”, che autogratifica con la sua immobilità
l’Olimpo paesano, dà quasi un senso alla stessa esistenza: ci si sente, allora,
“lievi e giustificati, d’aver vissuto tutta la giornata soltanto per attendere,
come una novità, come una grazia insolita e particolare, quest’ora che
compendia le ragioni ideali del mondo, che chiarifica e motiva finalmente
l’esistenza, rianima l’immoto flusso dei giorni, riattacca la morta gora
dell’abitudine al canale della continuità”. Una continuità che nell’illusione
di molti esercita, ancor oggi, come un fossile vivente, esercita il fascinoso
richiamo di un’elitaria società che più non esiste.”
Un Parco
Letterario cui si concede un piede dentro un cosiffatto Circolo, appena appena
rifatto il consunto maquillage, sarebbe “fantasmatico”, termine che tal
Onofri conia - a spese della ormai decennale spettralità di una Fondazione
locale che si rifà a “Sciascia” -per la nostra vitalissima Racalmuto.
Descrizione
del laboratorio sub 8) compartecipazione
maggioritaria in una società mista con il Comune cui demandare iniziative
imprenditoriali nel campo del turismo locale;
E’ in fase
di gestazione una società mista tra il Comune di Racalmuto ed i privati con
intenti altamente sociali. La nostra associazione intenderebbe partecipare alla
sottoscrizione del capitale sociale al fine di farne punto di sbocco di tante
iniziative connesse al Parco Letterario, specie con particolare riguardo a
quelle a sfondo turistico.
La società
dovrebbe denominarsi SIRAC spa - Racalmuto ed avrebbe per scopo sociale:
“ogni
iniziativa volta alla valorizzazione delle risorse artistiche, archeologiche,
paesaggistiche, paleologiche, archivistiche ed affini concernenti, anche in via
indiretta, il paese di Racalmuto. A tal fine potrà venire svolta ogni attività
sussidiaria sia pure a carattere finanziario per la realizzazione di studi e
ricerche e conseguenti pubblicazioni a stampa o su base informatica, come pure
per il tramite di Internet.”
La
contiguità tra Parco e tale società di capitali a partecipazione comunale è di
tutta evidenza: sinergie tra le due entità sono facilmente ipotizzabili. Per la
nostra associazione - non avente scopo di lucro - appoggiarsi su tale entità
semipubblica è basilare per efficaci interventi in campi in cui non è agevole
operare senza strutture societarie di natura capitalistica.
Descrizione
del laboratorio sub 9) costituzione di
una società di capitali per rilanciare il vecchio progetto di una traslazione
cinematografica delle “Parrocchie di Regalpetra” che il regista racalmutese
Beppe Cino -discepolo di Rossellini - da tempo agogna di girare;
L’argomento
è stato sopra adeguatamente rappresentato per doverne qui ripetere i tratti salienti.
Un lancio cinematografico che renda visibile al grande pubblico la simbiosi tra
Sciascia e Racalmuto avrebbe imponderabili effetti pubblicitari, quanto alla
esplosione di flussi turistici di massa. Sembra ciò di tutta evidenza: sarebbe
davvero un felice battesimo per il Parco letterario.
Descrizione
del laboratorio sub 10) attività
traslativa dei disparati risultati conseguiti in CD-ROM o in siti Internet a
disposizione del mondo dei navigatori informatici.
Si è detto
in esordio della presente seconda sezione: tutta l’attività del Parco deve
sfociare in elaborati informatici. Le scuole professionali di Racalmuto, Favara
e Caltanissetta - al presente particolarmente operanti nella didattica del
settore - potranno fornire tecnologie d’avanguardia, personale specializzato,
docenti agguerriti nel campo della multimedialità ed in misura tale da
assicurare la buona riuscita del progetto che qui si è illustrato.
SEZIONE III
Descrizione
delle potenzialità imprenditoriali e di sviluppo locale, che devono contenere
indicazioni sia sulle ipotesi di imprese che possono nascere attorno al Parco,
sia sui soggetti che eventualmente possono costituire tali imprese.
Il Parco -
ove finanziato - coopererebbe al sorgere della società mista SIRAC, una novità
assoluta nel mondo addormentato della finanza locale siciliana. Con criteri di
sana imprenditorialità la SIRAC sarebbe di sicuro in grado di attivare un
turismo di massa a Racalmuto, determinando in vario modo un preziosissimo
indotto per corone circolari di imprese similari di una nuova, efficiente
imprenditorialità privata. Questa, oggi a Racalmuto, nell’agrigentino, nel
nisseno, latita o si arrabatta maldestramente. Non vogliamo qui tornare su
quanto detto con toni anche aspri prima, nella sezione introduttiva. A quelle
note qui ci rifacciamo. Quelle note qui richiamiamo: un rinvio ricettizio, si
direbbe in diritto
Giovani
industriali racalmutesi, giovani artigiani, mostrano intenso interesse - e lo
attestano formalmente - a questa nostra visione del Parco: richiamarsi a
Sciascia che tanto sfruttò, letterariamente parlando, questo centro
dell’altipiano di Racalmuto, è contropartita anche di natura economica.
Sciascia che trasformò la misera Regalpetra de “la neve, il natale” in un
apologo mondiale - arrecante a lui solo fortune cospicue -Sciascia, ora
defunto, è tenuto a risuscitare la Racalmuto economica, con il turismo con un
Parco al suo nome. Certo vi è una Fondazione a suo nome a Racalmuto, ma un suo
corifeo - tal Di Grado - strilla su un foglietto locale: “... fra quanti hanno
disertato ... i prestigiosi eventi promossi dalla Fondazione, [tanti] ora
lamentano scarse attività e presenze: ma quali? Frizzi e la carrà? Il poeta
incompreso di Villafranca Sicula e il preside in pensione di Montalbano
Elicona? E’ fatale. Il villaggio globale telemediatico e, all’inverso, l’eterno
Strapaese delle sagre della ricotta (e della poesia) reclamano i loro idoli.
Non li avranno, naturalmente: non dalla Fondazione, che non è una Pro-loco né
un’azienda del turismo[da sottolineare e ricordarsene se si vorrà premiare
un qualche parco, a questo alternativo, sotto l’egida di una tale Fondazione, n.d.r.],
non è un assessorato allo spettacolo, né un ufficio di collocamento. Che cos’è
allora? ... La Fondazione è un’istituzione culturale, un luogo di studio e di
produzione scientifica.” Tanta spocchia che frattanto ha succhiato
improduttivamente una decina di miliardi a carico dell’Erario, di quel mondo
“della ricotta” che le tasse le paga, del disprezzato “villaggio globale
telemediatico” e nulla ha prodotto. Si parla della giapponese Takeya. Chi è? Si
accenna ad Heydenreich. L’euro ce ne svelerà forse la fisionomia. Invero, si è
prodotto solo un libricino che stravisa, con lo stesso Sciascia, un’accusa di
testardaggine ad un nostro secentesco frate (con propensioni verso il delitto
di nefando) con un tenace concetto di ereticale sublimazione.
Dieci miliardi spesi per cercare di capire quali furono i rapporti tra Sciascia
ed il settecento o tra costui e (l’odiato) dilettantismo.
Il nostro Parco
intende bypassare tale Fondazione (forse pronuba di un progetto concorrente),
tale verginale concetto della supercultura.
Per contro
andiamo cercando nella scuola, in quella professionale, le nuove spinte per una
svolta economica a Racalmuto. Nei giovani neo-laureati - tanti e massicciamente
disoccupati - vogliamo scoprire forze latenti per avveniristiche ricerche nel
settore della psichiatria. Vogliamo convogliare a Racalmuto quelle squadre di
archeologi che hanno reso noto in tutto il mondo la contermine Milena.
Racalmuto e Milena si adagiano nella stessa plaga sicana. Milena, assegnata nel
secolo scorso alla provincia di Caltanissetta, si è potuta sottrarre alle
angustie archeologiche dei responsabili agrigentini (propensi solo a discettare
sulla Magna Grecia, sulle vie del sale dei Micenei, sui romani); ha investigato
l’autoctono mondo dei sicani. Un monumento appare il lavoro testé pubblicato:
si guardi la raccolta di scritti intitolata: Dalle Campagne alle Robbe - La
storia lunga di Milocca-Milena. Ci piace qui citare passi dell’introduzione
di Vincenzo La Rosa: “Il motivo del nostro interesse scientifico per il
territorio alla confluenza fra il Platani e il Gallo d’Oro, era costituito [il
4 dicembre 1977] dalle scarne testimonianze micenee, segnalate un decennio
prima da E. De Miro. [...] Ma la ricerca si è fatalmente allargata ai diversi
periodi della preistoria, non disdegnando neanche età più recenti, almeno sino
alla medievale. [..] Le ricognizioni di superficie ... rivelarono ben presto la
funzione strategica dell’area, vero e proprio crocevia nei diversi
momentidell’età preistorica.”
Ora Milena
vanta uno schema geomorfologico interpretativo del territorio (e Racalmuto a
ridosso, no); il suo fenomeno carsico sotterraneo è stato studiano (quello del
tutto simile di Racalmuto, no); studiosi ci ragguagliano sui suoi lineamenti
floristici e vegetazionali (per Racalmuto dobbiamo accontentarci delle belle ma
vaghe fotografie di un dilettante). Sappiamo ora tanto dell’insediamento
preistorico di Serra del Palco sito a Milena (gli analoghi di Piana di Botte,
del Ferraro, di Fra Diego, del Castelluccio, del Canalotto, di Grotticelle
giacciono ignoti e, come nel caso delle Grotticelle, frettolosamente
sotterrati, per volontà superna dei BB.CC. di Agrigento, se per avventura e per
lavori abusivi vengono alla luce.)Milena vanta scavi sistematici che hanno
portato alla luce un insediamento neolitico a Serra del Palco con le sue belle
ceramiche dell’età del Rame, che hanno consentito di studiare alcuni resti umani
eneolotici provenienti dal deposito funerario di contrada Menta e dalla
località Pirito, che hanno fatto luce sulla stazione di Mezzebbi risalente al
Bronzo Antico, che hanno scoperto le tholoi di Monte Campanella, che hanno
rinvenuta la nuova stazione preistorica allo zubbio di Monte Conca. Racalmuto,
lì a due passi, deve per il momento accontentarsi della sbiaditissima
corrispondenza dell’ottocentesco ing. Mauceri o di queste volenterose note di
un dilettante:
“ L'immigrazione
agricola di popoli che vengono fatti risalire al XVIII secolo a.C. venne
documentata durante i lavori della ferrovia nel 1879. (Cfr. L. Mauceri: Notizie
su alcune tombe .. scoperte fra Licata e Racalmuto, in Ann. Inst. Corr. Arch.,
1880). I pochi reperti fittili finirono dispersi nei sotterranei di un qualche
museo siciliano. Le tombe a forno dei pressi della stazione ferroviaria di
Castrofilippo sono del tutto sparite per la distruzione delle successive cave
di pietra.
L'altro
insediamento è quello che l'ingenuità delle cartoline illustrate locali
definisce 'tombe sicane', site attorno alla grotta di Fra Diego. In mancanza di
ufficiali campagne di scavi - che le competenti Autorità continuano a denegare,
anche se la patria di le imporrebbe - dobbiamo accontentarci delle intuizioni dilettantesche
e delle tante segnalazioni che dal '700 in poi si rincorrono. Il cospicuo
numero di tombe a forno dimostra l'esistenza di gruppi estesi, dediti ai culti
mortuari dell'inumazione in forma fetale, con i cadaveri forse spolpati a
bagnomaria e forse legati per la paura di una vendicatrice resurrezione che i
nostri antenati pare nutrissero. (Cfr. S. Tine': L'origine delle tombe a forno
in Sicilia, in 1963, p. 73 ss.).
Quei
cosiddetti antichi Sicani, installandosi attorno alla grotta di Fra Diego,
avranno trovato il salgemma delle vicinanze e fors'anche lo zolfo, all'epoca
sicuramente reperibile anche in superficie. Risale alla tarda età romana lo
strambo passo di Solinoche il Tinebra Martoran riferisce - a nostro avviso
fondatamente - al territorio di Racalmuto. Ma rispecchia, di certo, una
tradizione millenaria. Solino scrive che il sale agrigentino, se lo metti sul
fuoco, si dissolve bruciando; con esso si effigiano uomini e dei (C.I. Solinus,
5\ 18;19). Ancora nel '700 il viaggiatore inglese Brydone andava alla
ricerca di quei fenomeni. Sommessamente pensiamo che v'è solo confusione tra
sale e zolfo, entrambi già conosciuti dai nostri preistorici antenati. Con lo
zolfo si foggiavano statuette del tipo dei 'pupi', dei 'cani', delle 'sarde' di
'surfaro' che ai tempi della mia infanzia circolavano ancora.
Sale, zolfo
e gesso Racalmuto li avrebbe ereditati dagli sconvolgimenti del, quando alle
“grandi lacune terziarie progressivamente evaporate <sarebbe seguito> un
processo di sedimentazione che avrebbe avuto per protagonisti non solo i
principi della fisica e della chimica, ma addirittura uno straordinario
microscopico batterio, il desulfovibrio desulsuricans capace di nutrirsi
di petrolio greggio e di rubare ossigeno al solfato di calcio dando luogo ad
idrogeno solforato che, attraverso una normale ossidazione, avrebbe partorito
lo zolfo nativo” (Pratesi e Tassi, Guida alla natura della Sicilia, Milano
1974, p. 21 ss). Ci diverte alquanto l'idea che le ricchezze della rampante
borghesia ottocentesca di Racalmuto si debbano a quel geologico vibrione.”
Il Parco
Letterario potrebbe davvero ovviare a queste (gravissime) indolenze delle
autorità di settore: anche a Sciascia sarebbe piaciuto conoscere sulla base di
campagne di scavi scientifiche le sue ancestrali origini, il suo vero DNA, il
suo battesimo sicano. Forse non avrebbe congedato questa pagina - sublime
letterariamente, ma vagola concettualmente -che così suona: “A Racalmuto sono
nato [..] E così profondamente mi pare di conoscerlo, nelle cose e nelle
persone, nel suo passato, nel suo modo di essere, nelle sue violenze e nelle
sue rassegnazioni, nei suoi silenzi, da poter dire quello che Borges dice di
Buenos Aires: “ho l’impressione che la mia nascitasia alquanto posteriore alla
mia residenza qui. Risiedevo già qui, e poi vi sono nato”. Mi pare cioè di
sapere del paese molto di più di quel che la mia memoria ha registrato e di
quel che dalla memoria altrui mi è stato trasmesso: un che di trasognato, di
visionario, di cui non soltanto affiora - in sprazzi, in frammenti - quella che
nel luogo fu vita vissuta per quel breve ramo genealogico della mia famiglia
che mi è dato conoscere (e tutto finisce, nel risalire il tempo, a un Leonardo
Sciascia, nonno di mio nonno, che nei primi dell’Ottocento venne a Racalmuto
dal vicino paese di Bompensiere per esercitarvi il mestiere di conciatore di
pelli), ma anche tutta la storia del paese dagli arabi in poi. Ed ecco un fatto
di per sé borgesiano, del Borges di natura e quotidiano: non riesco ad
immaginare, a vedere, a sentire la vita di questo paese prima che gli arabi vi
arrivassero e lo nominassero. Ed è piuttosto facile scoprirne la ragione: la
mia residenza qui, quella residenza che di molto precede la nascita, è
cominciata con gli arabi, dagli arabi.”
Di sicuro
avrebbe saputo che il nonno di suo nonno non era né Leonardo, né di
Bompensiere, né conciatore di pelli. Era sì un mastro, pio e devoto, colonna
della locale Maestranza, ma figlio e nipote e pronipote di racalmutesi: si
chiamava, manco a dirlo, Calogero ed il mestiere era ben diverso da quello di
conciapelli. Gli archivi della Matrice che si vogliono rendere accessibili agli
studiosi con un apposito laboratorio avrebbe fugato ogni incertezza
genealogica. Il pessimismo sciasciano forse non sarebbe stato neppure scalfito,
ma qualcosa di diverso il Nostro avrebbe di sicuro scritto: di meno
allucinante, di meno confessorio dell’oscurità del suo profondo Ego.
La presente
fioca potenzialità imprenditoriale del luogo può allora essere di
insormontabile ostacolo ad un Parco Letterario di così pregnante validità?
Non mancano
comunque imprese già operanti o in corso di costituzione che potrebbero
efficacemente coadiuvare il Parco. Abbiamo accennato ad Infotar. Abbiamo
parlato di ARCON. Stralciamo dallo statuto di INFOTAR: “ Art. 4. - La
società ha per oggetto la produzione di strutture informatiche (hardware e
software) con particolare riguardo all’edizione di ipertesti scientifici,
storici, legali, didattici ed affini in cd-rom corredati da adeguati supporti a
stampa. A tal fine potrà venire svolta ogni attività sussidiaria sia pure a
carattere finanziario per la realizzazione anche in propri stabilimenti degli
elaborati in oggetto. La società potrà svolgere operazioni per il reperimento o
l’investimento di fondi - nel rispetto delle leggi vigenti - sia in connessione
dell’oggetto sociale sia per un più agevole conseguimento dello scopo. La
società potrà quindi rilasciare fideiussioni attive e passive per l’ottenimento
di finanziamenti e contributi pubblici e privati volti all’attività sociale. In
collegamento, alla società non è interdetta ogni iniziativa di studio, ricerca
anche archeologica , s’intende nel rispetto delle leggi e previe le debite
autorizzazioni, volta allo studio ed alla valorizzazione della realtà archeologica,
storica, archivistica e documentale sia di profilo laico che religioso avente
riguardo a Racalmuto ed al suo territorio.”
La
costituenda ARCON sarà un atelier racalmutese ad alta tecnologia informatica:
si avvarrà di hardware e software per la confezione di capi di abbigliamento
d’alta moda, ma soprattutto cercherà di creare articoli tessili d’antiquariato
specie nel campo ecclesistico. Si legge nel testamento di una bizzarra
benefattrice racalmutese, Donna Aldonza del Carretto sorella del conte Giovanni
Del Carretto, di una ricca veste di stile spagnolo, regalata ad una serva, che
val davvero la pena di ricostruire.
Dall’inventario
di don Giovanni del Carretto, trucidato in quel di Palermo nel 1608, ARCON
trarrà dati e suggerimenti per confezioni di costumi antichi. Trascriviamo
passi da cui trarre i costumi predetti:
Inventarium
bonorum repertoriatorum
in domo
illustris d. Joannis del Carretto
Comitis
Regalmuti & intro una Camera
Item un
paramento di cojro dorato vecchio di pezzi quindici e piccoli.
Item
un’altra littera con quattro tavole e dui trispiti ad un pede.
Et cinque
matarazzi quattro pinti di tila azola bianca ed uno bianco pieno di lana
siciliana.
Item dui
para di lenzuoli uno grosso ed altro sottile.
Item un
altro paviglione di tila vecchio.
Item cinque
frazzati tri biamchi, et una russa ed una virdi.
Item un
pezzo di paramento nigro.
Item tri
baulli russi con fodera gialna dentro la quale vi sono l’infrascritti robbi
cioè:
Uno stuccio
di testa d’ebbano.
Un
paviglione di tila di lenza con suo intaglio lavorato di seta carmicina.
Item un
altro paviglione di tela bianca con suo cappello.
Item un
cortinaggio di raso carmicino frinzato d’argento consistente in pezzi dodeci
con suo tornialetto incluso.
Item un
stipo di legname verde dentro lo quale vi sono li robbi infrascritti.
Item un
paviglione di tirzanello leonato con li suoi frinzi di sita di lo medesimo
colore consistenti in pezzi cinque usato.
Item dui
paviglioni di taffità, seu bagattelli di Napoli di diversi colori con li suoi frinzi
bianchi di sita rusata virdi e gialna ed altri colori.
Item una
culltra di tila d’argento bianca per tabuto.
Item un
cortinaggio di tirzanello giallo vecchio con li suoi pezzi inclusa la cultra e
tornialetto.
Item un
altro cortinaggio di damasco foderato con sua frinza d’oro minuto consistente
in otto pezzi inclusa la cultra e tornialetto.
Item un
altro cortinaggio di damasco torchino con frinza di seta torchina ed argento
usato consistente in otto pezzi come l’altri.
Item uno
cortinaggio di damasco russso vecchio con suoi frinzi attorno di seta russa
consistente in otto pezzi come l’altri.
Item una
coperta di Tem.to di velluto nero con passamani d’oro fino e chiodi d’oro.
Item un
paramento di bagattello di Napoli di diversi colori russo, verdi, usato.
Item quattro
barrachani di cuttuni bianco torchisci usati.
Item un
paviglione di mezza raxia murata con sui frinzi attorno consistente in pezzi
cinque inclusi lo tornialetto, cultra e cappello.
Item cinque
cappi di raxia nigri con suoi cappucci vecchi, uno gippone di panno di galbo di
Fiorenza misto con li fasci attorno di raso murato straziato usato et una
canzuna del proprio panno.
Item una
cascia di tavole d’abito grande dentro la quale vi sono ventiquattro frazzate
bianche e russe usate e vecchie.
Item
un’altra cascia simile dentro la quale vi sono diversi strazzi di nessun
valore.
Item
un’altra cascia simile dentro la quale vi sono l’infrascritti robbi cioè li
coxini di velluto nigro con li suoi giombi.
Item una
coltra bianca di tila di lenza di battista usata.
Item
un’altra cultra murisca vecchia.
Quattro
casci di tavole veneziane di scritture.
Tri altre
vacanti.
Quattro
forceri seu baulli tri fo.ni ed uno di cojo nero.
Item
diecisetti casacche di lo conti cioè sette di panno e dieci di seta e tiletta ed
unocoijretto d’umbra foderato di tirzanello bardiglio dentro li quali vi sono
li robbi infrascritti cioè tri vestiti di velluto nero di raso e tirzanello
vecchi e straziati.
Item quattro
camisi quattro para di calsuni, di tila usati e vecchi.
Otto para di
peduni vecchi di tila.
Cinque casci
di abito vecchi, quattro pieni di scritture ed una vacante.
Una
fiaschera di cojo alleonato con 8 fiaschi di vetro dentro.
Item una
balestra coperta di vacchetta gialna con suo coccano simile.
Una cucuzza
con suo collo e coperchio di stagno tundu fatta a fiasco.
[112]
Quattro
zagaglie dove sono appisi li casacchi.
Item quattro
con la figura di scandarbeccho.
Uno
scrittorio di nuci vecchio picciolo in altra stanza di detto guardarobba.
Item una
buffetta grande di noce e cerasa con suoi piedi et item un letto di camino con
suo cortinaggio di damasco giallo con finzi allionati con suo tornialetto in
pezzi vecchi.
Un altro
letto di camino vacante vecchio.
Item una
lettica di camino indorata di velluto seu damasco russo e tila.
Item una
sigetta di camino a mano.
Item due
forzeri dentro le quali vi sono da uno trenta canni di tovaglie di tavola in
pezzi sottili tessuti ad occhio, otto altri tovagli di tavola sottili ed
ottanta stuiabocchi parti in lotto e parti per uno del medesimo modo.
Item quatro
di tila di cera della cruci con sua guarnizioni.
Tre fiaschi
di rame rosso di tenere acqua rosa.
Intra
l’altra stanza longa della guardarobba:
Ventidue
matarazzi di diversi tili, gravi, azzoli, e bianchi vecchi pieni di lana
siciliana.
Item quattro
trabacchi di nuci con suoi fornimenti.
Intro
quattro casce di tavola di abito longhe:
Tre altre
trabacche simili.
Intro tri
altri casci intro le quali vi è una porta deorata.
Item una
buffetta di nuci grossa pinta vecchia.
Due vanchi
di tavola vecchi infoderati di cojo.
In primis
dudici seggi di nuci con li coiri azoli retropuntati con li frinzi capicciola
torchina usati.
Quattro
altri seggi simili.
Item quattro
lenzuoli di tela sottile usati.
Item una
tovaglia di tavola frandanisausata.
Item quattro
tovaglie piccoli, una cultra di tila imbuttita bianca ed una cultra di taffità
carmicino canciante, dui cannati e dui piatti di porcillana.
Item un
baullo dui linzola di tela sottile, quattro cammisi, dui tuvagli di testa, un
quatro dell’annunciata di capizzo di argento piccolo, ed un’altro quatretto,
una capizzana, uno marzapano con cose minuti, una scatola con cosi di donna
piccola.
In lo terzo
baullo vi sono quindeci pezzi di tila grossa di circa canni 35.
Item uno
cascione di tavola veneziana, quattro dentro la quali vi sono l’infrascritte
robbe cioè una coperta di cocchio di velluto negro infoderato di plattina
d’oro, un cappotto di raso pardiglio infoderato di tila d’argento, una borzetta
di raso pardiglio infoderato di selba, una ciucca nigra, otto gipponi di seta
ed altri cosi e guarnito d’oro, uno faudellino di velluto a fondo d’oro, una
fakdetta tirzanello d’oro, una faudetta di tirzanello giallo, altro faudellino
di tirzanello nigro alionato, una robba di velluto d’oro torchino.
Una robba di
tirzanello lavorata nigra inforrata di taffità, una faldetta di tila d’argento
bianca, con cottetto russo nigro interpato, un cottetto di tila d’argento
bianco, un cottetto di raso bardiglio cappellato foderato di tirzanello
zollino, una robba di taffità seu velo nigro, dui manti di donna di sita, una
faudillino vecchio nigro, una cultra torchina e russa e taffità, una cultra di
tila d’oro russo.
Item una
robba di sita nigra, un pezzo di panno russo per commoglio. Item una cascetta
di velluto torchino con passamani d’oro e piedi e cornici dorati dentro la
quale ci sono li cosi infrascritti cioè: un cannistro di figlianda di diverse
cose di tila bianca e sita lavorati consistenti in corticelli, tovagli, fasci,
collaretti ed altri cosi minuti lavorati di sita ed oro. Item una scrivania di
sita gialna e vecchia. Item un scrittorio d’ebbano lavorato d’avolio ed argento
vacanti.
Item
un’altra stanzia di detto guardarobba.
Item due
matarazzi di tila azola e bianchi grossi pieni di lana siciliana, usati.
Item otto
spati con suoi foderi e guardie tra li quali vi sono tre adorati e dui pugnali.
Item otto
piomazzi delli medesimi di tila e lana.
Item una
littera di vento distanti.
Item dui
cento pezzi di libri di diversi sotti e storij grandi e piccoli.
Item un firriolo
nero di panno di spagna usato.
Item una
conca grande di fuoco alla napolitana con suo coperchio lavorata di rame rosso.
Item
un’altra conca piccola del medesimo modo lavorata.
Item
quindeci pezzi di panni di arazza cioè setti virdini e le otto signati di
Mercurio.
Item dui
tappiti di tavola usati cioè l’uno di lana e l’altro di seta.
Item cascia
d’abito grande di dentro la quale vi sono l’infrascritti robbe cioè:
Item un
paramento di damasco paglino e carmisino usato consistenti in pezzi undici.
Item un altro paramento di damasco turchino con suoi zinefi di velluto del
proprio colore. Item un paviglione di lanetta di Calabria gialna, con suoi
zinefi attorno gialni e neigri in pezzi tre.
Item sei
portali ..torchini con l’armi di russo del Carretto usati. Item una copetta
longa con la toppa alla tedesca. Item una piccola boffetta di plattina
d’argento con li piedi di legname.
Item
un’altra cascia d’abito di teniri paramenti dentro li quali vi sno diecidotto
pezzi di cojro dorati tra piccoli e grandi.
Item dodici
quatri con l’effigie di diversi personaggi piccoli in tila.
Item quattro
littere di tavola con suoi trispiti ad un piede. Item un scarfatore di rame
rosso.
Item dodici
altri patretti simili.
Item un
[116] bragiero d’argento gisillato di peso libb:
20.....................................come l. 20
asserisce
mastro Giovanni Cappino stente essere ingessato con lo rame e ligno con una
testa di coiro. Item un cortinaggio di panno di Cultrac con suoi frinzi di
capicciola consistenti in cinque pezzi vecchio; item dentro un’anticamera che
si va suso alo guardarobba.
In primis
dodici quatri dell’effogie dell’Imperatori Romani. Item setti pezzi di cojo
dorati tra piccoli e grandi vecchi strazzati.
Entro la
retrocamera un paramento di panno di razza inverditia e personaggi vecchi
consistenti in pezzi sei.
Item una
trabacca di nuci vecchia picciola usata. Item un paviglione di damasco verde
con suo cappello di velluto verde con li frinzi parti d’oro in li frinzi a lo
cappello grande d’oro e sita virdi e a lipedi di lu pavigliuni frinzetta
piccola.
Item tri
matarazzi di tila bianca suttili pieni di lana siciliana, un paro di lenzuoli
di tila sottili. Item una culta bianca di vento. Item dui frazzati bianchi
usati. Item una littera con quattro tavole con suoi trispiti ad un piede. Item
dui maratazzi di tila bianca pieni di lana siciliana. Item un paviglione di
saja rosato vecchio. Item un altro paro di lenzuola,
Item una
buffetta di nuci quatra con suoi piedi et un tappito sopra vecchio. Item dodici
seggi di nuci vecchi di coiro. Item se quatri piccioli di diversi personaggi.
Item dui quatri grandi cioè uno di San Francesco di Paola e l’altro di caccia e
verdure. Item un lettro, quatro di sita gialna. Item un portale di panno verde.
Item una
cascia di nuci ferrata e foderata d’abito dove vi sono riposti l’infrascritti
robbi cioè:
In primis
cinque para di coniali con suoi calsi dorati di raso stampato con li suoi
trappi doderati di russo vecchi
Item un
cappotto di murmorino usato.
Item un
paviglione di tela bianca lavorata alli punti di sita carmicina e suoi fascetti
di sita e di Napoli usata. Item un altro paviglione di tila bianca usato con
suo gruppo. Item undeci cappelli inforrati cioè otto di feltro, tre lavorati,
dui di tirzanello usati. Item quattro berrette di tela e villuto usati. Item
sei monteri di seta vecchi. Item un vestito di Baratto usato. Item un cappuni
di Giambilotto di levanti inforrato di velluto lavorato ed usato. Item
firraiolo di rasetto nigro inforrato di taffità usato. Item un altro firraiolo di
tiletta inforrato di taffità. Item un arbonus bianco murisco usato. Item una
cascia di tirzanello di armari nigro foderata dell’istesso usato. Item un altro
firraiolo di muc
ajale nigro
usato. Item un altro firriolo di Buratino infoderato di taffità nigro usato.
Item un
altro firraiolo di Giambello di levanti foderati di taffità seu baratto usati.
Item un cammisolo alla guglia di seta carmicina lavorato allo petto di oro
usato. Item novi para di calsoni di mocajali terzanello e gambilotto usati.
Item venti gipponi usati di diversi drappi, site, mucajale terzanelle, russo e
gambilotto, inforrato di tila bianca usati. Item un cabubo di lanetta di
Calabria guarnito di passamani d’oro in foderato di panno di baetta russa. Item
una robba di casa di panno di Barsalona inforrata la mettà di villuto nigro
guarnita di passamano d’oro fino usata. Item una robba di casa fatta a firriolo
di Macajali usato. Item un Agnus Dei di cira lavorato atorno di seta ed oro.
Item un trucco foderato di panno verde con suoi piedi. Item quattro portali di
Barsellota vecchi. Item un pezzo di panno di raso vecchio. Item un orologio di
ferro con suoi fornimenti. Item una carrozza di nuci coperta di cojo di
cavvhetta di Fiandra inforrata di velluto nigro nova tutta con suoi
guarnimenti. Item un altra carrozza di nuci coperta di vacchetta di Fiandra
nigra. Item una lettica di camino coperta di vacchetta ed infoderata di tila
azola con li suoi fornimenti e selloni vecchi.
Item
un’altra lettica di legname vecchia.
Item cinque
selle vecchi con suoi freni e guarnizioni.
Item due
selle di velluto vecchi con suoi guarnizioni e freni.
Item lo
paramento di Vincenzo di Settimo per cui pignorato di damasco turchino.
Item novi
piatti piccoli d’argento senz’armi novi.
Robba della
Camera di Leonardo Campisi.
Item una
maldrappa di punto dalla nuona memoria plana.
Un’altra di
panno con la sua frinza nigra di detto Signore.
Un’altra di
velluto nigro di d.° Signore con la sua frinza.
Un’altra di
tiletta con la sua frinza della Nuona Memoria.
Un’altra
maldrappa di villuto con sua frinza, parte lavorata. Un’altra di tila vecchia
con li suoi passamani e frinze. Un’altra di velluto vecchio con suoi passamani.
Una sella di velluto nuova guarnuta di passamano con suoi guarnimenti di
velluto. con suoi giumbi della buona memoria. Dui selle nuove guarnute di
velluto con due fascie con li suoi guarnimenti di coiro. Una sella bardiglia
guarnuta di velluto con le sue staffe e con il suo guarnimento simile di
velluto nigro. Item una sella vecchia con suo guarnimento di panno nigro con le
staffe e maldrappa con suo freno di cavallo . . . . Item una sella di coiro
invellutato di mezamina col suo guarnimento senza staffe. Un’altra sella di
velluto nigra guarnuta con suo passamano d’oro, con suo guarnimento di velluto
senza staffe. Altra sella alla giomenta con suo guarnimento e staffe con la sua
coperta alla moresca.
Item una
sella di coiro di posta; dui para di staffi alla giannetta; un guarnimento di
tila vecchio; un guarnimento alla moresca con sue drappe di ramo dorate; due para
di tavolette di velluto carmicino per cavalcare le donne. Due assettiti di
velluto carmicino con la sua frinza simili per una lettica; quattro bandilori
di damasco carmicino con li suoi giumbi e capi per detta littica; un paro di
staffi nigri; cinque spati delli quali ne tiene una Liberanti per ordine del
sig.re d: Vincenzo Sette Capardi, delle quali ne tiene una Marsilio con uno
scuto dorato; un capizzuni; un coccano di scopettina; sei freni di coiro
guarnuto per servizio; un fiasco di stagno; quattro per annivare acqua e vino.
Item una sella di coiro vecchia con suo guarnimento; dui staffi vecchi; una
cascia grandi pri teniri robba; due banchetti di ligno; dui selloni; altre due
li tiene il Principe di Rabia; quattro selle vecchi per diverse genti; dui
bardoni per ammanzare muli; dui fusti di ligno; un fusto rotto di ligni; una
sella di villuto vecchia con sua frinza; una sella bianca per cavalcare; una
sella azzariata guarnuta; un’altra di velluto gialna.
Sei butti e
dui carratelli.
Una cascetta
per fiaschi.
Due landoni
di ferro per stalla.
Dui para di
ferri.
Dui catini
grossi per detti.
Una catina
di testali di cavallo.
Una botte di
racina.
Un
sopracollo di carrozza.
Un baullo
vecchio.
Una lettica
vecchia con sua scala.
Novi casci
vecchi.
Tre altri
casci piccoli.
Dui vasi di
legno.
Quattro
seggi vecchi.
Una sigetta
guarnuta di sella bianca.
Quattro . .
. bianchi vecchi.
Un letto con
due matarazzi con due frazzate, una vecchia e l’altra minuta e linzola vecchi.
Tre silleri dove stanno li selli.
Una tavola
dove stanno li freni.
Dui tavoli
dove stanno li lapardi.
Quattro
puppi guarnuti d’oro e seta del coccio deorato.
Lo cocchio
deorato; l’altro cocchio senza cartali, senza sopraceli, di coiro; due tovagli
grossi.
Arcon e
artigianato locale sapranno bene fronteggiare le richieste del Parco in tema di
costumi ed attrezzi di foggia antica, consentendo la realizzazione dei musei di
cui si è detto.
SEZIONE IV
Documenti
che dimostrino la disponibilità alla concertazione locale e l’adesione da parte
di più soggetti sociali, quali enti locali, associazioni di categoria, gruppi
organizzati, associazioni culturali o di volontariato, ecc.
Si allega la
documentazione richiesta, che ci appare del tutto idonea a corrispondere
all’avvertita esigenza di estendere il Parco alle realtà sociali racalmutesi e
a quelle dei centri del circondario. Si noteranno assenze di enti autarchici
territoriali: è una esclusiale intenzionale. Evitare inquinamenti di ogni sorta
è assillo di questa associazione, specie in un territorio non esente da
infiltrazioni malavitose. Gli appetiti politici sono altresì fonte di
preoccupazione: fomentare il clientelismo elettorale con fondi apparentemente
destinati ad iniziative culturali o sociali è vezzo diffuso nelle classi
dirigenti di queste parti. L’associazione vuole starne lontano, anche a costo
di vedere vanificare il suo progetto che con tutta franchezza reputa meritevole
di ogni attenzione.
NOTA FINALE
Purtroppo si
è venuti a conoscenza del “concorso di idee” per un parco letterario molto tardi:
pur di inviare la nostra adesione entro il termine di scadenza, si sono
affrettati i tempi di lavorazione. Testi non ricontrollati adeguatamente,
difetti formali, precipitose concertazioni appannano la formulazione della
nostra proposta. Ce ne scusiamo e ce ne rammarichiamo. Vogliamo sperare nella
comprensione e nella benevolenza dei nostri esaminatori. Pronti, comunque, come
siamo a fornire ogni ragguaglio, a produrci nelle debite rettifiche a semplice
richiesta. In ogni caso ringraziamo per l’attenzione che ci verrà riservata.
[1]Emerge come il feudo di Gibillini
sia cosa ben diversa dalla contea racalmutese. Per Gibillini, s’intende il
territorio degradante tutt’intorno al castello - oggi denominato Castelluccio -
e non soltanto la contrada della omonima miniera, che forse un tempo non faceva
neppure parte di quella terra feudale.
Il primo
accenno storico a Gibillini risale al 21 aprile 1358 ;[1] il diplomatista così
sintetizza il documento che non ritiene di pubblicare:
“Il Re
concede al milite Bernardo de Podiovirid e ai suoi eredi il castello de GIBILINIS,
vicino il casale di Racalmuto e prossimo al feudo Buttiyusu [feudo
posto vicino SUTERA, v. doc. prec., n.d.r.], già appartenuto al defunto conte SIMONE
di CHIAROMONTE traditore, insieme a vassalli, territori, erbaggi ed altri
dritti; e ciò specialmente perchè il detto Bernardo si propone a sue spese di
recuperare dalle mani dei nemici il detto castello e conservarlo sotto la
regia fedeltà: riservandosi il Re di emettere il debito privilegio, dopoché il
castello sarà ricuperato come sopra.”
Pare che
Bernardo de Podiovirid non sia riuscito a prendere possesso di Gibillini: il
feudo ritorna prontamente in mano dei Chiaramonte. Simone Chiaramonte è
personaggio ben noto e fu protagonista di tanti eventi a cavallo della metà del
XIV secolo. Michele da Piazza lo cita varie volte. Il fiero conte ebbe dire
recisamente a re Ludovico“prius mori eligimus, quam in potestatem et
iurisdictionem incidere catalanorum”: preferiamo morire anziché finire sotto il
potere e la legge dei catalani. Mera protesta, però; il Chiaramonte è costretto
a fuggire in esilio presso gli angioini. Scoppia la guerra siculo-angioina che si
regge sull’apporto dei traditori. Per Michele da Piazza, i chiaramontani, che
pur vivevano nella loro tirannica fede, non contenti né soddisfatti di tanta
immensa strage, da loro inferta ai siciliani, si rivolsero agli antichi nemici
della Sicilia per spogliare dello scettro re Ludovico.
Nel marzo
del 1354 i primi rinforzi angioini pervennero a Palermo e Siracusa. In tale
frangente fame e carestia si ebbero improvvisi in Sicilia, favorendo gli
invasori. Ne approfittò Simone Chiaramonte “capo della setta degl’italiani -
secondo quel che narra Matteo Villani - [promettendo] ai suoi soccorso di
vittuaglia e forte braccia alla loro difesa: i popoli per l’inopia gli
assentirono”.[1] Prosegue Giunta [1] “queste premesse spiegano il rapido inizio
dell’impresa dell’Acciaioli, il quale accanto a 100 cavalieri, 400 fanti, sei
galere, due panfani e tre navi da carico, si presentò “con trenta barche grosse
cariche di grano e d’altra vittuaglia”, sì da ottenere festose accoglienze da
parte dei Palermitani “che per fame più non aveano vita”, nonché il rapido
dilagare della insurrezione a Siracusa, Agrigento, Licata, Marsala, Enna “e
molte altre terre e castella””.Tra le quali possiamo includere tranquillamente
Racalmuto e Gibillini.
Simone
Chiaramonte muore a Messina avvelenato nel 1356, un paio d’anni prima del
citato documento. Ma da lì a pochi anni, Federico IV, detto il Sempliceriuscì
a riconciliarsi con i Chiaramonte e nel febbraio del 1360 accordava un
privilegio tutto in favore di Federico della casa chiaramontana.
Il feudo di
Gibillini appare sufficientemente descritto nell’opera del San Martino de
Spucches .[1] Secondo l’araldista il feudo di Gibillini, quello di Val Mazara,
territorio di Naro, da non confondersi con l’altro ancor oggi chiamato di
Gibellina, appartenne, “per antico possesso”alla famiglia Chiaramonte. Fu
Manfredi Chiaramonte a costruirvi la fortezza, quella che ora è denominata Castelluccio.
L’ultimo della famiglia a possedere il feudo fu Andrea Chiaramonte, quello
che, dichiarato fellone, ebbe la testa tagliata a Palermo nel giugno del 1392,
nel palazzo di sua proprietà, lo Steri.
Re Martino e
la regina Maria insediarono quindi Guglielmo Raimondo Moncada, conte di
Caltanissetta. Il feudo divenne ereditario, iure francorum, con obbligo
di servizio militare e cioè con due privilegi, il primo dato in Catania il 28
gennaio 1392 (registrato in Cancelleria nel libro 1392 a foglio 221) [1]; col
secondo diploma, dato ad Alcamo, li 4 aprile 1392 e registrato in Cancelleria
nel libro 1392 a foglio 183, fu dichiarato consanguineo dei sovrani, ebbe
concessi tutti i beni stabili e feudali, senza vassalli, posseduti da Manfredi
ed Andrea Chiaramonte, dai loro parenti e dal C.te Artale Alagona, beni siti in
Val di Mazara, eccetto il palazzo dello Steri ed il fondo di S. Erasmo e pochi
altri beni. Nel 1397 ad opera del cardinale Pietro Serra, vescovo di Catania e
di Francesco Lagorrica, il Moncada fu deferito come reo di alto
tradimento, avanti la gran Corte, congregata in Catania; ivi con sentenza 16
novembre 1397 fu dichiarato fellone e reo di lesa maestà ed ebbe confiscati
tutti i beni. Morì di dolore nel 1398.
Subentrò
Filippo de Marino, fedelissimo vassallo del Re (1398); non abbiamo la
data precisa della concessione; per quel che vale il de Marino figura possessore
del feudo di Gibillini nel ruolo del 1408 dello pseudo Muscia.[1]
Il feudo
pervenne successivamente a Gaspare de Marinis, forse figlio, forse
parente. Da questi, passa al figlio Giosué de Marinis che ne acquisì
l’investitura il 1° aprile 1493 more francorum, [1] per passare quindi a
Pietro Ponzio de Marinis, investitosene il 16 gennaio 1511 per la morte del
padre e come suo primogenito. [1] Costui sposò Rosaria Moncada che portò
in dote i feudi di Calastuppa, Milici, Galassi e Cicutanova, membri
della Contea di Caltanissetta, come risulta dall'investitura presa dalle figlie
Giovanna e Maria il 22 settembre 1554 (R. Cancelleria, III Indizione
f.96).
Succede
Giovanna De Marinis e Telles, moglie di Ferdinando De Silva, M.se di Favara con
investitura del 15 gennaio 1561, come primogenita e per la morte di Pietro
Ponzio suddetto (Ufficio del Protonotaro, processo investiture libro 1560 f.
271).
Maria De
Marinis Moncada s'investì di Gibillini il 26 dicembre 1568, per donazione e
refuta fattale da Giovanna suddetta, sua sorella (Ufficio del Protonotaro, XII
Indiz., f.479) .
Beatrice De
Marino e Sances de Luna s'investì di due terzi del feudo il 17 ottobre 1600,
per la morte di Alonso de Sanchez suo marito, che se l'aggiudicò dalla suddetta
Giovanna, M.sa di Favara (Cancelleria libro dell'anno 1599-1600, f. 15);
peraltro v’è pure un’investitura di questo feudo, datata 7 agosto 1600, a
favore di Carlo di Aragona de Marinis, P.pe di Castelvetrano, figlio di detta
Maria de Marinis (R. Cancelleria, XIII Indiz., f.160); un’altra investitura la
troviamo in data 28 agosto 1605 a favore di Maria de Marinis per la morte di
Carlo suo figlio (R. Cancelleria, III Indiz. , f. 491); dopo non ci sono
investiture a favore dei Moncada.
Diego
Giardina s'investì di due terzi il 24 gennaio 1615, per donazione fattagli da
Luigi Arias Giardina , suo padre, a cui le due quote furono vendute da Beatrice
suddetta, agli atti di Not. Baldassare Gaeta da Palermo il 5 dicembre 1608
(Cancelleria, libro 1614-15, f. 265 retro). Vi fu quindi una reinvestitura in
data 18 settembre 1622, per la morte del Re Filippo III e successione al trono
di Filippo IV (Conservatoria, libro Invest. 1621-22, f. 283 retro).
Subentra -
sempre nei due terzi - Luigi Giardina Guerara con investitura del 28 febbraio
1625, come primogenito e per la morte di Diego, suo padre (Cancelleria , libro
del 1624-25, f. 214); viene quindi reinvestito il 29 agosto 1666 per il
passaggio della Corona da Filippo IV a Carlo II (Conservatoria, libro Invest.
1665-66, f. 119). Il Giardina morì a Naro il 24 novembre 1667 come risulta da
fede rilasciata dalla Parrocchia di S. Nicolò.
Diego
Giardina da Naro, come primogenito e per la morte di Luigi suddetto, s'investì
dei due terzi il 7 ottobre 1668 (Conservatoria, libro Invest. 1666-71, f. 89).
Luigi
Gerardo Giardina e Lucchesi prese l’investitura il 9 settembre 1686 dei due
terzi, per la morte e quale figlio primogenito di Diego suddetto
(Conservatoria, libro Invest. 1686-89, f. 17).
Diego
Giardina Massa s'investì il 26 agosto 1739, come primogenito e, per la morte di
Luigi Gerardo suddetto, nonché come rinunziatario dell'usufrutto da parte di
Giulia Massa, sua madre, agli atti di Not. Gaetano Coppola e Messina di
Palermo, del 1° ottobre 1738 (Conservatoria, libro Invest. 1738-41, f. 58).
Giulio Antonio
Giardina prese l’investitura dei due terzi il 3 dicembre 1787, come primogenito
e per la morte di Diego suddetto (Conservatoria, libro Invest. 1787-89, f. 25).
Diego
Giardina Naselli s'investì dei due terzi del feudo di Gibellini il 15 luglio
1812, quale primogenito ed erede particolare di Giulio suddetto (Conservatoria
vol. 1188 Invest., f. 124 retro); non ci sono ulteriori investiture o
riconoscimenti.
Ma a questo
punto scoppia il caso Tulumello. Il San Martino de Spucches non segue bene le
vicende feudali di Gibillini. Comunque nel successivo volume IX - quadro 1454,
pag. 221 - intesta: “onze 157.14.3.5 annuali di censi feudali - GIBELLINI-
Cedolario, vol. 2463, foglio 204” ed indi rettifica:
“Giulio
GIARDINA GRIMALDI, Principe di Ficarazzi s'investì di due terzi del feudo di
GIBELLINI a 3 dicembre 1787 come figlio primogenito ed indubitato successore di
Diego GIARDINA e MASSA (Conservatoria, libro Investiture 1787-89, foglio 25).
1. - Quindi
vendette agli atti di Not. Salvatore SCIBONA di Palermo li 22 luglio 1796 a D.
Giovanni SCIMONELLI, pro persona nominanda annue onze 157, tarì 14, grana 3 e
piccioli 5 di censi sopra salme 57, tumoli 11 e mondelli 2 di terre, dovute sul
feudo di Gibellini; e ciò per il prezzo in capitale di onze 3500 pari a lire
44.625. Il detto Scimoncelli dichiarò agli atti di Notar Giuseppe ABBATE di
Palermo che il vero compratore fu il Sac. D. Nicolò TOLUMELLO. Per speciale
grazia accordata dal Re a 29 aprile 1809 fu confermato lo smembramento di dette
onze 157 e rotte dal feudo di GIBELLINI già effettuate senza permesso Reale
(Conservatoria, libro Mercedes 1806-1808, n. 3 foglio 77).
2. - D.
Giuseppe Saverio TOLUMELLO s'investì a 7 giugno 1809 per refuta e donazione a
suo favore fatte dal Sac. D. Nicolò sudetto agli atti di Notar Gabriele
Cavallaro di Ragalmuto li 22 aprile 1809 (Conservatoria, libro Investiture 1809
in poi, foglio 40). Questo titolo non esce nell'“Elenco ufficiale diffinitivo
delle famiglie nobili e titolate di Sicilia” del 1902. L'interessato non ha
curato farsi iscrivere e riconoscere.”
[3]) Carmelo Vetro - L’associazionismo
borghese nella Sicilia dell’800: le case di compagnia - in Il Risorgimento,
anno XLVI n. 2-3 - Milano 1994, pag. 301
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